Il Tribunale di Milano, nella sentenza in esame, si occupa del conflitto di interessi, chiarendo che si tratta di un vizio da cui deriva l’annullabilità della deliberazione assembleare e che deve essere necessariamente sottoposto alla prova di resistenza, in forza della quale le deliberazioni non possono essere invalidate se, espungendo dal quorum deliberativo il voto del socio in posizione illegittima, sarebbero state adottate ugualmente.
Al fine di dimostrare il conflitto di interessi, in particolare, non è possibile invalidare il voto di un socio solo per effetto di un telegramma in cui riferisca in modo generico di un suo interesse nelle votazioni; al contrario, infatti, gli sarebbe riconosciuto un indebito ius poenitendi del tutto estraneo al sistema delle deliberazioni societarie e fortemente lesivo del fondamentale interesse alla loro stabilità.
Con riferimento all’invalidità delle deliberazioni di approvazioni del bilancio, inoltre, il Tribunale richiama l’art. 2434 bis c.c. che, esplicitando un interesse pubblicistico e la cui violazione, pertanto, è rilevabile d’ufficio dal giudice, consente impugnazioni solo di bilanci che abbiano una vigenza attuale e spieghino tutt’ora effetti. Viceversa non ammette impugnazioni di bilanci rispetto ai quali, non essendo più attuali determinate appostazioni, superate da più recenti rappresentazioni della situazione economico-patrimoniale della società, il legislatore presume una carenza di interesse. Tutto ciò sul principio di continuità dei bilanci e quindi della possibilità per i legittimati di impugnare le appostazioni o di dedurre carenze informative che, presenti nel bilancio più risalente, siano state riproposte, eventualmente con qualche variazione, sul bilancio successivo.
Il Tribunale, in seguito, a proposito dell’obbligo di informazione che incombe sull’amministratore a fronte della richiesta del socio, ne individua quale essenziale presupposto la pertinenza della richiesta, intesa come riferibilità della stessa alle risultanze di bilancio.
Con riferimento, invece, all’individuazione del vizio che determina la nullità del bilancio, la sentenza richiama il principio di rilevanza, in forza del quale il vizio suddetto è solo quello dal quale derivi un concreto pregiudizio per gli interessi tutelati dei soci e dei terzi, indotti in errore dall’inesatta informazione sulla consistenza patrimoniale e sull’efficienza economica della società.
Coordinando i principi sopra esposti, il Tribunale conclude che, proprio perché l’informazione richiesta deve essere pertinente alle risultanze del bilancio e la sua omissione lesiva di interessi patrimoniali o informativi di soci o di terzi, il socio impugnante ha l’onere di indicare le voci o le poste che risulterebbero non chiare o incomplete e la cui oscurità potrebbe essere dissipata dalle informazioni richieste. Il difetto di allegazione in ordine alle poste attinte dall’addebito di scarsa chiarezza o non intellegibilità non consente né alla controparte né al Giudice di valutare né la pertinenza della richiesta di informazioni alle risultanze del bilancio, né la capacità delle informazioni richieste di eliminare la sua supposta ma non espressamente dichiarata oscurità.