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Concordato semplificato: condizioni d’accesso e vaglio del Tribunale

17 Ottobre 2022

Luciana Cipolla, Partner, La Scala Società Tra Avvocati

Luca Scaccaglia, Senior Associate, La Scala Società Tra Avvocati

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo affronta il tema dell’accesso al concordato semplificato e del preliminare vaglio di ritualità da parte del Tribunale.


1. Premessa – Il concordato semplificato

Come noto, una delle principali novità nel panorama concorsuale italiano recentemente ridisegnato dal legislatore con il Codice della Crisi e dell’Impresa e dell’Insolvenza è stata l’introduzione di un nuovo percorso di risanamento, denominato “composizione negoziata delle crisi”, e di una nuova procedura concorsuale strettamente legata a quest’ultimo, denominata “concordato semplificato”.

Entrambi gli istituti sono stati introdotti dapprima dal D.L. n. 118/2021 e poi confluiti all’interno del neointrodotto Codice della Crisi.

Questa tipologia di concordato presenta caratteristiche peculiari che la distinguono nettamente dal concordato classico, tra cui il fatto che non è prevista la fase di ammissione; è esclusa la figura del commissario giudiziale (sostituita da quella dell’ausiliario); non è riconosciuto il diritto di voto ai creditori; non è richiesto al debitore di garantire una percentuale minima di soddisfacimento ai chirografari nonostante l’impianto liquidatorio dello strumento[1].

2. Condizioni per l’accesso al concordato semplificato

Ciò premesso, la connotazione che rende ancor più peculiare tale nuovo strumento di regolazione della crisi consiste nel fatto che non si tratta di una procedura concorsuale autonoma.

E infatti l’imprenditore in stato di crisi o insolvenza non potrà depositare direttamente la domanda di omologazione del concordato semplificato in quanto il deposito della domanda di cui sopra è subordinato al previo esperimento della composizione negoziata.

L’art. 25-sexies[2], commi 1, 2 e 3, rubricato “Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio”, dispone testualmente quanto segue:

“1. Quando l’esperto nella relazione finale dichiara che le trattative si sono svolte secondo correttezza e buona fede, che non hanno avuto esito positivo e che le soluzioni individuate ai sensi dell’articolo 23, commi 1 e 2, lettera b) non sono praticabili, l’imprenditore può presentare, nei sessanta giorni successivi alla comunicazione di cui all’articolo 17, comma 8, una proposta di concordato per cessione dei beni unitamente al piano di liquidazione e ai documenti indicati nell’articolo 39. La proposta può prevedere la suddivisione dei creditori in classi.

2. L’imprenditore chiede l’omologazione del concordato con ricorso presentato al tribunale del luogo in cui l’impresa ha il proprio centro degli interessi principali. Il ricorso è comunicato al pubblico ministero e pubblicato, a cura del cancelliere, nel registro delle imprese entro il giorno successivo alla data del deposito in cancelleria. Dalla data della pubblicazione del ricorso si producono gli effetti di cui agli articoli 6, 46, 94 e 96.

3. Il tribunale, valutata la ritualità della proposta, acquisiti la relazione finale di cui al comma 1 e il parere dell’esperto con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione e alle garanzie offerte, nomina un ausiliario ai sensi dell’articolo 68 del codice di procedura civile, assegnando allo stesso un termine per il deposito del parere di cui al comma 4 (…)”.

Come appare chiaro dal dettato normativo, per considerare verificatasi la condizione di accesso al concordato semplificato non è sufficiente per l’imprenditore il deposito dell’istanza di nomina dell’esperto (e dunque il mero accesso alla composizione negoziata).

È infatti, altresì, necessario che l’esperto abbia ravvisato inizialmente concrete prospettive di risanamento (e che dunque la composizione negoziata non si sia conclusa con la relazione negativa dell’esperto ai sensi dell’art. 17, comma 5, CCII[3]), che la composizione negoziata sia stata effettivamente avviata e che ciononostante le possibili soluzioni (negoziali e non) si siano rivelate concretamente impraticabili.

In particolare, l’esperto deve dichiarare nella relazione finale che le trattative si sono svolte secondo correttezza e buona fede.

Qualora i requisiti di cui sopra dovessero risultare soddisfatti, l’imprenditore potrà presentare una proposta di concordato per la cessione dei beni unitamente al piano di liquidazione.

La verifica sulla sussistenza dei predetti requisiti di accesso è demandata al Tribunale, il quale, ai sensi dell’art. 25-sexies, comma 3, CCII, prima di pronunciare il decreto di apertura del concordato semplificato (con il quale altresì nomina l’ausiliario e ordina la comunicazione della proposta ai creditore fissando altresì la udienza per l’omologazione) deve valutare la ritualità della proposta, acquisendo la relazione finale dell’esperto e il parere di quest’ultimo con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione e alle garanzie offerte.

Ciò premesso, allo stato, considerata la estrema novità del concordato semplificato e della normativa sulla composizione negoziata (entrata definitivamente in vigore il 15 novembre 2021 per quanto attiene al DL 118/21 modificato con la legge di conversione 21 ottobre 2021, n. 147, e poi riconfermata e integrata nel CCII entrato in vigore il 15 luglio 2022), poche sono state le occasioni per la giurisprudenza di affrontare questa nuova tipologia di concordato.

Tuttavia, alcuni recenti provvedimenti si sono soffermati sul vaglio di ritualità che il Tribunale deve effettuare prima di dichiarare aperto il concordato semplificato.

Si tratta di provvedimenti di notevole interesse in quanto delineano importanti barriere all’ingresso a questa procedura e fondate su una attenta valutazione del comportamento delle parti nella fase precedente e necessaria della composizione negoziata.

3. Le barriere all’ingresso fissate dalle prime pronunce di merito

Il tema è stato di recente e compiutamente approfondito dal Tribunale di Firenze[4], che dopo una attenta disamina della relazione dell’esperto e delle attività svolte dalle parti durante la fase della composizione negoziata, ha dichiarato non sussistenti i presupposti per la presentazione della domanda di concordato semplificato.

In primo luogo, il Tribunale ha evidenziato come la relazione dell’esperto allegata con il ricorso per l’omologazione non contenesse alcuna dichiarazione relativamente allo “svolgimento delle trattative secondo correttezza e buona fede”. Tale dichiarazione, tuttavia, veniva resa con il parere dell’esperto acquisito ai sensi dell’art. 25-sexies, comma 3, CCII.

Già su questo aspetto si potrebbero porre i primi dubbi interpretativi.

E infatti la normativa sembrerebbe imporre che la dichiarazione sul fatto che le trattative si sono svolte secondo correttezza e buona fede debba essere contenuta nella relazione finale dell’esperto ai sensi dell’art. 17, comma 8, CCII, e non nel parere di quest’ultimo reso ai sensi dell’art. 25 sexies, comma 3, CCII. Del resto, quest’ultimo parere ha una formazione necessariamente successiva alla relazione finale, nella quale dovrebbe essere invece contenuta la dichiarazione relativa allo svolgimento delle trattative e che dovrebbe fungere da presupposto, in primo luogo per l’imprenditore, per comprendere se vi siano i requisiti formali per poter domandare l’accesso al concordato semplificato.

Tuttavia, il Tribunale di Firenze, essendosi l’esperto pronunciato relativamente allo svolgimento delle trattive nel parere di cui all’art. 25-sexies, comma 3, CCII, ha ritenuto che la precedente mancanza contenuta nella relazione finale potesse considerarsi superata.

Si tratta di principio rilevante, in quanto consente di fatto di sopperire ad eventuali mancanze della relazione finale (che già di per sé dovrebbero determinare l’impossibilità di accedere al concordato semplificato) con il successivo parere dell’esperto previsto all’art. 25-sexies, comma 3, CCII.

Per quanto tale conclusione possa apparire in contrasto con la lettera della norma – in quanto il parere dell’esperto ex art. 25-sexies, comma 3, CCII dovrebbe avere un contenuto ben determinato e relativo solo “ai presumibili risultati della liquidazione” – è da ritenere condivisibile, tenuto conto che, diversamente opinando, si potrebbe ritenere che detta mancanza, imputabile all’esperto, sia in grado di riverberare negativamente sulla posizione del debitore, impedendogli di fatto l’accesso al concordato semplificato.

Effettuata tale valutazione di carattere preliminare, il Tribunale di Firenze ha poi proceduto all’esame nel merito del parere dell’esperto ai fini del vaglio di ritualità.

Il Tribunale ha dato atto che, nella fattispecie considerata, il parere dell’esperto forniva due diverse dichiarazioni, l’una positiva e l’altra negativa, a seconda dell’opzione interpretativa relativa a che cosa debba intendersi per svolgimento delle trattative secondo correttezza e buona fede, e ha colto dunque l’occasione per pronunciarsi sul relativo significato.

In primo luogo, il Tribunale ha precisato che non è sufficiente che la domanda di omologazione del concordato semplificato sia stata preceduta dalla composizione negoziata e dallo svolgimento di trattative, ma occorre che risulti dalla dichiarazione dell’esperto che queste ultime si sono svolte in modo regolare e con correttezza e buona fede. Occorre inoltre che al termine delle stesse, come precisa l’art. 25-sexies, comma 1, CCII, siano risultate non praticabili le soluzioni individuate ai sensi dell’art. 23, commi 1 e 2, lett. b), CCII.

Osserva il Tribunale che l’esigenza di regolarità e correttezza delle trattative è correlata all’assenza nella procedura di concordato semplificato della fase della votazione dei creditori. Il legislatore avrebbe infatti ritenuto giustificata tale semplificazione procedurale in considerazione della precedente partecipazione dei medesimi creditori alle trattative condotte secondo correttezza e buona fede durante la composizione negoziata.

Secondo i giudici di merito detta correlazione consente di delineare il significato da attribuire al requisito della buona fede, poiché per i creditori la partecipazione alle trattative condotte secondo correttezza e buona fede sostituisce il loro diritto di votare sulla proposta concordataria.

Di talché, sempre secondo il Tribunale di Firenze, il requisito dello svolgimento in buona fede delle trattative postula quanto segue:

  1. che vi sia stata una effettiva e completa interlocuzione con i creditori interessati dal piano di risanamento (non tutti necessariamente, fermo restando che quelli non coinvolti devono ricevere regolare soddisfazione) e, quindi, che i creditori abbiano ricevuto complete e aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’imprenditore, nonché sulle misure per il risanamento proposte, e che abbiano potuto esprimersi su di esse;
  2. poiché costituisce presupposto per l’accesso al concordato semplificato che non siano risultate praticabili le soluzioni individuate ai sensi dell’art. 23, commi 1 e 2, lett. b), CCII (contratto, convenzione di moratoria, accordo con gli effetti del piano attestato, accordo di ristrutturazione dei debiti), è necessario che le trattative si siano svolte con la sottoposizione ai creditori di una (o più) proposte con le forme di tali soluzioni, ipotesi cui soltanto il citato art. 23, comma 1, CCII ricollega la conclusione delle trattative con l’esito (positivo) del superamento della situazione di cui all’art. 12 CCII;
  3. al fine di consentire ai creditori una partecipazione informata sarebbe altresì necessario fornire ai creditori una comparazione del soddisfacimento loro assicurato dalle predette soluzioni con quello che potrebbero ottenere dalla liquidazione giudiziale.

Ciò premesso in principio, il Tribunale ha ritenuto che nella fattispecie concreta sottoposta al proprio esame non potesse sostenersi che le trattative si erano svolte secondo le modalità come sopra delineate.

E infatti dall’esame svolto dai giudici di merito, nella fattispecie concreta risultava che:

  • erano stati coinvolti solo alcuni creditori, in particolare quelli appartenenti al ceto bancario;
  • non era stata sottoposta alcuna specifica soluzione ai creditori;
  • non era stata sottoposta una soluzione veicolata nelle forme di cui all’art. 23, commi 1 e 2, lett. b), CCII (la società aveva sempre e soltanto insistito sulla previsione, contenuta soltanto nel piano, della continuità diretta, ma non aveva formulato una specifica proposta ai creditori su cui raccogliere il consenso di questi per la conclusione di un contratto, convenzione o accordo, di risanamento o ristrutturazione);
  • nemmeno, di conseguenza, era stata ipotizzata alcuna comparazione con i risultati di una liquidazione giudiziale.

Il Tribunale ha dato, infine, atto che nella specie, secondo la relazione dell’esperto, la continuazione dell’attività di impresa da parte della società presupponeva il sostegno bancario, sia sotto forma di riscadenzamento del debito esistente sia sotto forma di concessione di nuovi finanziamenti, e che le trattative si erano concretizzate in incontri e contatti con le Banche creditrici aventi ad oggetto unicamente la richiesta di dilazione del debito esistente e di nuova finanza e, venuta meno ogni prospettiva di sostegno da parte dei creditori bancari, si sono arrestate prima di sfociare in una proposta specifica ai creditori.

Alla luce di quanto sopra, i giudici hanno ritenuto le trattive incomplete, in quanto in particolare sarebbe mancata con i creditori l’interlocuzione necessaria su una proposta specifica.

Secondo il Tribunale di Firenze tale mancanza non consente di ritenere sussistenti i presupposti per l’accesso alla procedura di concordato semplificato, nella quale i creditori non potrebbero più esprimere alcun dissenso se non nelle forme, più gravose, dell’opposizione all’omologazione

In un altro recente arresto del Tribunale di Bergamo[5], è stato ritenuto inammissibile il ricorso al concordato semplificato, in quanto in esito al percorso di composizione negoziata era risultato praticabile il ricorso all’accordo di ristrutturazione dei debiti con transazione fiscale.

Nella fattispecie, infatti, era emerso dalla relazione dell’esperto che era chiaro a tutti i soggetti coinvolti nelle trattive che l’unica strada percorribile per l’imprenditore per una possibile soluzione fosse il ricorso alla transazione fiscale, istituto che trova spazio unicamente negli accordi di ristrutturazione e nel concordato preventivo.

La relazione dell’esperto aveva ritenuto lo strumento della transazione fiscale non impraticabile all’esito della composizione negoziata, tanto più che gli stessi creditori interpellati avevano proprio sollecitato il ricorso a quest’ultimo.

Alla luce di quanto sopra, il Tribunale di Bergamo ha ritenuto dunque non possibile l’accesso al concordato semplificato, in quanto il comma 1 dell’art. 25-sexies CCII consente l’accesso alla procedura solo in via residuale, ove risulti impraticabile una delle soluzioni previste dall’art. 23, commi 1 e 2, lettera b), CCII (nella specie infatti come visto risultava secondo la relazione dell’esperto praticabile la soluzione di cui all’art. 23, comma 2, lett. b, CCII e dunque l’accesso ad un accordo di ristrutturazione nell’ambito del quale l’imprenditore avrebbe potuto proporre la transazione fiscale).

Secondo il Tribunale “Il concordato semplificato è, infatti, concepito dal legislatore alla stregua di extrema ratio, cui affidarsi in ipotesi in cui non sussista altro bivio operativo possibile e l’intera gamma degli strumenti di regolazione della crisi – tanto contrattuali, quanto concorsuali (differenti dal concordato) annoverati dall’art. 23 come esiti fisiologici della composizione negoziata, siano indicati dall’esperto come impraticabili”.

Come il Tribunale di Firenze, anche il Tribunale di Bergamo nel proprio percorso motivazionale si è premurato di fissare i presupposti per accedere al concordato semplificato, specificando che devono sussistere congiuntamente e declinandoli come segue:

Ai sensi dell’art.25 sexies CCII, affinché il debitore possa accedere al concordato semplificato è necessario:

A) che le trattative avviate in seno alla composizione negoziata si siano svolte con correttezza e buona fede,

B) che una soluzione idonea al superamento della situazione di crisi non sia stata trovata per mezzo dei possibili sbocchi del procedimento (che si identificano: a) nel contratto con uno o più creditori idoneo ad assicurare la continuità aziendale per due anni, b) nella convenzione di moratoria di cui all’art.62 c) in un accordo sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori e dall’esperto che produca gli effetti del piano attestato),

C) che, nonostante l’impegno delle parti a concludere proficuamente il percorso dinanzi all’esperto, neppure possa essere prospettata dal debitore una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione (essendo già palese il mancato assenso dei creditori)”.

4. Conclusioni

I due precedenti sopra esaminati hanno il pregio di avere per primi interpretato in concreto il disposto di cui al comma 1 dell’art. 25-sexies CCII e cercato di fissare quelli che sono i presupposti per accedere al concordato semplificato e per passare il vaglio di ritualità imposto al Tribunale dal comma 3 dell’art. 25-sexies CCII.

I principi delineati possono infatti riassumersi come segue:

  1. il requisito necessario dello svolgimento in buona fede e correttezza delle trattative postula che vi sia stata una effettiva e completa interlocuzione con tutti i creditori interessati dal piano di risanamento;
  2. deve essere fornita ai creditori una comparazione del soddisfacimento loro assicurato dalle predette soluzioni con quello che potrebbero ottenere dalla liquidazione giudiziale;
  3. le trattative si devono sviluppare con la sottoposizione ai creditori di una (o più) proposte con le forme previste dall’art. 23, commi 1 e 2, lett. b).

Si tratta a nostro avviso di una lettura corretta e in linea con la specialità dell’istituto, che si pone appunto come extrema ratio a cui l’imprenditore può fare accesso in ipotesi in cui non sussista un’altra opzione concretamente praticabile come delineata dal legislatore.

Tuttavia, considerato lo stringente e completo esame svolto dal Tribunale di Firenze sulla relazione dell’esperto e sul concreto svolgimento delle trattative, viene naturale porsi la domanda di quante effettivamente saranno le domande di concordato semplificato che saranno in grado di superare il vaglio di ritualità del Tribunale[6].

Nell’esperienza sin qui avuta in percorsi di composizione negoziata, pur anche nelle ipotesi più virtuose ove le parti (imprenditore da un lato e creditori o categorie di creditori dall’altro) hanno instaurato un tavolo di trattative, difficilmente abbiamo visto la sottoposizione ai creditori di una concreta proposta o soluzione tra quelle previste dall’art. 23, commi 1 e 2, lett. b). Vuoi perché sin dall’inizio delle trattative alcuni creditori (pur partecipando alle stesse attivamente e in buona fede) si sono rilevati non interessati al piano proposto dall’imprenditore, vuoi per le stringenti tempistiche (il percorso dovrebbe concludersi auspicabilmente in circa sei mesi, prorogabili in determinate condizioni di ulteriori sei), vuoi per effettiva assenza di prospettive di risanamento in una ottica di continuità aziendale[7].

Se infatti il Tribunale di Bergamo ha ritenuto inammissibile il ricorso al concordato semplificato in quanto in esito al relativo percorso era risultato, in base a quanto esposto dall’esperto, praticabile il ricorso all’accordo di ristrutturazione dei debiti con transazione fiscale, il Tribunale di Firenze, con un giudizio più severo, ha ritenuto le trattative incomplete, in quanto sarebbe mancata con i creditori l’interlocuzione su una proposta specifica, pur allo stesso tempo dando espressamente atto che le trattative si sono svolte in buona fede e si sono sviluppate in una interlocuzione con specifiche richieste effettuate dall’imprenditore ai creditori.

A tal proposito non va dimenticato che nell’ambito del concordato semplificato, pur in assenza del voto, è comunque previsto uno strumento di reazione per i creditori, i quali potranno sempre sollevare questioni di ritualità o esprimere il loro motivato dissenso alla proposta con l’opposizione all’omologa (in base all’art. 25-sexies, comma 4, CCII).

La interpretazione del Tribunale di Firenze, pur condivisibile, a nostro avviso potrebbe restringere particolarmente le possibilità di successo e di accesso al neo introdotto strumento del concordato semplificato.

 

[1] In dottrina, sul concordato semplificato cfr. G. Bozza, Il concordato semplificato introdotto dal d.l. n. 118 del 2021, convertito, con modifiche dalla l. n. 147 del 2021, 9 novembre 2021, in www.dirittodellacrisi.it; A. Crivelli, Le procedure liquidatorie negli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, 19 settembre 2022, in www.ilfallimentarista.it; F. Lamanna, Il concordato semplificato: incentivo per la composizione negoziata o arma “sleale” e “letale”, 27 aprile 2022, in www.ilfallimentarista.it; M. Vitiello, Il concordato semplificato: tra liquidazione del patrimonio e continuità indiretta, 26 aprile 2022, in www.ilfallimentarista.it.

[2] L’art 18 del DL 118/21 prevedeva quasi specularmente quanto segue:

1. Quando l’esperto nella relazione finale dichiara che le trattative si sono svolte secondo correttezza e buona fede, che non hanno avuto esito positivo e che le soluzioni individuate ai sensi dell’articolo 11, commi 1 e 2, non sono praticabili, l’imprenditore può presentare, nei sessanta giorni successivi alla comunicazione di cui all’articolo 5, comma 8, una proposta di concordato per cessione dei beni unitamente al piano di liquidazione e ai documenti indicati nell’ articolo 161, secondo comma, lettere a), b), c) e d), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 . La proposta può prevedere la suddivisione dei creditori in classi.

  1. L’imprenditore chiede l’omologazione del concordato con ricorso presentato al tribunale del luogo in cui l’impresa ha la propria sede principale. Il ricorso è comunicato al pubblico ministero e pubblicato, a cura del cancelliere, nel registro delle imprese entro il giorno successivo al deposito in cancelleria. Dalla data della pubblicazione del ricorso si producono gli effetti di cui agli articoli 111, 167, 168 e 169 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267.
  2. Il tribunale, valutata la ritualità della proposta, acquisiti la relazione finale di cui al comma 1 e il parere dell’esperto con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione e alle garanzie offerte, nomina un ausiliario ai sensi dell’articolo 68 del codice di procedura civile, assegnando allo stesso un termine per il deposito del parere di cui al comma 4 (…)”.

[3]L’art 17, comma 5, CCII, che disciplina l’accesso alla composizione negoziata e il suo funzionamento, prevede, infatti, che l’esperto, accettato l’incarico, deve convocare senza indugio l’imprenditore per valutare l’esistenza di una concreta prospettiva di risanamento. Se non ravvisa concrete prospettive di risanamento, all’esito della convocazione o in un momento successivo, l’esperto deve darne notizia all’imprenditore e al segretario generale della camera di commercio che dispone l’archiviazione dell’istanza di composizione negoziata entro i successivi cinque giorni lavorativi.

[4] Tribunale di Firenze, 31 agosto 2022, Pres. Est. Legnaioli, in www.ilcaso.it.

[5] Trib. Bergamo, 23 settembre 2022, Pres. Est. De Simone, in www.dirittodellacrisi.it;

[6] Sul punto cfr. F. Lamanna, Il concordato semplificato: incentivo per la composizione negoziata o arma “sleale” e “letale”, 27 aprile 2022, in www.ilfallimentarista.it “(…) il concordato semplificato ha peculiari presupposti, mirati a garantirne comunque un utilizzo non abusivo, come è a dirsi per la necessità che le trattative svolte nell’ambito della composizione negoziata abbiano avuto un esito negativo non per colpa dell’imprenditore e che le trattative si siano svolte secondo correttezza e buona fede; condizioni, entrambe, che vanno poi anche certificate nella relazione finale dell’esperto. Il paradosso è, però, che tali condizioni vengono definite come requisiti di ammissibilità (come fa ad es., tra gli altri, nel sopra citato contributo, anche M. Vitiello), i quali sarebbero come tali soggetti ad un immediato controllo da parte del tribunale, pur mancando, però, nel concordato semplificato, una fase di accertamento dei requisiti di ammissibilità in cui possa svolgersi davvero tale pregiudiziale sindacato, di modo che il tribunale, in caso di report negativo dell’esperto, possa evitare di nominare l’ausiliario (spuria figura di consulente inspiegabilmente introdotta al posto del classico commissario giudiziale) e di fissare l’udienza di omologa. Mancando nel concordato semplificato la fase di ammissione prevista invece nel concordato tradizionale, il tribunale può e deve limitarsi invece soltanto a valutare la ritualità della proposta (ex art. 18, comma 3, D.L. 118/2021), ed è appena il caso di notare che un conto è valutare la ritualità della proposta, ben altro valutare le condizioni e i requisiti di ammissibilità al (e del) concordato.

Nella valutazione circa la (sola) ritualità della proposta, ad esempio, può rientrare, a rigore, il controllo sul se l’esperto abbia formulato il proprio parere sulla correttezza e buona fede tenute dal debitore nel corso delle trattative, ma non invece un sindacato sulla veridicità o attendibilità nel merito di tale parere (sindacato che, del resto, anche qualora in via interpretativa potesse considerarsi possibile o plausibile, potrebbe compiersi al più “allo stato degli atti”, ossia senza alcuna concreta possibilità di esperire un’istruttoria ad hoc in una sede di preliminare ammissione, il che lo renderebbe puramente formale, senza alcuna effettiva possibilità per il tribunale di confutare le considerazioni svolte dall’esperto con riferimento ad una fase anteriore delle trattative in cui è stato di norma assente, senza poter svolgere alcuna sorveglianza).

In ultima analisi, la mancanza di una fase di ammissione non può affatto considerarsi un’innocua semplificazione idonea solo ad accorciare i tempi del procedimento, ma è invece una pericolosa anomalia procedimentale, perché lascia di fatto nelle sole mani dell’esperto la concreta decisione sull’accesso al concordato semplificato, eliminando ogni reale potere di controllo preventivo da parte del tribunale (potere che esso, eventualmente, potrebbe esercitare – ma con le difficoltà che comunque permarrebbero quanto alla valutazione sul merito della dichiarazione dell’esperto -, solo nella successiva sede dell’omologa).

Peraltro, il ristretto perimetro in cui può spaziare la valutazione del tribunale circa la ritualità della proposta di concordato semplificato non mi pare affatto che possa autorizzare – come invece pure si ipotizza – che un’indagine del tribunale possa estendersi con ampiezza indeterminata ad altri profili del concordato semplificato, come ad esempio quello della regolare formazione delle classi (…)”.

[7] I dati aggiornati al 23 settembre 2022 pubblicati da Unioncamere rivelano che le istanze di composizione negoziata a quella data depositate risultano essere 386. Dall’analisi delle istanze, risulta che 263 imprese (il 68,13% del totale) hanno richiesto le misure protettive, ex art. 18 CCII. In totale, le istanze chiuse sono circa il 23% delle istanze totali.

Le principali motivazioni per cui le istanze vengono chiuse è l’assenza di prospettive di risanamento (in 35 casi su 66), condizione necessaria per l’accesso all’istituto, la conclusione negativa della fase di trattazione (13 su 66) oppure la rinuncia da parte dell’imprenditore (7 casi su 66). Al momento, solo in tre casi, la procedura di composizione negoziata ha portato alla conclusione di un accordo con i creditori, di cui all’art. 23, comma 1, lett. a), CCII. La durata media delle trattative è di 82 giorni.

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