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Giurisprudenza

Cessione di credito vantato dalla banca advisor nei confronti del mandatario: il conflitto di interessi non esplicitato non è sufficiente a cagionare il danno

1 Dicembre 2016

Martino Liva, Avvocato presso DLA Piper

Cassazione Civile, Sez. I, 17 agosto 2016, n. 17137

Di cosa si parla in questo articolo

Un imprenditore aveva acquistato un pacchetto azionario di una società attraverso un finanziamento, garantito da un pegno sulle azioni, con l’intento di collocare la società in borsa e rimborsare in tal modo il finanziamento ottenuto. Il collocamento, tuttavia, non si era concretizzato, e con esso il rimborso del finanziamento. Per tale motivo, l’imprenditore aveva conferito mandato alla stessa banca finanziatrice di ricercare dei partner da coinvolgere nel capitale della società acquisita.

In esecuzione del mandato ricevuto, la banca, che aveva stimato il valore del gruppo della società acquisita in misura nettamente inferiore a quello attributo dall’imprenditore, aveva prospettato a quest’ultimo un’operazione per tale motivo ritenuta non vantaggiosa, e che si sarebbe concretizzata nell’ingresso da parte di una seconda banca nel capitale di una delle società del gruppo.

A fronte del diniego dell’imprenditore di dar seguito all’operazione, la banca, finanziatrice e mandataria, si era avvalsa della clausola risolutiva espressa contenuta nei contratti di finanziamento, chiedendo l’immediato rientro e recedendo altresì dal contratto di mandato. Successivamente, la stessa aveva ceduto alla seconda banca il proprio credito nei confronti dell’imprenditore, unitamente al pegno sul pacchetto azionario.

A conclusione, era stato stipulato tra le parti un accordo transattivo con trasferimento del pacchetto azionario alla seconda banca e con contestuale rinuncia di questa al credito vantato verso l’imprenditore.

Nel ricorre in giudizio, l’imprenditore lamentava il fatto che la prima banca avesse strutturato un’operazione volta a far transitare la titolarità del pacchetto azionario alla seconda banca, dietro l’esborso di un importo di gran lunga inferiore al suo valore effettivo.

Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Milano, pur riconoscendo l’inadempimento del contratto di mandato da parte della banca mandataria, per il fatto che le trattative per la cessione del credito fossero iniziate durante lo svolgimento dello stesso contratto di mandato, senza che questa comunicasse ai mandanti, come previsto dal contratto, il conflitto di interessi perciò insorto, ha escluso la sussistenza del nesso di causalità tra l’inadempimento ed il danno patrimoniale lamentato dall’imprenditore.

Nel confermare tale decisione, la Cassazione ha evidenziato come l’inadempimento del contratto di mandato non risultava circostanza di per sè idonea a cagionare il danno per l’imprenditore, in assenza di prova che il pacchetto azionario trasferito alla seconda banca avesse un valore superiore al vantaggio patrimoniale dallo stesso conseguito per mezzo del trasferimento, a corrispettivo del quale l’imprenditore aveva ottenuto l’estinzione del suo debito. E a nulla rilevando, a contrario, il fatto che non vi fossero offerte più favorevoli ed il mancato reperimento di diversi partner strategici, circostanze diversamente idonee a comprovare, in positivo, la mancanza di prova circa il valore maggiore del pacchetto azionario rispetto a quello realizzato.

In aggiunta, la Corte ha ribadito come in sede di legittimità, fatta eccezione per le questioni rilevabili d’ufficio, non possono essere introdotte nuove censure e doglianze che abbiano quale effetto quello di porre a fondamento delle domande e delle eccezioni, titoli diversi da quelli fatti valere nei precedenti gradi di giudizio di merito, prospettando, peraltro, elementi di fatto nuovi. Ciò detto, la sentenza precisa come il ricorrente sia titolato a proporre in sede di legittimità una questione non trattata nella sentenza impugnata (si badi, nella sentenza, e non negli atti di parte) ma, per farlo, spetta al medesimo ricorrente l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio ciò sia avvenuto.

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