La Corte di Cassazione, con la recentissima sentenza 9 maggio 2014 n. 10112, si è pronunciata sull’ammissibilità di una proposta concordataria liquidatoria che prevede la dilazione del pagamento dei crediti privilegiati.
La pronuncia, se da un lato ha il pregio concreto di cercare di chiarire i molti dubbi che – alla luce di un variegato panorama interpretativo in materia, come subito si vedrà – l’operatore professionale si trova a dover affrontare nel predisporre una domanda concordataria, dall’altro lato e ad una prima lettura si connota per un iter argomentativo che non appare così convincente per poter affermare che la vexata quaestio della dilazionabilità dei pagamenti dei crediti privilegiati sia stata definitivamente risolta.
E’ opportuno, innanzitutto, dare brevemente atto dei plurimi orientamenti interpretativi relativi alla dilazione del pagamento dei creditori privilegiati, che spaziano dall’approccio “ortodosso” (seguito anche dal Tribunale di Roma nel provvedimento poi cassato con la pronuncia della Corte sopra citata) secondo cui i creditori privilegiati devono essere necessariamente soddisfatti all’omologa, ad una posizione per così dire “mediana” che ritiene ammissibile la dilazione del pagamento del privilegio ancorandola ai tempi tecnici alla liquidazione dei beni (purché tali tempi siano comparabili a quelli di una liquidazione fallimentare), sino a giungere a quelle pronunce che hanno invece ammesso la dilazione a condizione che i creditori privilegiati siano “indennizzati” per il sacrificio temporale loro richiesto e agli stessi sia attribuito il diritto di voto sulla proposta concordataria1.
La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, avalla l’ultimo degli orientamenti sopra citati, statuendo che (i) non è inammissibile la proposta concordataria di natura liquidatoria che preveda la dilazione del pagamento del ceto privilegiato in un arco temporale superiore a quello corrispondente ai tempi tecnici della liquidazione purché (ii) in favore dei creditori privilegiati dilazionati venga previsto un “compenso” per la dilazione e che (iii) sulla congruità e convenienza di tale compenso i creditori privilegiati siano legittimati al voto.
Alla chiarezza delle conclusioni della Corte non corrisponde però un’argomentazione esente da rilievi critici.
Infatti la Corte, pur muovendo dalla corretta osservazione che da un punto di vista logico la soddisfazione dilazionata nel tempo dei creditori privilegiatisi traduce nella loro soddisfazione “non integrale”, spinge poi il proprio ragionamento sino a postulare che al creditore privilegiato dilazionato debba applicarsi lo stesso regime specifico previsto dall’art. 160 secondo comma L.F. per quanto attiene il trattamento riservato al creditore privilegiato la cui prelazione si eserciti su beni incapienti (in tale ipotesi, si rammenta, previa perizia ad hoc che attesti il valore del bene oggetto della causa di prelazione, il creditore privilegiato, per la parte del suo credito che non trova soddisfazione sul ricavato del bene su cui grava la prelazione, viene degradato a chirografo ed è legittimato al voto).
Ne conseguirebbe quindi, secondo la Suprema Corte, che anche il creditore privilegiato (non incapiente ma) dilazionato, sarebbe legittimato ad esprimere il proprio voto per il credito corrispondente all’indennizzo dovutogli quale “compenso” per la dilazione.
Si tratta però di un’interpretazione forzata: sembra chiara, almeno a chi scrive, la differenza tra l’ipotesi di cui all’art. 160 secondo comma L.F. (laddove l’incapienza dei beni sul cui ricavato si esercita la prelazione è di natura oggettiva ed è certificata da una apposita perizia) e la dilazione del pagamento del creditore privilegiato in un arco temporale superiore a quello “normale” connesso ai tempi tecnici di liquidazione (dilazione che è effetto invece di una scelta soggettiva del debitore).
Se già questo fondamentale passaggio argomentativo della sentenza non è pienamente condivisibile, la motivazione della Corte di Cassazione non convince nemmeno laddove pretende poi di ricavare – dall’esistenza di alcune norme specifiche in tema di transazione fiscale ex art. 182 ter L.F. e da una, per vero non chiara, interpretazione a contrariis della norma che, nel concordato con continuità aziendale, consente la “moratoria coatta” annuale del pagamento del ceto privilegiato senza attribuire il diritto di voto (art. 186 bis, secondo comma lett. c), L.F.) – un principio generale immanente (ma non espresso) nel sistema che consentirebbe in linea di principio la dilazione del pagamento dei creditori privilegiati nel contesto di un concordato liquidatorio.
Si tratta quindi di un arresto giurisprudenziale che, per quanto autorevole, non sembra pienamente aderente al dato normativo attuale e per tale motivo il principio espresso dalla Suprema Corte potrebbe non trovare pieno recepimento da parte della giurisprudenza di merito; nondimeno, la circostanza che la questione della dilazione del pagamento del ceto privilegiato sia giunta all’esame dell’organo giurisdizionale di vertice, è chiaro indice della rilevanza dogmatica (e pratica) della questione e per tale motivo può forse costituire l’occasione per un auspicabile intervento legislativo correttivo (che si faccia anche carico del parallelo tema – oggetto di ampio dibattito dottrinale2 – della possibile dilazionabilità ultra-annuale del pagamento del privilegio nei concordati con continuità aziendale).
1
Per una ampia rassegna dei vari orientamenti sintetizzati nel testo si veda A. Audino, sub art. 160 L.F., in A. Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova 2013, p. 1071 nonché L. D’Orazio, L’ammissibilità della domanda di concordato preventivo con proposta di dilazione di pagamento ai creditori prelazionari, in Fall. 2014, p. 447 e ss.
2
Per una rassegna delle molteplici interpretazioni dottrinali sul punto si veda F.S. Filocamo, sub art. 186 bis L.F., in La legge fallimentare, commentario teorico-pratico a cura di M. Ferro, Padova 2014, p. 2709.