La riforma della legge fallimentare introdotta dal d.l. n. 83/2015, come convertito dalla Legge 132/2015, ha modificato, con l’art. 8 del citato decreto, la disciplina dei contratti pendenti nel concordato preventivo di cui all’art. 169-bis L.Fall.
Le modifiche interessano, tra le altre:
– la rubrica dell’art. 169-bis L.Fall.: che da “Contratti in corso di esecuzione” diviene “Contratti pendenti”, segnando un avvicinamento alla disciplina dell’art. 72 L. Fall. rubricato “Rapporti pendenti”;
– il primo comma dell’art. 169-bis L.Fall.: che nella versione novellata: (i) precisa quali sono i contratti suscettibili di scioglimento, ovverosia quelli “ancora ineseguiti o non compiutamente eseguitialla data della presentazione del ricorso”; (ii) prevedela facoltà del debitore di chiederne la sospensione anche successivamente al deposito della domanda; (iii) subordina l’autorizzazione allo scioglimento all’esito di un’istruttoria avente ad oggetto l’acquisizione, da parte del Tribunale, di sommarie informazioni; (iv) specifica che gli effetti della sospensione decorrono dalla comunicazione all’altro contraente del provvedimento autorizzativo;
– il secondo comma dell’art. 169-bis L. Fall.: che riconosce “la prededuzione del credito conseguente ad eventuali prestazioni eseguite legalmente e in conformità agli accordi o usi negoziali, dopo la pubblicazione della domanda ai sensi dell’art. 161”.
Con le modifiche apportate al primo comma dell’art. 169-bis L. Fall., in particolare con il riferimento ai “contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti alla data della presentazione del ricorso” (pur in mancanza del richiamo letterale ad “entrambe le parti” invece presente nell’art. 72 L. Fall.), il legislatore ha inteso uniformare il sistema e risolvere – per certi versi – il vivace dibattito sviluppatosi in ordine all’equivalenza o meno, in ambito concordatario, all’espressione utilizzata dall’art. 72 L.Fall.
La novella consente così di ritenere superata la tesi che sosteneva l’assoggettabilità a scioglimento, ovvero a sospensione, anche dei contratti unilaterali o di quelli già compiutamente eseguiti da una sola parte[1] e conferma invece gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali (maggioritari) che avevano ricondotto il perimetro applicativo dell’art. 169-bis L. Fall. ai soli contratti caratterizzati dalla “bilaterale inesecuzione” delle prestazioni principali ad opera di entrambe le parti del contratto.[2]
La novella è destinata ad avere indubbio impatto sulle fattispecie relative a contratti bancari di anticipazione ‘sbf’, nei quali l’istituto di credito abbia già eseguito pressoché interamente la propria prestazione (la concessione del credito), rimanendo ineseguita invece solo la prestazione del correntista affidato.
Alla luce della riforma pare infatti definitivamente superato l’orientamento giurisprudenziale che aveva dato accesso in tali fattispecie all’applicazione dell’art. 169-bis, con scioglimento del contratto e conseguente caducazione del patto di compensazione tra crediti e debiti.
Muovendo da tale premessa, la giurisprudenza immediatamente successiva alla novella – fra cui le due pronunce qui annotate – ha colto l’occasione per dare continuità e nuovo vigore all’orientamento già sancito da Corte di Cassazione n.10548/2009.
Secondo questa pronuncia, in sostanziale omaggio al principio della “par condicio creditorum” ed alla cristallizzazione del passivo che si produce con la domanda di concordato preventivo, ai sensi degli articoli 168 e 169 L.Fall. con richiamo agli articoli 45 e 46 L. Fall., le somme versate dai terzi dopo la domanda non possono essere trattenute dalla banca a compensazione di quanto anticipato. In tale schema, quindi, l’anteriorità alla procedura delle radici causali delle posizioni obbligatorie assicura la dualità dei patrimoni cui sono imputabili, rispondendo al presupposto essenziale e costitutivo della fattispecie compensativa (sia legale che giudiziale o volontaria) cioè la reciprocità dei debiti e crediti, non soddisfatto divenendo la banca debitrice del mandante solo dopo la domanda di concordato, con la riscossione dei crediti anticipati.
La Corte di Cassazione, nell’esaminare la compensazione ove il debitore abbia conferito a banca mandato all’incasso di un proprio credito attribuendole facoltà di compensare importo con lo scoperto di conto corrente intrattenuto con medesima banca, conclude che, se l’incasso del credito da parte della banca mandataria avviene dopo la presentazione della domanda di concordato, la compensazione non opera, in quanto i rispettivi crediti non sono entrambi preesistenti all’apertura della procedura concorsuale. Rileva infatti la Corte che il mandato all’incasso non determina il trasferimento del credito in favore del mandatario, bensì l’obbligo di quest’ultimo di restituire al mandante la somma riscossa. Tale obbligo non sorge al momento del conferimento del mandato, ma solo al momento della riscossione del credito. Il momento genetico nel mandato all’incasso con patto compensativo va quindi individuato nella riscossione delle somme (posteriore alla domanda di ammissione al concordato) e non nel momento della stipula del contratto (anteriore). Quindi, conclude la Corte, in tal caso la compensazione non opera.
Come detto, la giurisprudenza immediatamente successiva alla novella non ha dato solo continuità a tale orientamento, ma anche nuovo vigore.
L’orientamento in esame era infatti stato disatteso nel 2011 dalla Suprema Corte che, con la sentenza n.1799, aveva affermato – al contrario – l’operatività della compensazione in caso di apertura della procedura concorsuale ed in presenza di patto dicompensazione ed elisione.
Ciò nonostante, la tesi che esclude l’operatività della compensazione ha sempre trovato sostegno, oltre che in dottrina[3], anche nella giurisprudenza di merito tanto precedente[4] che successiva[5] alla pronuncia del 2011.
Ebbene, che a seguito della novella, codesta tesi sia destinata ad un revirement trova conferma nelle pronunce qui annotate.
– Tribunale di Verona (ordinanza) del 31 agosto 2015 (est. dott. Pier Paolo Lanni)
Il Tribunale afferma che l’accredito su di un conto corrente con saldo passivo di titolarità del debitore soggetto a procedura concorsuale (dopo l’apertura della stessa) di un pagamento proveniente da terzi debitori, nella misura in cui riduce il saldo passivo, integra un pagamento in favore della banca non consentito ai sensi dell’art. 44 L.Fall.. In particolare ritiene che, nell’ipotesi di anticipazione sbf con conferimento alla banca di mandato irrevocabile all’incasso prima dell’apertura di una procedura concorsuale, e di incasso avvenuto dopo l’apertura della procedura, si debba procedere ad accertare l’efficacia del rapporto contrattuale (di finanziamento atipico) al momento del pagamento. In tal senso, proprio sulla scorta della novella sopra commentata, il Giudice veronese assume che l’incasso di un credito dell’imprenditore-debitore da parte della banca, in virtù del mandato all’incasso, costituisca una prestazione esecutiva del più ampio rapporto contrattuale, implicando pertanto a carico della banca – anche all’esito dell’incasso – la persistente prestazione di un servizio continuativo di messa a disposizione delle somme pattuite. Ne discende, prosegue il Tribunale – nel caso di anticipazione con assunzione da parte della banca di mandato all’incassoprecedente all’apertura della procedura concorsuale – la non compiuta esecuzione di entrambe le parti a tale momento, almeno sino a quando non completerà la prestazione di incasso.
Ciò tuttavia, rileva il Tribunale di Verona, non autorizza la banca a trattenere in ogni caso il pagamento incassato, con eventuale decurtazione del saldo passivo del rapporto, invocando la compensazione tra il credito derivante dall’anticipazione del credito e il debito restitutorio conseguente all’incasso. Infatti, il primo credito viene ad esistenza prima dell’apertura della procedura di concordato, mentre il secondo solo successivamente, talché la compensazione determinerebbe una violazione dell’art. 56 L.Fall. (applicabile anche al concordato), atteso che essa può operare solo quanto entrambi i crediti siano venuti ad esistenza prima dell’apertura della procedura concorsuale, anche se divengano esigibili successivamente.
Sulla scorta di tali premesse, nella pronuncia annotata si affronta espressamente, escludendolo, che nel caso di procedura concorsuale a sostegno della compensazione possa essere utilmente invocato il cd. pactum de compensando. Ciò è impedito – afferma il Tribunale – dalla prevalenza del principio di cristallizzazione dei crediti per la massima soddisfazione dei creditori e dal divieto di compensazione di cui all’art. 56 L.Fall. (invocabile anche in caso di compensazione legale, giudiziale o volontaria). Principale limite all’eccepibilità della compensazione è infatti la preesistenza (alla procedura concorsuale) dei contrapposti crediti, più precisamente intesa quale anteriorità del ‘fatto genetico’, cioè della radice causale, della situazione giuridica estintiva delle obbligazioni. Per valutare l’anteriorità del debito di restituzione di quanto riscosso dopo l’apertura del concordato, è infatti rilevante non il momento di perfezionamento del contratto, bensì quello del successivo incasso. La situazione che ne deriva dunque è di un credito anteriore ed uno posteriore alla procedura, il che non rende possibile la loro estinzione per compensazione.
In tal senso, nella pronuncia in esame il Giudice veronese prende posizione sull’orientamento giurisprudenziale espresso dalla Cassazione n. 17999/11, da cui espressamente dissente non ritenendolo condivisibile in quanto:
– da un lato, trattasi di principio affermato con riferimento ad ipotesi di amministrazione controllata e ad un quadro normativo precedente la riforma del concordato preventivo nell’ottica di un esame circa l’opponibilità del patto di compensazione alla procedura ai fini di revocatoria;
– dall’altro lato, poiché l’operatività del patto di compensazione consentirebbe di aggirare il divieto di azioni esecutive previste dall’art. 168 L. Fall., distorcendo pertanto le finalità sottese proprio alla procedura concordataria.
– Tribunale di Prato del 23 settembre 2015 (est. Presidente dott.ssa Maria Novella Legnaioli)
A medesima conclusione, in riferimento ad identica fattispecie, perviene codesto Giudice, il quale rileva come – proprio per il principio di cristallizzazione del passivo che si produce con la domanda di concordato – le somme versate dai terzi successivamente a tale momento non possano più formare oggetto di compensazione.
Il Tribunale si riporta alle statuizioni già espresse dalla Suprema Corte con la sentenza n. 10548 del 07.05.2009, evidenziando che,in caso di ammissione del debitore al concordato preventivo, la compensazione tra i suoi debiti ed i crediti da lui vantati postuli, ai sensi dell’art. 56 L. Fall. (richiamato dall’art. 169 L. Fall.), la preesistenza dei rispettivi crediti all’apertura della procedura concorsuale.
Precisa infatti il Giudice che, a differenza della cessione del credito, il mandato all’incasso conferito alla banca mandataria non determini il trasferimento del credito in suo favore, ma solamente l’obbligo di quest’ultima di restituire al mandante la somma riscossa, sorgendo tale obbligo non al momento del conferimento, ma soltanto all’atto di riscossione del credito. Conclude dunque per l’inoperatività della compensazione.
Alla luce di quanto esposto, sebbene allo stato la materia prospetti scenari non univoci e destinati ad ulteriormente mutare anche a breve in ragione dell’intervento di ulteriori pronunzie giurisprudenziali, pare confermarsi, nell’immediatezza della novella, un revirement della tesi della non compensabilità, anche a fronte di patto di annotazione ed elisione.
[1] In tal senso, F. Lamanna, “I contratti pendenti” in La legge fallimentare dopo la mini riforma del d.l. 83/2015 – Commento analitico alle novità della riforma, ed. Giuffrè, 2015, p. 59; ancora, Staunovo-Polacco, “Sulle modifiche del d.l. 83/2015 alla disciplina dei contratti pendenti nel concordato preventivo (art. 169-bis l. fall.)”, in IlFallimentarista.it, pubblicato il 24.07.2015. A difesa di tali assunti, infatti, gli autori rammentano che nel caso di contratti unilaterali, ovvero contratti bilaterali ove una parte avesse già eseguito la propria prestazione, il sistema già prevedesse l’applicazione dell’articolo 59 l.f. nel primo caso, e dell’art. 55 l.f. nel secondo caso (applicazione poi pacificamente confermata anche a seguito della sopraggiunta riforma).
[2] Tra gli altri, F. Lamanna, “La nozione di “contratti pendenti” nel concordato preventivo”, in IlFallimentarista.it, pubblicato il 7.11.2013.
[3] Lo Cascio, Rel. conclusiva al convegno: I rapporti giuridici pendenti, in I rapporti giuridici pendenti, a cura di M. Ferro, Milano 1998, 254, il quale ribadisce che il mandatario non può sottrarsi all’obbligo della restituzione delle somme riscosse dopo l’apertura della procedura concorsuale, perché la titolarità del credito spetta al mandante e dopo l’inizio del concorso collettivo non è possibile adempiere ad obblighi che incidano sul patrimonio dell’imprenditore.
[4] Ex multis, Cass. Civ. n.10548/2009; Cass. Civ. n.578/2007; App. Milano 2.3.2001 (in Banca Borsa, 2002 II, 552 con nota di Romagno, Lo sconto di ricevute bancarie nel concordato preventivo); App. Roma 15.3.1999 (in Fall, 1999, 815); Trib. Milano 1.6.2000 (in Fall., 2000, 1302); App. Milano 29.12.1998 (in Banca Borsa, 2000, II, 51); Trib. Milano 27.11.1997 (in Banca Borsa, 1999, II, 344 con nota adesiva di Melina, Compensazione ed autopagamento nel concordato preventivo); Cass. Civ. n.9030/1995; Cass. Civ. n.11988/1990; Trib. Brescia 15.6.1989 (in Fall, 1989, 1256 con nota di Vacchiano, Sulla non compensabilità dei debiti sorti durante la procedura concordataria con crediti ad essa anteriori).
In particolare, secondo la Corte di Appello Torino 20.1.2010, in punto di operazioni di anticipo o sconto di fatture presso istituti bancari o di factoring in corso di esecuzione alla data di deposito del ricorso per concordato preventivo, condivide la giurisprudenza di legittimità che, in applicazione del combinato disposto degli articoli 169 e 56 L.Fall., ritiene non compensabili i crediti vantati dalla banca mandataria all’incasso verso il debitore concordatario con le somme riscosse dopo il deposito della domanda di concordato (Cass. 10548/2009; 9030/1995; 11988/1990). Infatti, motiva il Tribunale, a differenza della cessione del credito, il mandato all’incasso non determina il trasferimento del credito in favore del mandatario, ma comporta l’obbligo di costui di restituire al mandante la somma riscossa, obbligo che sorge non al momento del conferimento del mandato, ma all’atto della riscossione del credito medesimo, con la conseguenza che, se avvenuto in epoca successiva al deposito della domanda di concordato preventivo, non è idoneo a soddisfare il presupposto della preesistenza di entrambi i crediti contrapposti alla procedura, presupposto, questo, necessario (unitamente a quello della reciprocità, ossia al fatto di riguardare gli stessi soggetti) ai fini della compensazione in sede concorsuale (Cass. SU 7751/1999).
[5] Fra le altre, si rammenta il Tribunale Lucca 21.5.2013 che disattende espressamente l’orientamento giurisprudenziale espresso con la sentenza n.17999/2011, per il fatto che, nell’ambito della giurisprudenza di legittimità, esso risulta isolato e contrario ad altro orientamento, ben più radicato e meditato (cfr. Cassazione n. 10548/2009), in quanto massimamente rispettoso del principio generale enunciato dall’art. 56 L.Fall. e della ratio ad esso sottesa, di cristallizzazione del passivo per il massimo soddisfacimento dei creditori concorsuali.