L’articolo approfondisce il tema del superamento del giudicato implicito in relazione alle clausole abusive nei contratti bancari e finanziari stipulati con i consumatori, a seguito delle sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 17 maggio 2022.
1. Introduzione
Il presente scritto ha l’obiettivo di approfondire, in particolare, i temi di una delle sentenze emesse il 17 maggio 2022 dalla CGUE, relativa alla causa Ibercaja Banco che aveva ad oggetto la domanda pregiudiziale di un giudice spagnolo vertente sul trasferimento di un bene pignorato illegittimamente e l’eventuale possibilità di un risarcimento danni per il consumatore esecutato.
Prima di procedere all’analisi di tale decisione è d’obbligo contestualizzare, benché succintamente, le quattro decisioni del 17 maggio 2022.
2. Premessa: decisioni della CGUE del 17 maggio 2022 e ambito di applicazione
In data 17 maggio 2022, la Corte di Giustizia europea, riunita in Grande Sezione, si è espressa su cinque domande di pronuncia pregiudiziale[1] presentate da giudici di diversi Stati membri.
Il supremo Collegio europeo si è pronunciato, in particolare, sull’interpretazione della direttiva 93/13/CEE concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, nonché sui limiti dei principi processuali nazionali quanto alla valutazione dell’eventuale carattere abusivo di clausole contrattuali[2].
Nelle sentenze in esame, la Corte sottolinea più volte l’importanza che il principio dell’autorità di cosa giudicata (giudicato implicito) riveste sia nell’ordinamento giuridico dell’Unione sia negli ordinamenti giuridici nazionali. La ratio è quella di garantire sia la certezza del diritto e dei rapporti giuridici, sia una buona amministrazione della giustizia. A tal fine è dunque importante che le decisioni giurisdizionali, divenute definitive dopo l’esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per tali ricorsi, non possano più essere rimesse in discussione[3], fatta salva l’esigenza di tutela effettiva dei diritti sostanziali.
Invero, in forza del principio dell’autonomia processuale degli Stati membri, il diritto dell’Unione non armonizza la disciplina processuale degli ordinamenti nazionali. Tuttavia, per la Corte di Lussemburgo dev’essere rispettata un’importante condizione, ossia che le discipline processuali nazionali non siano meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (c.d. principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (c.d. principio di effettività).
Anche alla luce di queste sintetiche considerazioni, si può già delineare la centralità del tema della tutela dei consumatori nelle decisioni del 17 maggio 2022. Non a caso, secondo la costante giurisprudenza della CGUE, il sistema di tutela istituito con la direttiva 93/13 si fonda sull’idea che il consumatore si trova in una posizione di inferiorità rispetto al professionista[4]. Ne consegue, da un lato, un minor potere negoziale del consumatore e, dall’altro, le c.d. “asimmetrie informative”.
Per queste ragioni, il legislatore europeo ha sentito la necessità di stabilire che le clausole abusive non vincolano i consumatori.
Quest’ultima previsione di legge, che si trova all’art. 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, è una disposizione imperativa tesa a sostituire all’equilibrio formale fra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti determinato dal contratto, un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza tra tali parti.
Va, peraltro, sottolineato che al primo comma dell’articolo 33 del Codice del Consumo – che traspone nell’ordinamento nazionale la definizione di clausola abusiva di cui all’art. 3, comma 1, della Direttiva 93/13 – è stabilito espressamente che nei contratti conclusi tra professionista e consumatore devono intendersi vessatorie le clausole che, “malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”.[5]
Al secondo comma dello stesso articolo, inoltre, è previsto un elenco di circostanze codificate (per l’esattezza 22 – lettere dalla “A” alla “V-ter”), che assumono carattere orientativo e indicativo, al ricorrere delle quali le clausole “Si presumono vessatorie fino a prova contraria…”.
3. La sentenza C-600/19 Ibercaja Banco: trasferimento del bene pignorato e risarcimento del danno
Con la sentenza della causa C-600/19 pronunciata il 17 maggio 2022, la CGUE ha introdotto precisazioni di rilievo in materia di tutela del consumatore, con particolare riguardo al tema del trasferimento del bene pignorato e del risarcimento del danno.
Prima di entrare nel merito di questa decisione è opportuno fare, seppur brevemente, talune premesse sull’orientamento della Corte di Giustizia UE in materia.
La giurisprudenza europea ha sempre sostenuto, ai sensi della Direttiva 13/93, la necessità per gli Stati membri di implementare un assetto normativo che permetta il controllo effettivo delle clausole potenzialmente abusive dei contratti stipulati tra professionisti e consumatori.
Secondo la giurisprudenza della CGUE, infatti, il sistema di tutela istituito con la direttiva 93/13 si fonda sull’idea che il consumatore si trova in una posizione di inferiorità nei confronti del professionista per quanto riguarda sia il potere negoziale, sia il livello di informazione[6]. Alla luce di una tale situazione di inferiorità, l’articolo 6, paragrafo 1, di tale direttiva prevede che le clausole abusive non vincolino i consumatori.
Si tratta di una disposizione imperativa tesa a sostituire all’equilibrio formale fra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti determinato dal contratto, un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza tra tali parti[7].
A tale riguardo, la giurisprudenza costante della Corte afferma che, in linea di principio generale, il giudice nazionale è tenuto a esaminare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale che ricada nell’ambito di applicazione della direttiva a tutela dei consumatori e, in tal modo, a ovviare allo squilibrio che esiste tra il consumatore e il professionista, laddove disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine e che l’ordinamento nazionale deve garantire una tutela effettiva del consumatore.
Orbene, il nostro sistema processuale, così come quello di quasi tutti gli Stati europei, è caratterizzato da “preclusioni” temporali e procedurali, superati i quali determinate eccezioni non possono più essere sollevate.
Tuttavia, secondo l’odierno orientamento della Corte di Giustizia queste regole non sono insuperabili quando è in gioco l’interesse del consumatore nei rapporti con un soggetto che opera professionalmente, per esempio come una banca che, anche per ragioni di praticità operativa, propone ai suoi clienti contratti standard condizioni contrattuali tendenzialmente uniformi. Per tale motivo, è stata avvertita l’esigenza di tutelare maggiormente, sul piano sostanziale, il contraente “debole”, ossia quello che non opera professionalmente nel mercato di riferimento.
Va quindi ricordato che, secondo la costante giurisprudenza della CGUE, il diritto dell’Unione non armonizza le disciplina processuale propria dell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri, in forza del principio dell’autonomia processuale di questi ultimi, a condizione, tuttavia, che esse non siano meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe assoggettate al diritto interno, il c.d. principio di equivalenza, e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione, il c.d. principio di effettività.
Fin dall’emanazione della citata direttiva 13/1993, dunque, la CGUE si è sempre orientata verso una rigida tutela sostanziale del consumatore. In proposito, tra le tante, è esemplificativa una decisione emessa dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel 2016. In tale decisione[8], la CGUE ha avuto modo di “alzare l’asticella” della tutela dei consumatori in tema di contratti di mutuo bancario contenenti clausole ritenute abusive e di anticipare il principio, poi consolidato nelle sentenze del 17 maggio 2022 in commento, per cui l’espropriazione forzata sull’immobile del debitore può essere bloccata in presenza di clausole vessatorie[9] non valutate precedentemente dall’autorità che ha emesso l’ingiunzione di pagamento, anche se divenuta definitiva.
Nel caso di specie, valeva la peculiarità del procedimento monitorio spagnolo che prevede l’emissione del decreto ingiuntivo da parte del Cancelliere (“Secretario judicial”), senza alcun controllo del giudice in assenza di opposizione del debitore o di manifesto errore nella richiesta dell’importo da ingiungere. Decreto che, sempre su provvedimento del Cancelliere, in mancanza di opposizione viene dichiarato esecutivo.
Già nel 2016, secondo la CGUE, l’eventuale presenza di clausole abusive a danno di un consumatore inserite in un contratto di finanziamento, cosiddette clausole vessatorie, possono essere rilevate d’ufficio dal giudice dell’esecuzione, qualora l’autorità investita della domanda di ingiunzione di pagamento (in quel caso il Cancelliere) non fosse stata competente a procedere a una simile valutazione e, quindi, in assenza di un precedente controllo giudiziale della validità del contratto stipulato dal consumatore, aprendo così la strada alla sentenza pronunciata in pari data nelle cause riunite C-693/19 SPV Project 1503, C-831/19 Banco di Desio e della Brianza, con la quale è stato ammesso il riesame da parte del giudice dell’esecuzione delle clausole di un contratto posto alla base di un decreto ingiuntivo addirittura passato in giudicato, se non opposto e quindi privo di motivazione specifica sulla presenza o meno di clausole abusive.
L’orientamento della Corte di Giustizia sancisce dunque un controllo effettivo, sempre crescente, delle clausole abusive di un contratto bancario quale presidio alla tutela concreta del consumatore, anche al di là del giudicato implicito formatisi in precedenza.
Con la recentissima decisione in esame, la CGUE precisa che il controllo da parte del giudice dell’esecuzione delle clausole abusive non è tuttavia senza limiti temporali o processuali.
Difatti, con la sentenza Ibercaja Banco SA si afferma che l’avvenuta vendita forzata di un immobile oggetto di esecuzione rappresenta per il giudice dell’esecuzione un limite all’accertamento di abusività del contratto che ha azionato la procedura esecutiva e alla possibilità di impedire l’esecuzione forzata.
Difatti, la CGUE che: “in una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in cui il procedimento di esecuzione ipotecaria è terminato e i diritti di proprietà relativi a tale bene sono stati trasferiti a un terzo, il giudice, che agisce d’ufficio o su domanda del consumatore, non può più procedere a un esame del carattere abusivo di clausole contrattuali che condurrebbe all’annullamento degli atti di trasferimento della proprietà e a rimettere in discussione la certezza giuridica del trasferimento di proprietà già effettuato nei confronti di un terzo.” (57)
Una tale limitazione non è un elemento nuovo nel novero delle decisioni della CGUE. Si ricorda, ad esempio, il punto 50 della sentenza del 7 dicembre 2017 in cui, nella causa C-598/15 “Banco Santander”, la Corte di Giustizia Europea ha dichiarato che gli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 non si applicano nella misura in cui la garanzia ipotecaria è stata escussa, il bene immobile è stato venduto e i diritti reali in esso contenuti sono stati trasferiti senza che il consumatore si sia avvalso dei rimedi giuridici previsti in tale contesto.
Per contestualizzare la causa in oggetto, C-600/19, Ibercaja Banco, la domanda era stata presentata nell’ambito di una controversia tra un consumatore e l’Ibercaja Banco SA relativamente a una richiesta di pagamento degli interessi dovuti all’Istituto bancario a causa dell’inadempimento di un contratto di mutuo ipotecario.
Il tribunale competente ha disposto l’esecuzione del titolo ipotecario detenuto dall’Ibercaja Banco.
Dopo l’aggiudicazione dell’immobile ipotecato all’asta, il consumatore ha fatto valere per la prima volta, con opposizione all’esecuzione, il carattere abusivo della clausola relativa agli interessi di mora e della clausola di tasso minimo.
Il giudice spagnolo, dunque, ha rinviato la questione alla Corte di giustizia Europea, interrogandosi se gli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che, in ragione dell’autorità di cosa giudicata e delle decadenze processuali in cui è incorso il consumatore, non consente al giudice di esaminare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole contrattuali nell’ambito di un procedimento esecutivo ipotecario o che non permetta al consumatore – una volta scaduto il termine di opposizione – di invocare il carattere abusivo di tali clausole in tale procedimento o in un successivo procedimento dichiarativo. Ciò anche qualora il giudice dell’esecuzione, all’inizio del procedimento di pignoramento, abbia già esaminato d’ufficio l’eventuale carattere abusivo di tali clausole, ma la decisione del giudice che ordina di procedere con l’esecuzione non contenga alcuna motivazione, anche succinta, che stabilisca l’esistenza di tale esame o che indichi che la valutazione sia stata effettuata da tale giudice.
Invero, nel caso di specie, ai sensi di legge, il contratto era stato oggetto di un esame d’ufficio al momento dell’avvio del procedimento di esecuzione ipotecaria, senza tempestiva opposizione del debitore, ma anche senza che l’esame delle clausole controverse fosse né esplicitamente menzionato, né motivato nel provvedimento del giudice.
Il Giudice spagnolo del rinvio ha quindi sottoposto alla CGUE il seguente quesito: “Tale giudice espone che, in base alle modalità processuali del procedimento di esecuzione ipotecaria previste dal diritto spagnolo, il giudice è tenuto, nella prima fase del procedimento, a esaminare d’ufficio, in applicazione dell’articolo 552 della LEC, l’eventuale carattere abusivo delle clausole contenute nel contratto di mutuo ipotecario che costituisce la base dell’esecuzione. Tale esame comporterebbe una valutazione negativa, nel senso che il giudice non fornisce, nella decisione di autorizzazione dell’esecuzione ipotecaria, alcuna motivazione esplicita per quanto riguarda le clausole diverse da quelle considerate abusive. I giudici nazionali, di conseguenza, non potrebbero rilevare il carattere abusivo delle clausole in una fase successiva del procedimento e, parimenti, il consumatore che non si opponga all’esecuzione entro il termine prescritto non potrebbe invocare il carattere abusivo delle clausole nello stesso procedimento o in un successivo giudizio di cognizione. Si porrebbe quindi la questione se siffatte modalità processuali siano conformi all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 e al principio di effettività.” (31)
In proposito, la Corte ha ritenuto che “l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che, a causa degli effetti dell’autorità di cosa giudicata e della decadenza, non consente né al giudice di esaminare d’ufficio il carattere abusivo di clausole contrattuali nell’ambito del procedimento di esecuzione ipotecaria, né al consumatore, dopo la scadenza del termine per proporre opposizione, di far valere il carattere abusivo di tali clausole nel procedimento in parola o in un successivo procedimento dichiarativo, quando dette clausole siano già state oggetto, al momento dell’avvio del procedimento di esecuzione ipotecaria, di un esame d’ufficio da parte del giudice quanto al loro eventuale carattere abusivo, ma la decisione giurisdizionale che autorizza l’esecuzione ipotecaria non comporti alcun punto della motivazione, nemmeno sommario, che dia atto della sussistenza dell’esame in parola né indichi che la valutazione effettuata dal giudice di cui trattasi in esito a tale esame non potrà più essere rimessa in discussione in assenza di opposizione nel termine citato.” (52)
Tuttavia, ha precisato la CGUE, quando i diritti di proprietà sono stati trasferiti a un terzo, il giudice dell’esecuzione non può più procedere a un esame del carattere abusivo di clausole contrattuali che condurrebbe all’annullamento degli atti di trasferimento della proprietà e a rimettere in discussione la certezza giuridica del trasferimento di proprietà già effettuato nei confronti di un terzo[10].
In una situazione del genere, però, sempre secondo la CGUE, il consumatore deve poter far valere in un successivo procedimento separato il carattere abusivo delle clausole del contratto di mutuo ipotecario per poter esercitare in modo effettivo e completo i diritti che gli derivano da tale direttiva al fine, dunque, di ottenere il risarcimento del danno economico causato dall’applicazione di tali clausole[11].
Da quanto stabilito dalla Corte in questa sentenza, deriva che:
- il credito portato da mutuo ipotecario costituente titolo esecutivo potrà essere rideterminato anche d’ufficio (ridotto ma eventualmente anche azzerato) nel corso del giudizio di esecuzione;
- oppure, esaurita l’esecuzione, il consumatore già escusso potrà agire contro il debitore al fine di ottenere la declaratoria di illegittimità di talune clausole contrattuali e il risarcimento del danno (con effetti quindi più ampi di quelli meramente restitutori).
4. I principi in materia già affermati nel nostro ordinamento
Questa decisione precisa la portata di principi già affermati dalla nostra giurisprudenza nazionale.
Innanzitutto, la Corte di Cassazione a SS.UU.[12] ha già affermato il principio per cui “il sopravvenuto accertamento dell’inesistenza di un titolo idoneo a giustificare l’esercizio dell’azione esecutiva non fa venir meno l’acquisto dell’immobile pignorato, che sia stato compiuto dal terzo nel corso della procedura espropriativa in conformità alle regole che disciplinano lo svolgimento di tale procedura […], fermo peraltro restando il diritto dell’esecutato di far proprio il ricavato della vendita e di agire per il risarcimento dell’eventuale danno nei confronti di chi, agendo senza la normale prudenza, abbia dato corso al procedimento esecutivo in difetto di un titolo idoneo”.
Principi, questi, basati sull’interpretazione dell’art. 187 bis delle disposizioni attuative del c.p.c., a mente del quale “i diritti dei terzi aggiudicatari o assegnatari restano fermi se dopo l’aggiudicazione, anche provvisoria, o dopo l’assegnazione si verifichi l’estinzione o la chiusura anticipata del processo esecutivo”.
Quanto alle modalità con cui far valere il danno, ricordiamo – a titolo esemplificativo – una recente decisione di merito, in una causa nella quale il consumatore chiedeva “la condanna – dell’Istituto di Credito – al risarcimento dei danni patrimoniali e morali danni subiti per effetto della procedura esecutiva intrapresa dalla banca in suo danno, previo accertamento della nullità delle fideiussioni apparentemente prestate dall’attore” [13].
Il Tribunale osservava al riguardo che, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, “chi intende chiedere il risarcimento del danno per l’eseguita esecuzione forzata illegittima può agire soltanto, ai sensi dell’art. 96, secondo comma, cod. proc. civ. (quale norma speciale rispetto all’art. 2043 cod. civ.), dinanzi al giudice dell’opposizione all’esecuzione, funzionalmente competente sia sull’”an” che sul “quantum”; pertanto, è inammissibile una domanda di condanna generica, con riserva di agire in un separato giudizio per il “quantum” che, per espressa previsione normativa, può essere liquidato anche d’ufficio”[14].
Orientamento interpretativo confermato anche dalla Corte di Cassazione, secondo cui “va escluso che la domanda di cui all’articolo 96 c.p.c., comma 2, possa essere proposta in un giudizio autonomo”, confermando “che essa deve essere proposta davanti al giudice dell’opposizione all’esecuzione”, ma con la precisazione “salvo che ciò sia impossibile per ragioni di diritto o di fatto (…) – dunque- la possibilità per il danneggiato di introdurre un giudizio autonomo, inteso a ottenere il risarcimento del danno da esecuzione illegittima, non è frutto di una libera scelta della parte, bensì dell’impossibilità di percorrere le strade in precedenza delineate: essa, quindi, sarà consentita solo – ad es. – nel caso in cui al momento in cui il danno si è manifestato, il giudice abbia già chiuso il giudizio che si assume incautamente iniziato”[15].
Nel nostro ordinamento, dunque, è già presente il principio per cui in caso di pignoramento imprudente e dunque illegittimo, il debitore ha diritto ad ottenere il risarcimento dei danni subiti ad opera del comportamento del creditore.
La sentenza in esame della CGUE asserisce – più esplicitamente – che è possibile far valere sempre tale diritto in un procedimento successivo e distinto (58), con cui sarà possibile avanzare domanda di accertamento di potenziali clausole abusive e chiedere il relativo risarcimento dei danni provocati dalla vendita del bene, qualora ovviamente il consumatore abbia subito un’esecuzione forzata fondata su un contratto contente clausole abusive mai valutate in precedenza da un giudice con esplicita motivazione.
Un breve cenno è d’obbligo, peraltro, sul secondo punto delle conclusioni della Corte europea.
La CGUE si riferisce espressamente al diritto di ottenere il risarcimento “delle conseguenze economiche risultanti dall’applicazione di clausole abusive” (60.2).
Si pone, quindi, il quesito se debba rispondere di tali danni il Professionista col quale sia stato stipulato il contratto originario, oppure l’eventuale cessionario del credito che abbia promosso o “coltivato” il procedimento esecutivo culminato con la vendita del bene pignorato.
5. In conclusione
Sul tema sarà interessante verificare gli sviluppi interpretativi della giurisprudenza, la quale dovrà scrivere un’importante pagina del nostro diritto interno, coerentemente con i principi, per molti aspetti decisamente innovativi, delle sentenze del 17 maggio 2022.
[1] Sentenze nella causa C-600/19 Ibercaja Banco, nelle cause riunite C-693/19 SPV Project 1503, C-831/19 Banco di Desio e della Brianza e A., e nelle cause C-725/19 Impuls Leasing România e C-869/19 Unicaja Banco.
[2] Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, comunicato stampa n. 85/22.
[3] CGUE, 6 ottobre 2009, sentenza Asturcom Telecomunicaciones, C-40/08.
[4] V., in particolare, CGUE, 26 gennaio 2017, sentenza Banco Primus, C-421/14, p. 40 e giurisprudenza ivi citata.
[5] Il 4 giugno 2015 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea una rettifica della direttiva 93/13/CEE del 5 aprile 1993 concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. Si sottopone all’attenzione, anche in considerazione del fatto che i codici attuali riportano la vecchia dizione o non fanno menzione di questa rettifica. A pagina 31, articolo 3, paragrafo 1:
anziché:
«1. Una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto.»
leggi:
«1. Una clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale si considera abusiva se, in contrasto con il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto.».
[Disponibile su: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=OJ:L:1993:095:TOC].
[6] V., in particolare, sentenza del 26 gennaio 2017, Banco Primus, C-421/14, punto 40 e giurisprudenza ivi citata.
[7] V., in particolare, sentenze del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a., C-154/15, C-307/15 e C-308/15, punti 53 e 55, e del 26 gennaio 2017, Banco Primus, C-421/14, punto 41.
[8] Corte di Giustizia Europea, causa C-49/14 del 18 febbraio 2016.
[9] V., Corte di Giustizia Europea, Cause riunite C-482/13; C-484/13, C-485/13 e C-487/13.
[10] V. punto 57 sentenza in esame e comunicato stampa n. 85/22 della CGUE, Lussemburgo, 17 maggio 2022.
[11] Sempre ai sensi degli articoli 6, paragrafo 1, e 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13, interpretati alla luce del principio di effettività.
[12] Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 28 novembre 2012, sentenza n. 21110.
[13] Tribunale di Roma, 2 gennaio 2020, sentenza n. 21.
[14] Cfr., Corte di Cassazione, 6 maggio 2010, sentenza n. 10960.
[15] Corte di Cassazione, 31 dicembre 2021, ordinanza n. 42119. Nello stesso senso si era espressa Cassazione Civile, Sezioni Unite, 21 settembre 2021, sentenza n. 25478.