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Clausola claims made e disciplina del consumo (commento della sentenza Cass. 6 maggio 2016 n. 9140)

20 Giugno 2016

Avv. Nicola Spadafora, Partner, Prof. Dario Scarpa, Of Counsel, Tonucci & Partners

Di cosa si parla in questo articolo

Sommario: 1. Premessa di metodo allo studio della clausola claims made e possibile nuova ricostruzione della fattispecie. – 2. Evoluzione e prassi della assicurazione claims made: acquisizione esegetica in termini di tipicità contrattuale. – 3. Meritevolezza della regolamentazione contrattuale e squilibrio del sinallagma. – 4. Tentativo di inquadramento della polizza con claims made all’interno della disciplina del Codice del consumo e teorie che si sono susseguite. – 5. Ricostruzione della fattispecie contrattuale in termini di non estensività della disciplina del consumo per lontananza giuridica ed economica: riflessioni conclusive.

 

1. Premessa di metodo allo studio della clausola claims made e possibile nuova ricostruzione della fattispecie.

La tipologia contrattuale della polizza assicurativa con previsione della clausola claims made si arricchisce di un nuovo elemento di ricerca esegetica con l’emissione della sentenza della Suprema Corte in commento: segnatamente, seppur a livello meramente enunciativo, si introduce una possibile diversa qualificazione giuridica della contrattazione c.d. claims made attraverso la possibile sussunzione della figura dell’assicurato nell’ampio genus del consumatore.

Ora, volendo tracciare il metodo di ricerca che si seguirà di qui a breve nell’esposizione della fattispecie, si deve, brevemente, evidenziare che la ricostruzione del contratto assicurativo con clausola a prima richiesta come contratto del consumatore parte dalla esigenza di poter giungere all’acclaramento di nullità della clausola nel caso di evidente squilibrio del sinallagma contrattuale e, per l’effetto, vuole una chiarificazione in tema di: i) dimostrazione della sussunzione del contratto assicurativo nella previsione disciplinare del Codice del consumo; ii) ricostruzione della figura dell’assicurato come possibile consumatore; iii) in particolare, inquadramento come consumatore dell’assicurato che sia un professionista altamente qualificato e con una propria struttura organizzativa; iv) comprensione della ratio che sottende il vizio di nullità del contratto di consumo al fine poter giungere all’estensione nel caso di polizza con claims made.

Va chiarito come la giurisprudenza in commento, pur introducendo un interessante spiraglio di estensione di disciplina alla fattispecie assicurativa di claims made con un correlato modello interpretativo, non si faccia carico di sviluppare, in forma esaustiva il percorso argomentativo necessario per poter sostenere una tale ricostruzione esegetica del contratto.

Ebbene, il presente studio tenderà a sviluppare il percorso enunciato nelle singole fasi di cui infra per comprendere la percorribilità dell’ipotesi e le conseguenze applicative derivanti, con particolare attenzione ai riflessi di ordine pratico che possono seguire all’accoglimento o meno della ricostruzione ermeneutica[1].

A ben riflettere, secondo uno schema che rispetti la cronologia del pensiero giurisprudenziale in tema di contratti assicurativi, il tradizionale modello di contratti assicurativi per la responsabilità professionale, denominato loss occurence, si basava sulla limitazione dell’operatività della garanzia alle sole condotte illecite poste in essere durante il periodo di vigenza della polizza, a prescindere dal momento nel quale veniva avanzata richiesta di risarcimento del danno, o di denuncia del sinistro, trovando dunque fondamento nel disposto dell’art. 1917 c.c.[2].

L’evoluzione commerciale degli ultimi anni ha determinato lo sviluppo di nuovi sistemi negoziali culminato, nel settore assicurativo, con l’elaborazione della clausole c.d. claims made, tipiche del mercato statunitense. Alla luce della limitazione temporale della richiesta di risarcimento e del verificarsi del fatto dannoso, sono individuabili vari sottotipi di clausole. Le claims made c.d. pure estendono la garanzia agli eventi dannosi verificatisi durante il periodo di efficacia della polizza e anche a quelli ad essa precedenti, a condizione che la richiesta di risarcimento venga avanzata durante il periodo di vigenza del contratto. La retrodatazione della garanzia può essere illimitata o soggetta a termine decennale o infradecennale.

Le claims made c.d. miste o spurie, al contrario, limitano l’operatività della garanzia ai soli eventi verificatisi durante il periodo di vigenza del contratto e che, contestualmente, vengano denunciati entro il medesimo lasso di tempo; entrambe le tipologie contrattuali sono inoltre compatibili con l’apposizione di una garanzia postuma, ovvero la previsione con la quale si consente al danneggiato di richiedere il risarcimento del danno all’assicurato, sia durante il periodo di vigenza del contratto, sia entro un periodo successivo che deve però essere definito contrattualmente.

Le c.d. claims made and reported form clauses prevedono che la richiesta di risarcimento del danno debba avvenire ed essere comunicata all’assicuratore entro il periodo di vigenza del contratto, o entro un determinato termine rispetto alla scadenza del contratto.

Lo schema si arricchisce ulteriormente se si considera che, spesso, la richiesta di risarcimento che perviene per la prima volta all’assicurato non sempre assume valenza di richiesta risarcitoria, in quanto quest’ultima può coincidere, a titolo esemplificativo, con qualsiasi comunicazione effettuata dall’assicurato, anche in assenza di una richiesta in tale senso, o con la comunicazione da parte delle autorità competenti dell’apertura di un’indagine a carattere penale o amministrativo[3].

2. Evoluzione e prassi della assicurazione claims made: acquisizione esegetica in termini di tipicità contrattuale.

La trattazione civilistica della materia deve partire dalla costatazione, ormai pacifica, che la clausola claims made non dà luogo ad una fattispecie atipica, ben potendo il contratto strutturato secondo il modello «a prima richiesta» rientrare nello schema causale del contratto di assicurazione.

Sul tema, di recente si è, più volte, espressa la giurisprudenza di merito, secondo cui nell’assicurazione della responsabilità civile la clausola claims made, nel determinare una deroga, consentita, all’art. 1917 comma 1 c.c., non comporta per ciò solo l’atipicità del contratto assicurativo, non implicando la stessa né una diversa natura del rischio oggetto del contratto né il venir meno del rischio stesso, in quanto oggetto della copertura assicurativa rimane il fatto colposo dedotto in polizza, che diviene rilevante soltanto nell’ipotesi in cui la richiesta di risarcimento del danno (in conseguenza di tale fatto) pervenga all’assicurato durante il tempo dell’assicurazione[4].

Si rifletta con spirito esegetico, proprio nella prospettiva di ricerca di un diverso inquadramento della figura dell’assicurato: la clausola claims made costituisce una deroga lecita all’art. 1917, comma 1, c.c., senza che ciò comporti né una diversa natura del rischio oggetto del contratto assicurativo, né il venir meno del rischio stesso.

Ne consegue che il contratto di assicurazione della responsabilità civile contenente la clausola claims made è tipico. La clausola claims made cd. pura, in virtù della quale l’assicurazione copre le richieste di risarcimento del danno pervenute all’assicurato nel periodo di efficacia della polizza, ma relativamente a tutti i rischi (dedotti in polizza) verificatisi nel decennio precedente, cioè fino al momento in cui l’assicurato può ritualmente eccepire la prescrizione del diritto del danneggiato di chiedere il risarcimento del danno, non è di per sé vessatoria, perché non è limitativa della responsabilità[5].

Ancora, la clausola claims made contenuta in un contratto di assicurazione per la responsabilità civile, con cui l’assicuratore assume la garanzia solo per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta nel corso del periodo di assicurazione, non vale a connotare il contratto come atipico, mentre deve essere accertato se tale clausola, avute riguardo alle sue concrete modalità operative, determini una limitazione di responsabilità a favore della compagnia di assicurazione. Il corollario giuridico-interpretativo che ne deriva è quello per cui deve ritenersi valida ed efficace la clausola del contratto di assicurazione per la responsabilità civile che prevede l’assunzione della garanzia per tutte le richieste di risarcimento presentate all’assicurato per la prima volta durante il periodo di efficacia dell’assicurazione, anche se precedenti la conclusione del contratto; mentre è vessatoria ed inefficace ai sensi dell’art. 1341 c.c., la limitazione della garanzia, contenuta in detta clausola, ai fatti verificatisi non oltre tre anni prima della conclusione del contratto di assicurazione[6].

L’assoggettare una polizza al regime della condizione di claims made rende, dunque, pregnante il momento in cui l’assicurato riceve la richiesta di risarcimento del danno che dovrà pervenire, ai fini dell’operatività della garanzia, entro il periodo di vigenza della polizza ovvero entro un determinato lasso temporale successivo alla cessazione del contratto (c.d. garanzia postuma).

3. Meritevolezza della regolamentazione contrattuale e squilibrio del sinallagma.

Se le claims made pure non pongono questioni problematiche con riguardo alla tutela dell’assicurato, le claims made miste incidono invece in senso sfavorevole sul regime della stessa, in quanto privano l’assicurato della possibilità di ottenere l’indennizzo, relativamente ad un fatto verificatosi nella vigenza del contratto, ove la richiesta risarcitoria sia avanzata dopo la sua scadenza[7].

Il tema è stato affrontato a più riprese sia dalla giurisprudenza di legittimità sia dalla giurisprudenza di merito, al riguardo sono stati considerati due aspetti: da un lato quello concernente la liceità, e dall’altro quello relativo al carattere vessatorio di dette clausole, aspetto del quale si vuole dare conto in questa sede.

La Corte Suprema si è pronunciata, da ultimo sul tema con la sentenza in commento, in un caso riguardante la richiesta di risarcimento del danno avanzata dal paziente danneggiato, nei confronti di una struttura sanitaria, la quale aveva stipulato una polizza sulla responsabilità professionale contenente una clausola claims made mista. Con la pronuncia, la Corte ha in primo luogo negato che la limitazione della garanzia ai soli fatti relativi a richieste risarcitorie avanzate durante il periodo di vigenza del contratto integri una decadenza convenzionale soggetta ai limiti inderogabili che nel caso di specie si assumevano violati. A detta dei giudici, la clausola incide invece sull’operatività della garanzia, risultando dipendente dalla richiesta risarcitoria del danneggiato il quale è un terzo estraneo al contratto. Tale richiesta non incide quindi su un diritto già esistente all’indennizzo, ma ne determina piuttosto la nascita.

In secondo luogo, la Corte ha escluso che il contratto di assicurazione idoneo a coprire i rischi pregressi rispetto alla conclusione del contratto sia invalido, prendendo le distanze dall’orientamento che ravvisa nella clausola claims made una mancanza di alea, essendo riferibile a un fatto che non né futuro né tantomeno incerto. Secondo la Corte Suprema, infatti, nei contratti di assicurazione contenenti clausole claims made miste l’alea non viene meno a condizione che, al momento del consenso, le parti ignorino l’esistenza del fatto, e, a maggior ragione, considerando che il rischio di aggressione al patrimonio dell’assicurato non si esaurisce nella sola condotta materiale, in quanto occorre anche la richiesta risarcitoria del danneggiato[8].

Tali clausole, più che essere valutate sotto il profilo della validità, dovrebbero invece essere sottoposte al sindacato di meritevolezza, in quanto esse introducono una sensibile limitazione dei rischi risarcibili e privano l’assicurato della garanzia in caso di mutamento dell’assicuratore, circostanze che determinano una situazione rivolta ad esclusivo vantaggio del contraente forte[9].

La Corte ha ritenuto tuttavia che le clausole claims made non introducano un limitazione della responsabilità dell’assicuratore, non configurando una violazione dell’art. 1341 c.c., in quanto esse incidono piuttosto sulla determinazione dell’oggetto del contratto: le claims made, infatti, non fanno venire meno una responsabilità che, rientrando nell’oggetto, sarebbe altrimenti insorta, ma hanno, invece, lo scopo di individuare gli obblighi specificamente assunti dalle parti: dette clausole individuano, in definitiva, i sinistri ai quali viene estesa la garanzia[10].

4. Tentativo di inquadramento della polizza con claims made all’interno della disciplina del Codice del consumo e teorie che si sono susseguite.

Acquisite le determinazioni interpretative, occorre ora farsi carico della possibile ricostruzione esegetica per cui si vuole applicare la disciplina del Codice del consumo al caso di contrattazione assicurativa con claims made. Pertanto, è da considerare l’ulteriore aspetto problematico rappresentato dalla circostanza che il periodo idoneo ad avanzare la richiesta di risarcimento termini prima che il rischio si esaurisca, considerato che il rischio di aggressione al patrimonio dell’assicurato persiste fino alla scadenza dei termini di prescrizione. Orbene, in questa ipotesi, secondo lo ius dicere della Suprema Corte, in tutti i casi in cui risulti applicabile il d.lgs. n. 206/2005, il sindacato sulla meritevolezza dovrà essere rivolto a individuare a carico del consumatore lo squilibrio di diritti e obblighi derivanti dal contratto, idoneo a integrare la nullità di protezione ai sensi dell’art. 36 del citato decreto.

Tale indagine dovrà essere condotta considerando che l’asimmetria informativa caratterizzante il contratto di assicurazione è suscettibile di determinare una condizione di disinformazione dell’assicurato con riguardo ai sistemi giuridici regolanti la responsabilità civile, e le condizioni contrattuali relative allo specifico contratto, anche qualora il contraente non predisponente sia qualificabile come professionista.

In conclusione, la Corte ha ritenuto che le clausole claims made non debbano essere ritenute vessatorie per il fatto di limitare l’operatività della garanzia ai soli eventi dannosi per i quali la richiesta sia intervenuta durante il periodo di vigenza del contratto; tuttavia, il giudice di legittimità ha sancito che le clausole possano ritenersi nulle laddove, nelle ipotesi in cui risulti applicabile la disciplina del codice del consumo, determinino un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, valutazione rimessa al giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità, ove adeguatamente motivata[11].

Alla luce dei principi elaborati dalla Corte Suprema con la sentenza in esame, la vessatorietà delle clausole claims made presupporrebbe la necessaria applicabilità della disciplina delineata dal Codice del consumo, applicabile – è bene ribadirlo – ai soli contratti conclusi tra consumatore e professionista. Con riguardo ai contratti di assicurazione sulla responsabilità professionale, si tratta di stabilire se e in che termini la normativa del consumo risulti ad essi applicabile. Il tema deve quindi essere affrontato prendendo le mosse dalla nozione di contratto di consumo e, a monte, dal concetto di consumatore.

L’applicazione di questa normativa prescinde dunque dal nomen iuris del contratto e dalla prestazione che ne costituisce l’oggetto, rilevando invece ai fini qualificatori la sola circostanza che il negozio sia stato stipulato tra consumatore e professionista. Ai sensi delle disposizioni del d. lgs. 206/2005, viene definito consumatore il soggetto-persona fisica che, anche se svolge attività imprenditoriale o professionale, stipula un contratto avente ad oggetto la cessione di beni o la prestazione di servizi, per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’esercizio di detta attività, mentre deve essere considerato professionista la persona fisica o giuridica pubblica e/o privata che utilizza il contratto nel quadro della sua attività imprenditoriale o professionale. Anche se il Codice di consumo definisce espressamente la figura di consumatore, la nozione è tutto’ora oggetto di un dibattito ad un tempo dottrinale e giurisprudenziale, improntato a delineare il confine tra le figure di consumatore e professionista[12].

Secondo una prima teoria, la c.d. teoria dello scopo dell’atto, accreditata da parte della dottrina e, di recente, anche dalla giurisprudenza di legittimità (v. Cass. 10127/2001), la nozione di consumatore ex art. 1469-bis co. 2 c.c. non ricorre tutte le volte in cui il contratto sia finalizzato al compimento di atti strumentali rispetto all’esercizio della professione. L’elemento idoneo ad escludere l’applicabilità della disciplina a tutela del consumatore è dunque rinvenibile nel collegamento funzionale tra il bene o il servizio che costituisce l’oggetto del contratto e la professione dell’assicurato. In questo senso lo scopo di consumo viene definito, in negativo, come scopo non professionale, o comunque non strumentale alla professione.

Si rifletta: tale teoria non guarda alla debolezza socio-economica dei soggetti di volta in volta parti del contratto, ma piuttosto al generale interesse alla tutela della concorrenza nell’ambito del mercato comunitario, in quanto le norme relative ai contratti di consumo verrebbero a configurarsi come aspetti della disciplina dei mercati finali, contribuendo alla rimozione degli ostacoli al funzionamento delle regole sulla concorrenza nel mercato unico[13].

In base a questo orientamento i contratti di assicurazione sulla responsabilità professionale non potrebbero essere qualificabili come contratti di consumo, poiché l’oggetto di tali contratti si pone in rapporto strumentale rispetto all’esercizio della professione, in quanto risulta ad essa connesso.

Altra parte della dottrina e alcuni giudici di merito propendono, invece, per un’interpretazione estensiva della nozione di consumatore, che fa leva sulla distinzione tra atti della professione e atti relativi alla professione, elaborata dalla dottrina francese (in questo senso Trib. Terni 862/1999, Trib. Roma 20 0ttobre 1999, Trib. Reggio Emilia 737/2012). I primi sono quelli attraverso i quali il professionista esercita in concreto la professione, e valgono ad escludere la qualifica di consumatore, i secondi sono invece atti posti in essere nel quadro della professione, che tuttavia non ne integrano l’esercizio, risultando semplicemente ad essa strumentali o comunque connessi.

Alla luce di tale impostazione sarebbero qualificabili come contratti di consumo quelli finalizzati al compimento di atti relativi alla professione, e dunque anche i contratti di assicurazione sulla responsabilità professionale, in quanto aventi ad oggetto atti che vengono posti in essere nel quadro della professione, pur non concretizzandosi in atti di esercizio della stessa, in quanto relativi pur sempre ad esigenze di vita quotidiana. Peraltro, in base ad una variante di tale teoria, sarebbero identificabili come atti relativi alla professione idonei a rendere il contratto qualificabile come contratto di consumo solo gli atti posti in essere occasionalmente nel quadro della medesima, e non anche quelli ad essa connessi compiuti con regolarità[14].

Questa impostazione è rivolta alla tutela del contraente debole, essendo finalizzata alla rimozione di fattori distorsivi del mercato, quali eventuali asimmetrie informative sussistenti tra le parti del contratto.

L’orientamento ha, dunque, il pregio di rafforzare la tutela del consumatore nell’ambito di un mercato caratterizzato dall’esigenza di standardizzazione delle modalità di produzione e distribuzione e, di riflesso, delle operazione giuridiche che costituiscono la veste delle operazioni commerciali, le quali sempre più di frequente vengono poste in essere mediante la stipula di contratti a mezzo di moduli o formulari predisposti unilateralmente. Anche se questa impostazione prende in diretta considerazione l’interesse del contraente debole, in realtà non soddisfa soltanto un interesse di carattere meramente individuale, in quanto la riduzione delle asimmetrie informative incide sulle dinamiche del mercato in senso positivo, contribuendo al suo buon funzionamento. La teoria che distingue tra atti della professione e atti relativi alla professione attua, dunque, un interesse collettivo, al pari della più restrittiva impostazione relativa allo scopo dell’atto. I due orientamenti danno dunque attuazione a interessi di rango paritario[15].

5. Ricostruzione della fattispecie contrattuale in termini di non estensività della disciplina del consumo per lontananza giuridica ed economica: riflessioni conclusive.

All’esito delle acquisizioni raggiunte in termini ricostruttivi, la dimostrazione della sussunzione del contratto assicurativo nella previsione disciplinare del Codice del consumo cade di fronte al dato della certa strumentalità della polizza contratta rispetto alla professione che l’assicurato svolge. Si riflette in senso funzionale con rigore di sistema: la contrattazione assicurativa, tesa a proteggere il patrimonio del soggetto professionista nello svolgimento della propria attività imprenditoriale o professionale, ha una evidente connessione teleologica con la stessa professione dell’assicurato, quasi, volendo utilizzare un istituto privatistico, ma in senso atecnico, a modo di collegamento funzionale. Si badi, tale collegamento non risulta inquadrabile in termini giuridici come nesso provocante un possibile vizio di nullità del contratto collegato, ma, tuttavia, è spia, in senso economico, della sussistenza dell’interesse, questo di certo giuridico, alla continuazione del pagamento del premio assicurativo e della conseguente vincolatività contrattuale solo a seguito della permanenza dell’attività professionale del soggetto.

A modo di derivazione logico-giuridica, la impossibilità di giungere ad una estensione disciplinare del codice del consumo a favore dell’assicurato è conseguenza della non giustapponibilità della figura del professionista a quella del consumatore per le medesime ragione esposte in precedenza, con, tuttavia, l’ulteriore, ma essenziale, constatazione che il consumatore è da considerarsi, sempre, come contraente debole e quindi suscettivo di subire una asimmetria di forza contrattuale nella regolamentazione della divisazione.

Ora, a ben ragionare sulla prassi della contrattazione assicurativa, sembra opportuna la considerazione per cui le divisazioni pattizie delle compagnie assicurative tendano a rispettare le esigenze dell’assicurato e, quindi, di norma, a includere convenzioni che possano attagliarsi bene al rischio professionale/imprenditoriale del soggetto; se ciò è vero, ne consegue la impossibilità di considerare come esistente una asimmetria di forza contrattuale secondo il modello della disciplina consumieristica con la correlata inestensione della norma speciale al campo assicurativo, neanche nella ipotesi della inclusione della claims made che – si riflette – non altera lo schema contrattuale e il canonico sinallagma.

La tensione normativa deve essere verso la tutela di un soggetto che si ritrova nella impossibilità di contrattare alla pari con altro contraente: il professionista, che stipula polizza assicurativa, è soggetto altamente qualificato e con una propria struttura organizzativa, di modo che viene meno la ratio che sottende il vizio di nullità del contratto di consumo al fine poter giungere all’estensione nel caso di polizza con claims made.



[1] Si legga, in tema, Magni, Gli incerti limiti di validità della clausola claims made nei contratti di assicurazione della responsabilità civile, in Corr. merito, 2013, 1162 ss.; Lanzani, La travagliata storia delle clausole claims made: le incertezze continuano, inNuova giur. civ. comm., 2010, 864 ss.

[2] Si veda Gaggero, Validità ed efficacia dell'assicurazione della responsabilità civile claims made, in Contr. impr., 2013, 401.

[3] Conf. Ceserani, I nuovi rischi di responsabilità civile: rischi lungolatenti e rischi emergenti. Tendenze ed orientamenti nelle “coverage trigger disputes”, inDir. econ. ass., 2010, 89; Tassone, Esclusione della vessatorietà di clausoleclaims made eact committed fra loro coordinate, in Resp. civ., 2012, 689; Locatelli, Clausole claims made e loss occurrence nell'assicurazione della responsabilità civile, inResp. civ., 2005, 961 ss. e ancora, Tassone, Clausole claims made, professionisti e terzo contratto, inDanno resp., 2012, 717 ss..

[4] Si legga, in giurisprudenza, Trib. Napoli, 11 febbraio 2010, in Ass., 2011, 131; Trib. Milano, 5 luglio 2005, in Fallimento, 2006, 438.

[5] Cfr., Nardo-Tassone, Clausole claims made e loss occurrence di nuovo al vaglio della giurisprudenza, in Corr. merito, 2012, 148; Tassone, Clausole claims made, professionisti e terzo contratto, inDanno resp., 2012, 717.

[6] Cfr., in materia, Tribunale Milano, 18 marzo 2010, n. 3527.

[7] Come afferma la giurisprudenza di legittimità: “La clausola claimsmade non è illegittima e la sua sola presenza non può giustificare, in quanto derogante l'art. 1917, comma 1, c.c., la valutazione di vessatorietà. Se si considera un contratto assicurativo che preveda una clausola claimsmade come atipico, non vietato dall'art. 1917, comma 1, c.c., e dalle altre norme sulla disciplina delle assicurazioni, il referente per il successivo giudizio di vessatorietà della clausola, in quanto limitativa della responsabilità, cui si debba procedere per essersi in presenza di contratto riconducibile alle norme degli artt. 1341 e 1342 c.c., non può essere espresso semplicemente rilevando che la clausola segna una deroga al modello legale tipico, perché quel modello non è imperativo. Quando la clausola claimsmade è inserita nella parte del contratto deputata in via esclusiva alla definizione della copertura assicurativa, la limitazione di responsabilità sfugge all'art. 1341, comma 2, c.c. La clausola claimsmade è, invece, vessatoria quando esplica la sua efficacia limitativa rispetto a quella di altra previsione contrattuale generale, contenuta nelle condizioni generali o nel modulo o formulario” (Cass. 10 novembre 2015, n. 22891).

[8] Conf., in materia, De Luca, L'attuazione del rapporto assicurativo, inResponsabilità e assicurazione, a cura di Cavallo Borgia, Milano, 2007, 115, nt. 37. V. Gaggero, Validità ed efficacia dell'assicurazione della responsabilità civile claims made, inContr. e impr., 2013, 401, ivi a 412.

[9] Si legga Monticelli, Considerazioni sui poteri officiosi del giudice nella riconduzione ad equità dei termini economici del contratto, in Contr. impr., 2006, 215; Zaccaria, L’adattamento dei contratti a lungo termine nell’esperienza statunitense: aspirazioni teoriche e prassi giurisprudenziale, in Contr. impr., 2006, 478; Sicchiero, Buona fede e rischio contrattuale, in Contr. impr., 2006, 919.

[10] Cfr., Bortoluzzi, La radice errante dello squilibrio contrattuale: il principio di proporzionalità, in Contr. impr., 2007, 1431; Riccio, La presupposizione è, dunque, causa di recesso dal contratto, in Contr. impr., 2008, 11; Miriello, La buona fede oltre l’autonomia contrattuale: verso un nuovo concetto di nullità? in Contr. impr., 2008, 284; Ferrante, Causa concreta ed impossibilità della prestazione nei contratti di scambio, in Contr. impr., 2009, 151.

[11] Si legga Franzoni, Buona fede ed equità tra le fonti di integrazione del contratto, in Contr. impr., 1999, 83; Riccio, Il controllo giudiziale della libertà contrattuale: l’equità correttiva, in Contr. impr., 1999, 939; Gioia, Nuove nullità relative a tutela del contraente debole, in Contr. impr., 1999, 1332; Riccio, E’, dunque, venuta meno l’intangibilità del contratto: il caso della penale manifestamente eccessiva, in Contr. impr., 1999, 95; D’Angelo, Discrezionalità del giudice e valori di riferimento nella risoluzione di controversie contrattuali, in Contr. impr., 2000, 340; Sicchiero, L’inadempimento preordinato è causa di nullità del contratto?, in Contr. impr., 2000, 613.

[12] Galgano, La categoria del contratto alle soglie del terzo millenio, in Contr. impr., 2000, 919;Lordi, Sulla ragionevolezza dei termini di pagamento nella subcontrattazione: profili comparativi, in Contr. impr., 2001, 717; Angeloni, La patrimonialità della prestazione, in Contr. impr., 2001, 894; Ricci, Errore sul valore e congruità dello scambio contrattuale, in Contr. impr., 2001, 987; Roppo, Il contratto, e le fonti del diritto, in Contr. impr., 2001, 1083; Gentili, L’interpretazione autentica del contratto, in Contr. impr., 2001, 1096.

[13] Ancora, vedi Ceserani, I nuovi rischi di responsabilità civile: rischi lungolatenti e rischi emergenti. Tendenze ed orientamenti nelle “coverage trigger disputes”, cit., 89; Tassone, Esclusione della vessatorietà di clausoleclaims made eact committed fra loro coordinate, cit., 689.

[14] Conf., Locatelli, Clausole claims made e loss occurrence nell'assicurazione della responsabilità civile, inResp. civ., 2005, 961 ss. e ancora, Tassone, Clausole claims made, professionisti e terzo contratto, inDanno resp., 2012, 717 ss..

[15] In tal senso, G. Griscuoli,Buona fede e ragionevolezza, in Riv. dir. civ., 1984, I, 714 e ss. e 750 e ss..

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