Con le risposte ad interpello nn. 314 e 315 del 7 settembre 2020 si consolida la posizione dell’Agenzia delle Entrate (già espressa nelle recenti risposte nn. 229/2020 e 309/2020) secondo cui il nuovo regime di conferimento in “realizzo controllato” previsto dall’art. 177, comma 2-bis, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (di seguito, “T.U.I.R.”)[1], non trova applicazione in caso di conferimenti plurimi effettuati da soggetti distinti[2]. Come noto, il conferimento effettuato in regime di “realizzo controllato” fa dipendere i suoi effetti sul piano fiscale, limitatamente al realizzo di plusvalenze[3], dal comportamento contabile adottato dalla società conferitaria, prevedendo – al ricorrere di determinate condizioni – che il conferente non realizzi alcuna plusvalenza imponibile qualora il valore di iscrizione della partecipazione e, pertanto, l’incremento di patrimonio netto effettuato dalla società conferitaria riconducibile al conferimento, risulti pari all’ultimo valore fiscale della partecipazione conferita iscritto presso il soggetto conferente[4].
In principio, tale regime era applicabile con riferimento alla sola ipotesi (contenuta nel comma 2 dell’art. 177) di conferimento di azioni o quote mediante le quali la società conferitaria acquisisce ovvero incrementa il controllo di una società (ex art. 2359, comma 1, n. 1, c.c.), in virtù di un obbligo legale o di un vincolo statutario. Con l’introduzione del comma 2-bis dell’art. 177 lo stesso trattamento fiscale è stato esteso ai conferimenti che hanno ad oggetto partecipazioni che superano determinate soglie di “qualificazione” (a prescindere, quindi, dell’acquisizione ovvero incremento del controllo della società conferita).
In particolare, secondo tale disciplina sono “agevolati” anche i conferimenti che verificano, congiuntamente, le seguenti condizioni: a) le partecipazioni conferite rappresentano, complessivamente, una percentuale di diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria superiore al 2 o al 20% ovvero una partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 5 o al 25%, a seconda che si tratti di titoli negoziati in mercati regolamentati o di altre partecipazioni; b) le partecipazioni sono conferite in società, esistenti o di nuova costituzione, interamente partecipate dal conferente[5].
Ciò premesso, mentre in relazione al comma 2 dell’art. 177 l’Agenzia delle Entrate ritiene (nel silenzio della norma) che il regime di realizzo controllato possa trovare applicazione con riferimento a conferimenti plurimi di più soggetti che consentano alla società acquirente di assumere il controllo della società scambiata (purché realizzati “uno actu”, e cioè con il medesimo atto giuridico), il riferimento letterale al “conferente” contenuto nella lett. b) del comma 2-bis: “porta a ritenere che la volontà del legislatore sia quella di favorire la costituzione di holding esclusivamente unipersonali per la detenzione di partecipazioni qualificate” (cfr., da ultimo, la citata risposta n. 315/2020). Nell’ambito del regime delineato dall’art. 177 del T.U.I.R. coesisterebbero pertanto due discipline aventi presupposti ed ambiti di applicazione differenti, essendone diverse le rispettive finalità: mentre l’obiettivo del regime previsto nel comma 2 è il conseguimento del c.d. controllo di diritto della società scambiata (da valutare avendo riguardo alla posizione della conferitaria e non del/i conferente/i), nelle operazioni riconducibili al comma 2-bis viene invece attribuita rilevanza all’oggetto del conferimento che deve essere una partecipazione qualificata (ex art. 67, comma 1, lett. c-bis) del T.U.I.R.) e al requisito del controllo totalitario della società conferitaria in capo al conferente, il quale sostanzialmente converte una partecipazione qualificata diretta in una partecipazione qualificata indiretta detenuta attraverso la conferitaria.
Tale posizione interpretativa porta a concludere che, ai fini dell’integrazione della condizione a) del comma 2-bis – secondo cui le partecipazioni conferite devono rappresentare “complessivamente” determinate soglie qualificate –, la possibilità di cumulare più conferimenti e di tenere quindi conto della percentuale di diritti di voto e di partecipazione al capitale globalmente “scambiate”, non possa che riguardare partecipazioni dirette ed indirette detenute dal medesimo soggetto conferente.
Detta impostazione, pur poggiando sul dato testuale della norma, non appare del tutto appagante sul piano sistematico, ove si consideri che due soggetti distinti, ciascuno dei quali ha il 21% dei diritti di voto della società Alfa, potrebbero conferire le rispettive partecipazioni in due società conferitarie unipersonali (Beta e Gamma) beneficiando del regime di realizzo controllato e disporne successivamente la fusione, laddove lo stesso regime è escluso in relazione al conferimento congiunto del 42% dei diritti di voto di Alfa in favore di un’unica società conferitaria Delta partecipata in misura paritetica.
Nella specie, tuttavia, la concatenazione delle operazioni (id est, i due conferimenti “disgiunti” in regime di realizzo controllato, seguiti dalla fusione), in luogo di un doppio conferimento in una Newco rappresenterebbe un percorso negoziale sindacabile mediante lo strumento dell’abuso del diritto ex art. 10-bis della L. n. 212/2000, in quanto più tortuoso e sostanzialmente volto a beneficiare del regime di favore del comma 2-bis, in luogo della tassazione a valore normale ex art. 9 del T.U.I.R. che avrebbe caratterizzato il doppio conferimento diretto[6].
Pare diverso, in un’ottica anti-abuso, il caso in cui a seguito del conferimento agevolato del 26% dei diritti di voto della società Alfa in una conferitaria unipersonale Beta, Beta sia oggetto di fusione con una società appartenente a soci terzi (non aventi interessenze pregresse in Alfa[7]), ove si consideri che il sindacato anti-abuso non dovrebbe spingersi sino al punto di censurare qualsiasi operazione straordinaria di aggregazione della società conferitaria con soggetti terzi, non potendosi richiedere che la natura “unipersonale” della conferitaria permanga sine die.
Tale conclusione dovrebbe trovare ulteriore conforto nel fatto che la disciplina in analisi già prevede espressamente dei presidi antielusivi, laddove pone in capo alla società conferitaria, ai fini dell’applicazione della Pex in caso di successiva cessione della partecipazione ricevuta, il requisito “rafforzato” dell’ininterrotto possesso per almeno 60 mesi da quello di effettuazione del conferimento (in luogo degli ordinari 12 mesi previsti ex art. 87 T.U.I.R.).
Peraltro, anche in considerazione della “vocazione” della norma di agevolare i conferimenti da parte dei soggetti non imprenditori, il tema dell’abuso del diritto può trovare applicazione anche con riguardo al comparto delle imposte di successione e donazione, allorquando il conferimento della partecipazione qualificata nella holding unipersonale possa essere considerato un’operazione preordinata alla “precostituzione” dei presupposti per l’esenzione d’imposta ai sensi dell’art. 3, comma 4-ter, del D.Lgs 31 ottobre 1990, n. 346[8]. Il caso tipico è quello della “concentrazione” mediante conferimento in realizzo controllato di partecipazioni di minoranza in una holding unipersonale al fine di consentire il passaggio generazionale mediante donazione in esenzione d’imposta delle azioni della holding ai figli o ad una comunione indivisa tra gli stessi.
Alla luce dei casi già trattati dall’Agenzia dell’Entrate con riferimento all’art. 177, comma 2 del T.U.I.R. (cfr. risposta ad interpello n. 450 del 30 ottobre 2019), la sussistenza di un intento abusivo può escludersi ove la partecipazione oggetto di conferimento sia essa stessa di controllo, ai sensi dell’art. 2359, comma 1, n. 1, c.c., di talché il beneficio dell’esenzione dall’imposta di donazione sarebbe comunque spettato in caso di donazione diretta ai discendenti delle azioni o quote conferite[9]. Al contrario, potrebbero essere soggette al sindacato di abuso le operazioni aventi ad oggetto partecipazioni minoritarie (tra cui i conferimenti ex comma 2-bis) attraverso le quali si precostituiscono in capo alla società conferitaria – le cui azioni saranno oggetto di successiva donazione – “le condizioni di controllo di cui all’articolo 2359, primo comma, numero 1), del codice civile richieste dal menzionato articolo 3, comma 4-ter, del d. lgs. n. 346 del 1990” per fruire dell’esenzione (cfr., in relazione al diverso caso della precostituzione del controllo totalitario mediante scissione non proporzionale, la risposta ad interpello n. 537 del 24 dicembre 2019).
Un’altra questione sollevata dall’istante, non trattata nell’ambito delle risposte nn. 314 e 315 del 2020 in quanto assorbita dalla risposta negativa concernente la possibilità di effettuare conferimenti plurimi, riguarda la nozione di “holding” da assumere agli effetti del secondo periodo del comma 2-bis dell’art. 177 del T.U.I.R..
Al riguardo, pur in assenza di un richiamo espresso nel comma 2-bis dell’art. 177 del T.U.I.R., pare corretto fare riferimento alla nozione di società di partecipazione di cui all’art. 162-bis, comma 1, lett. b) e c), del T.U.I.R. e, di conseguenza, ai commi 2 e 3 del medesimo articolo, secondo cui l’esercizio in via prevalente di attività di assunzione di partecipazioni (a seconda dei casi, in intermediari finanziari o in soggetti diversi da questi) sussiste quando, in base ai dati del bilancio approvato relativo all’ultimo esercizio chiuso, l’ammontare complessivo delle partecipazioni in detti soggetti e degli altri elementi patrimoniali intercorrenti con gli stessi, unitariamente considerati, sia superiore al 50% del totale dell’attivo patrimoniale[10].
Depone in tal senso la relazione illustrativa all’art. 12 del D.Lgs. 29 novembre 2018, n. 142 (“Decreto ATAD”) che ha introdotto l’art. 162-bis ove si afferma che tale disposizione, volta a “definire l’ambito soggettivo degli intermediari finanziari, delle holding finanziarie e di quelle non finanziarie […] si applica a tutte le disposizioni dell’ordinamento tributario che fanno riferimento a tali soggetti”, ivi incluso pertanto l’art. 177 comma 2-bis del T.U.I.R..
Ciò detto, restano ancora da chiarire i dubbi interpretativi connessi alla specifica disciplina prevista dal secondo periodo del comma 2-bis dell’art. 177 secondo cui: “[p]er i conferimenti di partecipazioni detenute in società la cui attività consiste in via esclusiva o prevalente nell’assunzione di partecipazioni” le predette soglie di partecipazione qualificata “si riferiscono a tutte le società indirettamente partecipate che esercitano un’impresa commerciale, secondo la definizione di cui all’articolo 55, e si determinano, relativamente al conferente, tenendo conto dell’eventuale demoltiplicazione prodotta dalla catena partecipativa”[11].
Tale disposizione limita fortemente l’ambito di applicazione dell’agevolazione in caso di conferimento della partecipazione qualificata in una holding posto che, a prescindere dalle caratteristiche intrinseche della holding, richiede di adottare un approccio “look-through” per la verifica delle soglie di partecipazione in relazione alle società operative detenute al livello inferiore. A tal fine, la mera detenzione da parte della holding di una sola partecipazione in una società operativa sotto “soglia” precluderebbe a rigore la fruizione del regime[12].
Il meccanismo “look-through” dovrebbe tuttavia operare in entrambe le direzioni, sia scendendo sia risalendo lungo la catena partecipativa fino alla società commerciale, con la conseguenza che nel caso di conferimento “sotto soglia” di una holding non quotata che detenga (anche tramite sub-holding[13]) una partecipazione “qualificata” in una società operativa quotata, la demoltiplicazione della catena partecipativa dovrebbe essere verificata avendo riguardo solo alla percentuale del 2-5% della società quotata, senza considerare la discesa sotto la soglia del 20-25% in capo alla holding (o sub-holding) intermedia.
Pertanto, il conferimento del 15% di una holding non quotata Alfa che partecipa (anche indirettamente) al 40% una società operativa quotata Gamma potrebbe beneficiare del regime di neutralità indotta poiché, per effetto della demoltiplicazione, viene in ultima istanza “scambiato” il 6% della partecipazione nella società quotata (oltre il limite del 2-5% fissato per la verifica della “qualificazione” della partecipazione).
A tale risultato conduce lo stesso tenore letterale della norma, che riferisce il test della demoltiplicazione alle sole società operative (senza considerare holding o subholding). Infine, la demoltiplicazione non dovrebbe applicarsi alle società operative di secondo livello, in quanto detenute da società a loro volta esercenti attività commerciali (che arrestano l’operatività della demoltiplicazione).
Quanto al requisito della “commercialità” delle società indirettamente partecipate il comma 2-bis dell’art. 177 rinvia alla “definizione di cui all’articolo 55 del T.U.I.R.”, senza operare alcun rimando ai criteri di commercialità stabiliti, ai fini Pex, nell’ambito dell’art. 87 del T.U.I.R..
Tuttavia, sarebbe auspicabile l’applicazione in via analogica di quanto previsto dal comma 4 dell’art. 87 del T.U.I.R. ove è prevista una presunzione assoluta di commercialità in capo alle società (anche se holding o società senza impresa) i cui titoli sono negoziati in mercati regolamentati, non essendo concepibile l’utilizzo di una holding quotata per aggirare il requisito di qualificazione delle partecipazioni facendovi confluire partecipazioni “sotto soglia”.
[1] Tale disposizione è stata introdotta dall’art. 11-bis del D.L. 30 aprile 2019, n. 34 (di seguito, “Decreto Crescita”), convertito, con modificazioni, dalla L. 28 giugno 2019, n. 58. La collocazione ad opera del Decreto Crescita del nuovo comma 2-bis nell’ambito dell’art. 177 (in luogo dell’art. 175) rende evidente la volontà di favorire i conferimenti da parte di persone fisiche non imprenditori, soggetti esclusi dall’ambito applicativo dell’art. 175 del T.U.I.R.. Sul punto, cfr. R. Michelutti – F. Zecca, “Favoriti i conferimenti da parte dei non imprenditori”, in Il Sole 24 Ore, 23 luglio 2019, pag. 20.
[2] Non viene invece trattato (in quanto assorbito) il secondo quesito formulato nelle istanze di interpello circa la nozione di “holding” di partecipazione da assumere agli effetti del secondo periodo del comma 2-bis dell’art. 177.
[3] Cfr., da ultimo, Agenzia delle Entrate, principio di diritto n. 10 del 28 luglio 2020, secondo cui: “il criterio di valutazione previsto dall’articolo 177, comma 2 […] trova applicazione solo se dal confronto tra il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione conferita e la frazione di incremento di patrimonio netto della società conferitaria emerge una plusvalenza in capo al soggetto conferente. In caso di minusvalenze, invece, trova applicazione il principio generale del “valore normale” ed è lecito ritenere realizzate e fiscalmente riconosciute solo le minusvalenze determinate ai sensi dell’articolo 9 del TUIR” ciò “trova fondamento nella relazione illustrativa all’articolo 5 del Decreto legislativo n. 358 del 1997 (trasfuso nell’attuale articolo 177 del TUIR), che fa espresso riferimento alla “determinazione della plusvalenza” ed appare coerente, a livello sistematico, con l’esigenza di ammettere la deduzione delle (eventuali) minusvalenze […] solo nel caso in cui le partecipazioni conferite siano effettivamente minusvalenti”. Nello stesso senso, cfr. risoluzione n. 38/E del 20 aprile 2012.
[4] La disposizione in commento: “non delinea un regime di neutralità fiscale delle operazioni di conferimento ivi regolate, bensì prevede un criterio di valutazione delle partecipazioni ricevute a seguito del conferimento, ai fini della determinazione del reddito del soggetto conferente” (cfr. Agenzia delle entrate, circolare n. 33/E del 17 giugno 2010).
[5] La norma pone inoltre in capo alla società conferitaria, ai fini dell’applicazione della Pex in caso di successiva cessione della partecipazione ricevuta, la condizione dell’ininterrotto possesso per almeno 60 mesi da quello di effettuazione del conferimento, in luogo dei 12 mesi ordinariamente previsti dall’art. 87, comma 1, lett. a) del T.U.I.R.. La ratio di tale previsione parrebbe essere quella di evitare che un soggetto non imprenditore effettui il conferimento in analisi al solo fine di ottenere un trattamento impositivo più mite in relazione alle plusvalenze realizzate in virtù della successiva cessione delle partecipazioni conferite (ossia, il regime Pex in capo alla conferitaria) di quello che avrebbe avuto in caso di cessione diretta.
[6] Cfr. L. Miele, “Limiti per i conferimenti in “neutralità indotta”“, in Il quotidiano del commercialista, Eutekne, 4 maggio 2020; P. Ceppellini – R. Lugano, “Il conferimento di partecipazioni di minoranza: aspetti applicativi e profili abusivi”, in Corriere Tributario, n. 4-2020, p. 341 ss..
[7] In questo caso, a differenza dell’esempio precedente, l’assetto societario iniziale e quello finale vedono l’integrazione di due compagini sociali distinte. Per ulteriori considerazioni su queste tematiche, cfr. A. Garcea, “L’individuazione delle condotte abusive alla luce della nuova disciplina sul conferimento di partecipazioni di minoranza qualificata”, in La gestione straordinaria delle imprese, n. 2-2020, p. 16 ss..
[8] La richiamata disposizione prevede l’esenzione dall’imposta di successione e donazione per i trasferimenti a titolo gratuito a favore dei discendenti e del coniuge, effettuati anche tramite patti di famiglia, di quote e azioni sociali mediante le quali è acquisito o integrato il controllo della società trasferita, a condizione che i beneficiari del trasferimento proseguano l’attività d’impresa o mantengano il controllo della società per un periodo non inferiore a cinque anni.
[9] Nello stesso senso, in una successiva risposta ad interpello dell’Agenzia delle Entrate (n. 37 del 7 febbraio 2020) è stata considerata non abusiva un’operazione che ha visto il conferimento congiunto da parte di tre soci delle partecipazioni di una holding (detenuta al 33,33% da ciascun socio) in una neo-costituita super-holding in regime di realizzo controllato (ex art. 177, comma 2, del T.U.I.R.) ricevendo in cambio il 100% delle quote di quest’ultima in comunione tra i conferenti, con successivo trasferimento in esenzione da imposta di donazione delle partecipazioni sociali nella super-holding, da parte dei conferenti ai propri eredi tramite tre patti di famiglia collegati.
[10] Con riferimento alle holding finanziarie, il comma 2 dell’art. 162-bis prevede che occorre includere sia al numeratore (relativo alle società partecipate) sia al denominatore (relativo all’attivo patrimoniale) del rapporto anche “gli impegni ad erogare fondi e le garanzie rilasciate”, laddove analoga previsione non è contenuta al successivo comma 3, relativo alle società con partecipazione non finanziaria. Nella risposta fornita dal Ministero dell’Economia e delle Finanze all’interrogazione parlamentare n. 5-01951 del 17 aprile 2019, viene tuttavia chiarito che: “[p]er ragioni logico-sistematiche potrebbe essere opportuno estendere anche a tali società le predette regole dettate per le holding finanziarie”.
Per approfondimenti in relazione alla nuova definizione di holding cfr. Assonime, Circolare n. 16 del 24 luglio 2019. Per quanto qui d’interesse, assumono particolare rilievo le criticità interpretative connesse alla formulazione letterale dell’art. 162-bis, terzo comma, del T.U.I.R., secondo cui il requisito della prevalenza dell’attività di assunzione di partecipazioni deve essere verificata: “in base ai dati del bilancio approvato relativo all’ultimo esercizio chiuso”, sicché per un conferimento effettuato nell’anno x+1, anteriormente all’approvazione del bilancio relativo all’anno x, si pone il tema di capire se occorre considerare i dati di bilancio dell’anno x oppure dell’esercizio ancora precedente.
[11] La funzione di tale disposizione pare essere quella di evitare che si possano conferire partecipazioni sotto la soglia qualificata attraverso l’interposizione di una holding in cui sono state previamente “concentrate” le partecipazioni scambiate (cfr. in senso conforme, A. Prampolini – D. Canola, “Il nuovo conferimento a realizzo controllato di partecipazioni di minoranza qualificata”, in Bollettino Tributario, n. 20-2019, p. 1459 ss).
[12] Ad esempio, il conferimento del 50% della partecipazione di una holding Alfa, che detiene a sua volta il 60% della società operativa Beta potrebbe fruire del regime di realizzo controllato di cui al comma 2-bis dell’art. 177 del T.U.I.R. posto che, a seguito della demoltiplicazione, la partecipazione in Beta (30%) è comunque al di sopra delle soglie di qualificazione, ma la stessa operazione sarebbe automaticamente esclusa da tale regime se solo Alfa detenesse una partecipazione minoritaria in un’altra società operativa.
[13] Nel caso in cui la società partecipata dalla holding conferita fosse a propria volta una sub-holding, ci si chiede se si debba trattare anche la sub-holding alla stregua di un soggetto “trasparente” (con verifica delle soglie di partecipazione al livello inferiore) ovvero se non si possa invece verificare il requisito della commercialità direttamente in capo a quest’ultima come se fosse un soggetto “opaco”. Atteso che il presupposto delle soglie minime di partecipazione potrebbe essere aggirato anche attraverso l’interposizione della sub-holding, si ritiene corretto applicare a quest’ultima le stesse regole previste per la holding oggetto di conferimento, con la conseguenza che il requisito della commercialità andrebbe verificato in capo a “tutte” le società indirettamente partecipate per poi stabilire se, per effetto della demoltiplicazione, non si vada a conferire a cascata partecipazioni in società operative “sotto soglia”.