Sommario[*]: 1. Premessa: il conflitto tra soci nell’assemblea di s.r.l. – 1.1. Il conflitto tra soci titolari di partecipazioni paritetiche e quello tra maggioranza e minoranza. – 1.2. Le tutele statutarie: brevi cenni. – 2. Le tutele previste dall’ordinamento rispetto alla convocazione dell’assemblea scomoda. – 2.1. E rispetto allo svolgimento dell’assemblea scomoda. – 3. Il ruolo del presidente dell’assemblea. – 4. Conclusioni.
1. Quando l’originaria armonia di vedute della ristretta compagine sociale che ordinariamente contraddistingue le società a responsabilità limitata viene meno, è l’organo assembleare a divenire il più probabile teatro dello scontro tra i soci; scontro che, com’è intuibile, contribuisce al pregiudizio dell’originario intuitus personae che ha portato i soci a condividere un’iniziativa economica e, di conseguenza, compromette la normale capacità operativa della società stessa sul mercato di riferimento[1].
L’esperienza ci conferma che le occasiones belli possono essere le più varie: dalle diverse visioni operative al mancato accordo sulla distribuzione degli utili oppure su una modifica allo statuto; dall’ingresso delle seconde generazioni in azienda o perfino nell’organo amministrativo al desiderio del socio più dinamico di correre da solo, etc. Spesso, sono figlie di una scarsa attenzione, in sede di regolamentazione dei rapporti fra soci, alle modalità di prevenzione del conflitto societario e ad una loro proficua e costruttiva risoluzione. E, infine, molto frequentemente riguardano società con due soci partecipanti al capitale sociale in egual misura.
1.1. Si pensi, ad esempio, ad una società con due soci al 50% che non riescano ad accordarsi sull’acquisto di un ramo d’azienda da uno dei due ritenuto fondamentale per espandere il business della società[2]. Il disaccordo impedisce il formarsi di una maggioranza sul punto. Confinato ad una singola decisione – cosa che, purtroppo non accade frequentemente –, di carattere squisitamente straordinario ed inessenziale per la vita sociale, il conflitto non compromette l’ordinaria gestione e l’operatività della società.
Più complesso è, invece, il caso in cui il dissidio tra i due soci cada su deliberazioni aventi per oggetto questioni essenziali alla vita della società, quali la nomina dell’organo amministrativo o l’approvazione del bilancio; situazione, questa, che, come è noto, qualora si consolidasse giungendo ad uno stallo insuperabile, porterebbe allo scioglimento della società ai sensi dell’art. 2484, co. 1, pt. 3, c.c.[3].
Diverse, invece, sono le conseguenze della situazione in cui gli interessi contrapposti in assemblea siano rispettivamente supportati da quote di capitale non paritetiche che consentano alla maggioranza di soprassedere alla posizione della minoranza. Ad esempio, in una società in cui il socio di minoranza sia stato nominato amministratore, questi ben potrebbe essere revocato dalla carica dalla maggioranza[4].
1.2. Inutile dire che, se ciò avviene, molto dipende dal fatto che il socio di minoranza non si è adeguatamente cautelato convenendo un quorum deliberativo rafforzato sulla nomina dell’amministratore (così come su altre materie particolarmente rilevanti)[5] oppure, ai sensi dell’art. 2468, co. 3, c.c., un diritto (particolare) a contribuire all’amministrazione all’interno di un organo amministrativo pluripersonale o ancora, un “voto di lista”.
Lo stesso discorso, peraltro, va fatto con riferimento alle ipotesi di stallo sopra descritte: anche in tal caso, i soci avrebbero potuto prevedere, nello statuto o in un patto parasociale, diversi meccanismi per prevenire e gestire efficientemente la situazione, quali un buy and sell agreement volto a regolare l’exit di uno dei due soci dalla compagine sociale[6] o le meno “dirette” clausole relativa ad un periodo di conciliazione[7] o alla nomina di un arbitratore[8].
2. Dato per scontato l’ovvio rilievo che, se non episodicamente ed a causa di madornali errori della maggioranza, i rapporti di forza endosocietari non possono essere sovvertiti, mettiamoci nei panni della minoranza, assumendo che essa rivesta la carica di amministratore unico e che si appresti a condurre una battaglia assembleare utilizzando ogni mezzo lecito per evitare o anche solo per ritardare l’adozione della delibera di revoca. E muoviamo quest’analisi dall’esame della convocazionedell’assemblea.
Come è noto, l’art. 2479-bis, co. 1, rimette allo statuto la determinazione delle modalità di convocazione dell’assemblea dei soci, purché queste siano idonee ad assicurare la tempestiva informazione dei soci sugli argomenti da trattare. È altresì nota la prassi in base alla quale gli statuti, generalmente, affidano il potere di convocazione dell’assemblea al presidente dell’organo amministrativo, in caso di organo pluripersonale, o all’amministratore unico, in caso di organo unipersonale: l’autonomia statutaria è così fortemente ispirata sia dalla disciplina delle società azionarie, che all’art. 2366, co. 1, c.c., prevede espressamente che l’assemblea è convocata dall’amministratore unico, dal consiglio di amministrazione o dal consiglio di gestione; sia dall’art. 2479 c.c., il quale, al primo comma, sancisce che i soci decidono sulle materie riservate alla loro competenza dallo statuto, nonché sugli argomenti che uno o più amministratori sottopongono alla loro approvazione. La disposizione appena citata, peraltro, prevede altresì che i soci decidono sugli argomenti che il socio o i soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale sottopongono alla loro approvazione. A questo si aggiunga, poi, quanto previsto dal quarto comma dello stesso art. 2479: «quando lo richiedono uno o più amministratori o un numero di soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale, le decisioni dei soci debbono essere adottate mediante deliberazione assembleare».
L’art. 2479 c.c. ha spesso condotto il socio “qualificato” che non partecipa alla gestione della società a convocare direttamente l’assemblea, intendendo in tal modo superare l’ostruzionismo del socio – di minoranza ma – gestore. Invero, salvi i casi in cui lo statuto sociale conferisca ad uno o più soci il diritto particolare di convocare direttamente l’assemblea[9] o preveda espressamente che tanti soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale possano convocare direttamente l’assemblea; salve dette ipotesi, l’art. 2479 non sembra attribuire tale potere di convocazione diretta in capo al socio. Questo per almeno due ragioni: in primo luogo, l’art. 2479 attiene alle competenze decisionali dei soci e non alle modalità di convocazione dell’assemblea. La disposizione citata va tenuta distinta, quindi, quanto a contenuto e funzione, dall’art. 2479-bis, che è invece disposizione tecnica, procedimentale, in quanto attiene esclusivamente alle modalità di convocazione e di svolgimento dell’assemblea[10]. In secondo luogo, il dato letterale del quarto comma dell’art. 2479 prevede che il socio o i soci che rappresentano almeno un terzo del capitale richiedono che una decisione sia adottata mediante deliberazione assembleare[11]. Se ne ricava, pertanto, che la disposizione citata non conferisce al socio qualificato un autonomo potere di convocazione; tale potere spetta esclusivamente al soggetto o ai soggetti individuati dallo statuto[12]. Nel caso che ci occupa, esso rimane nelle mani dell’amministratore unico, ossia del socio di minoranza.
Questo significa che il socio di maggioranza dovrà richiedere la convocazione dell’assemblea al soggetto o ai soggetti individuati dallo statuto; richiesta che, salvo quanto specificheremo a breve, dovrà essere tempestivamente assecondata dal momento che, diversamente, non si comprenderebbe il motivo per il quale il legislatore abbia voluto specificare, al quarto comma dell’art. 2479 c.c., che una minoranza qualificata di soci può richiedere che la decisione su determinate materie sia presa con il metodo assembleare. Un rifiuto potrà essere opposto solo se la richiesta di convocazione appaia illegittima, immotivata o inutilmente ripetitiva di argomenti su cui si è già deliberato e tale, quindi, da configurare un abuso di diritto da parte dei richiedenti[13]. Essa potrà non essere assecondata anche quando non individui chiaramente i temi su cui deliberare (ad esempio, quando sia chiesto di convocare l’assemblea per deliberare su “questioni inerenti all’organo amministrativo”, celando così l’intenzione di revocarlo).
Delineati i tratti del “potere di non convocare”[14] l’assemblea richiesta da uno o più soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale, per completezza, viene da chiedersi se l’ordinamento offra agli stessi una qualche forma di tutela nel caso in cui alla loro richiesta non sia dato seguito senza alcuna giustificazione. Le soluzioni elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza sono diverse[15]: quella che sembra essere la più convincente consente al socio o ai soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale di convocare direttamente l’assemblea – solamente – in caso di inerzia del soggetto legittimato alla convocazione dallo statuto[16]. Questa soluzione, infatti, concilia il tenore letterale dell’art. 2479, co. 4, c.c., per il quale, come si è detto, la minoranza qualificata richiede che talune decisioni siano adottate mediante deliberazione assembleare, con il tipo societario della s.r.l., connotato da una semplificazione ed una conseguente maggiore celerità delle procedure interne.
Supponiamo che il socio gestore sia stato inerte e che quello di maggioranza si sia avvalso di tale residuale facoltà, provvedendo a convocare l’assemblea: nondimeno questi potrebbe avere commesso delle irregolarità nella convocazione. La disciplina sulla regolarità della convocazione vede come proprio punto di partenza l’art. 2479-bis, co. 1, che, come si è detto rimette all’autonomia statutaria la determinazione delle modalità di convocazione dell’assemblea purché le stesse siano idonee a garantire la tempestiva informazione dei soci sugli argomenti da trattare. La disposizione citata, poi, aggiunge che, in assenza di una apposita disposizione statutaria che ne disciplini le modalità, «la convocazione è effettuata mediante lettera raccomandata spedita ai soci almeno otto giorni prima dell’adunanza nel domicilio risultante dal registro delle imprese». Pertanto, la convocazione dell’assemblea non sarà regolare ogni qualvolta il relativo avviso non sia stato spedito[17] nei termini previsti dallo statuto o, in assenza una specifica clausola statutaria, entro gli otto giorni di legge[18]; non sarà regolare neppure nel caso in cui sia stata effettuata con un mezzo di comunicazione diverso da quelli previsti dallo statuto, o in mancanza di una specifica previsione a riguardo, dalla raccomandata – che la legge, comunque, non richiede preveda l’avviso di ricevimento – o dalla posta elettronica certificata[19].
Un ulteriore profilo di irregolarità, non certo infrequente, relativo alla convocazione dell’assemblea e, in particolare, all’avviso di convocazione, concerne l’informativa in esso contenuta e, più precisamente, l’elenco delle materie su cui l’assemblea è chiamata a deliberare (il c.d. “ordine del giorno”) e la chiarezza con cui tale elenco è presentato ai soci: in tal caso, richiamando le parole dell’art. 2479-bis, co. 1,l’irregolarità non interessa tanto la tempestività dell’informazione, quanto l’informazione stessa.
A riguardo, prendendo a prestito le parole della Suprema Corte, pare opportuno sottolineare che «l’indicazione, nell’avviso di convocazione dell’assemblea dei soci, dell’elenco delle materie da trattare ha la duplice funzione di rendere edotti i soci circa gli argomenti sui quali essi dovranno deliberare, per consentire la loro partecipazione all’assemblea con la necessaria preparazione ed informazione, e di evitare che sia sorpresa la buona fede degli assenti a seguito di deliberazione su materie non incluse nell’ordine del giorno»[20]. Si pensi, a titolo esemplificativo, a una proposta di deliberazione sulla “espansione dell’attività della società”, che celi l’intento di proporre l’acquisto di un ramo d’azienda: indicazione che, all’evidenza, non consente ai soci di arrivare sufficientemente preparati sull’argomento che sarà oggetto di discussione.Peraltro, giova precisare che, come ribadito sempre dalla Suprema Corte, «non è però necessaria un’indicazione particolareggiata delle materie da trattare, ma è sufficiente un’indicazione sintetica, purché chiara e non ambigua, specifica e non generica, la quale consenta ai soci la discussione e l’adozione da parte dell’assemblea dei soci anche delle eventuali deliberazioni consequenziali ed accessorie»[21].
Ciò detto, resta da comprendere se e come possa essere inibita la celebrazione di un’assemblea irregolarmente convocata. Seguendo un orientamento ormai consolidatosi[22], il socio può inibire la celebrazione dell’assemblea proponendo ricorso ex art. 700 c.p.c., strumento che, avendo «rilievo anticipatorio dell’accertamento della irritualità della convocazione, […] sarà anche caratterizzato da strumentalità attenuata, non essendo necessaria l’introduzione del giudizio di merito per il mantenimento degli effetti dell’eventuale provvedimento di accoglimento»[23].
Non sempre, però, l’inibitoria ha successo o è materialmente praticabile: si pensi al caso in cui il socio riceva l’avviso di convocazione soltanto pochi giorni prima della data fissata per l’assemblea. Gioverà, anzitutto, non partecipare all’assemblea[24] e successivamente impugnare la deliberazione eventualmente presa più che partecipare ed opporsi alla discussione lamentando la convocazione irregolare e, nel caso, il difetto di una adeguata preparazione sulle materie all’ordine del giorno. Nel primo caso, infatti, il rischio di una condotta assembleare inappropriata, sbagliata, non sussiste; nel secondo sussiste in misura variabile tenuto conto della preparazione del socio o del suo delegato in assemblea. Ad ogni modo, il socio che deciderà di partecipare potrà – anzi, dovrà[25] – opporsi alla discussione, sapendo però che nelle società a responsabilità limitata non è previsto il diritto ad ottenere un rinvio dell’assemblea[26], sicché, laddove una delibera sia comunque adottata nonostante il suo dissenso, non gli rimarrà altra strada che l’impugnativa della delibera stessa.
Impugnativa che, com’è noto, andrà proposta, ex art. 2479-ter, co. 1, c.c., entro novanta giorni dalla sua trascrizione nel libro soci (o, in assenza di questo libro, dalla sua adozione) ma che, nel caso in cui la decisione sia presa in assenza assoluta di informazione, potrà avvantaggiarsi del maggior termine di tre anni ai sensi dell’art. 2479-ter, co. 3. Si avrà tale ultima ipotesi sia nei casi « in cui i soci non abbiano ricevuto l’avviso di convocazione assembleare sia nei casi in cui l’abbiano ricevuto in difetto dei presupposti minimi di contenuto fissati dall’art. 2379 c. 3 c.c., ossia allorché l’avviso non risulti proveniente da un componente degli organi sociali o dai soci, ove a ciò legittimati, ovvero non sia stato diramato preventivamente a tutti gli aventi diritto, ovvero non sia idoneo a consentire a coloro che hanno diritto di intervenire di essere preventivamente avvertiti della convocazione e della data»[27]. In entrambi i casi, il socio, subito dopo aver impugnato la delibera, potrà chiedere la provvisoria sospensione dell’efficacia della stessa ai sensi dell’art. 2479-ter, co. 4.[28].
2.1. Ciò detto sulle irregolarità relative alla convocazione dell’assemblea e sui relativi rimedi, spetta ora esaminare i possibili scenari dello svolgimento della stessa.
Infatti, quandanche una assemblea sia regolarmente convocata, nondimeno il suo svolgimento potrebbe presentare alcune significative irregolarità, avvantaggiando l’intento di uno dei due soci di comprometterne, anche se non definitivamente, il positivo sbocco. Tale è, ad esempio, la pretesa di deliberare su una materia non posta all’ordine del giorno, magari usando il pretesto della dicitura “varie ed eventuali” posta comunemente in calce all’elenco delle materie oggetto di discussione. Una tale pretesa sarebbe certamente priva di fondamento, e la deliberazione eventualmente assunta illegittima. Ancora una volta va richiamato l’art. 2479-bis, co. 1, il quale richiede una tempestiva informazione sugli argomenti da trattare: pertanto, è evidente come una deliberazione adottata su un argomento introdotto a sorpresa e alla cui discussione il socio si sia opposto sia certamente impugnabile. Non solo: si potrebbe perfino parlare di carenza assoluta di informazione, posto che la materia oggetto della delibera è stata introdotta, appunto, senza alcun preavviso nell’avviso di convocazione. Con specifico riferimento all’utilizzo “abusivo” della voce “varie ed eventuali”, peraltro, si è affermato che questa «non può comprendere qualsivoglia argomento non indicato nell’ordine del giorno, pena la vanificazione dello stesso e della sua tipica funzione informativa e preparatoria dei soci. Deve, invece, ritenersi che tale voce sia limitata a mere comunicazioni o prospettazione di problemi da istruire, ma non possa comprendere argomenti nuovi, su cui l’assemblea sia chiamata a deliberare»[29]. Anche in tal caso, quindi, il socio sorpreso potrà impugnare la delibera eventualmente adottata e chiederne la sospensione dell’efficacia[30].
3. Spetta al presidente dell’assemblea, come si sa, garantire il corretto svolgimento del procedimento assembleare. Ai sensi dell’art. 2479-bis, co. 4, c.c., infatti, l’assemblea è presieduta dalla persona indicata nello statuto (generalmente, l’amministratore unico o il presidente del consiglio di amministrazione) o, in mancanza[31], da quella designata dagli intervenuti[32]. La disposizione citata precisa che il presidente i) verifica la regolare costituzione dell’assemblea, ii) accerta l’identità e la legittimazione dei presenti, iii) regola il suo svolgimento, iv) accerta i risultati delle votazioni e v) dà conto nel verbale degli accertamenti effettuati. Egli è, dunque, l’arbitro della contrapposizione tra soci, il garante del corretto svolgimento dell’assemblea[33]. Pertanto, in presenza di irregolarità nella convocazione o di una proposta di deliberazione formulata da uno dei soci in relazione alla quale non sussiste una adeguata informativa le quali siano state immediatamente contestate da uno dei soci, il presidente potrà impedire la discussione[34] sulla materia “controversa” e decidere che non si deliberi a riguardo[35] o financo chiudere i lavori assembleari, come da ultimo confermato in giurisprudenza[36].
Il socio di minoranza potrà trovare tutela rispetto alle irregolarità dell’assemblea fintanto che il presidente sia un soggetto terzo ed imparziale rispetto ai soci oppure nel caso in cui ricopra egli stesso il ruolo di presidente. Più difficilmente troverà tutela nel caso in cui la presidenza dell’assemblea sia retta dalla sua controparte: in tal caso non gli rimarrà altra strada – dato per scontato il fallimento di un tentativo di revoca del presidente condotto in sede assembleare[37] – se non l’impugnativa delle delibere eventualmente adottate. Il presidente dell’assemblea, invero, non è legibus solutus. Pur quando gli si è riconosciuto il potere di chiudere i lavori assembleari senza chiamare i soci a votare su un determinato punto all’ordine del giorno, si è precisato che «non si vuole sostenere che il presidente dell’assemblea abbia un potere incondizionato ed assoluto di regolare a suo piacere i lavori assembleari, posto che detto potere deve essere esercitato secondo principi di correttezza e ragionevolezza, di modo che ove egli abbia irragionevolmente o scorrettamente escluso la possibilità per l’assemblea di deliberare, dichiarando chiusi i lavori, ciò riverbererà la sua rilevanza sulla sua responsabilità risarcitoria verso la società o verso i soci pregiudicati. […]. Peraltro, a fronte del possibile utilizzo scorretto del potere di governo assembleare, ben sarà possibile la revoca per giusta causa del presidente dalla sua carica»[38].
Correttezza e ragionevolezza, dunque, sono i criteri di esercizio del potere di gestione dell’assemblea di cui chi la presiede è titolare. Riflesso necessario del rilievo secondo cui presidente è responsabile verso la società e i soci per un utilizzo irragionevole ed abusivo dei propri poteri, però, è che egli sarà responsabile verso gli stessi ogni qualvolta non si sia adoperato per impedire l’adozione di una delibera viziata[39]. Considerazione che ci porta a sostenere che il presidente potrà e dovrà disporre la chiusura dei lavori assembleari in caso di accertate irregolarità nella convocazione o nello svolgimento dell’assemblea e di doglianze del socio a riguardo, evitando impugnative non necessarie.
4. A conclusione di queste brevi riflessioni va messo in luce come, spesso, il conflitto societario non possa essere evitato; ed altresì come l’esperienza abbia più di una volta dimostrato come esso – e, ancor più, la sua deriva giudiziale – possa perfino essere funzionale alla ripresa del dialogo ed al rinvenimento di soluzioni negoziali al dissidio.
Meno scontata appare invece l’osservazione che la povertà della disciplina codicistica quanto alla convocazione ed allo svolgimento dell’assemblea di società a responsabilità limitata – povertà che, peraltro, affonda le radici nell’intentio legis di riservare ai soci il compito di una più compiuta regolamentazione – contribuisce ad alimentare tatticismi ed anche scaltrezze, qui per nulla intese in senso deteriore. Il vulnus risiede dunque, frequentemente, nell’inadeguata capacità predittiva degli scenari conflittuali da parte dei redattori dello statuto, sovente più coinvolti nella scrittura dei patti parasociali che di quel documento.[40]
[*] Testo, corredato di note, della relazione dall’identico titolo tenuta il 30 ottobre 2020 all’interno del ciclo di seminari “Cinque Casi di Diritto Societario”, organizzato da Amici di Adamitullo e Studio De Poli – Venezia. Il contenuto della relazione e dello scritto è ispirato ad un aspetto di un ampio contenzioso affrontato dalla sezione specializzata in materia d’impresa del Tribunale di Venezia e, in particolare, all’ordinanza 12 febbraio 2019, in Le Società, fasc. 8-9, 2019, pp. 947 ss., con nota di A. Simionato, Il presidente dell’assemblea di s.r.l. e i rimedi contro l’utilizzo scorretto del potere di governo assembleare, pp. 950 ss.
[1] Sono proprio l’intuitus personae e l’apporto personale di ciascun socio, infatti, a caratterizzare la società a responsabilità limitata e a differenziarla rispetto alle altre società di capitali, società per azioni in primis: in tal senso, si v., ex multis, si v. G. Zanarone, Della società a responsabilità limitata, Giuffrè, 2010, p.57; S. Fortunato, La società a responsabilità limitata: Lezioni sul modello societario più diffuso,Giappichelli, 2017, p. 3; nonché, alla vigilia della riforma del 2003, P. Montalenti, La riforma del diritto societario: appunti, in Le Società, fasc. 12, 2002, spec. p. 1450, dove definisce il tipo societario in esame come «società di persone a responsabilità limitata». Quanto scritto, peraltro, assume particolare evidenza nella s.r.l. c.d. “a struttura chiusa”, in cui lo statuto sociale prevede specifiche limitazioni alla trasferibilità delle quote: in arg., si v. P. Ghionni Crivelli Visconti, Società a responsabilità limitata a struttura chiusa e intrasferibilità delle quote, Giappichelli, II ed., 2011, passim e spec. pp. 3-4, dove sottolinea come, in generale, «La società a responsabilità limitata si prest[i], in effetti, ad essere prescelta per iniziative economiche che fanno capo ad una cerchia ridotta di soggetti. Di frequente, si tratta di imprese familiari che preferiscono avvalersi di tale forma societaria in ragione della sua impronta personalistica. Al numero ridotto dei soci corrisponde, in via di principio, l’intento dei partecipanti, animati da spirito imprenditoriale, di aderire in maniera attiva e consapevole alla vita della società».
[2] Nell’esempio appena formulato, si ipotizza che, come spesso accade, lo statuto sociale rimetta all’assemblea dei soci la decisione sul compimento di simili operazioni. Peraltro, nel caso in cui l’acquisto del ramo d’azienda comporti una sostanziale modifica dell’oggetto sociale, la decisione sul suo compimento è necessariamente riservata alla competenza dei soci ai sensi dell’art. 2479, co. 2, pt. 5, c.c.: in arg. si v. P. Rainelli, Consenso e collegialità nella s.r.l.: le decisioni non assembleari, Giuffrè, 2011,p. 39.
[3] Ed infatti «La causa di scioglimento della società[…],per impossibilità di funzionamento dell’assemblea, è ravvisabile nell’ipotesi di insanabile contrasto tra i soci che impedisca l’adozione delle deliberazioni necessarie per la vita sociale, quali nomina di amministrativi e approvazione di bilanci»: così Trib. Milano, sez. VIII, 26 giugno 2004, in Giurisprudenza di Merito, fasc. 5, parte I, 2005, p. 1117. In tal senso, si v. anche C. App. Catania, sez. I, 21 aprile 2008, in Vita Notarile, fasc. 2, parte I, 2008, pp. 973 ss.; Trib. Prato, 17 dicembre 2009, in Il Foro Italiano, fasc. 7/8, parte I, 2010, pp. 2253 ss.; Trib. Prato, 12 gennaio 2010, in Giurisprudenza Commerciale, fasc. 4, parte II, 2011, pp. 970 ss.;e Trib. Milano, sez. spec. imp., 6 marzo 2014, in giurisprudenzadelleimprese.it.
[4] La giurisprudenza è concorde nel ritenere applicabile anche alle s.r.l. la previsione di cui all’art. 2383, co. 3, c.c., ai sensi del quale gli amministratori sono revocabili dall’assemblea in qualunque tempo, salvo il diritto dell’amministratore al risarcimento dei danni nel caso in cui la revoca avvenga senza giusta causa: in tal senso, si v., ex multis, Cass. civ., sez. I, 12 settembre 2008, n. 23557, in Il Foro Italiano, fasc. 5, parte I, 2009, pp. 1525 ss.; e, con specifico riferimento all’ipotesi di amministratore originariamente nominato nell’atto costitutivo, Trib. Torino, 18 ottobre 2012, in Giurisprudenza Italiana, fasc. 4, 2013, 867, secondo cui «La revoca dell’amministratore di s.r.l. nominato nell’atto costitutivo non richiede, ai fini della sua efficacia, né la modifica dell’atto costitutivo né la sussistenza di una giusta causa, la quale ultima incide soltanto sull’eventuale obbligo della società di risarcire i danni all’amministratore revocato, secondo le norme sul mandato». In arg., si v. anche recentemente Trib. Roma, sez. spec. imp., sent. 28 febbraio 2019, n. 4545, in ilcaso.it, che puntualmente precisa come «la possibilità di applicare l’art. 2383 comma 3 trova come suo presupposto che il modello capitalistico della società a responsabilità limitata non sia stato superato dalle previsioni dell’atto costitutivo in quanto, se i soci avessero organizzato la società su basi più propriamente personalistiche, la revoca sarebbe possibile solo in caso di giusta causa. [In tal caso,] la disciplina della revoca degli amministratori deve essere valutata alla luce della disciplina dei diritti particolari che possono essere attribuiti ai soci ai sensi dell’art. 2468 comma 3. Ove la facoltà di amministrare sia oggetto del diritto particolare, la revoca dovrà essere decisa con il consenso unanime di tutti i soci, ai sensi del quarto comma dell’articolo da ultimo citato, comportando essa una modifica di quel diritto, salvo, però, il caso di giusta causa, per il quale varranno gli ordinari principi prevalendo le esigenze di tutela della società. Qualora, invece, sia attribuito ad un socio il diritto particolare di nominare l’amministratore, si ritiene che al medesimo spetti anche il potere di revoca».
[5] Infatti, l’art. 2479-bis, co. 3, c.c. prevede che l’assemblea delibera a maggioranza assoluta o, nei casi previsti dall’art. 2479, co. 2, ptt. 4e 5, con il voto favorevole dei soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale, salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo. Nonostante oggi sia tendenzialmente ammessa la possibilità che lo statuto di s.r.l. possa richiedere l’unanimità dei voti dei soci per la deliberazione su talune materie o, comunque, quorum deliberativi così elevati da rendere de facto necessario il consenso di tutti i soci (si v. la massima n. 42 e la relativa motivazione elaborate dalla Commissione Società del Consiglio Notarile di Milano, in consiglionotarilemilano.it), in dottrina la questione è stata ampiamente e a lungo dibattuta: per una ricostruzione completa dei diversi orientamenti, si v., ex multis, C.A. Busi, Assemblea e Decisioni dei Soci nelle Società per Azioni e nelle Società a Responsabilità Limitata, Cedam, 2008, pp. 948 ss. Per un approfondimento sul tema della previsione di quorum deliberativi rafforzati e di diritti particolari a beneficio del socio o dei soci di minoranza, mi sia consentito rinviare a quanto scritto in M. De Poli,M&A “non ostili”: quale tutela per le minoranze?, in dirittobancario.it, approfondimento, quest’ultimo, sempre svolto nell’ambito del ciclo di seminari “Cinque Casi di Diritto Societario” e dedicato alle tutele che, in una operazione di M&A, è opportuno che il socio di minoranza negozi per salvaguardare i propri interessi.
[6] Nello specifico, ci si riferisce ad un meccanismo incrociato di opzioni put e call attraverso il quale a ciascun socio è attribuito sia il diritto a farsi acquistare dall’altro la propria partecipazione sia il diritto ad acquistare l’altrui partecipazione. La combinazione di diritti di opzione appena accennata è anche chiamata “russian roulette” laddove preveda che ciascun socio abbia la facoltà di attivare una procedura in forza della quale i) uno dei due determina il prezzo per il trasferimento della partecipazione e ii) l’altro sceglie se a) vendere la propria partecipazione al socio che ha determinato il prezzo, oppure b) acquistare la partecipazione di quest’ultimo al medesimo prezzo. Come precisato dalla Commissione Società del Consiglio Notarile di Milano con la massima n. 181 e con la relativa motivazione, la legittimità della clausola di russian roulette è subordinata alla sua compatibilità con il principio di equa valorizzazione della partecipazione obbligatoriamente dismessa.
[7] Ci si riferisce ad una clausola che impegna i soci a non riproporre in assemblea la questione controversa per un periodo di tempo determinato e a cercare di addivenire ad una soluzione concordata durante detto periodo. Per l’ipotesi in cui non riescano a trovare una comune soluzione, poi, la clausola potrebbe prevedere che la questione, se non è essenziale alla vita della società, non sia riproposta in assemblea per un ulteriore e maggiore periodo di tempo.
[8] Invero, la clausola relativa alla nomina del c.d. “arbitratore economico” ha un contenuto peculiare e diverso da quello che propongo qui. Infatti, ai sensi dell’art. 37, co. 1, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, «Gli atti costitutivi delle società a responsabilità limitata […] possono anche contenere clausole con le quali si deferiscono ad uno o più terzi i contrasti tra coloro che hanno il potere di amministrazione in ordine alle decisioni da adottare nella gestione della società» (per una panoramica completa sull’istituto, si v., recentemente, G. Carraro, L’«arbitratore economico» come gestione sostitutiva, in Rivista delle Società, fasc. 2-3, 2020, pp. 784 ss.). Ad ogni buon conto, nulla sembra vietare ai soci di prevedere, ad es. in un patto parasociale, una clausola analoga a quella di cui all’articolo citato, in forza della quale, in caso di stallo dell’assemblea, essi si impegnano a rimettere la decisione sulla materia controversa ad un terzo imparziale e, in seguito, a votare in assemblea conformatene alla decisione presa da quest’ultimo.
[9] È pacifico che il potere di convocare direttamente l’assemblea rientri tra i diritti particolari di amministrazione che lo statuto sociale può attribuire al singolo socio ai sensi dell’art. 2468, co. 3, c.c.: in tal senso, si v. la massima n. 82 e la relativa motivazione elaborate della Commissione Società del Consiglio Notarile di Milano, in consiglionotarilemilano.it; nonché P. Divizia, Il potere di convocazione dell’assemblea attribuito al singolo fra norma organizzativa e «diritto particolare», in Le Società, fasc. 8, 2010, pp. 951 ss. e spec. 956-958.
[10] Così, G. Sandrelli, sub art. 2479-bis, in P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi, e M. Notari (dir. da), Commentario alla Riforma delle Società, vol. Società a Responsabilità Limitata, Egea, 2008, p. 958.
[11] In tal senso, si v. C. Pecoraro, Convocazione dell’assemblea di s.r.l. ed autonomia del tipo sociale secondo la Cassazione: rilievi critici, nota a Cass. civ., sez. I, sent. 25 maggio 2016, n. 10821, in Giurisprudenza Commerciale, fasc. 5, 2017, II, p. 864.
[12] Contra, si v., però, O. Cagnasso, La Società a Responsabilità Limitata, Cedam, 2007, p. 300 e spec. nt. 10, il quale ritiene che dal potere attribuito a tanti soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale di sottoporre determinate materie alla loro approvazione discenda anche quello strumentale di convocare direttamente l’assemblea. In arg., si v. anche A. Mirone, Le decisioni dei soci nella s.r.l.: profili procedimentali, in P. Abbadessa e G.B. Portale (dir. da), Il Nuovo Diritto delle Società, vol. 3, Utet, 2006, pp. 489-495 e spec. 494; e, per una esaustiva ricostruzione delle diverse tesi sul potere di convocazione dell’assemblea da parte dei soci, C.A. Busi, Assemblea e decisioni dei soci nelle Società per Azioni e nelle Società a responsabilità limitata, cit., pp. 316 ss.
[13] Così già Trib. Milano, 7 maggio 1987, in Giurisprudenza Commerciale, fasc. 6, parte II, 1987, p. 812. In tal senso, si v. anche Trib. Milano, 21 novembre 1994, ibidem, fasc. 4, parte II, pp. 587, che ribadisce come «gli amministratori, nell’adempimento dell’obbligo di salvaguardare l’interesse collettivo nell’ambito delle funzioni gestorie loro attribuite, hanno il dovere di non accedere a richieste che possano risultare illegittime, immotivate o inutilmente ripetitive e pretestuose […], e che possano con probabilità dare vita a situazioni e deliberazioni capaci di recare danno alla società» (l’enfasi è di chi scrive). Nonostante le sentenze citate si riferiscano alle società azionarie, nulla sembra impedire che i principi dalle stesse enucleati possano ritenersi validi, mutatis mutandis, anche per le s.r.l.
[14] In arg., si v. A. Monteverde, Del potere di (non) convocare l’assemblea di s.p.a., nota a Trib. Milano, 2 aprile 2016, in Giurisprudenza Italiana, fasc. 10, 2016, pp. 2187 ss.
[15] Ad esempio, è stata prospettata la possibilità per i soci di richiedere la convocazione da parte del Tribunale come per le s.p.a.: in arg., si v., ex multis, F. Di Girolamo, Brevi osservazioni sull’applicabilità dell’art. 2367 c.c. alle società a responsabilità limitata, nota Trib. Brescia, ord. 8 marzo 2005, in Giurisprudenza Commerciale, fasc. 2, parte II, 2006, pp. 328 ss. Altra soluzione vedrebbe i soci rivolgere una seconda richiesta al collegio sindacale (dove presente), il quale sarebbe tenuto a provvedere alla convocazione sulla base di quanto previsto dall’art. 2406 c.c., applicabile alle S.r.l. in virtù del richiamo di cui all’art. 2477, co.4, c.c. (in arg., si v. Cass. civ., sez. I, 17 gennaio 2007, n. 1034, in Il Foro Italiano, fasc. 12, parte I, 2007, pp. 3501 ss.
[16] Si v. Cass. civ., sez. I, 25 maggio 2016, n. 10821, cit., p. 854.
[17] È la data di spedizione a rilevare ai fini della regolarità della convocazione. Peraltro, la Suprema Corte ha precisato che «Salvo che l’atto costitutivo della società a responsabilità limitata non contenga una disciplina diversa, deve presumersi che l’assemblea dei soci sia validamente costituita ogni qual volta i relativi avvisi di convocazione siano stati spediti agli aventi diritto almeno otto giorni prima dell’adunanza (o nel diverso termine eventualmente in proposito indicato dall’atto costitutivo), ma tale presunzione può essere vinta nel caso in cui il destinatario dimostri che, per causa a lui non imputabile, egli non abbia affatto ricevuto l’avviso di convocazione o lo abbia ricevuto così tardi da non consentirgli di prendere parte all’adunanza, in base a circostanze di fatto il cui accertamento e la cui valutazione in concreto sono riservati alla cognizione del giudice di merito»: così Cass. civ., sez. un., 14 ottobre 2013, n. 23218, in Giurisprudenza Commerciale, fasc. 6, parte II, 2014, 1025,con nota di F. Riganti, Il termine per la convocazione di assemblea di s.r.l.
[18] A riguardo, salvo che sia diversamente stabilito dallo statuto, il computo dei termini di convocazione soggiace alle regole ordinarie del codice civile: in tal senso, si v. Trib. Genova, sez. spec. imp., 26 gennaio 2018, n. 310, in giurisprudenzadelleimprese.it.
[19] La quale è equiparata alla raccomandata ai sensi degli artt. 4 e 6 del D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68: sul punto, si v. Trib. Roma, sez. III, 31 luglio 2015, n. 16929, in ilsocietario.it; e, recentemente, App. Brescia, sez. II, 3 gennaio 2019, n. 4, in dirittoegiustizia.it.
[20] Così Cass. civ., sez. I, sent. 17 novembre 2005, n. 23269, in Il Foro Italiano, fasc. 3, parte. I, 2007, p. 932.
[21] Così sempre Cass. civ., sez. I, sent. 17 novembre 2005, n. 23269, cit., p. 932. Per una panoramica completa sulle funzioni e sul contenuto dell’ordine del giorno, si v. quanto scritto recentemente da G. Niccolini, L’ordine del giorno dell’assemblea di società, rassegna di giurisprudenza, in Giurisprudenza Commerciale, fasc. 4, parte II, pp. 655 ss.
[22] Trib. Venezia, sez. spec. imp., 30 ottobre 2020; Trib. Venezia, sez. spec. imp., 27 ottobre 2020; Trib. Venezia, sez. spec. imp., 11 maggio 2019; Trib. Venezia, sez. spec. imp., 12 aprile 2019; e Trib. Venezia, sez. spec. imp., 26 marzo 2019; tutte inedite. Ma si v. anche Trib. Verona, sez. IV, 27 gennaio 2012, in M.L. Villani e F. Longobardi, La tutela cautelare d’urgenza ex art. 700 c.p.c. in materia societaria, inG. Cassano,La tutela cautelare ex art. 700 c.p.c., Maggioli, 2013,p. 395; Trib. Mantova, 20 dicembre 2007, in ilcaso.it; e già Trib. Milano, 22 dicembre 1989, in Giurisprudenza di Merito, fasc. 4-5, 1990, pp. 713 ss. Peraltro, guardando alla specifica ipotesi dell’assemblea convocata da un soggetto che non era a ciò legittimato (nel caso, il socio di maggioranza), il Tribunale di Venezia ha specificamente affermato che «Ricorre l’urgenza di provvedere, vista l’imminenza dell’assemblea autoconvocata dal socio […], sussistendo il presupposto dell’ammissibilità del rimedio cautelare ex art. 700 c.p.c., considerato che il vizio fatto valere inerisce alla violazione di legge rilevante nella fase della convocazione dell’assemblea» (così Trib. Venezia, sez. spec. imp., 26 marzo 2019, cit.)
[23] Così Trib. Venezia, sez. spec. imp., 11 maggio 2019, cit. In un certo senso, quindi, l’inibitoria persegue anche interessi di economia processuale, evitando l’istaurarsi di un successivo giudizio di impugnazione della delibera eventualmente adottata.
[24] Peraltro, il socio sarà inevitabilmente impossibilitato a partecipare nel caso in cui riceva l’avviso di convocazione successivamente alla data fissata per la celebrazione dell’assemblea.
[25] L’opposizione è necessaria: infatti, l’art. 2479-bis, co. 5, c.c. prevede che una «deliberazione s’intende adottata quando ad essa partecipa l’intero capitale sociale e tutti gli amministratori e sindaci sono presenti o informati della riunione e nessuno si oppone alla trattazione dell’argomento».A ciò si aggiunga, quanto previsto dall’art. 2379-bis, co.1, c.c., espressamente richiamato dall’art. 2479-ter, co. 4, il quale stabilisce che «L’impugnazione della deliberazione invalida per mancata convocazione non può essere esercitata da chi anche successivamente abbia dichiarato il suo assenso allo svolgimento dell’assemblea».
[26] Infatti, diversamente da quanto previsto dalla disciplina delle società azionarie (si v. l’art. 2374 c.c.), non sussiste in capo al socio di s.r.l. un diritto ad ottenere il rinvio dell’assemblea; questo, a meno che, ovviamente tale diritto non sia espressamente previsto dallo statuto. Sul punto, si v. Trib. Milano, sez. spec. imp., 22 dicembre 2015, in Rivista di Diritto Societario, fasc. 4, parte II, 2016, pp. 865 ss., con nota di I. Capelli, Note in materia di rinvio d’assemblea ex art. 2374 nella s.r.l., pp.867 ss.
[27] Secondo le parole di Trib. Roma, sez. spec. imp., 15 giugno 2015, n. 13061, in Rivista del Notariato, fasc. 4, parte II, 2016, p. 740. In tal senso, si v. anche Trib., Milano, sez. spec. imp., 19 dicembre 2016, n. 13870, in giuriprudenzadelleimprese.it; e Trib. Roma, sez. spec. imp., 5 giugno 2017, n. 11314, in ilsocietario.it. L’art. 2479-ter, co. 3, non sembrerebbe invece operare laddove l’informazione non sia stata sufficientemente chiara, ad esempio, per scarsa chiarezza dell’ordine del giorno: la disposizione citata infatti parla di difetto assoluto di informazione (in arg., si v. G. Palmieri, Le decisioni con oggetto impossibile o illecito e l’assenza assoluta di informazione, in A.A. Dolmetta e G. Presti (a cura di), S.r.l. – Commentario, Giuffrè, 2011, pp. 856 s.).
[28] Per completezza, segnalo come l’impugnativa possa non avere successo nel caso in cui, nelle more del giudizio, sia regolarmente adottata una nuova delibera – pur “scomoda” per gli interessi del socio – in sostituzione di quella viziata: si v. l’art. 2377, co. 8, c.c., richiamato dall’art. 2479-ter, co. 4.
[29] Così Trib. Roma, sez. spec. imp., 4 aprile 2017, n. 6673, in giurisprudenzadelleimprese.it. Peraltro, la
[30] Peraltro, Trib. Roma, sez. spec. imp., 4 aprile 2017, n. 6673, cit., pare confermare quanto affermato pocanzi in tema di carenza assoluta di informazione, dichiarando l’invalidità della delibera adottata attraverso l’utilizzo “abusivo” della voce “varie ed eventuali”.
[31] È condivisibile l’interpretazione estensiva proposta da G. Sandrelli, op. cit., p. 999, secondo cui l’espressione «in mancanza» di cui all’art. 2479-bis, co. 4, va riferita non solo all’ipotesi in cui manchi nello statuto sociale una disposizione che individui il presidente dell’assemblea ma anche a tutti i casi di indisponibilità dello stesso, ossia a tutte le ipotesi in cui sia impossibilitato a partecipare all’assemblea o, comunque, a presiederla.
[32] Il legislatore non è chiaro nello stabilire come operi la “designazione ad opera degli intervenuti” in assenza di una clausola statutaria che individui la figura del presidente o in caso di indisponibilità dello stesso: viene da chiedersi se lo stesso sia designato per maggioranza di teste oppure a maggioranza assoluta secondo la disciplina di cui all’art. 2479-bis, co. 3, c.c. (così Consiglio Nazionale del Notariato, Il presidente dell’assemblea, Studio di Impresa n. 70-2009/I, 2009, p.79, in notariato.it).
[33] È condivisibile, quindi, la tesi sostenuta, ex multis, da P.M. Sanfilippo, Problemi disciplinari relativi all’adozione del metodo assembleare, in S.r.l. – Commentario, cit., pp.835 s., secondo cui il presidente è titolare di poteri originari e non già derivati, per delega, dall’assemblea. Se così non fosse, se cioè i poteri del presidente derivassero dall’assemblea dei soci, la stessa, controllata dalla maggioranza, potrebbe sempre revocare i provvedimenti del presidente eventualmente sgraditi e sostituirli con decisioni adottate direttamente da essa stessa o, meglio, dalla maggioranza stessa; ciò a scapito della minoranza, cui rimarrebbero solo la “speranza” di una condotta non abusiva da parte della controparte ed una eventuale tutela ex-post in sede di impugnativa della delibera eventualmente assunta in modo irregolare. Per tali ragioni, neppure sembra condivisibile la tesi “intermedia” sostenuta, ex multis, da A. Morano, Il presidente dell’assemblea di società per azioni, in Le Società, fasc. 4, 2000, p. 407, secondo cui nel caso in cui « la decisione da assumere si presenti per così dire «vincolata», in quanto il presidente si limita ad applicare la legge o l’atto costitutivo, si ritiene superflua un’interferenza da parte dell’assemblea, dal momento che chi decide non è titolare di un vero e proprio potere discrezionale, bensì di una discrezionalità meramente tecnica; laddove, al contrario, il presidente adotti dei provvedimenti che presuppongono una valutazione discrezionale (si pensi, ad esempio, alla decisione relativa all’ammissione in assemblea di soggetti estranei), è preferibile ritenere che il collegio possa sempre intervenire, ove si profili un contrasto tra i soci o tra essi ed il presidente stesso».
[34] Sempre in tema di “discussione”, giova precisare come il Presidente può anche limitare il diritto di discussione del singolo socio nel caso in cui questi lo eserciti in maniera abusiva, per ostacolare il proseguo dell’assemblea (ad esempio, con un intervento “fiume”). A riguardo, si v. Trib. Modena, 24 febbraio 2012, in Banca Borsa Titoli di Credito, fasc. 4, parte II, p. 427, con nota di L. Massimo, Il diritto di discussione in assemblea: poteri del presidente ed eventuale annullabilità della delibera, pp. 428 ss., che ha sottolineato come sia impugnabile la delibera assunta in violazione del diritto di ciascun socio di intervenire nella discussione esprimendo, in contraddittorio con gli altri, la propria opinione; questo fintanto che che non sia provato un «intento ostruzionistico esclusivamente finalizzato a turbare io svolgimento dell’assemblea».
[35] Dal potere di regolare i lavori assembleari, infatti, discende quello di stabilire l’ordine di voto delle materie all’ordine del giorno e, necessariamente, quello di escludere dalla deliberazione quelle materie la cui discussione è capace di turbare i lavori assembleari conducendo all’adozione di una delibera viziata a causa dell’assenza di una tempestiva informazione di uno dei soci. Sul potere del presidente di stabilire l’ordine di voto e sulle relative criticità, si v., ex multis, F. Murino, Potere del presidente dell’assemblea, ordine di voto e paradosso di Condorcet, in Giurisprudenza Commerciale, fasc. 4, parte I, 2011, pp. 549 ss.
[36] «Il presidente è, quindi, il titolare della funzione di governo del procedimento assembleare, cosicché è possibile opinare che lo stesso disponga del potere di chiudere i lavori senza procedere a votazione» (così Trib. Venezia, 12 febbraio 2019, cit., p. 949).
[37] Si veda quanto precisato alla successivant. 39.
[38] Così Trib. Venezia, 12 febbraio 2019, cit., pp. 949 s. A. Simionato, op. cit., pp. 951 e 953 s. sottolinea come il Tribunale non chiarisca come in concreto operi questo potere di revoca in capo ai soci. Detto potere di revoca, infatti, non è disciplinato dal codice civile né, peraltro, sembra applicabile, in via analogica, la disciplina sulla revoca degli amministratori descritta supra nt. 5 in ragione della differenza sostanziale tra i due organi. La lacuna normativa appena individuata è stata fortemente criticata in dottrina: in arg., si v. P. Abbadessa, L’assemblea di s.p.a.: competenza e procedimento nella legge di riforma, in Giurisprudenza Commerciale, suppl. fasc. 3, parte I, 2004, p.552, che osserva come l’art. 2371 c.c. (ma il discorso è valido anche per l’art. 2479-bis) «non si preoccupa di disciplinare l’ipotesi, non certo peregrina, di esercizio abusivo dei poteri presidenziali allorché il presidente è designato dallo statuto con conseguente impossibilità per i soci intervenuti di revocarlo o sostituirlo». Se, seguendo l’orientamento del Tribunale di Venezia, il presidente dell’assemblea è revocabile, viene da chiedersi se detto potere possa essere esercitato direttamente dall’assemblea (con il rischio di un abuso da parte della maggioranza come descritto supra nt. 34) oppure in altro modo, ad esempio, attraverso una richiesta formulata all’Autorità giudiziaria, che tuttavia non trova alcuna disciplina codicistica. In arg., si v. anche Consiglio Nazionale del Notariato, op. cit., pp. 56-58, secondo cui «sembra che i soci non possano revocare il presidente o un suo provvedimento, qualora non sia il presidente stesso a dare le proprie dimissioni o a chiedere la c.d. “fiducia” ai soci, o a porre in discussione il proprio provvedimento».
[39] Finora è stata volutamente trascurata una criticità dello svolgimento dell’assemblea particolarmente rilevante: come è noto, l’art. 2479-ter, co. 2, c.c., prevede che «Qualora possano recare danno alla società, sono impugnabili a norma del precedente comma le decisioni assunte con la partecipazione determinante di soci che hanno, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della società». Seguendo la linea argomentativa finora tratteggiata, si potrebbe affermare che sia in capo al presidente anche il potere-dovere di impedire il voto del socio in conflitto di interessi. Invero, guardando alla disciplina delle s.p.a. e, in particolare, all’art. 2373, co. 2, c.c., il legislatore ha espressamente vietato il voto in conflitto di interessi solamente agli amministratori nelle deliberazioni riguardanti la loro responsabilità, sicché il presidente dell’assemblea può impedire il voto di un socio solamente in tale ipotesi (in arg., si v., ex multis, A. De Pra,Deliberazione negativa votata in conflitto d’interessi e divieto di voto del socio amministratore, nota a lodo arb., 2 luglio 2009, in Giurisprudenza Commerciale, fasc. 5, parte II, 2010, pp. 922 ss.). A ciò si aggiunga che la disposizione citata, dato il suo carattere eccezionale e non essendo espressamente richiamata dal corpus dall’articolato sulla s.r.l., non pare applicabile a detto tipo societario (in tal senso, si v. Trib. Verona, 9 marzo 2007, in Giurisprudenza Commerciale, fasc. 5, parte II, 2008, pp. 1032 ss.; e, recentemente, Trib. Palermo, 4 maggio 2018, in giurisprudenzadelleimprese.it): di conseguenza, in assenza di diversa disposizione statutaria, il presidente dell’assemblea di s.r.l. non potrà escludere dal voto né l’amministratore chiamato a deliberare su una causa inerente la sua responsabilità né alcun altro socio che versi in una situazione di conflitto di interessi. La ratio della scelta legislativa è da trovare nella effettiva impossibilità per il presidente di prevedere quale sarà il voto del socio in conflitto di interessi: se, per tale ragione, il presidente non potrà escludere dal voto del socio, controverso è, invece, il potere del presidente, nell’accertamento dei risultati delle votazioni, di escludere il voto del socio dal computo dei voti validi (in arg., si v. R. Sacchi, Gli effetti della sentenza che accoglie l’impugnazione di delibere assembleari di S.p.A., in Banca Borsa Titoli di Credito, fasc. 2, parte I, 2012,pp. 161 s.).
[40] Tale inadeguatezza è spesso combinata ad una discreta dose di pigrizia dei ceti professionali chiamati a contribuire a tale opera, inclini a ritenere la standardizzazione dello statuto una qualità o, sotto altro punto di vista, poco disposti a stimolare un coinvolgimento attivo dei soci nella ricerca dell’abito regolamentare più calzante, forse ritenendolo uno sforzo sottostimato o sottovalutato.