La sentenza in commento trae origine da un giudizio di omologazione di una proposta di concordato fallimentare – alla quale si è opposto un socio della società fallita -, che prevedeva il pagamento dilazionato dei creditori privilegiati (nella specie, in quattordici rate semestrali, da completare con un versamento finale, entro 12 mesi dall’ultima rateazione).
Il Tribunale, con decisione confermata in appello, ha negato la predetta omologazione, ritenendo la procedura concordataria viziata dalla mancata partecipazione dei creditori privilegiati alle operazioni di voto e dalla mancata relazione giurata del professionista ai sensi dell’art. 124, comma 3, l.f.
La Suprema Corte, adita con ricorso dalla società fallita, ha affermato che il pagamento dei creditori privilegiati con una tempistica superiore a quella imposta dai tempi tecnici della procedura fallimentare va considerato equivalente a una soddisfazione non integrale, comportando un sacrificio per i creditori, i quali, pur ricevendo la corrisponsione degli interessi legali, non conseguono l’immediata disponibilità delle somme loro spettanti. Ne deriva che, limitatamente alla perdita economica conseguente al ritardo nel pagamento, i creditori privilegiati devono essere ammessi al voto ai sensi dell’art. 127, comma 4, l.f.
In tali casi non è tuttavia necessario il deposito della relazione giurata del professionista. Essa, da redigersi qualora sia previsto il soddisfacimento non integrale dei creditori privilegiati, è funzionale alla verifica del “valore di mercato” dei beni e dei diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, al fine di assicurare che la soddisfazione del creditore privilegiato non avvenga in misura inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione fallimentare. Qualora sia previsto il pagamento dilazionato dei creditori privilegiati, invece, occorre accertare l’incidenza del decorso del tempo sulla misura del soddisfacimento dei creditori; valutazione che può essere effettuata dagli organi della procedura.
Con la pronuncia annotata la Corte ha, inoltre, avuto occasione di pronunciarsi in merito alla legittimazione dell’azionista ad opporsi all’omologazione del concordato fallimentare, statuendo che – diversamente da quanto affermato dalle corti di merito – l’azionista non possa ritenersi legittimato di per sé, in quanto la valutazione dell’interesse legittimante l’opposizione di cui all’art. 129, comma 2, l.f. implica l’accertamento in concreto dell’incidenza negativa della soluzione concordataria, rispetto al fallimento, sulla situazione giuridica di cui l’opponente è titolare.