1. In breve
Con l’ordinanza n. 5259/2021, depositata il 25 febbraio 2021, la Terza Sezione civile della Corte di Cassazione chiarisce che, in caso di nullità di una clausola claim made, la relativa polizza non può essere automaticamente convertita in un contratto di assicurazione c.d. loss occurence, ma è necessario procedere ad un’indagine circa gli interessi contrattuali delle parti e ristabilire l’equilibrio contrattuale mediante l’adozione di uno dei modelli claim made (“puro” o “misto”) elaborati dalla giurisprudenza.
2. Il caso – la decisione della Corte di Appello
La Corte di Appello di Roma, confermando la sentenza del Tribunale di Civitavecchia, condanna una compagnia di assicurazione, in solido con l’ente ospedaliero, al risarcimento del danno biologico patito da un paziente in conseguenza di errore medico.
La Corte di Appello dichiara inoltre la nullità della clausola claim made contenuta nella polizza stipulata dall’ente ospedaliero a copertura della responsabilità professionale escludendone (a differenza del Giudice di primo grado) la natura vessatoria e riconoscendone la funzione di delimitazione del rischio oggetto del contratto.
Più precisamente, il Giudice del secondo grado fonda la propria decisione individuando gli elementi invalidanti della polizza nel caso sottoposto al suo esame nel “difetto di causa” e nella “contrarietà a norme imperative”.
La versione della specifica clausola claim made in questione (versione ormai poco diffusa nel mercato) prevedeva infatti la copertura “per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta nel corso del periodo di efficacia della assicurazione stessa a condizione che tali richieste siano conseguenti a fatti colposi posti in essere durante il periodo di validità della garanzia e quindi non in data antecedente l’effetto della presente polizza. L’assicurazione vale, altresì, per i danni derivanti da comportamento colposo posti in essere durante il periodo di validità del contratto, denunciati alla società entro dodici mesi dalla cessazione del contratto stesso.”
La Corte di Appello identifica il difetto causale (mentre nulla argomenta in merito all’asserita “contrarietà a norme imperative”) nella oggettiva e concreta difficoltà per l’assicurato di accedere alla prestazione indennitaria, rilevando che:
- in tema di responsabilità medica, i danni (appunto detti “lungolatenti) e, quindi, le relative richieste di risarcimento, possono emergere anche a notevole distanza di tempo dal compimento della condotta professionale negligente;
- di conseguenza, la durata annuale della polizza, accompagnata alla condizione secondo cui la richiesta risarcitoria deve essere avanzata nello stesso periodo, non consente un’adeguata copertura;
- l’obbligo di denuncia della richiesta di risarcimento entro dodici mesi dalla scadenza della polizza comporta un ulteriore limite contrattuale a carico dell’assicurato;
- in tale contesto, il diritto dell’assicuratore di recedere dalla polizza “ad nutum” a seguito della prima notifica di sinistro da parte dell’assicurato, costituisce un (aggiuntivo) elemento di squilibrio tra i diritti dell’assicuratore e quelli dell’assicurato, a vantaggio del primo e a discapito del secondo.
In conclusione, un assetto negoziale così delineato riduce la possibilità per l’assicurato di ottenere l’indennizzo, rendendo il contratto assicurativo sostanzialmente privo di causa.
Dichiarata l’invalidità della clausola claim made, la Corte d’Appello “converte” automaticamente il contratto assicurativo, da claim made a loss occurence secondo lo schema dell’art. 1917, primo comma, c.c., che definisce il contratto assicurativo con riferimento ai fatti dannosi avvenuti durante la vigenza della polizza, indipendentemente dalla data in cui è avanzata la relativa richiesta di risarcimento.
3. L’ordinanza n. 5259/2021 della Corte di Cassazione
La compagnia assicurativa impugna avanti alla Corte di Cassazione la sentenza resa dalla Corte di Appello, contestandola in particolare nella parte in cui:
- riconosce la legittimazione dei danneggiati ad agire nei propri confronti;
- applica in via “automatica” al contratto assicurativo (a seguito della ritemuta invalidità dell’asseto negoziale ivi previsto con riferimento alla clausola claim made) lo schema c.d. loss occurrence ex art. 1917, c.c.
La Corte di Cassazione, pur condividendo il ragionamento posto dalla Corte di Appello a fondamento della pronuncia di nullità della clausola claim made (in quanto in linea con i principi enunciati dalle Sezioni Unite con le note sentenze n. 9140/2016 e n. 22437/2018) censura le conseguenze che da tale nullità fa derivare.
Con tali sentenze le Sezioni Unite hanno infatti negato la vessatorietà delle clausole claim made e ne hanno statuito la piena validità, dapprima, a condizione che fosse “superato” il giudizio di meritevolezza ex art. 1322, comma 2, c.c.; successivamente, riconoscendone espressamente la “tipicità” e chiarendo che il “vaglio” cui sottoporle è quello previso dal comma 1 dello stesso art. 1322, occorrendo indagare “la rispondenza della conformazione del tipo … ai limiti imposti dalla legge” attraverso una verifica casistica della causa in concreto, in termini di liceità ed adeguatezza dell’assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dalle parti.
Con l’ordinanza in commento la Corte di Cassazione ribadisce così che, in tema di clausole claim made, occorre indagare “innanzitutto la causa concreta del contratto”, che tale indagine deve investire “la fase precontrattuale … e quella dell’attuazione del rapporto” e che, di conseguenza,“la tutela invocabile dall’assicurato può esplicarsi, in termini di effettività, su diversi piani, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili di volta in volta implicati”.
Ricordato che al Giudice di merito è quindi demandato un giudizio “sulla “tenuta” di tale clausola [claim made]rispetto al complessivo programma che le parti hanno inteso concordemente attuare al fine della regolazione dei rispettivi interessi”, la Corte di Cassazione evidenzia che la Corte di Appello ha “rilevato il difetto causale … nella oggettiva e concreta difficoltà impeditiva dell’accesso dell’assicurato alla prestazione indennitaria, determinata dalla struttura specifica della clausola, avendo ritenuto che l’inserimento dell’ulteriore onere, per l’assicurato, di denunciare il sinistro entro l’anno successivo alla scadenza della polizza, in aggiunta alle altre condizioni concorrenti della verifica del sinistro e della presentazione richiesta da parte del danneggiato entro il periodo id durata del contratto, vanificassero a tal punto l’alea riconducibile alle modalità esecutive del contratto, da azzerare sostanzialmente il rischio di insorgenza della obbligazione indennitaria a carico dell’assicuratore, venendo meno la stessa causa di scambio de negozio”.
Tuttavia, la Suprema Corte ritiene che la sentenza della Corte d’Appello sia errata nella parte in cui, dichiarata la nullità della clausola, ne converte automaticamente l’operatività secondo lo schema loss occurrence, sostanzialmente ignorando l’intenzione delle parti di stipulare una polizza su base claim made e finendo col creare un “nuovo contratto”, assumendo l’esistenza di un accordo in verità del tutto inesistente.
Così facendo, la Corte d’Appello si è infatti “illegittimamente astenuta dall’integrare, come affermano le Sezioni Unite n. 22437 del 2018, lo statuto negoziale secondo il meccanismo previsto dall’art. 1419 c.c.”, mentre avrebbe dovuto “indagare tra i differenti modelli di clausola ‘claims made’ rinvenibili nell’ordinamento, ed individuare quello ritenuto maggiormente compatibile alla realizzazione di un equilibrato assetto degli interessi dei contraenti, così riadeguando le condizioni di polizza in funzione della causa concreta, tenendo conto anche di tutti gli altri elementi [del contratto]”, come ad esempio “ulteriori clausole delle CGC [Condizioni Generali di Contratto], criterio di calcolo dell’importo del premio, durata di efficacia del contratto, sinistrosità pregressa, ulteriori coperture assicurative, ecc.”.
In altre parole, la Corte d’Appello ha trascurato di “salvaguardare una causa del contratto funzionale alla volontà delle parti di concordare una prestazione assicurativa che contemplasse un rischio contraddistinto dal duplice elemento della verificazione del sinistro e della richiesta risarcitoria pervenuta dal danneggiato”.
Accogliendo il relativo motivo di ricorso, la Corte di legittimità cassa quindi la sentenza e rimette la causa avanti al Giudice del secondo grado affinché “provveda ad un nuovo giudizio in ordine alla ricostruzione dell’effettiva volontà negoziale delle parti, emendata dalla struttura della clausola ‘claim made’ ritenuta incompatibile con la ‘causa concreta’ del negozio assicurativo”.
Infine, sotto il diverso profilo censurato dalla ricorrente in merito alla carenza di legittimazione attiva dei danneggiati, la Corte di Cassazione conferma il (pacifico) principio secondo cui (salvo i casi espressamente previsti dalla legge, come in tema di RC auto) “soltanto l’assicurato è legittimato . . . ad agire nei confronti dell’assicuratore, e non anche il terzo danneggiato, nei confronti del quale l’assicuratore non è tenuto per vincolo contrattuale, né a titolo di responsabilità aquiliana”.
4. Conclusioni
L’ordinanza n. 5259/2021 si inserisce pienamente (e coerentemente) sulla scia delle richiamate pronunce delle Sezioni Unite in tema di clausole claim made, riconoscendone la validità in via generale da una parte ma fornendo un importante precedente in merito alle conseguenze per il caso in cui, tenuto conto delle specificità del caso concreto, ne sia dichiarata l’invalidità, dall’altra parte.
Richiamata la imprescindibile necessità di rispettare la volontà delle parti e l’autonomia negoziale, la Corte di Cassazione sancisce la non interscambiabilità del regime claim made con quello loss occurrence, stabilendo che, nel caso in cui una clausola “a richiesta fatta” sia dichiarata invalida, occorre “riportare ad equilibrio ciò che le parti contraenti avevano effettivamente voluto”, escludendo che ciò possa risolversi nella realizzazione “di un differente programma, fondato su uno schema negoziale (quello proprio dell’art. 1917, c.c.) che le parti avevano voluto, invece espressamente modificare”.