Non costituisce pagamento del terzo ma adempimento diretto del debitore, come tale revocabile, il pagamento eseguito mediante l’invio, fatto da quest’ultimo al proprio creditore, di un assegno bancario tratto da un terzo, consegnato e trasferito al debitore poi dichiarato insolvente, il quale, divenutone proprietario, ha legittimamente esercitato i diritti incorporati nel titolo (Cass. 4 luglio 2016, n. 13611; in senso conforme: Cass. 11 giugno 2018, n. 15082).
Il titolo di credito, per la sua struttura di simbolo rappresentativo di rapporti obbligatori trasferibili attraverso la legittimazione nelle forme prescritte (idoneo, quindi, anche allo scopo di trasferimento di somme di denaro), non si presenta come una cosa, ma piuttosto come il documento probatorio di un rapporto complesso e precipuamente della pretesa creditoria in esso inseparabilmente incorporata (Cass. 30 dicembre 1968, n. 4089). Ciò implica che l’assegno sia da riguardare non in senso statico, quale possibile oggetto di un diritto reale, quanto, piuttosto, in senso dinamico, come strumento atto a rendere possibili operazioni di pagamento da un soggetto in favore di un altro.
In ragione della funzione solutoria cui assolve l’assegno, quel che conta, anche nell’ipotesi di sua mera traditio, è la volontà di trasferire il credito in esso documentato. In altri termini, ciò che diviene dirimente, nel caso di semplice consegna dell’assegno da un soggetto a un altro, è la volontà degli interessati di porre in essere una cessione del credito documentato nel titolo.