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Giurisprudenza

Concordato fallimentare: ruolo del Giudice Delegato e giudizio di omologazione

17 Novembre 2015

Francesco Mancuso, Trainee presso Lombardi Molinari Segni

Cassazione Civile, Sez. I, 01 ottobre 2015, n. 19645

Di cosa si parla in questo articolo

Con il provvedimento in esame, la prima Sezione della Suprema Corte di Cassazione (Pres. Ceccherini, Rel. Scaldaferri) si è espressa su diverse questioni relative alla disciplina del concordato fallimentare di cui agli artt. 124 e ss. della legge fallimentare.

Nel caso di specie, la Corte di Appello di Bari aveva rigettato un reclamo proposto da uno dei soci illimitatamente responsabili di una società dichiarata fallita (e, di conseguenza, fallito anch’egli) avverso il decreto di omologazione di una proposta di concordato fallimentare avanzata da soggetti terzi nel contesto della procedura fallimentare. In particolare, il reclamante censurava in più punti il predetto decreto di omologazione, asserendo che la proposta di concordato non fosse effettivamente fattibile e, inoltre, che il predetto decreto di omologazione fosse affetto da nullità, in quanto (i) il giudice delegato alla procedura fallimentare, in violazione della disposizione di cui all’art. 25, comma 2, della legge fallimentare, era stato parte del collegio che aveva emesso il decreto di omologazione e, inoltre, (ii) il tribunale aveva provveduto all’omologazione del concordato omettendo, in violazione della disposizione di cui all’art. 130 della legge fallimentare, di differirne l’esecutività fino allo spirare dei termini per proporre reclamo avverso l’omologazione o, comunque, fino allo spirare dei termini per proporre le impugnazioni previste dall’art. 129 della legge fallimentare.

Avverso il rigetto delle suddette doglianze, il reclamante aveva presentato ricorso per Cassazione riproponendo le medesime censure già proposte in sede di reclamo. La Suprema Corte, investita della controversia, ha affrontato le predette censure e, richiamando alcuni precedenti del Supremo Collegio, ha rigettato il ricorso definendo le questioni proposte.

In particolare, per quanto alla doglianza relativa all’incompatibilità tra il ruolo di giudice delegato e quello di giudice appartenente all’organo investito della decisione di omologa del concordato fallimentare, la Corte ha affermato che la partecipazione del giudice delegato “assume rilievo solo quale motivo di ricusazione, rimanendo esclusa, in difetto della relativa istanza, qualsiasi incidenza sulla regolare costituzione dell’organo decidente e sulla validità della decisione….” e ciò in quanto il dettato di cui all’art. 25, comma 2, della legge fallimentare (che vieta al giudice delegato di trattare i giudizi da lui autorizzati o di far parte dei collegi investiti del reclamo proposto contro i suoi atti) sarebbe inapplicabile al caso in esame giacché, nella procedura di concordato fallimentare, “non è dato invero individuare […] la previsione di alcun atto dispositivo di tale procedura da parte del giudice delegato” (spettando a quest’ultimo un mero ruolo di coordinamento (e non decisorio) della procedura).

Per quanto invece concerne il secondo motivo di doglianza, id est la asserita nullità del provvedimento di omologa in quanto quest’ultimo aveva disposto che la proposta di concordato fosse efficace (efficacia cui conseguiva, nel caso di specie, il trasferimento dei beni immobili della società fallita in capo ai terzi proponenti) subordinatamente all’adempimento della stessa e non anche allo scadere dei termini per le impugnazioni, la Suprema Corte, richiamando il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia (tra cui Cass. 1755/06 e Cass. 11844/06), ha affermato che “la denunzia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse alla astratta regolarità dell’attività giudiziaria, bensì l’interesse alla eliminazione del pregiudizio arrecato” con la conseguenza che “è inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione che si limiti ad evidenziare l’erroneità di una determinata statuizione senza precisare il pregiudizio che ne sarebbe derivato per la parte ricorrente né in che modo la statuizione stessa avrebbe inciso sull’esito della lite”. Ne consegue, quindi, che il Tribunale, a giudizio del Supremo Collegio, ha correttamente emesso il decreto di omologazione, e cioè anche in considerazione del fatto che l’efficacia della proposta  fosse subordinata – come stabilito nel predetto decreto di omologazione – al puntuale adempimento delle obbligazioni concordatarie (e cioè, nel caso di specie, al versamento da parte dei terzi proponenti di quanto necessario – nei limiti della proposta – per soddisfare i creditori).

In ultima analisi, la Corte di Cassazione si è ulteriormente espressa definendo il perimetro di valutazione della proposta di concordato fallimentare da parte del Tribunale in sede di omologazione. L’art. 129, comma 4, della legge fallimentare, stabilisce infatti che “se nel termine fissato non vengono proposte opposizioni, il tribunale, verificata la regolarità della procedura e l’esito della votazione, omologa il concordato con decreto motivato non soggetto a gravame”. La Suprema Corte, interpretando la predetta disposizione, ha pertanto affermato che (salva l’ipotesi in cui la proposta preveda la suddivisione dei creditori in classi – nel qual caso il tribunale dovrà verificare, ex art. 125, comma 3, della legge fallimentare, la regolarità della formazione delle classi) “il controllo del Tribunale [sia] limitato alla verifica della regolarità formale della procedura e dell’esito della votazione […] restando escluso ogni controllo sul merito, giacché la valutazione del contenuto della proposta concordataria, riguardando il profilo della convenienza, è devoluta ai creditori…….”.

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