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Codici di comportamento 231: i criteri del Ministero della giustizia

10 Marzo 2025
Di cosa si parla in questo articolo

Il Ministero della Giustizia ha pubblicato un documento recante i “Criteri guida per la redazione di codici di comportamento delle associazioni rappresentative di enti“, aggiornato a febbraio 2025, allo scopo di offrire alle associazioni di categoria un vademecum sulla prassi ministeriale in materia di validazione dei codici di comportamento che utilizzeranno gli enti rappresentati dall’associazione per la redazione dei propri modelli 231, nonché sul loro contenuto e la loro forma, con specifico rilievo al tema della corruzione internazionale. 

Si ricorda che l’art. 6 del D. Lgs. 231/2001 (sulla responsabilità amministrativa degli enti, anche noto come Decreto 231), stabilisce che i modelli di organizzazione e di gestione (MOGC) possono essere adottati sulla base di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti, e comunicati al Ministero della Giustizia: il Ministero può quindi formulare, entro 30 giorni, osservazioni sulla idoneità dei modelli a prevenire i reati.

Al contempo, il Ministero, sulla base dell’art. 85 del Decreto 231 ha adottato un Regolamento attuativo, che disciplina il “procedimento di controllo”, per l’approvazione dei codici di comportamento comunicati, al Ministero, dalle associazioni rappresentative degli enti: in particolare, a termini del predetto decreto ministeriale, la competenza spetta ora alla Direzione generale degli affari interni – Ufficio I – Reparto II.

Il documento con i criteri guida contiene quindi disposizioni interpretative e operative, che dovrebbero orientare le iniziative di adozione o di aggiornamento dei codici di comportamento di categoria.

Il Ministero ricorda che la Cassazione, con pronuncia 23401/2021, si è chiaramente espressa sulla funzione svolta dai codici di comportamento delle associazioni rappresentative degli enti: pur ribadendo che non costituiscono una regola organizzativa esclusiva ed esaustiva, e che il modello organizzativo deve essere quanto più singolare possibile, hanno tuttavia sottolineano come la procedura ex art. 6, comma 3 del decreto sia funzionale a fissare, attraverso le c.d. linee guida, parametri orientativi per le imprese nella costruzione del “modello organizzativo” e a temperare la discrezionalità del giudice nella valutazione dell’idoneità del modello stesso.

Pertanto, in presenza di un modello organizzativo conforme a quei codici di comportamento, il giudice sarà tenuto specificamente:

  1. motivare le ragioni per le quali possa, ciò nonostante, ravvisarsi la c.d. “colpa di organizzazione” dell’ente
  2. individuando la specifica disciplina di settore, anche di rango secondario, che ritenga violata
  3. in mancanza, le prescrizioni della migliore scienza ed esperienza dello specifico ambito produttivo interessato, dalle quali i codici di comportamento ed il modello con essi congruente si siano discostati, rendendo possibile la commissione del reato

Anche ai fini della lotta alla corruzione, nonché dei correlati atti e linee guida adottate a livello sovranazionale, anche in prospettiva comparatistica, è dunque importante che i codici di comportamento di categoria possano essere strutturati secondo le migliori prassi, così da aspirare a ottenere l’approvazione da parte del Ministero della giustizia.

La guida pubblicata:

  • nella prima parte, ripercorre le caratteristiche di fondo del D. Lgs. n. 231/2001 e approfondisce l’art. 6, c. 3 del decreto, analizzando la normativa di rango secondario (decreto del Ministero della Giustizia n. 201/2003) e la procedura di approvazione dei codici di comportamento
  • nella seconda parte, individua i criteri guida che orientano l’esame dei codici di comportamento da parte del Ministero della Giustizia, nonché fornisce indicazioni generali sulla struttura e le componenti che dovrebbero presentare tali codici, ai fini della redazione dei modelli organizzativi 231 degli enti
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