Il trattamento fiscale della cessione di immobili detenuti da persone fisiche al di fuori di un’attività d’impresa è stato al centro di un risalente dibattito volto ad identificare il corretto trattamento ai fini delle imposte sui redditi, in particolare per le transazioni aventi ad oggetto immobili da demolire o collabenti. Tale dibattito ha trovato un importante punto di svolta nella recente Circolare 29.7.2020, n. 23 ove l’Agenzia delle Entrate ha preso atto del consolidato orientamento giurisprudenziale circa il trattamento applicabile a tali transazioni, che spesso hanno interessato la fase finale di operazioni di estromissione agevolata ovvero di assegnazione di beni ai soci, effettuate sulla base di leggi speciali.
Come previsto dall’articolo articolo 67 comma 1, DPR 917/1986: “sono redditi diversi se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente: […] le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, esclusi quelli acquisiti per successione e le unità immobiliari urbane che per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto o la costruzione e la cessione sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari, nonché, in ogni caso, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione”.
Nel caso quindi di cessioni di immobili[1] assume centrale importanza il termine di cinque anni dalla data di acquisto (verificata in capo al donante ove l’immobile sia stato originariamente acquistato tramite donazione), termine che rappresenta l’elemento costitutivo assoluto per qualificare l’operazione di cessione come “speculativa”[2], e quindi in generale ricompresa nell’esaustiva e chiusa categoria dei “redditi diversi”, indipendente dall’elemento soggettivo in capo alla persona fisica che realizza tale operazione.[3] Coerentemente con tale approccio, la norma qualifica in maniera assoluta come “non speculativa”, e quindi non rilevante ai fini impositivi, la cessione di immobili che, per la maggior parte del periodo intercorso tra la data d’acquisto e la cessione sono stati adibiti ad “abitazione principale” del cedente, ovvero ove il cedente ha dimorato abitualmente.[4]
Di converso, le cessioni di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento dell’operazione costituiscono operazioni rilevanti ai fini impositivi, indipendentemente dal periodo intercorso rispetto all’originale acquisto dei beni da parte del cedente.
In tale contesto, l’Agenzia delle Entrate ha storicamente adottato un approccio particolarmente restrittivo, riconducendo nel novero delle operazioni rilevanti ai fini fiscali, in quanto assimilate alle cessioni di terreni edificabili, sia le cessioni di fabbricati rientranti in piani di recupero edilizio (da cui notoriamente discende la possibilità di sviluppare in termini di incremento le cubature esistenti e quindi comprensivi, quantomeno in potenza, di una capacità edificatoria) sia le cessioni di fabbricati collabenti, ormai inidonei a qualsiasi destinazione senza fondamentali interventi di ripristino.[5]
Questa controversa interpretazione è stata basata sostanzialmente su una sorta di ricostruzione “fattuale” operata dall’Amministrazione finanziaria, volta a riqualificare gli effetti tributari dell’operazione di cessione (gli effetti civilistici risultano, infatti, chiaramente ancorati al dato oggettivo risultante dall’atto di compravendita, sul quale peraltro interviene un notaio), sulla base essenzialmente (i) della mancanza di un effettivo valore economico del fabbricato compravenduto e (ii) del fatto che il corrispettivo dell’operazione può apparire maggiormente congruo rispetto al valore di mercato delle aree fabbricabili piuttosto che di un immobile, ancor più se in stato di dissesto.
Tale interpretazione, seguita anche da parte della giurisprudenza di merito,[6] ha incontrato tuttavia una chiara limitazione nei giudizi della Corte di Cassazione, ove è stato riconosciuto in maniera inequivocabile come la cessione di un bene immobile non può mai essere qualificata come cessione di terreno edificabile, nemmeno quando l’immobile compravenduto è destinato alla successiva demolizione e ricostruzione[7]. Tale chiaro orientamento è stato raggiunto valorizzando la ratio stessa dell’art. 67, DPR n. 917/1986, volto ad “assoggettare ad imposizione la plusvalenza che […] scaturisce non in virtù di un’attività produttiva del proprietario o possessore, ma per l’avvenuta destinazione edificatoria in sede di pianificazione urbanistica dei terreni”.[8] Pertanto, ove oggetto dell’atto di compravendita sia un fabbricato (e, quindi, un “terreno già edificato”) tale natura sostanziale del bene trasferito non può essere mutata sulla base di presunzioni derivate da altri elementi (e.g. l’intenzione del venditore di trasferire il terreno sottostante al fabbricato), la cui realizzazione (come nel caso di una possibile demolizione del fabbricato compravenduto e successiva ricostruzione) è futura rispetto all’atto da cui si origina la fattispecie rilevante ai fini fiscali ed eventuale, in quanto legata alla potestà di soggetto diverso (l’acquirente) da quello interessato dall’imposizione fiscale.[9]
Seguendo l’insegnamento della Suprema Corte, quindi, il potere generale dell’Amministrazione finanziaria di riqualificare il negozio giuridico di compravendita in ragione dell’operazione economica sottesa trova un limite nell’indicazione precisa di carattere tassativo del legislatore, ove – nell’esercizio di discrezionalità politica che non trascende i limiti costituzionali di cui agli artt. 3 e 53 Costituzione – ha previsto per la cessione di edifici un regime fiscale/temporale e per la cessione di terreni edificabili un diverso regime fiscale.
In tale contesto, l’Agenzia delle Entrate, con Circolare n. 23 del 2020 ha correttamente preso atto dell’indirizzo assunto dalla giurisprudenza di legittimità, dichiarando di (i) non ritenere più opportuna la prosecuzione in cassazione dei giudizi in materia, (ii) di considerare superate le precedenti indicazioni contenute nella Risoluzione 395/E del 2008 e, più in generale, (iii) di non ritenere più ulteriormente sostenibili le proprie pretese in contrasto con i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità sopra richiamata.
Tale revirement rappresenta un importante punto di svolta, specialmente nelle contestazioni mosse in passato dall’Amministrazione finanziaria ad operazioni di cessioni di fabbricati collabenti, operazioni che spesso hanno rappresentato la fase finale di operazioni di estromissione agevolata ovvero assegnazione di beni ai soci, effettuate sulla base di specifiche disposizioni normative[10]. Queste operazioni, espressamente previste nell’ambito di leggi speciali, sono state finalizzate a ricondurre alla sfera giuridica dei soci specifici beni non necessariamente correlati all’attività d’impresa, quali appunto gli immobili non strumentali per natura. Tuttavia, gli atti di successione “disposizione” di tali immobili da parte dei soci sono stati sovente oggetto di contestazione da parte dell’Amministrazione finanziaria sulla base dei principi espressi nella Risoluzione n. 395 del 2008, ragionevolmente non più applicabili come auspicato dalla Circolare n. 23 del 2020.
[1] La definizione di “immobile” può essere desunta dal Codice Civile, che, all’articolo 812, comma 1, qualifica come beni immobili, “gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio”, integrata, al fine di operare un distinguo tra “fabbricato” e “terreno edificabile”, dalla disposizione di cui all’art. 2645-bis, comma 6, Codice Civile, a norma del quale “si intende esistente l’edificio nel quale sia stato eseguito il rustico, comprensivo delle mura perimetrali delle singole unità, e sia stata completata la copertura”; si veda al riguardo la Risoluzione 28.1.2009 n. 23 e, in materia di imposta di registro, la Circolare 12.8.2005, n. 38.
[2] Come notato da attenta dottrina, la rilevanza ai fini reddituali esclusivamente delle cessioni “speculative” di immobili costituisce una precisa scelta di sistema, dipendente dalla motivazione dell’acquisto e della detenzione, non dalla natura sopravvenuta del bene al momento della vendita, come confermato, dall’evoluzione storica della disciplina in materia di redditi diversi, regolata, prima dell’introduzione dell’attuale Testo Unico, dall’art. 76, DPR 29.9.1973, n. 597 (che ha istituito e disciplinato l’imposta sul reddito delle persone fisiche) ove si prevedeva che, tra le plusvalenze realizzate da persone fisiche al di fuori dello svolgimento di un’attività d’impresa, erano incluse, senza possibilità di prova contraria (i) la lottizzazione o l’esecuzione di opere intese a rendere edificabili terreni; (ii) l’acquisto e la vendita di beni immobili non destinati all’utilizzazione personale da parte dell’acquirente, se il periodo di tempo intercorrente tra l’acquisto e la vendita non era superiore a cinque anni (si veda G. Gavelli, M. Targhini, R. Lupi, «Riqualificazione» da fabbricato a terreno edificabile e accertamento di plusvalenza «speculativa», in Dialoghi Tributari, 6/2012, 651).
[3] Si vedano al riguardo le conclusioni della Corte di Cassazione nella Sentenza 13.7.2016, n. 14270. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 102 del 2008 ha qualificato tale requisito quale “principio fondamentale dell’ordinamento tributario”.
[4] Cfr. art. 10, comma 3-bis, DPR 22.12.1986, n. 917. Secondo le indicazioni della prassi, la dimora abituale può non coincidere con la residenza anagrafica, Circolare 1.6.2012, n. 19/E in particolare paragrafo 5.2.
[5] Risoluzione del 22.10.2008, n. 395/E
[6] Sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Ravenna 18.7.2002, n. 228 e Sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia-Romagna, 2.2.2009, n. 7
[7] Corte di Cassazione, Sentenza 21.2.2019, n. 5088. Sul tema si vedano anche Corte di Cassazione, Sentenza 21.2.2014, n. 4150 e l’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione – Rassegna della giurisprudenza di legittimità del I semestre 2019.
[8] Corte di Cassazione, Sentenza 21.2.2019, n. 5088, punto 2.1.
[9] Corte di Cassazione, Sentenza 21.2.2019, n. 5088, punto 2.1; si veda anche Corte di Cassazione, Sentenza 9.7.2014, n. 15629.
[10] Ad esempio, la legge speciale volta a permettere l’assegnazione e la cessione agevolata ai soci di beni immobili di società diversi da quelli strumentali per destinazione, recentemente prevista dall’art. 1, commi da 115 a 120, L. 28.12. 2015, n. 208 ovvero l’estromissione agevolata per i beni dell’imprenditore individuale, prevista, per i beni posseduti alla data del 31 ottobre 2019, dall’art. 1, comma 690 della L. 27.12.2019, n. 160.