Con la sentenza in esame il Tribunale di Milano si è pronunciato in merito ad un’azione di responsabilità proposta dal curatore di una società fallita nei confronti delle banche finanziatrici per aver concorso, con gli amministratori e i sindaci della fallita, nella causazione e nell’aggravamento del dissesto, mediante la concessione di credito alla società poi fallita, consentendo a quest’ultima di proseguire la propria attività d’impresa quando già si trovava in una situazione di insolvenza.
Anzitutto, il Tribunale ha ritenuto che, nella specie, il fallimento non abbia esperito un’azione di responsabilità extracontrattuale da abusiva concessione del credito, che – secondo quanto affermato dalle note sentenze delle Sezioni Unite nn. 7029 e 7030 de 2006 – spetterebbe esclusivamente ai singoli creditori danneggiati, poichè strumento di reintegrazione del patrimonio del creditore individuale, non rientrando nelle azioni c.d. “di massa” di competenza del curatore fallimentare. Bensì – ha proseguito il Tribunale – l’azione intentata dal fallimento va inquadrata nell’ambito di un’azione di responsabilità a titolo di concorso delle banche finanziatrici nella mala gestio degli amministratori per avere le banche fornito lo strumento mediante il quale l’organo gestorio della società poi fallita ha proseguito con modalità non conservative l’attività della società dopo la perdita nel capitale sociale, aggravandone il dissesto. Il Tribunale ha affermato che, in simili ipotesi, deve riconoscersi la legittimazione del curatore fallimentare ad agire, ai sensi dell’art. 146 l.f. in correlazione con l’art. 2393 c.c., nei confronti delle banche finanziatrici, quali terze responsabili solidali del danno cagionato alla società fallita per effetto dell’abusivo ricorso al credito da parte degli amministratori della società stessa (negli stessi termini, cfr. Cass. n. 13413/2010 e n. 9983/2017).
Nel merito, il Tribunale ha rigettato la domanda risarcitoria del fallimento, stante la mancata dimostrazione del presupposto del concorso delle banche nella condotta di mala gestio degli amministratori, vale a dire la consapevolezza in capo alle banche finanziatrici circa lo stato di tensione finanziaria se non di insolvenza della società finanziata (poi fallita) al momento dell’erogazione dei finanziamenti.
In particolare, il Tribunale ha escluso che la predetta consapevolezza in capo agli istituti di credito possa ricavarsi (i) da una situazione di crisi e poi di insolvenza non risultante dai bilanci “ufficiali”, ma riconosciuta ex post (a fronte della riclassificazione di alcune voci contabili attive dei bilanci alterate dagli amministratori), in quanto non conoscibile dalle banche o (ii) dalle caratteristiche dei finanziamenti concessi, per gran parte relativi ad anticipazioni su crediti, vale a dire una forma di finanziamento c.d. autoliquidante di per sé pienamente compatibile con le caratteristiche dell’impresa sociale e con la tipologia dei clienti.