Con la sentenza n. 21272 del 20 ottobre 2016, la Corte di cassazione, in un caso di cessione di partecipazioni qualificate in una società quotata alla Borsa Valori, si è pronunciata sulla rilevanza temporale del requisito della negoziazione dei titoli nel mercato regolamentato.
Il contribuente, persona fisica non imprenditore, era titolare di una partecipazione azionaria qualificata in una società quotata alla Borsa Valori che gli dava il diritto di esercitare il 4 per cento dei diritti di voto nell’assemblea ordinaria.
Con due distinte cessioni – in data 22 settembre 2002 e 10 gennaio 2003 – il contribuente cedeva a titolo oneroso partecipazioni rappresentative, rispettivamente, l’1,995 per cento e lo 0,257 per cento dei diritti di voto e assoggettava le relative plusvalenze all’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi con l’aliquota del 27 per cento[1] (in applicazione della disciplina all’epoca vigente).
In data 13 gennaio 2013 (quindi, tre giorni dopo la seconda cessione) la Borsa Valori operava la rimozione del titolo dalla quotazione (c.d. delisting).
In ragione della rimozione delle azioni dalla quotazione, il contribuente agiva per il rimborso dell’imposta versata in eccedenza, considerando effettivamente applicabile l’aliquota prevista per l’ipotesi di cessione di partecipazioni non qualificate (all’epoca pari al 12,50 per cento), in luogo di quella applicata (i.e. 27 per cento).
Nelle fasi processuali di merito, la Commissione tributaria provinciale accoglieva le ragioni dell’Agenzia delle Entrate, rigettando il ricorso avverso il rifiuto di rimborso; di contro, la Commissione tributaria regionale aderiva alla tesi del contribuente. Avverso tale decisione proponeva ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate.
Al fine di comprendere le ragioni della decisione in commento, appare opportuno richiamare le disposizioni normative rilevanti nella fattispecie de qua.
In primo luogo, l’art. 67, comma 1, lett. c) del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), ai sensi del quale costituiscono redditi diversi le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di partecipazioni qualificate. In particolare, per il caso di titoli negoziati in mercati regolamentati[2], costituisce cessione di partecipazioni qualificate la cessione di azioni che rappresentano, complessivamente, una percentuale di diritti di voto esercitabile nell’assemblea ordinaria superiore al 2 per cento[3]. Inoltre, secondo la medesima disposizione, la percentuale di diritti di voto deve essere determinata «tenendo conto di tutte le cessioni effettuate nel corso di dodici mesi, ancorché nei confronti di soggetti diversi»[4].
In secondo luogo, è rilevante per la fattispecie oggetto di decisione l’art. 5, comma 1 del D. Lgs. 21 novembre 1997, n. 461 (in vigore sino al 31 dicembre 2003), a mente del quale le plusvalenze di cui all’art. 67, comma 1, lett. c) del D.P.R. n. 917/1986 dovevano essere assoggettate ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi con l'aliquota del 27 per cento.
Infine, l’art. 5, comma 2 del D. Lgs. n. 461/1997, che, per le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni non qualificate, prevedeva la tassazione con l’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi con l'aliquota del 12,50 per cento[5].
Occorre, a questo punto, considerare che le plusvalenze si intendono realizzate nel momento in cui si perfeziona la cessione a titolo oneroso delle partecipazioni[6], piuttosto che nell’eventuale diverso momento in cui viene liquidato il corrispettivo della cessione[7]. Pertanto, applicando il principio al caso concreto, appare possibile affermare che il momento del realizzo coincideva con la seconda cessione delle partecipazioni e che, al momento della realizzazione della plusvalenza, tutti i requisiti della fattispecie erano presenti.
La questione interpretativa posta al vaglio della Corte di cassazione ha pertanto ad oggetto l’interpretazione dell’art. 81 del TUIR, dovendosi stabilire se, al fine della configurazione dei presupposti di cui alla lettera c) – dalla quale deriva(va) l’applicazione dell’art. 5, comma 1 del D. Lgs. n. 461/1997 e, quindi, l’imposizione con aliquota del 27 per cento – siano rilevanti l’andamento delle cessioni e delle partecipazioni per dodici mesi a partire dal momento in cui la partecipazione assume le caratteristiche di rilevanza richieste. In altri termini, se il periodo di osservazione di dodici mesi richiamato dalla disposizione abbia a riferimento la (sola) verifica del superamento della soglia qualificata del 2 per cento ovvero se sia un elemento rilevante della fattispecie (anche) per la verifica del requisito della quotazione e, in particolare, della sua permanenza.
In breve, è stato chiesto se il periodo di osservazione di dodici mesi sia rilevante solo ai fini del calcolo della misura della partecipazione o se sia altresì rilevante per definire lo status borsistico della società quotata.
Secondo la tesi del contribuente, accolta dalla Commissione tributaria regionale, qualora nel corso del periodo di osservazione venga meno la condizione oggettiva della quotazione, le cessioni operate nell’arco temporale di riferimento, sia pure anteriormente al delisting, devono considerarsi avvenute in assenza di un presupposto oggettivo della fattispecie (i.e. essere partecipazioni in una società quotata). Per tale ragione, secondo il contribuente, nella fattispecie de qua non avrebbe potuto trovare applicazione la disposizione di cui all’art. 5, comma 1 del D. Lgs. n. 461/1997, bensì il successivo comma 2, il quale prevedeva per le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni non qualificate la tassazione con imposta sostitutiva delle imposte sui redditi con aliquota del 12,50 per cento.
In altri termini, secondo il contribuente, il delisting avrebbe fatto venire meno, ex tunc, uno dei due presupposti essenziali della fattispecie (i.e. la quotazione dei titoli).
Secondo la tesi dell’Agenzia delle Entrate, invece, l’art. 67, comma 1, lett. c) del D.P.R. n. 917/1986 – laddove prevede che «la percentuale di diritti di voto è determinata tenendo conto di tutte le cessioni effettuate nel corso di dodici mesi, ancorché nei confronti di soggetti diversi» – deve essere interpretato nel senso che il termine di dodici mesi serve solo a considerare le cessioni effettuate in tale arco temporale, dovendo invece sussistere il requisito della quotazione solo al momento della cessione che determini il superamento della soglia del 2 per cento dei diritti di voto.
Dunque, secondo l’Agenzia delle Entrate, è irrilevante il venire meno del requisito della quotazione in un momento successivo alla cessione che ha determinato il trasferimento della percentuale “qualificata”.
In conclusione, secondo l’Amministrazione ricorrente, al momento del realizzo della plusvalenza sussistevano i due presupposti (i.e. superamento della soglia e quotazione dei titoli) che legittimavano la tassazione effettivamente operata.
Non era invece oggetto di controversia che la misura della partecipazione si applicasse alla somma delle cessioni avvenute nel corso di dodici mesi. Quindi, solo laddove il periodo di osservazione di dodici mesi debba riferirsi (anche) al requisito della quotazione della società partecipata, avrebbe dovuto trovare applicazione nel caso di specie l’imposta sostitutiva con aliquota del 12,50 per cento.
È pertanto dirimente stabilire se la plusvalenza si verifichi (i) al momento della cessione che abbia comportato il superamento della soglia del 2 per cento, essendo, quindi, irrilevante ogni evento successivo; ovvero (ii) se il periodo di osservazione di dodici mesi decorra dalla cessione, con il conseguente travolgimento del presupposto impositivo laddove il requisito della quotazione venga meno nella pendenza di tale periodo.
Secondo la Corte di cassazione, «“Ai fini della individuazione dell’aliquota di imposta sostitutiva, ex art. 5 del D.lvo n. 461 del 1997, sulla plusvalenza derivante dalla cessione di una partecipazione azionaria, lo status di società quotata in borsa va valutato al momento in cui la cessione della partecipazione viene effettuata, e non al termine del periodo di osservazione di dodici mesi previsto dall’art. 67, comma 1, lett. c) TUIR n. 917del 1986, già articolo 81, il quale invece rileva solo per determinare la percentuale dei diritti di voto, non avendo dunque rilevanza il delisting che avvenga successivamente alla cessione delle azioni”».
Secondo la Suprema corte, la disposizione, da un lato, persegue la ratio di evitare frazionamenti elusivi imponendo di cumulare le cessioni intervenute nell’arco di dodici mesi; d’altro lato, non stabilisce un periodo di osservazione volto a verificare la permanenza del requisito della quotazione in borsa della società le cui partecipazioni sono oggetto di cessione. Da ciò consegue che è sufficiente la sussistenza del requisito della quotazione al momento di effettuazione della cessione, essendo specularmente irrilevante il suo venire meno in un momento successivo.
In sintesi, con la sentenza in commento la Corte di cassazione ha deciso che è estraneo alla lettera ed alla ratio[8] della disposizione ritenere che la stessa imponga una verifica della sussistenza del requisito della quotazione in borsa della società emittente al termine del periodo di osservazione di dodici mesi, richiedendo invece l’art. 81 (ora, 67) TUIR che in tale arco temporale ed in pendenza dello status di quotata vengano effettuate le cessioni che complessivamente considerate determinano il trasferimento della soglia percentuale di diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria.
In conclusione, la decisione in commento appare coerente con il sistema impositivo delineato per la cessione di partecipazioni nell’ambito della categoria reddituale dei redditi diversi, ove rileva ai fini impositivi il solo momento di realizzazione della plusvalenza.
Infatti, se per realizzo si deve intendere il momento in cui avviene la cessione delle partecipazioni che abbia comportato il trasferimento di diritti di voto eccedenti la soglia stabilita dal legislatore, il presupposto della quotazione della società partecipata deve sussistere in tale momento. Come deciso dalla Cassazione, non è dunque corretto interpretare la disposizione nel senso di una postergazione del momento di realizzo in ragione della pretesa rilevanza del periodo di osservazione anche per il requisito di negoziazione dei titoli.
[1] Per “plusvalenza” deve intendersi la differenza positiva tra il prezzo di cessione della partecipazione ed il relativo costo o valore di acquisto assoggettato a tassazione (c.d. capital gain).
[2] La circolare Min. Finanze n. 165/E del 24 giugno 1998 ha precisato che i mercati ai quali occorre fare riferimento sono quelli previsti nel D. Lgs. 23 luglio 1996, n. 415 (ora, D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58) nonché quelli di Stati appartenenti all’OCSE. Si tratta, quindi, della medesima nozione di mercato regolamentato adottata ai sensi degli artt. 9, comma 4, lett. c), 94, comma 3, e 101, comma 2 del TUIR (in questi termini, cfr. Leo, Le imposte sui redditi, Tomo I, Giuffrè, Milano, 2014, 1026).
[3] La scelta di riferirsi all’ammontare dei diritti di voto esercitabili nell’assemblea discende dalla considerazione che soltanto attraverso l’esercizio dei diritti di voto, e non anche attraverso la sola partecipazione al capitale (si pensi ai titoli azionari privi del diritto di voto), il socio può esercitare il controllo o l’influenza notevole sulla società partecipata (in questi termini, cfr. Leo, Le imposte sui redditi, Tomo I, Giuffrè, Milano, 2014, 1024).
[4] In altri termini, tale criterio consente di affermare che il contribuente che abbia effettuato una cessione di partecipazione non qualificata, per stabilire se abbia effettuato una cessione qualificata, dovrà sommare le cessioni effettuate nei dodici mesi precedenti ma soltanto dal momento in cui abbia acquisito il possesso di una partecipazione qualificata.
[5] Attualmente, come prevede l’art. 68, comma 3 TUIR, le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni qualificate non sono soggette ad imposta sostitutiva ma concorrono a determinare la base imponibile IRPEF nella misura del 49,72 per cento del loro ammontare. Le plusvalenze derivanti da cessioni a titolo oneroso di partecipazioni non qualificate, conseguite al di fuori dell’esercizio di imprese commerciali da persone fisiche residenti, sono invece soggette ad imposta sostitutiva con aliquota del 26%.
[6] In questi termini, cfr. Leo, Le imposte sui redditi, Tomo I, Giuffrè, Milano 2014, 1058, ove è richiamata la circolare Min. Finanze n. 165/E del 24 giugno 1998.
[7] La percezione del corrispettivo può, infatti, verificarsi sia prima che dopo il trasferimento, come accade nelle ipotesi tipiche di acconti o dilazioni del pagamento. Nel caso di incasso del corrispettivo in periodi d’imposta successivi a quello di realizzo della plusvalenza, la tassazione del reddito avviene nei singoli periodi d’imposta in cui i corrispettivi vengono effettivamente percepiti. Diversamente, qualora nei periodi d’imposta precedenti a quello di realizzo il contribuente abbia percepito anticipazioni, di tali somme si deve tenere conto per la determinazione del corrispettivo ma tali somme sono tassabili nell’anno in cui la cessione si perfeziona. Nei termini predetti, Leo, Le imposte sui redditi, Tomo I, Giuffrè, Milano, 2014, 1061-1062.
[8] Per la natura antielusiva della disposizione anche G. Falsitta, in Manuale di diritto tributario, parte speciale, Cedam, 2014, pag. 263, nota 22, ove si afferma: «A seconda delle diverse normative pro-tempore vigenti si sono talora diffusi dei comportamenti «elusivi» da parte dei contribuenti, volti a far ricadere nei più favorevoli ambiti di operatività anche fattispecie che avrebbero dovuto rientrare nei regimi più rigorosi. Tra gli «escamotage» più diffusi si ricordano lo scaglionamento delle cessioni con un intervallo superiore a 12 mesi (con conseguente abbattimento dell’entità percentuale della partecipazione ceduta), ovvero la suddivisione della titolarità su più «teste», sempre allo scopo di rimanere al di sotto delle percentuali rilevanti ai fini dell’applicazione del regime proprio delle partecipazioni qualificate».