Premessa
A seguito della riforma del 2007 (d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169), l’art. 160, co. 2, l.fall. consente espressamente all’imprenditore in stato di crisi di presentare una proposta di concordato preventivo che preveda la soddisfazione non integrale dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca. Quanto precede è però ammissibile solo qualora il piano concordatario contempli il soddisfacimento dei predetti creditori in misura non inferiore a quella realizzabile – in ragione della collocazione preferenziale – sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, per come indicato nella relazione giurata redatta da un professionista in possesso degli stessi requisiti richiesti all’asseveratore. Inoltre, la mancata soddisfazione dei creditori privilegiati non può comportare l’alterazione dell’ordine delle cause legittime di prelazione.
Correlata a quanto precede, e oggetto nello specifico della sentenza in esame, è la questione se sia o meno ammissibile, in assenza di una chiara disciplina sul punto, una proposta di concordato preventivo che consideri il pagamento dilazionato dei creditori privilegiati. La Suprema Corte ha affrontato tale problematica, soffermandosi altresì sull’ampiezza dei poteri del tribunale in sede di ammissione di una proposta concordataria che contempli proprio una dilazione nel pagamento dei creditori privilegiati.
Il fatto
Il Tribunale di Roma dichiarava il fallimento di una società, a seguito della mancata ammissione della proposta di concordato preventivo da essa presentata. Il diniego veniva motivato con il mancato riconoscimento degli interessi sui crediti privilegiati, in assenza delle condizioni di riduzione del credito, unitamente alla dilazione del pagamento in ventiquattro mesi.
La Corte d’Appello di Roma revocava la dichiarazione di fallimento, affermando che il tribunale aveva operato una indebita valutazione di merito della proposta di concordato, non correlata con quanto previsto specificatamente dall’art. 160 l.fall.: l’obbligo di soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo ai beni oggetto della relazione giurata, nonché il rispetto delle cause legittime di prelazione.
Il curatore del fallimento ricorreva in Cassazione, asserendo che la Corte di Appello aveva erroneamente ritenuto quale valutazione di merito (come tale insindacabile dal giudice in sede di ammissione della proposta concordataria) il controllo effettuato dal tribunale, che aveva determinato l’inammissibilità della proposta concordataria proprio in virtù della dilazione di pagamento dei creditori privilegiati e dell’esclusione degli interessi sui relativi crediti.
Ammissibile il pagamento dilazionato dei creditori privilegiati
Richiamando un proprio recente precedente (Cass. Civ., Sez. I, n. 10112/2014), la Suprema Corte ha confermato la tesi favorevole all’ammissibilità del pagamento dilazionato dei crediti privilegiati nel concordato preventivo. Quanto precede, non solo in considerazione del già citato art. 160, co. 2, l.fall., ma anche alla luce di quanto previsto dall’art. 182-ter, l.fall. in materia di transazione fiscale e dall’art. 186-bis, co. 2, lett. c), l.fall. per il concordato preventivo con continuità aziendale.
Andando con ordine, la Cassazione ha ripercorso la ratio che ha condotto all’introduzione dell’art. 160, co. 2, l.fall.: l’innovazione legislativa del 2007 sul punto era finalizzata a consentire anche nel concordato preventivo, oltreché nel concordato fallimentare, la possibilità di offrire un pagamento in percentuale dei crediti privilegiati, con riferimento a quella porzione del credito destinata a rimanere comunque insoddisfatta, avuto riguardo al presumibile valore di realizzo dei beni sui quali cade il privilegio. Allo stesso tempo, ha ricordato come l’art. 177, co. 2, l.fall. preveda che i creditori prelatizi non soddisfatti integralmente siano equiparati ai chirografari, ai fini della legittimazione al voto, per la parte residua del credito.
Inoltre, la Suprema Corte ha espresso il proprio favore per l’ammissibilità della dilazione di pagamento dei creditori privilegiati anche traendo spunto dall’impianto legislativo generale. L’art. 182-ter l.fall., in particolare, consente espressamente all’imprenditore in stato di crisi di proporre una transazione fiscale che preveda il pagamento non solo in percentuale, ma anche dilazionato, di crediti per tributi muniti di privilegio e, per taluni di essi, solamente il pagamento dilazionato.
Allo stesso tempo, nel concordato con continuità aziendale di cui all’art. 186-bis l.fall., il piano può prevedere una moratoria fino a un anno dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno, o ipoteca, salvo che sia contemplata la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione e fermo quanto indicato nella relazione giurata. In proposito, la Suprema Corte ha sottolineato come, nel caso di tale “moratoria coatta”, i creditori muniti di prelazione non abbiano diritto di voto; per contro, nei concordati preventivi senza continuità aziendale, tali creditori, se non soddisfatti integralmente, sono equiparati ai chirografari per la parte residua del credito, come previsto dall’art. 177, co. 3, l.fall., e pertanto siano chiamati a votare.
In considerazione di quanto precede, la Corte di Cassazione ha ritenuto che, alla regola generale del pagamento non dilazionato dei crediti privilegiati nel concordato preventivo, si affianchi comunque la possibilità di prevedere un pagamento con dilazione superiore a quella imposta dai tempi tecnici previsti dalla procedura (e dalla stessa liquidazione, in caso di concordato preventivo con cessione dei beni). In tale circostanza il creditore privilegiato, incorrendo in una perdita economica (dovuta al ritardo nella messa a disposizione delle somme a lui spettanti), è come se non fosse soddisfatto integralmente.
Pertanto, se da un lato la dilazione di pagamento dei creditori privilegiati è da considerare ammissibile, dall’altro rappresenta nella sostanza un pagamento non integrale, con la conseguenza che tali creditori sono chiamati al voto per la porzione non soddisfatta del proprio credito, da determinarsi a cura del giudice.
Controllo di legittimità (e non di merito) da parte del giudice nella determinazione del “quantum” non soddisfatto
Alla luce di quanto sopra, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso presentato dal curatore: la Corte d’Appello, infatti, ha agito correttamente nel revocare la sentenza dichiarativa di fallimento, poiché pronunciata a seguito di un errato diniego di ammissione alla procedura di concordato preventivo.
Tuttavia, la Cassazione ha sottolineato come, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di secondo grado, il tribunale non ha svolto un giudizio di merito, bensì un (seppur erroneo) controllo di legittimità. Infatti, il “quantum” del mancato soddisfacimento, dovuto alla dilazione nel pagamento dei crediti privilegiati, costituisce sì un accertamento di fatto, ma che rientra nei poteri del giudice in sede di ammissione di una proposta di concordato preventivo. Non si tratta, infatti, di un controllo di merito, come tale non consentito dall’art. 162 l.fall., bensì di un controllo di legittimità della proposta di concordato, permesso al giudice (Cass. Civ., SS. UU., n. 1521/2013).
Pertanto, in caso di dilazione nel pagamento dei creditori privilegiati, il tribunale è tenuto a determinare in concreto a quanto ammonti la perdita economica per i creditori (e il loro conseguente diritto di voto), alla luce della relazione giurata di cui all’art. 160, co. 2, l.fall.. In più, il giudice deve considerare il contenuto concreto della proposta, i tempi tecnici di realizzo dei beni gravati nell’ipotesi di soluzione alternativa al concordato, nonché la corresponsione o meno di interessi ai creditori, tutti elementi che assumono rilievo sostanziale al fine della determinazione dell’oggetto del credito non soddisfatto.
Se è vero, quindi, che il controllo del giudice in tale ambito non è una valutazione di merito, non consentita in sede di ammissione della proposta di concordato poiché esula dai poteri del giudice, è altrettanto vero che, essendo possibile la dilazione del pagamento dei crediti privilegiati, il tribunale è tenuto ad esaminare se sia prevista la corresponsione dei relativi interessi, così da determinare il “quantum” del credito non soddisfatto, oggetto del voto del creditore.