La Corte di Cassazione è recentemente intervenuta pronunciandosi in tema di rilevanza, ai fini della quantificazione del pro-rata di detrazione dell’Imposta sul Valore aggiunto, come determinato in applicazione dell’art. 19-bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, delle operazioni di cessione di partecipazioni sociali, con particolare riguardo alle condizioni per configurare la loro natura occasionale o meno, nonché la loro riconducibilità all’oggetto dell’attività del soggetto passivo.
La Suprema Corte è stata chiamata ad esprimersi con riferimento a dette condizioni, tracciando, in particolare, – sulla scorta dell’orientamento della Corte di Giustizia Europea formatosi sul tema – i limiti dell’occasionalità dell’operazione in oggetto.
In sintesi, i giudici ermellini hanno avuto modo di specificare come le operazioni di cessione aventi ad oggetto azioni o partecipazioni societarie non rientrino nella sfera di applicazione dell’IVA – in quanto non abituali – allorché non (i) siano eseguite nell’ambito di un’attività commerciale di acquisizione di titoli finalizzata alla realizzazione di un’interferenza diretta o indiretta nella gestione della società le cui partecipazioni siano state oggetto di trasferimento ovvero (ii) costituiscano il prolungamento diretto, permanente e necessario, dell’attività imponibile.
Il contenzioso seguiva la notifica – in capo alla società contribuente – di un avviso di accertamento avente ad oggetto contestazioni relative alla detrazione dell’IVA sugli acquisti da questa operata, ritenuta indebita dall’Ufficio in quanto eseguita per l’intero ammontare del tributo anziché limitatamente al solo pro-rata di detrazione spettante, che avrebbe dovuto computare anche la cessione di una partecipazione societaria fatturata in esenzione ai sensi del predetto art. 10, comma 1, n. 4.
Risultata soccombente sia in primo grado che nel giudizio di appello, la società contribuente proponeva ricorso in Cassazione avverso la pronuncia della competente Commissione Tributaria Regionale (“CTR”), la quale, basandosi su talune previsioni statutarie, aveva ritenuto l’attività di assunzione e cessione delle partecipazioni come rientrante nell’attività d’impresa abitualmente esercitata della società contribuente in quanto (a) funzionale alla realizzazione dell’oggetto sociale e (b) costitutiva – piuttosto che di un’attività meramente accessoria od occasionale – di un prolungamento diretto, permanente e necessario dell’attività imponibile posta in essere, atteso peraltro che le partecipazioni erano acquistate in società appartenenti al medesimo settore di attività della ricorrente .
Quest’ultima, di contro, censurava l’operato della CTR lamentando la violazione dell’art. 19-bis del D.P.R. 633/1972 per aver i giudici di appello:
- da un lato, omesso di considerare come la società contribuente non avesse – né precedentemente né successivamente all’operazione di cessione contestata – posto in essere ulteriori alienazioni di partecipazioni; nonché
- dall’altro, erroneamente assimilato l’assunzione di partecipazioni sociali alla loro cessione; su questo tema, inoltre – specificava la ricorrente – quand’anche tale ultima attività fosse stata inclusa nella descrizione testuale dell’oggetto sociale, ai fini dell’applicazione del citato articolo 19-bis, non avrebbe dovuto assumere comunque alcun rilievo il dato letterale, dovendosi privilegiare, piuttosto, l’attività concretamente ed effettivamente svolta da parte del soggetto passivo.
La Suprema Corte, evidenziando l’erroneità del ragionamento dei giudici regionali, mirato a fornire rilevanza alle previsioni statutarie piuttosto che all’attività concretamente svolta, ha accolto le doglianze della ricorrente.
Nello specifico, stante la rilevanza – nella determinazione dell’IVA – del volume d’affari del contribuente, costituito dall’ammontare complessivo delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi poste in essere, ai fini del calcolo del pro-rata di detrazione occorre verificare se una determinata operazione attiva rientri o meno nell’attività propria di una soggetto passivo, facendo riferimento non già all’attività definita nell’atto costitutivo quale oggetto sociale, bensì a quella effettivamente svolta dall’impresa (cfr. Cass. 9 marzo 2016, n. 4613 e Cass. 14 marzo 2014, n. 5970).
Quanto invece alla qualificazione ai fini IVA dell’operazione di cessione di partecipazioni in oggetto, la Suprema Corte ha richiamato i chiarimenti resi dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, facendo proprio il principio secondo cui le attività relative alle partecipazioni societarie rientrino nella sfera di applicazione dell’IVA esclusivamente qualora (a) siano effettuate nell’ambito di un’attività commerciale di negoziazione titoli volta alla realizzazione di un’interferenza – diretta o meno – nella gestione della società cui si riferiscono le partecipazioni ovvero (b) costituiscano il prolungamento diretto, permanente e necessario, dell’attività imponibile (cfr. CGUE, sentenza 29 ottobre 2009, causa C-29-08, SKF).
In definitiva pertanto, solo qualora, ad esito di tale verifica, non sia possibile ricondurre l’operazione ad una delle due categorie sopracitate, essa, dovendosi dunque qualificare come occasionale, potrà essere considerata “fuori campo IVA”.
Posto tutto quanto sopra, nel cassare la pronuncia impugnata, la Suprema Corte ha rinviato il giudizio alla CTR in diversa composizione affinché, dopo aver effettuato la predetta verifica con riferimento al caso di specie, facendo, in particolare, riferimento all’attività concretamente esercitata dalla società contribuente (piuttosto che a quella indicata dalle previsioni statutarie), qualifichi, in ossequio al principio di diritto espresso, l’operazione in esame come rilevante – o meno – ai fini IVA nonché alla determinazione del pro-rata di detrazione.