L’ordinanza in analisi origina da una controversia inerente alla cessione da parte di una società per azioni a un’altra della nuda proprietà della partecipazione azionaria di maggioranza di una società con riserva di usufrutto in capo a parte cedente. A fronte della cessione summenzionata, i soci di minoranza hanno asserito che detta operazione fosse strumentale ad eludere la clausola statutaria disciplinante il diritto di covendita in favore degli altri soci in caso di trasferimento del pacchetto azionario di maggioranza, con obbligo per l’acquirente di acquistare le relative azioni.
Chiamati a pronunciarsi sulla controversia in oggetto, i giudici di prime cure e i giudici della Corte di Appello di Milano hanno rigettato le doglianze dei soci di minoranza. I ricorrenti hanno dunque adito il giudice di legittimità onde veder accolte le proprie pretese, in particolare asserendo che i giudici di merito avessero dato un’interpretazione atomistica della clausola statutaria disciplinante il diritto di covendita e che non avessero tenuto conto della volontà di parte convenuta di aggirare l’applicazione della clausola in esame.
I giudici di legittimità, nel rigettare le pretese di parte attrice, hanno osservato che la vendita della nuda proprietà di una partecipazione azionaria di maggioranza, con riserva di usufrutto in capo a parte cedente, deve ritenersi inidonea ad azionare l’operatività della clausola statutaria disciplinante il diritto di covendita. Invero, il diritto di covendita è “configurabile solo quando l’acquirente abbia assunto la maggioranza dei diritti di voto incorporati nelle azioni. E in effetti, il diritto di voto nell’assemblea della società, per le quote che siano state date in usufrutto, compete unicamente all’usufruttuario, il quale esercita al riguardo un diritto suo proprio e perciò non è obbligato ad attenersi alle eventuali istruzioni di voto che gli abbia impartito il nudo proprietario”. Tale soluzione interpretativa si mostra coerente con il principio della libera trasferibilità dei titoli partecipativi, che impone un’interpretazione restrittiva delle clausole che, riconoscendo ai soci di minoranza il diritto di covendita e in capo al terzo acquirente un correlato obbligo di acquisto, limitano de facto la circolazione delle partecipazioni.