La controversia verte sulla compravendita di un pacchetto azionario, intervenuta tra due soci di una Spa. A seguito di insanabili contrasti, i due – unici soci (titolari rispettivamente del 50% delle azioni), nonché co-amministratori –, avevano maturato l’intenzione di concentrare tutte le azioni in capo ad uno solo, permettendo contestualmente l’exit dell’altro.
A tal fine, predisponevano un congegno contrattuale. Si obbligavano a partecipare ad un’asta, presieduta da un professionista di loro fiducia; ove la migliore offerta – da “confermare” mediante tempestivo bonifico su apposito conto –, avrebbe determinato l’acquisto delle azioni dell’avversario e la liquidazione di quest’ultimo. Il contratto, nell’approntare un meccanismo di asta privata tra soci paritetici, riflette la sostanza di una tra le possibili deadlock-breaking provisions (clausole inserite negli statuti al fine di superare efficientemente situazioni di stallo decisionale).
Per aggiudicarsi l’asta, uno dei due concorrenti smobilizzava indebitamente risorse della società contesa. In particolare, risultava che il vincitore avesse integrato la propria, decisiva offerta, versando sul conto (anche) l’intera riserva «da accantonamento utili» della società.
In tale impiego di risorse sociali, la Corte rinviene l’erogazione di un finanziamento da parte della società in favore del socio, operazione che collide con il divieto di assistenza finanziaria di cui all’art. 2358 c.c., comma 1°, c.c. Il divieto, non eliminato dalle modifiche apportate nel 2008, comporta la nullità del mutuo in questione (la società, che non è parte in causa, potrebbe dunque agire per la restituzione della somma). Da questa visuale, la sentenza in esame sfiora la discussa problematica dei cc.dd. prestiti baciati. Si rammenta che tali pratiche incontrano il divieto di cui all’art. 2358 c.c. in Trib. Venezia (ord.), 15 giugno 2016, Est. Marra, e Trib. Torino (ord.), 2 febbraio 2017, Est. Astuni (entrambe le decisioni, reperibili su questo sito, riguardano però operazioni di apertura di credito).
La Corte precisa, infine, che la nullità dell’operazione di assistenza finanziaria non si estende «automaticamente» alla compravendita del pacchetto azionario seguita all’illecito finanziamento. La compravendita è però, alla luce delle circostanze del caso concreto, da annullarsi per dolo del vincitore. Il complessivo comportamento del socio vincitore (sottrazione di denaro sociale, impiegato poi per aggiudicarsi l’asta, il tutto all’insaputa dell’altro socio), integra infatti un comportamento decettivo rilevante ai sensi dell’art. 1439, comma 1°, c.c.