Il presente contributo analizza i due temi tra loro connessi della concessione abusiva del credito e della analisi del merito creditizio del finanziato.
Il presente contributo analizza la verifica del merito creditizio, vale a dire il necessario preventivo accertamento della sostenibilità del finanziamento, che tenga conto dell’oggettiva e attuale capacità di rimborso del cliente, anche in presenza di scenari avversi.
In tale ambito, la concessione abusiva di credito consiste nell’indebito sostegno all’impresa in irreversibile insolvenza/dissesto, incapace di restituire il finanziamento ottenuto, alimentata da una negligente o, addirittura, assente verifica del merito creditizio, in danno dei terzi in buona fede. La fattispecie può essere ricondotta alla categoria dell’illecito civile.
Tuttavia, nell’attuale contesto sociale e normativo emergenziale – in cui la maggior parte delle imprese ha fatto ricorso al credito in una condizione di prossima decozione – il finanziamento all’impresa in crisi potrebbe essere valutato lecito: sino al limite in cui esso alteri, con colpa o dolo, la correttezza delle relazioni di mercato.
[*] 1. L’obbligo di verifica del merito creditizio
Finalità
Le banche e gli intermediari finanziari hanno fisiologicamente interesse a valutare rigorosamente il merito di credito dei loro affidati, in ragione delle caratteristiche imprenditoriali dell’attività creditizia esercitata, connotata, tra l’altro, dal requisito dell’economicità.
Le note peculiarità della suddetta attività, peraltro, comportano che la suddetta valutazione, e il successivo monitoraggio in corso di rapporto, rispondano, innanzitutto, a un puntuale e circostanziato dovere imposto dall’ordinamento.
Soggetti tutelati
Segnatamente, l’analisi dell’affidabilità economico-finanziaria del cliente – essenziale al fine di individuare il profilo di rischio legato al finanziamento e, dunque, accertare la capacità del finanziato di restituire gli importi erogati con rate costanti – assolve una esogena funzione protettiva nei confronti de:
– i finanziatori, innanzitutto, in quanto la concessione di finanziamenti eccessivi rende particolarmente difficoltoso il recupero del credito erogato;
– i soggetti finanziati, per il prevedibile innalzamento del rischio di insolvenza;
– gli altri creditori del debitore sovra-finanziato il quale – privo delle risorse necessarie per ripianare il credito contratto – potrebbe altresì cessare di adempiere anche gli altri debiti;
– il mercato, in ultima analisi, in quanto l’impatto macroeconomico dell’erogazione di crediti eccessivi non si limita al singolo intermediario ma, piuttosto, al complesso degli operatori creditizi, esposti al rischio di default sistemico.
Disciplina e definizione
In tale quadro, l’obbligo di verifica del merito creditizio – previsto dalle Direttive comunitarie n. 2008/48, sul credito al consumo[1], e n. 2014/17, sui contratti di credito immobiliare[2], poi recepite nel nostro ordinamento, rispettivamente, negli artt. 124-bis[3] e 120-undicies[4] Tub – impone al finanziatore di procedere, preventivamente, all’accertamento della sostenibilità del finanziamento, calcolata avendo riguardo a: reddito, patrimonio aggredibile e trascorse vicende restitutorie; informazioni ricevute dal cliente e/o da banche-dati pertinenti.
Secondo parte della letteratura, nella suddetta valutazione, non dovrebbero rilevare le garanzie personali prestate da terzi o le coperture assicurative che garantiscono la restituzione delle somme. L’assunto, tuttavia, non convince, quanto meno sul piano fattuale, poiché sembra poco plausibile che il finanziatore – riscontrata la disponibilità finanziaria del garante o la sussistenza di un contratto assicurativo contro il rischio di credito – non ne tenga poi opportunamente conto, nella valutazione complessiva finale.
La posizione che appare preferibile è quella che considera la verifica del merito creditizio come, appunto, un obbligo. In termini, perlomeno testualmente, diversi, tuttavia, l’orientamento dell’ABF (v., ex multis, Collegio di Roma, decisione n. 289/2013): che ha parlato, più ellitticamente, di diritto dell’intermediario di effettuare una rigorosa valutazione del merito creditizio del cliente e, analogamente, della verifica sulla solvibilità come “prerogativa dell’istituto erogante”. “Prerogativa” che, anche sul piano lessicale, si riconduce alla categoria dei diritti, piuttosto che a quella dei doveri.
In letteratura, la circostanza che il legislatore abbia posto, in capo al soggetto nei confronti del quale sia presentata una richiesta di credito, (quello che è ritenuto) un obbligo di accertamento del merito creditizio, porta a sostenere, conseguentemente e specularmente, la sussistenza di un vero e proprio divieto legale di contrarre del finanziatore, ove ravvisi situazioni non giustificate dalle capacità reddituali del soggetto.
Ambito
La suddetta valutazione, peraltro, prescinde da qualsiasi sindacato sull’impiego del denaro prestato, dovendo tenere conto, esclusivamente, della oggettiva e attuale capacità restitutoria del cliente: essa non può esaurirsi, pertanto, nella mera ricognizione delle condotte pregresse del sovvenuto ma richiede, piuttosto, la formulazione di ipotesi concrete sui comportamenti e sui fattori che possono influenzarle[5]. In sintesi, una valutazione prospettica delle “entrate” e delle “uscite”, tenendo altresì conto, in un’ottica ad ampio spettro, di potenziali scenari avversi.
Nelle Istruzioni di vigilanza banche della Banca d’Italia (Circ. 285/2013, v. infra, nota ix), il problema dell’esame della meritevolezza dell’imprenditore richiedente è, al riguardo, affrontato in maniera specifica, con la puntuale indicazione dei criteri che l’ente creditizio deve diligentemente seguire nell’istruttoria della pratica di concessione dell’affidamento, come nelle fasi successive di rinnovo del rapporto o di revisione delle posizioni di rischio.
Segnatamente, tenendo conto de: l’importo del finanziamento richiesto, la sua durata, le garanzie offerte, l’ultimo bilancio approvato e la situazione patrimoniale aggiornata, nonché le ulteriori informazioni relative alle visure immobiliari, ai bollettini dei protesti, alle valutazioni dei bilanci consolidati, dei bilanci prospettici di cassa e alle certificazioni e alle metodologie di indagini finanziarie della CR.
Informazioni
Con riferimento a quanto sopra, le informazioni da acquisire devono ritenersi necessarie (tali cioè che, in loro assenza, non sia effettuabile una valutazione sulla solvibilità futura), proporzionate (da consentire, cioè, la formazione di un convincimento sufficiente sull’effettivo merito creditizio del cliente) e opportunamente verificate.
Il creditore, peraltro, dal canto suo, è chiamato a favorire la consapevole determinazione del debitore circa l’opportunità di contrarre il debito, non solo attraverso una puntuale informazione, ma altresì con l’onere di procedere ad un’auto-valutazione del proprio merito creditizio.
Vigilanza
Nell’ottica prudenziale dell’OdV, la responsabilizzazione nell’assunzione del debito (responsible borrowing) e nell’erogazione del credito (responsible lending) passa da: accrescimento professionale degli addetti; valutazione del rischio in ottica non meramente di salvaguardia della stabilità dell’intermediario ma anche a garanzia di pratiche responsabili di tutela del consumatore; presidi organizzativi volti a fornire informazione ed assistenza ai clienti.
Violazione: effetti
Il legislatore nazionale, in sede di recepimento delle suddette Direttive, non ha tuttavia previsto le conseguenze afferenti la violazione del riferito obbligo accertativo, differentemente da quanto accade in altri Paesi europei.
Al riguardo, infatti, il citato art. 120-undecies Tub, si limita a perimetrare la condotta del finanziatore, in relazione all’impossibilità di modificare o risolvere il contratto a svantaggio del cliente, laddove la valutazione sia stata eseguita in maniera scorretta. La suddetta previsione, pertanto, non colpisce direttamente il rapporto obbligatorio antecedentemente instaurato, né mira a correggere o punire il comportamento del finanziatore, ma, piuttosto, ridimensiona il potere di questi.
Tuttavia, il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e della Insolvenza – nelle disposizioni che non consentono all’incauto finanziatore di proporre opposizione e, successivamente, reclamo contro l’omologa del piano (cfr. artt. 68, co. 3, e 69, co. 2) o dell’accordo (artt. 76, co. 3, e 80, co. 4)[6], qualora i motivi riguardino la meritevolezza del debitore finanziato – configura una prima innovativa espressione di un approccio normativo differente: volto, piuttosto, a sanzionare il comportamento del finanziatore che abbia agito senza tenere conto del merito creditizio.
Un orientamento in palese discontinuità rispetto al passato che, al momento, non ha peraltro trovato ulteriori conferme e, quindi, non assume la cifra di un nuovo paradigma.
Al riguardo, ad esempio, la disposizione dell’art. 18 della Proposta del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai crediti al consumo, 2021/0171 (COD) – rubricata “obbligo di verifica del merito creditizio del consumatore” – si limita a stabilire che gli “Stati membri dispongono che … il creditore … svolga una valutazione approfondita del merito creditizio del consumatore”. Con la rilevante precisazione, peraltro, che “tale valutazione avviene” (anche) “nell’interesse del consumatore, per evitare pratiche irresponsabili in materia di concessione di prestiti e sovra-indebitamento”.
Come si vede, neanche la suddetta Proposta indica, perlomeno, il range sanzionatorio all’interno del quale i singoli Stati membri dovrebbero indirizzare la loro azione per mancato rispetto dei suddetti doveri.
2. La responsabilità dell’intermediario[7]
Natura
L’interesse leso è stato variamente individuato dalla letteratura che si occupata del tema.
A) L’opinione più diffusa è quella secondo cui la condotta della banca sarebbe contraria ai doveri di correttezza e buona fede, che regolano l’adempimento delle obbligazioni.
In particolare, si è sottolineato che la diligenza richiesta alla banca non è quella media del bonus pater familias, ma quella del buon banchiere, dotato di specifica competenza tecnica e di specifici mezzi di valutazione delle condizioni patrimoniali del soggetto con cui essa opera.
La banca deve pertanto attenersi, nell’erogazione del credito, a dei criteri che privilegino la possibilità di ottenere il rimborso delle somme concesse e, quindi, dotarsi sotto il profilo organizzativo di strumenti (mezzi e competenze tecniche) ed assetti che consentano un’adeguata istruttoria delle richieste di finanziamento: anche sotto il profilo prognostico sui potenziali rischi di insolvenza dei clienti, e delle assumption contenute nei piani industriali a eventuale supporto.
In tale ricostruzione, il finanziatore non deve solo fornire un’informazione standard, con l’utilizzo di sistemi di credit scoring[8], attualmente indirizzati dall’impiego progressivamente crescente di intelligenza artificiale[9] – con l’utilizzo di algoritmi e predictive modelling – ma segnalare altresì le conseguenze oggettive che discendono da tali informazioni, in modo da mettere il cliente in guardia da eventuali pericoli.
La legge, al riguardo, impone al finanziatore un preciso obbligo di consentire al consumatore di effettuare scelte coerenti con la propria situazione finanziaria, attuale e prospettica[10].
Pertanto, la valutazione del merito creditizio costituisce senz’altro un momento significativo nell’adempimento degli obblighi di informazione personalizzata[11]: funzionali alla compiuta, corretta e consapevole valutazione, da parte del cliente/consumatore, delle diverse offerte sul mercato e che, pertanto, in un’ultima analisi, il credito sia responsabilmente erogato e altrettanto responsabilmente assunto.
Laddove il finanziatore non ottemperi agli obblighi informativi allo stesso riferiti, si configurerebbe in capo al consumatore una pretesa risarcitoria discendente, appunto, da culpa in contrahendo.
La tesi sopra esposta trova conferma e applicazione in alcune pronunce dell’ABF e del giudice ordinario.
Già secondo Cass. n. 3386/1989, durante la verifica del merito creditizio, il finanziatore deve conformarsi all’obbligo di “salvaguardare l’altra parte nei limiti in cui ciò non comporti un apprezzabile sacrificio”.
Per cui non si può obbligare l’intermediario a valutare, nell’interesse del richiedente, la convenienza dell’affare ovvero ad ammonire il cliente sulla non sostenibilità del credito[12]. In tal modo, verrebbe impropriamente configurato un obbligo di protezione non previsto in materia dal nostro ordinamento.
Inoltre – in assenza di un’espressa previsione legislativa che affermi la responsabilità del finanziatore per concessione del credito al soggetto immeritevole, per violazione dell’obbligo di cui alla citata norma – è possibile prevedere “il risarcimento del danno per violazione dei generali principi di correttezza e buona fede, non già l’annullamento del finanziamento concesso, sanzione non applicabile al di fuori dei casi tassativi ex lege” (ABF, Decisione n. 9178/20).
Nello stesso solco interpretativo, Trib. Macerata (24 maggio 2018), che ha condannato la banca, erogatrice di un prestito “irresponsabile”, al risarcimento del danno, appunto, in favore della consumatrice danneggiata, commisurato agli interessi convenzionali e di mora previsti dal contratto.
Il giudice di merito, infatti, ritenendo che le disposizioni in oggetto mirino, prevalentemente, alla tutela diretta del consumatore quale parte contrattuale debole piuttosto che alla tutela del mercato (v. infra, sub E), ha riconosciuto in capo al consumatore un diritto soggettivo alla valutazione del merito creditizio: sicché ha ammesso il rimedio risarcitorio in relazione a un comportamento scorretto della controparte.
Nel caso del fallimento del cliente finanziato, al curatore[13] appartiene sia la legittimazione attiva[14] a richiedere al finanziatore c.d. abusivo il risarcimento per il danno diretti cagionati al soggetto finanziato, sia quella per i danni indiretti alla massa dei creditori: in entrambi i casi, il curatore non fa altro che agire a reintegrazione del patrimonio del debitore pregiudicato dall’abusiva concessione del credito.
B) Concettualmente interessanti sono le teorie che attribuiscono rilevanza alla circostanza che la banca sarebbe tenuta ai c.d. “obblighi da status”: in qualche misura ulteriori, supplementari rispetto a quelli derivanti dal contratto, ravvisabili al di fuori e prima della stipula di un contratto tra le parti.
Si è richiamata, in proposito, la categoria delle obbligazioni senza prestazione (di fonte atipica), volendo far riferimento all’obbligo sorto in forza dell’affidamento riposto nella posizione che un determinato soggetto ha nel mercato.
La richiamata interpretazione è stata sostenuta anche dalla Corte di Cassazione in due importanti pronunce degli anni novanta (Cass., n. 393/93 e Cass., n. 72310/97).
In particolare, la prima afferma che “il bonus argentarius deve … in ossequio alle regole dell’ordinamento cui appartiene cercare di impedire con varie misure … un evento dannoso … probabile altresì prevedibile. La colpa extracontrattuale, dunque, in concreto sostanziantesi nell’omissione della gamma di cautele imposte alle aziende che esercitano il credito è costituita …nella violazione dei doveri gravanti sul soggetto banca a causa del proprio status”.
In tale ricostruzione, la responsabilità della banca non avrebbe fonte nel contratto di credito non ancora concluso bensì nell’ambito della responsabilità “da contatto sociale” qualificato.
L’obbligo di verifica del merito creditizio troverebbe il proprio fondamento nel più generale principio di responsabilizzazione nell’erogazione del credito: in particolare – per usare lessico e argomentazioni giurisprudenziali – nell’opportunità di “promuovere pratiche responsabili in tutte le fasi del rapporto di credito”, in modo da non concedere prestiti “in modo irresponsabile o senza preliminare valutazione del merito creditizio”.
C) Diversa ricostruzione del fenomeno, invece, si deve a coloro che hanno sostenuto la natura contrattuale della responsabilità in questione, inquadrando la fattispecie nel mancato rispetto di un obbligo di comportamento, da parte della banca, quale soggetto qualificato.
La suddetta interpretazione suscita comunque delle perplessità, anche in considerazione della circostanza che si basa, essenzialmente, sulla generica imposizione alla banca di obblighi di protezione (non solo nei confronti del cliente ma altres’) nei confronti dei terzi (creditori dell’impresa finanziata). Soggetti che in realtà non entrano in contatto con la banca e sono, anzi, solo futuri ed eventuali protagonisti della vicenda.
D) Nella medesima prospettiva, pur con diverse conclusioni, la tesi che enfatizza la tutela dei terzi per il danno prodotto da errata informazione, implicitamente trasmessa tramite l’erogazione di credito effettuata dalla banca: la quale può aver indotto il terzo medesimo a dare seguito ai rapporti con l’impresa ovvero ad intraprenderli per la prima volta.
E) Un diverso punto di vista (che sta incontrando nuovo consenso, nel contesto emergenziale: v., più diffusamente, infra, par. 4) individua la ragione della fattispecie di responsabilità in questione nell’esigenza di tutela del mercato in generale.
F) Infine, una parte della dottrina e della giurisprudenza, soprattutto recente, ha inteso inquadrare la fattispecie in esame quale strumento di tutela della garanzia patrimoniale generica, configurando l’illecito come plurioffensivo (in tal senso, v. infra, Cass., in par. 3), con riferimento anche al danno prodotto direttamente ed immediatamente nei confronti della società finanziata (oltre che dei suoi creditori).
In questa prospettiva, appare evidente che l’impresa andrebbe incontro a un certo ed inequivocabile pregiudizio economico derivante dall’aggravarsi della propria esposizione debitoria, con conseguente azzeramento della relativa garanzia patrimoniale offerta ai terzi.
3. La concessione abusiva del credito
Definizione di concessione abusiva del credito
Nella ricostruzione che ne hanno compiuto le Sezioni Unite della Suprema Corte, nelle sentenze – definite “gemelle”, in letteratura, a sottolinearne la comune matrice – del 28 marzo 2006 (nn. 7029, 7030, 7031), la concessione abusiva del credito consiste nel comportamento del soggetto finanziatore che mantiene artificiosamente in vita un soggetto/impresa insolvente, suscitando negli altri operatori del mercato un’errata percezione della realtà finanziaria ed economica del sovvenuto.
Per utilizzare le argomentazioni di una recentissima ordinanza (Cass. 18 gennaio 2023, n. 1387), il danno è cagionato al patrimonio dell’impresa, con “la conseguente diminuita garanzia patrimoniale della stessa, ai sensi dell’art. 2740 cod. civ., scaturita dalla concessione abusiva del credito, che abbia permesso alla stessa di rimanere immeritatamente sul mercato, continuando la propria attività ed aumentando il dissesto”.
In tal modo, si inducono i terzi operatori a contrattare o a continuare a negoziare con tale soggetto, in una situazione di sostanziale aggravamento del dissesto: conoscendo il quale si sarebbero presumibilmente astenuti dal contrarre ovvero si sarebbero attivati a tutela delle proprie ragioni di credito già maturate.
L’indebito sostegno all’impresa in dissesto, alimentata da una negligente o, addirittura, assente verifica del merito creditizio, rappresenta un’ipotesi di abnorme e illegittimo utilizzo della libertà negoziale in danno dei terzi in buona fede e può essere ricondotta nell’alveo della categoria dell’illecito civile.
Pertanto, in tale ottica ricostruttiva, elemento discriminante tra un’abusiva o, al contrario, meritevole concessione del credito all’impresa insolvente sarà costituito dall’adozione, da parte dell’intermediario, di una prudente, cauta ed accurata condotta, atta ad evitare l’evento dannoso rappresentato dalla cristallizzazione dell’insolvenza debitoria.
In sostanza, sovente il (talvolta apparentemente labile) confine tra finanziamento “meritevole” e finanziamento “abusivo” si fonderà sulla ragionevolezza e fattibilità di un piano aziendale, del programma di ristrutturazione proposto dall’imprenditore[15], finanche in presenza di un palese stato di insolvenza. Tenendo, al riguardo, presente che un’abusiva concessione del credito potrà verificarsi non solo nelle ipotesi di erogazione di nuovo denaro, ma anche nei casi di mantenimento delle linee di credito accordate, a fronte del graduale aggravamento delle condizioni patrimoniali dell’impresa sovvenuta.
Quanto detto consente di meglio comprendere il fondamento dell’orientamento di legittimità che non ravvisa gli estremi della abusiva concessione del credito nella scelta della finanziaria che, sulla scorta di una valutazione prognostica ex ante, ritenga sussistenti concrete possibilità di ripianamento della crisi ovvero di permanenza dell’impresa sul mercato, sulla base di documenti, dati e notizie acquisite, da cui sia stata in buona fede desunta la volontà e la possibilità del soggetto finanziato di utilizzare il credito allo scopo del risanamento aziendale, secondo un progetto oggettivo, ragionevole e fattibile (cfr. Cass. 18610/2021 cit.).
Pluri-offensività della concessione abusiva del credito
La concessione abusiva del credito – ricondotta, anche dalla sopra citata Cass. Sez. Un., 28 marzo 2006, n. 7029), alla responsabilità da fatto illecito – comporta un pregiudizio di carattere pluri-offensivo: sia al patrimonio dell’impresa ingiustificatamente finanziata, sia alla garanzia patrimoniale offerta ai creditori concorrenti.
Nel caso di concessione abusiva del credito, a subire il pregiudizio non sono, infatti, meramente i creditori e i terzi, che sul patrimonio dell’impresa non possono più far valere le proprie pretese (o comunque possono realizzarle in misura minore), ma è lo stesso debitore (sovra-indebitato) il quale, con l’ampliamento dell’esposizione verso la banca e gli altri creditori, risulta (in taluni casi, definitivamente e in modo irreversibile) soverchiato dai debiti: gravato da un volume debitorio che inibisce qualsiasi ulteriore permanenza sul mercato, se non a costo di una ulteriore dilatazione della propria esposizione.
Quest’ultimo profilo non è stato preso in adeguata considerazione o è stato addirittura negato da un orientamento minoritario, che muove, invece, dal presupposto che individua nel finanziamento un arricchimento, in ogni caso, del beneficiario: e, pertanto, ha preferito dare rilievo principale, assorbente o addirittura esclusivo, agli interessi dei creditori, le cui ragioni di credito risultano compromesse dal deterioramento del patrimonio del debitore.
Tuttavia, la somma ricevuta con il finanziamento dovrà essere restituita, aumentata, per di più, di interessi, oneri e spese: se, pertanto, non viene utilmente impiegata, non solo non arreca in ogni caso alcun vantaggio ma, al contrario, allarga ed aggrava l’esposizione diretta e indiretta del debitore, il cui patrimonio verrà ad essere progressivamente eroso fino a diventare deficitario.
Al riguardo, da un’ulteriore prospettiva, la recentissima pronuncia della Cassazione (30 giugno 2021, n. 18610)[16] sopra citata ha ritenuto che l’erogazione del credito effettuata a colui che «si palesa come non in grado di adempiere le proprie obbligazioni» «può integrare anche l’illecito del finanziatore per il danno cagionato al patrimonio del soggetto finanziato, per essere venuto meno ai suoi doversi primari di una prudente gestione aziendale, previsti a tutele del mercato e del terzi in genere, ma idonei a proteggere anche ciascun soggetto impropriamente finanziato e a comportare la responsabilità del finanziatore, ove al patrimonio di quello sia derivato un danno».
«L’attività di concessione del credito da parte degli istituti bancari» – viene al riguardo precisato dalla S.C. – «non costituisce mero “affare privato”». Il sistema vigente «richiede che, nella formulazione delle proprie valutazioni, la banca proceda secondo lo standard di conoscenze e di capacità, alla stregua della diligenza da parte dell’operatore professionale qualificato, e ciò sin dall’obbligo ex ante di dotarsi dei metodi, delle procedure e delle competenze necessari alla verifica del merito creditizio».
Sana e prudente gestione
Secondo il riferito autorevole orientamento giurisprudenziale, il finanziatore, perciò, è «tenuto all’obbligo di rispettare i principi di c.d. sana e prudente gestione (artt. 5 e 127 Tub), verificando, in particolare, il merito creditizio del cliente in forza di informazioni adeguate».
«Dal sistema normativo nel suo complesso – si legge ancora nella pronuncia – emerge la rilevanza primaria per l’ordinamento dell’obbligo di valutare con prudenza, da parte dell’istituto bancario, la concessione del credito ai soggetti finanziati, in particolare ove in difficoltà economica». Sul finanziatore «gravano, in tal modo, obblighi di comportamento più specifici di quello comune del neminem laedere».
Nella suddetta prospettiva, la regola di sana e prudente gestione è da intendere, oggi, non più, come in origine, mera regola di governance dell’attività di impresa e della sua efficienza, ma altresì nei termini di «clausola generale»: in via diretta intesa a regolare i rapporti correnti tra privati, nonché strumento di controllo (mediato e ulteriore rispetto a quello, diretto, che è compito della Vigilanza) della correttezza ed efficienza dell’attività di impresa esercitata dal finanziatore (in tal senso, v. App. Milano, 21 giugno 2018).
Il principio di sana e prudente gestione, dunque, come pilastro, regola-cardine dell’intero ordinamento bancario, che racchiude in sé gli obiettivi di stabilità, efficienza e competitività del sistema finanziario.
Sul punto, è intervenuto l’art. 6 del Decreto del Ministero dell’Economia e delle finanze n. 117/2011, con il quale si stabilisce, in particolare, che – al fine di evitare comportamenti non prudenti e assicurare pratiche responsabili nella concessione del credito – i finanziatori assolvono l’obbligo di verificare il merito creditizio del consumatore, previsto dall’art. 124-bis Tub, applicando le procedure, le metodologie e le tecniche relative alla valutazione e al monitoraggio del merito creditizio dei clienti previste, appunto, ai fini della sana e prudente gestione dei soggetti vigilati.
La norma stabilisce, in buona sostanza, che l’obbligo di verifica del merito creditizio del consumatore sia assolto attraverso il rispetto degli adempimenti già previsti dalla normativa prudenziale: tuttavia, la sua valenza non è finalizzata – se non indirettamente e lateralmente – alla salvaguardia della stabilità dell’intermediario, in quanto misura riconducibile ad obblighi di trasparenza[17] e di assistenza alla “responsabilizzazione”, per così dire, nell’assunzione del debito[18].
Elemento soggettivo della concessione abusiva del credito
Per quanto concerne l’elemento soggettivo della concessione abusiva del credito, è stato rilevato, nella letteratura specialistica, che esso non possa essere delimitato solo ai casi di dolo, in quanto occorre riferirsi all’applicazione dei generali principi sull’illecito extracontrattuale: che estendono l’imputazione anche ai comportamenti connotati da un elevato grado di colpa.
Un ulteriore elemento che merita di essere rilevato è stata evidenziato da Cass. n. 11695 del 14 maggio del 2018. In tale decisione, infatti, si è insistito sulla necessità che il terzo che avanzi pretese risarcitorie dimostri di aver tenuto un atteggiamento incolpevole nell’erogazione del credito accordato all’impresa insolvente.
Infatti, nell’esercizio della propria attività di mercato, l’impresa è un operatore economico che ha un dovere di auto-responsabilità, adempiuto attraverso l’agire diligente ed attento rispetto alle eventuali insidie che possono celarsi nelle relazioni commerciali.
Ne deriverebbe che non sia meritevole di tutela l’incauto affidamento riposto sulla bontà dell’operazione, allorché il comportamento dell’impresa sia connotato da un agire negligente o noncurante.
4. Le forme di sostegno alle imprese in difficoltà
La condotta di abusiva concessione del credito presenta delle similitudini e degli addentellati con la diversa fattispecie dell’ “abusivo ricorso al credito”: prevista dall’art. 218 L.F., che sanziona gli amministratori, i direttori generali, i liquidatori e gli imprenditori esercenti un’attività commerciale quando ricorrono al credito, dissimulando il dissesto o lo stato di insolvenza[19].
È bene sin d’ora puntualizzare, tuttavia, che il nostro ordinamento giuridico ammette e positivizza modalità di supporto all’impresa in difficoltà finanziaria (vieppiù a seguito dell’emergenza da Covid-19), al fine di favorire il ripianamento della posizione di deficit ed evitare, conseguentemente, il fallimento, con immediata soddisfazione ai creditori. Con uno spettro molto esteso: dalla mera difficoltà dovuta a fattori contingenti a quella di natura strutturale, quando l’impresa si trovi ad operare strutturalmente in perdita, senza ormai mezzi propri a disposizione, ovvero allorché liquidità e credito bancario siano cessati[20].
I fattori sintomatici di declino sono numerosi ma possono riassumersi in alcuni indicatori fondamentali, come la perdita della capacità reddituale, lo squilibrio dei flussi finanziari e la perdita di vantaggio competitivo: ma i suddetti indici possono non manifestarsi in maniera conclamata e simultanea, in quanto solo allorché queste condizioni si radicano stabilmente può parlarsi di “stato di crisi” in senso proprio[21].
Non vi sono, pertanto, dubbi che l’intermediario creditizio, nei confronti di una impresa in momentanea difficoltà ad adempiere (insolvenza reversibile) ovvero già insolvente, debba vagliare con scrupolo sia la fase di rientro dal credito concesso, che l’erogazione di nuova finanza e i correlati piani di ristrutturazione / salvataggio.
Tuttavia, la normativa testé richiamata ha natura speciale: introduce meccanismi procedimentalizzati ed è fondata su precisi presupposti e controlli, idonei a renderli utili, per definizione, allo scopo di un progetto economico-finanziario volto al recupero della continuità aziendale, che richiede l’espletamento di un’accurata istruttoria da parte dell’ente creditizio, atta a verificare la sussistenza dei presupposti previsti ex lege.
La giurisprudenza, dal suo canto, riconosce anch’essa l’importanza attribuita, in linea di principio, dall’ordinamento al ruolo delle banche, nel sostegno alle imprese in crisi e, al riguardo, sottolinea il suddetto favor dimostrato dal legislatore per il finanziamento alle imprese: attuato mediante diversi strumenti (esenzione da bancarotta, moratoria dei crediti, finanza interinale), specie nell’ambito di procedure di regolamentazione della crisi.
Il suddetto toolkit, peraltro, è giustificato in un contesto – secondo una valutazione ex ante fondata sul merito creditizio – di possibilità di risanamento dell’impresa: non solo nel ricordato ambito procedimentalizzato e controllato degli istituti all’uopo previsti dal legislatore, ma anche al di fuori di essi, ove sia comunque percorribile il superamento della crisi, secondo un piano oggettivo, ragionevole e fattibile.
Il c.d. Decreto Liquidità
Nella situazione attuale di progressivo abbandono delle misure più restrittive imposte dalla pandemia, ma in cui non ci sono ancora certezze circa l’inizio della ripresa economica, anche in ragione del coevo scenario bellico alle porte dell’Europa, gli strumenti messi a disposizione da parte degli ultimi Esecutivi hanno avuto l’obiettivo di garantire liquidità in favore delle imprese, prevedendo il necessario coinvolgimento degli istituti di credito.
Si fa segnatamente riferimento, all’indomani dell’emergere della crisi, al cd. Decreto Liquidità (D.l. 8 aprile 2020, n. 23, convertito con Legge del 5 giugno 2020, n. 40), con il quale è stata messa a punto una serie di misure dirette a favorire l’accesso al credito alle imprese colpite dall’emergenza Covid-19, attraverso la previsione di un’estesa garanzia pubblica, a fronte di finanziamenti erogati sotto qualsiasi forma da banche e soggetti abilitati all’esercizio del credito[22].
Tuttavia, in questo quadro normativo emergenziale[23], non può sottacersi che l’indirizzo legislativo si pone su un piano di problematica compatibilità con il richiamato orientamento giurisprudenziale che, nel nostro ordinamento, sanziona con la ricordata responsabilità civile gli istituti finanziari, nel caso di concessione abusiva del credito.
Con il mero accoglimento della prospettazione plurioffensiva, infatti, si correrebbe attualmente il rischio di individuare profili di responsabilità anche in occasione dell’utilizzo delle misure emergenziali predisposte dal legislatore, tutte le volte in cui, in generale, la banca si trovi a contrarre rapporti con soggetti a cui la valutazione del merito creditizio avrebbe dato riscontro negativo.
Al fine di evitare tali negative conseguenze per gli istituti di credito – che sono stati recentemente invitati a giocare un ruolo proattivo e responsabilmente trainante della ripresa economica, contribuendo così alla stabilità del mercato e, amplius, del sistema – probabilmente un discrimen adeguato andrebbe forse ricercato nell’elemento finalistico della erogazione di credito.
Invero, nell’attuale contesto normativo e sociale, in cui la maggior parte delle imprese ha fatto ricorso al credito in una condizione di prossima decozione, eventuali ipotesi di responsabilità per abusiva concessione di credito dovrebbero essere circoscritte a quei casi in cui vi sia stato, attraverso la condotta della banca, ovvero in cooperazione con gli amministratori, il perseguimento di un diverso interesse non meritevole di tutela: quali, ad esempio, la sottrazione dei beni ai creditori o il consolidamento di una posizione di vantaggio rispetto a questi ultimi.
In tale prospettiva, il finanziamento all’impresa in crisi dovrebbe considerarsi non abusivo quanto, piuttosto, lecito, sino al limite in cui tale alteri – con colpa o dolo – la correttezza delle relazioni di mercato. Come si vede, la tesi sub E, del par. 2, potrebbe trovare nuova linfa.
Ciò posto, spetterà al giudice di merito delimitare, con maggiore precisione giuridica, lo spazio ammissibile per un finanziamento lecito, laddove – pur se concesso in presenza di una situazione di difficoltà economico-finanziaria dell’impresa – sussistevano ragionevoli prospettive di risanamento[24].
L’accertamento – ça va sans dire – dovrà essere scrupoloso e scrutinare tutte le circostanze del caso concreto, soprattutto ai fini di valutare se il finanziatore abbia agito con imprudenza, negligenza, violazione di leggi, regolamenti, etc. o abbia. viceversa, utilizzato la dovuta cautela, al fine di prevenire l’evento.
5. Profili di eventuale rilevanza penale della abusiva concessione di credito: cenni
Il nostro ordinamento non prevede, sul piano penale, una rilevanza dell’erogazione consapevole del credito abusivo, in sé considerata.
Diverse, al riguardo, infatti, sono le fattispecie in cui il credito sia concesso per effetto di azioni mendaci o fraudolente del beneficiario.
Si pensi all’ipotesi di mendacio bancario – cui corrisponde, lato banca, il falso interno (art. 137 Tub) – o a quella speciale, già ricordata, prevista dall’art. 218 LF (ricorso abusivo al credito), o alla truffa (art. 640 c.p.) o, ancora, alle ipotesi di corruzione tra privati (art. 2635 c.c.): tutte fattispecie nelle quali il soggetto erogante è vittima della condotta altrui.
Parimenti, non sembra che l’erogazione abusiva del credito possa assumere i connotati delle condotte distrattive previste, rispettivamente, dall’art. 216 LF (bancarotta semplice) o dall’art. 217 LF (bancarotta fraudolenta).
La concessione del credito in sé, difatti, non può costituire un fatto distrattivo, giacché si tratta di risorse che entrano nella disponibilità dell’impresa. A monte, pertanto, l’erogazione del credito non può essere qualificata come penalmente abusiva, illecita, per il solo fatto di essere avvenuta: il fatto distrattivo / dissipativo attiene, piuttosto, ad un momento successivo.
I reati di bancarotta, inoltre, sono propri del fallito.
Combinazioni della abusiva concessione di credito con altre fattispecie di reato
1) Si potrebbe, allora, astrattamente ipotizzare un concorso in bancarotta di soggetti terzi, ex art. 110 c.p., a condizione che questi siano consapevoli della qualifica soggettiva del reo principale e della condotta criminosa.
Occorrerebbe, cioè, che l’intermediario abbia la piena contezza che l’intento dell’imprenditore è quello di sottrarre le risorse aziendali (nel caso di specie, del finanziamento) e che anch’egli agisca con la volontà che ciò accada (o, quanto meno, accetti il rischio dell’evento criminoso).
Verifica soggettiva, doppia, di difficile e complessa effettuazione, come di tutta evidenza.
2) Altra ipotesi è quella di un eventuale concorso nella fattispecie, dell’articolo 217 comma 1, n. 4) LF, che punisce l’imprenditore che “ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa”: procrastinando così l’artificiosa vitalità di un’impresa ormai irreversibilmente in crisi, in misura che i creditori concedono o novellano fiducia all’operatore economico immeritevole.
In questo caso, l’eventuale responsabilità, in concorso, della banca, richiede la prova, tutt’altro che agevole, della negligenza di chi ha concesso, ingiustificatamente, il credito.
Il reato, peraltro, è da escludersi ex lege (art. 217 bis LF), allorché il finanziamento sia erogato in un contesto di concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione dei debiti o, comunque, in una delle procedure alternative previste dal citato art. 217 LF.
3) Un’altra fattispecie astrattamente richiamabile è quella del delitto fallimentare genericamente previsto dall’art. 223 comma 2, n. 2, LF, che punisce gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori di società dichiarate fallite che hanno cagionato il fallimento con “operazioni dolose”.
Secondo la giurisprudenza (in tal senso: Cass. 6 marzo 2019, n. 9843), le suddette operazioni si sostanziano in abusi di gestione o di infedeltà ai doveri imposti dalla legge all’organo amministrativo nell’esercizio della carica ricoperta ovvero in atti fisiologicamente dannosi alla struttura economico-finanziaria dell’impresa. Il pregiudizio patrimoniale discenderebbe non già direttamente dall’azione distrattiva/dissipativa ovvero di occultamento/distruzione del soggetto attivo, quanto piuttosto da una pluralità di iniziative societarie coordinate mirate all’esito di cui alla richiamata norma.
Nella nostra materia, interessante l’affermazione di Cass., 5 dicembre 2014, n. 15613, secondo la quale può costituire “operazione dolosa” rilevante ai fini della fattispecie di cui ci occupiamo anche la proroga di un finanziamento a condizioni onerose, in luogo della restituzione della somma maturata.
Al riguardo, tuttavia, si chiarisce che “affinché possa addebitarsene la responsabilità anche al creditore, non è sufficiente la mera decisione di concedere la proroga ovvero di pretendere condizioni più gravose piuttosto che richiedere l’immediato rientro ovvero il fallimento – e ciò anche quando questi è consapevole dello stato di dissesto del debitore – ma è, invece, necessario che il comportamento del creditore presenti, in forma diversa ed ulteriore, i caratteri del contributo causale alla consumazione del reato: come quando vi sia una istigazione, nella consapevolezza dell’impatto della proroga sull’equilibrio economico dell’impresa, a porre in essere l’operazione ritenuta illecita .”
Il nodo cruciale, successivamente evidenziato nella citata sentenza, è il seguente: “concedere la proroga di un prestito, piuttosto che pretenderne l’immediato rientro o, in ipotesi, richiedere il fallimento del debitore inadempiente è scelta che, anche qualora il creditore sia consapevole dello stato di dissesto di quest’ultimo, non costituisce di per sé condotta apprezzabile a titolo di concorso nell’operazione dolosa eventualmente imputabile al debitore medesimo.”
Un esempio potrebbe allora rinvenirsi nell’ipotesi – anch’essa esaminata in giurisprudenza (Cass., 7 maggio 2010 n. 17690) – in cui il credito è concesso per consentire al beneficiario di compiere operazioni certamente illecite come, ad esempio, la costituzione di una riserva allo scopo di eludere i controlli dell’OdV.
Con riferimento alla fattispecie in esame, in conclusione e più in generale, quindi, l’abusività del credito acquista rilevanza penale se chi ha erogato il prestito sia stato anche l’istigatore o il beneficiario di operazioni dolose atte a incidere negativamente sul patrimonio dell’impresa, allorché – sotto il profilo soggettivo – risulti consapevole del rischio che le predette operazioni determinano per le ragioni dei creditori della società.
[*] Le opinioni espresse non impegnano l’Istituto di appartenenza
[1] Cfr., in particolare, l’art. 8 (Obbligo di verifica del merito creditizio del consumatore), in base al quale:
- Gli Stati membri provvedono affinché, prima della conclusione del contratto di credito, il creditore valuti il merito creditizio del consumatore sulla base di informazioni adeguate, se del caso fornite dal consumatore stesso e, ove necessario, ottenute consultando la banca dati pertinente. Gli Stati membri la cui normativa prevede già una valutazione del merito creditizio del consumatore consultando una banca dati pertinente possono mantenere tale obbligo.
- Se le parti convengono di modificare l’importo totale del credito dopo la conclusione del contratto di credito, gli Stati membri provvedono affinché il creditore aggiorni le informazioni finanziarie di cui dispone riguardo al consumatore e valuti il merito creditizio del medesimo prima di procedere ad un aumento significativo dell’importo totale del credito.
[2] Cfr, in particolare, l’art. 18 (Obbligo di verifica del merito creditizio del consumatore), secondo il quale:
- Gli Stati membri provvedono affinché, prima della conclusione di un contratto di credito, il creditore svolga una valutazione approfondita del merito creditizio del consumatore. Tale valutazione tiene adeguatamente conto dei fattori pertinenti ai fini della verifica delle prospettive di adempimento da parte del consumatore degli obblighi stabiliti dal contratto di credito.
- La valutazione del merito creditizio non si basa prevalentemente sul fatto che il valore del bene immobile residenziale sia superiore all’importo del credito né sull’assunto che il bene immobile residenziale si apprezzerà, a meno che il fine del contratto di credito non sia costruire o ristrutturare il bene immobile residenziale.
e l’art. 20 (Informativa e verifica delle informazioni sul consumatore), che prevede:
- La valutazione del merito creditizio di cui all’articolo 18 è effettuata sulla base delle informazioni sul reddito e le spese del consumatore e altre informazioni sulla situazione economica e finanziaria necessarie, sufficienti e proporzionate. Le informazioni sono ottenute dal creditore da pertinenti fonti interne o esterne, incluso il consumatore, e comprendono le informazioni fornite all’intermediario del credito o al rappresentante designato nel corso della richiesta di credito. Le informazioni sono opportunamente verificate, anche attingendo, se necessario, a documentazione indipendente verificabile.
- Gli Stati membri assicurano che gli intermediari del credito o i rappresentanti designati abbiano cura di fornire le necessarie informazioni ottenute dal consumatore al pertinente creditore per consentire l’esecuzione della valutazione del merito creditizio.
[3] Art. 124-bis (Verifica del merito creditizio):
- Prima della conclusione del contratto di credito, il finanziatore valuta il merito creditizio del consumatore sulla base di informazioni adeguate, se del caso fornite dal consumatore stesso e, ove necessario, ottenute consultando una banca dati pertinente.
- Se le parti convengono di modificare l’importo totale del credito dopo la conclusione del contratto di credito, il finanziatore aggiorna le informazioni finanziarie di cui dispone riguardo al consumatore e valuta il merito creditizio del medesimo prima di procedere ad un aumento significativo dell’importo totale del credito.
[4] Art. 120-undecies (Verifica del merito creditizio):
- Prima della conclusione del contratto di credito, il finanziatore svolge una valutazione approfondita del merito creditizio del consumatore, tenendo conto dei fattori pertinenti per verificare le prospettive di adempimento da parte del consumatore degli obblighi stabiliti dal contratto di credito. La valutazione del merito creditizio è effettuata sulla base delle informazioni sulla situazione economica e finanziaria del consumatore necessarie, sufficienti e proporzionate e opportunamente verificate.
- Le informazioni di cui al comma 1 comprendono quelle fornite dal consumatore anche mediante l’intermediario del credito; il finanziatore può chiedere chiarimenti al consumatore sulle informazioni ricevute, se necessario per consentire la valutazione del merito creditizio.
- Il finanziatore non risolve il contratto di credito concluso con il consumatore né vi apporta modifiche svantaggiose per il consumatore, ai sensi dell’articolo 118, in ragione del fatto che la valutazione del merito creditizio è stata condotta scorrettamente o che le informazioni fornite dal consumatore prima della conclusione del contratto di credito ai sensi del comma 1 erano incomplete, salvo che il consumatore abbia intenzionalmente omesso di fornire tali informazioni o abbia fornito informazioni false.
- Prima di procedere a un aumento significativo dell’importo totale del credito dopo la conclusione del contratto di credito, il finanziatore svolge una nuova valutazione del merito creditizio del consumatore sulla base di informazioni aggiornate, a meno che il credito supplementare fosse previsto e incluso nella valutazione del merito creditizio originaria.
[5] In tal senso, R. Grasso, “Commento sub art. 120-undecies”, in F. Capriglione (diretto da), Commentario al Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, III, Milano, Wolters Kluwer, 2018, 4^ ed., p. 2026.
[6] Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (Decreto legislativo 12 gennaio 2019, n°14, come modificato dal D.l. 17 giugno 2022, n°8):
art. 68
- L’OCC (organismo di composizione delle crisi da sovraindebitamento) nella sua relazione, deve indicare anche se il soggetto finanziatore, ai fini della concessione del finanziamento, abbia tenuto conto del merito creditizio del debitore, valutato in relazione al suo reddito disponibile, dedotto l’importo necessario a mantenere un dignitoso tenore di vita.
art. 69
- Il creditore che ha colpevolmente determinato la situazione di indebitamento o il suo aggravamento o che ha violato i principi di cui all’articolo 124-bis del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, non può presentare opposizione o reclamo in sede di omologa per contestare la convenienza della proposta.
art. 76
- L’OCC, nella sua relazione, deve indicare anche se il soggetto finanziatore, ai fini della concessione del finanziamento, abbia tenuto conto del merito creditizio del debitore.
Art. 80
- Il creditore, anche dissenziente, che ha colpevolmente determinato la situazione di indebitamento o il suo aggravamento, non può presentare opposizione in sede di omologa per contestare la convenienza della proposta.
[7] Un’ampia disamina su il ruolo dell’intermediario e su quello dell’OdV è contenuta nella relazione di P. D’Innocenzo, al convegno ODEC “Responsabilità penali nel finanziamento di impresa” (14 dicembre 2022).
[8] Cfr. A. Sironi, Rischio e valore nelle banche, Risk Management e Capital Allocation, Milano, Egea, 2005, p. 291.
[9] In alternativa all’analisi discriminante lineare e ai modelli di regressione. Amplius, sul tema, G. Gobbi, “L’utilizzo delle reti neurali per la misurazione del rischio di credito”, in A. Sironi, M. Marsella (a cura di), La misurazione e la gestione del rischio di credito. Modelli strumenti e politiche, “Banche e mercati”, 6, Roma, Bancaria, 1998, 85 e ss.
Più recentemente, AA.VV., Intelligenza artificiale nel credit scoring: analisi di alcune esperienze nel sistema finanziario italiano, “Questioni di Economia e Finanza (Occasional papers)”, n. 721, 12 ottobre 2022”, Roma, Banca d’Italia, 2022, p. 14 e ss.
[10] Al riguardo, v. Circ. BI 285/2013. Disposizioni di vigilanza per le banche, Parte I, Tit. IV, Cap. 3, all. A,
par. 2
Nella fase istruttoria, le banche acquisiscono tutta la documentazione necessaria per effettuare un’adeguata valutazione del merito di credito del prenditore, sotto il profilo patrimoniale e reddituale, e una corretta remunerazione del rischio assunto. La documentazione deve consentire di valutare la coerenza tra importo, forma tecnica e progetto finanziato; essa deve inoltre permettere l’individuazione delle caratteristiche e della qualità del prenditore, anche alla luce del complesso delle relazioni intrattenute. Le procedure di sfruttamento delle informazioni devono fornire indicazioni circostanziate sul livello di affidabilità del cliente (ad es., attraverso sistemi di credit scoring e/o di rating).
Nel caso di affidamenti ad imprese, sono acquisiti i bilanci (individuali e, se disponibili, consolidati), le altre informazioni desumibili dalla Centrale dei Bilanci e ogni altra informazione, significativa e rilevante, per valutare la situazione aziendale attuale e prospettica dell’impresa, anche di carattere qualitativo (validità del progetto imprenditoriale, assetti proprietari, esame della situazione del settore economico di appartenenza, situazione dei mercati di sbocco e di fornitura, ecc.). Nel caso in cui l’affidato faccia parte di un gruppo, la valutazione tiene conto anche della situazione e delle prospettive del gruppo nel suo complesso.
Al fine di conoscere la valutazione degli affidati da parte del sistema bancario le banche utilizzano, anche nella successiva fase di controllo andamentale e monitoraggio delle esposizioni, le informazioni fornite dalla Centrale dei Rischi. Le deleghe in materia di erogazione del credito devono risultare da apposita delibera dell’organo con funzione di supervisione strategica e devono essere commisurate alle caratteristiche dimensionali della banca. Nel caso di fissazione di limiti “a cascata” (quando, cioè, il delegato delega a sua volta entro i limiti a lui attribuiti), la griglia dei limiti risultanti deve essere documentata. Il soggetto delegante deve inoltre essere periodicamente informato sull’esercizio delle deleghe, al fine di poter effettuare le necessarie verifiche.
par. 2.1
Valutazione del merito di credito
Le valutazioni del merito di credito rilasciate dalle ECAI sono utilizzate ai fini dell’applicazione di coefficienti di ponderazione diversificati per la determinazione dei requisiti patrimoniali a fronte del rischio di credito nel metodo standardizzato conformemente a quanto previsto dal CRR (Cfr. Parte tre, Titolo II, Capo 2).
Tenuto conto dell’obbligo di non fare eccessivo affidamento sui rating del credito, l’utilizzo dei rating esterni non esaurisce il processo di valutazione del merito di credito che le banche devono svolgere nei confronti della clientela; esso rappresenta soltanto uno degli elementi che possono contribuire alla definizione del quadro informativo sulla qualità creditizia del cliente.
Le banche si dotano, pertanto, di metodologie interne che consentano una valutazione del rischio di credito derivante da esposizioni nei confronti dei prenditori, titoli, posizioni verso le cartolarizzazioni nonché del rischio di credito a livello di portafoglio.
La valutazione del merito di credito svolta dalla banca in base alle risultanze dell’attività istruttoria e delle sue metodologie interne può, pertanto, discostarsi da quelle effettuate dalle ECAI.
Le banche, oltre ad analizzare la qualità dei singoli prenditori nell’ambito del processo di gestione del rischio, sono tenute a effettuare, con periodicità almeno annuale, una specifica valutazione della complessiva coerenza dei rating delle ECAI con le valutazioni elaborate in autonomia. I risultati dell’esame sono formalizzati in un documento approvato dall’organo con funzione di gestione e portato a conoscenza dell’organo con funzione di supervisione strategica e dell’organo con funzione di controllo. Ove dall’esame emergano frequenti e significativi disallineamenti fra valutazioni interne ed esterne, copia della citata relazione è trasmessa alla Banca centrale europea o alla Banca d’Italia.
Per gli intermediari finanziari, invece, cfr. Circolare BI n. 288/2015. Disposizioni di vigilanza per gli intermediari finanziari, Tit. III, Cap. I, Sez. VII, par. 2.4
Valutazione del merito di credito
Le disposizioni in materia di determinazione dei requisiti patrimoniali a fronte del rischio di credito nel metodo standardizzato prevedono l’applicazione di coefficienti di ponderazione diversificati in funzione delle valutazioni del merito creditizio rilasciate dalle ECAI.
Il riconoscimento di un’ECAI non implica una valutazione di merito sulla validità dei giudizi attribuiti o di supporto alle metodologie utilizzate, di cui le ECAI restano le uniche responsabili; esso è volto a consentire agli intermediari l’utilizzo di rating esterni ai fini del calcolo dei requisiti patrimoniali.
L’utilizzo di rating esterni non esaurisce il processo di valutazione del merito di credito che gli intermediari finanziari devono svolgere nei confronti della clientela; essa rappresenta soltanto uno degli elementi che possono contribuire alla definizione del quadro informativo sulla qualità creditizia del cliente.
Gli intermediari si dotano, pertanto, di metodologie interne che consentano una valutazione del rischio di credito derivante da esposizioni nei confronti dei singoli prenditori.
[11] L’indispensabile integrazione con informazioni “individuali e personali” è enfatizzata da R. De Chiara, “Commento sub art. 124 bis”, in F. Capriglione (diretto da), op. cit. p, 2162.
[12] Peraltro, il cliente che ritenga violata la disposizione di cui all’art. 124-bis Tub, deve fornire “elementi che dimostrino tale lapalissiana violazione del dovere di buona fede e il nesso causale tra l’erogazione di un finanziamento asseritamente irresponsabile ed i danni patiti” (ABF, Collegio di Napoli, decisione n. 1067/18).
[13] Per la legittimazione della curatela, v. diffusamente, R. Bocchini, “La concessione abusiva del credito nell’epoca post pandemica: modello predittivo o fallibilità umana?”, in questa Rivista, aprile/giugno 2022, p. 249, il quale evidenzia che quella del curatore è “un’azione a vantaggio di tutti i creditori indistintamente, poiché recuperatoria in favore dell’intero ceto creditorio con riferimento a quanto sia andato perduto, a causa dell’indebito finanziamento, del patrimonio sociale, visto che il fallimento persegue l’obiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori nel rispetto della par condicio creditorum.”
In giurisprudenza, v., da ultimo, Cass. n. 1387/23 (ord.), cit., che – nel solco dell’indirizzo della propria giurisprudenza, anche recente (v. Cass. 18610/21 (ord.), cit., alla quale, espressamente, “intende dare continuità” – nel confermare la legittimazione attiva del curatore fallimentare, ne individua il presupposto nella “diminuzione del patrimonio sociale derivante dalla prosecuzione dell’attività d’impresa con aggravamento dello stato di dissesto”.
Il danno fatto valere afferisce alla massa dei creditori, “quale posizione indistinta e riflessa del pregiudizio al patrimonio sociale”, in quanto il deterioramento di quest’ultimo determina un pregiudizio a tutti i creditori, che vedono compromessa “la garanzia patrimoniale generica e ridotta matematicamente la chance di soddisfare i loro crediti”.
[14] Ritiene M. Irrera, “Il dilemma del buon banchiere nelle procedure di liquidazione d’impresa”, in MF, 11 novembre 2022, p. 18, che l’autonoma legittimazione ad agire del curatore “può aprire un ampio e articolato fronte di iniziative giudiziarie e…individua una preziosa contromisura idonea a paralizzare l’eventuale promozione a tappeto di cause civili”.
[15] Secondo M. Irrera, op. cit., loc. cit, la banca può evitare di incorrere in responsabilità, se in grado di “provare ex post di aver valutato ex ante l’adeguatezza del piano industriale predisposto dall’impresa finanziata”.
[16] Per un’approfondita disamina della portata innovativa della suddetta pronuncia, v. A.A. Dolmetta, “Merito del credito e concessione abusiva. Dopo Cass. n.18610/2021”, in Dialoghi di Diritto dell’Economia, ottobre 2021.
[17] V. Provvedimento Governatore BI, 29 luglio 2009 e successive modifiche in materia di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari, sez. VI bis, par. 5.3.
Valutazione del merito creditizio del consumatore
Ai sensi dell’articolo 120-undecies del T.U. il finanziatore, prima della conclusione del contratto di credito o di essere vincolato da un’offerta, svolge una valutazione approfondita del merito creditizio del consumatore, tenendo conto dei fattori pertinenti per verificare le prospettive di adempimento da parte del consumatore degli obblighi stabiliti dal contratto di credito. La valutazione del merito creditizio è effettuata sulla base delle informazioni sulla situazione economica e finanziaria del consumatore necessarie, sufficienti, proporzionate e opportunamente verificate.
Le informazioni su cui si basa la valutazione del merito di credito comprendono quelle fornite dal consumatore, anche mediante l’intermediario del credito; il finanziatore può chiedere chiarimenti al consumatore sulle informazioni ricevute, se necessario per consentire la valutazione del merito di credito.
Le banche assolvono all’obbligo previsto dall’articolo 120-undecies, comma 1, applicando le disposizioni relative alla valutazione del merito creditizio previste dalla Circolare della Banca d’Italia n. 285 del 17 dicembre 2013 (Istruzioni di vigilanza per le banche), Parte I, Titolo IV, Capitolo 3, Allegato A, paragrafo 2.
I finanziatori disciplinati dal titolo V del T.U. vi assolvono applicando le disposizioni relative alla valutazione del merito creditizio previste dalla Circolare della Banca d’Italia n. 288 del 3 aprile 2015, Titolo III, Capitolo I, Sezione VII, paragrafo 2.
I finanziatori di Stati dell’Unione Europea diversi dall’Italia ai quali non si applicano le disposizioni sopra indicate svolgono la valutazione del merito di credito ai sensi dell’articolo 120-undecies del T.U. conformemente alla disciplina del paese di appartenenza.
Prima di concedere al consumatore un aumento significativo dell’importo totale del credito, il finanziatore effettua una nuova valutazione del merito creditizio sulla base di informazioni aggiornate, se l’aumento non era previsto e non era incluso nella originaria valutazione del merito creditizio.
Il finanziatore non risolve il contratto di credito né vi apporta modifiche svantaggiose per il consumatore, ai sensi dell’articolo 118 del T.U., in ragione del fatto che la valutazione del merito creditizio è stata condotta scorrettamente o che le informazioni fornite dal consumatore prima della conclusione del contratto erano incomplete, salvo che il consumatore abbia intenzionalmente omesso di fornire o abbia fornito informazioni false.
Se la valutazione del merito creditizio è effettuata sulla base di informazioni ottenute consultando una banca dati, il finanziatore ne informa in anticipo il consumatore. Se la domanda di credito è stata rifiutata il creditore informa il
consumatore immediatamente e gratuitamente del rifiuto della domanda e, se del caso, del fatto che la decisione è basata sul trattamento automatico di dati.
Si applica il paragrafo 4.4.1 della sezione VII.
[18] In linea con questa impostazione, R. De Chiara, “Commento sub art. 124-bis”, op. cit., loc. cit.
[19] La norma è riprodotta nell’art. 325 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.
[20] In materia, cfr. A. Segura Velez e A. Villacorta, Relazioni banche-imprese e politiche di sostegno ottimali durante la pandemia, “Temi di discussione (Working papers), n. 1343, 27 luglio 2021”, Roma, Banca d’Italia, 2021, specie p. 18 e ss. e p. 42.
[21] Secondo una diversa opinione, lo stato di crisi coinciderebbe già con una situazione di potenziale futura impossibilità di adempiere con regolarità le obbligazioni assunte.
[22] Con riferimento agli impatti avuti dalla “prolifica – per non dire anche frenetica – disciplina emergenziale in risposta alla crisi epidemiologica da Covid 19”, v., da ultimo, R. Bocchini, op. cit., p. 236 e ss.
[23] R. Bocchini, op. cit., p. 263, esprime il timore che, in questo momento storico di erogazione del credito post-pandemia “le banche erogano credito non per difendere, nel senso più stretto del termine, le imprese, ma il credito già erogato dalle stesse banche”.
[24] “Quel che rileva è unicamente l’insussistenza di fondate prospettive, in base a ragionevolezza e ad una valutazione ex ante, di superamento di quella crisi”, si legge in Cass. 24725/21, cit. nel testo.