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Editoriali

Considerazioni in materia di product governance

30 Settembre 2019

Andrea Perrone

Professore ordinario di diritto commerciale, Università Cattolica del Sacro Cuore

Di cosa si parla in questo articolo

1. Come è possibile incoraggiare l’investimento a lungo termine nel mercato dei capitali, assicurando, nel contempo, un’adeguata protezione da abusi o errori decisionali? Considerata una delle questioni più intricate della moderna disciplina della finanza, la domanda è resa oggi ancor più acuta da una duplice necessità: per le imprese, di reperire alternative al finanziamento bancario; per le famiglie, di accedere a risorse previdenziali capaci di far fronte al crescente arretramento dei sistemi pubblici di welfare.

Messa in discussione dagli scandali finanziari di inizio secolo e dalle indicazioni dell’economia del comportamento, la risposta tradizionale del diritto europeo – regole di trasparenza per consentire scelte di investimento consapevoli – ha registrato negli ultimi quindici anni una rilevante evoluzione. Così, la disciplina MiFID sull’attività distributiva degli intermediari ha integrato l’impianto fondato sugli obblighi di informazione con un ulteriore “tassello”, specificamente orientato ad assicurare la qualità del servizio prestato dall’intermediario. In un contesto segnato dalla crisi finanziaria globale e, per conseguenza, poco fiducioso nella capacità del mercato di operare scelte ottimali, la disciplina MiFID 2 ha introdotto – ancor più decisamente – un complesso di regole volte ad assicurare agli investitori uno “spazio sicuro” nel quale operare. L’impostazione è stata condivisa dalla successiva disciplina IDD sulla distribuzione assicurativa e dalle recenti regole sui fondi europei di investimento a lungo termine.

2. La product governance costituisce l’aspetto più vistoso del passaggio realizzato da MiFID 2. Per la prima volta, il design del prodotto di investimento viene sottoposto a disposizioni specifiche, per le quali gli intermediari sono tenuti ad adottare assetti organizzativi capaci di assicurare che la realizzazione e la distribuzione di strumenti finanziari seguano a una specifica valutazione dei relativi rischi, siano immuni da conflitti di interessi e rispondano alle esigenze di un determinato target di mercato. La disciplina giuridica entra in tal modo nel modello di business e e nei processi aziendali degli intermediari, secondo un approccio che la disciplina delegata e il soft law dell’ESMA dettagliano in modo così analitico da configurare una sorta di “manuale operativo”.

Sul piano dell’enforcement la product governance è presidiata da pervasivi poteri di product intervention attribuiti alle autorità di vigilanza domestiche ed europee: che, nel caso di un pericolo significativo per la tutela degli investitori, l’integrità dei mercati o la stabilità del sistema finanziario, possono vietare o limitare la distribuzione degli strumenti finanziari interessati dalla violazione dei precetti di product governance. Soprattutto con riguardo alla responsabilità dell’intermediario “produttore”, assai meno definite sono le regole di enforcement privato, che la disciplina europea rimette ai singoli Stati Membri. Nel nostro ordinamento, una responsabilità aquiliana da attività di impresa, fondata sul principio di cui è espressione l’art. 2049 c.c. in materia di responsabilità di padroni e committenti, potrebbe essere un’ipotesi da verificare. Più agevole, di contro, la soluzione con riguardo all’intermediario “distributore”, per il quale vale il collaudato sistema rimediale per la violazione delle regole di comportamento nella prestazione dei servizi di investimento.

3. Pur determinando uno spostamento della disciplina sui servizi di investimento verso un paradigma di tipo paternalistico, alla luce delle regole di secondo livello e del soft law dell’ESMA la product governance non sembra costituire la rivoluzione copernicana prospettata dai primi commenti. Il principio di proporzionalità previsto della disciplina delegata e la significativa flessibilità offerta dalle Guidelines dell’ESMA quando ricorrano consulenza e gestione diversificata del portafoglio, inducono, infatti, a ritenere che, nel suo complesso, la product governance costituisca più un limite a casi eclatanti di mis-selling che uno strumento di conformazione “forte” sul lato dell’offerta.

Altri appaiono, piuttosto, gli aspetti più significativi. Sotto un profilo teorico, le regole di product governance applicabili all’intermediario “produttore” si segnalano per il recepimento di strumenti tipici della normativa prudenziale bancaria, come stress test e analisi di scenario. Tale impostazione trova, peraltro, un paradossale punto di frizione con riguardo agli strumenti finanziari che le banche sono tenute ad emettere per assicurare i requisiti minimi di fondi propri e di eligible liabilities (c.d. MREL): necessari per una credibile applicazione del bail-in nel caso di risoluzione e, nel contempo, potenzialmente difficili da approvare in sede di product governance per la loro eccessiva rischiosità.

In punto di conseguenze, i rilevanti costi per la compliance con la disciplina sembrano favorire una semplificazione dei prodotti offerti dagli intermediari più piccoli, in tal modo determinando una segmentazione del mercato: da un lato, prodotti “semplici”, per investitori “di base”, offerti da intermediari “piccoli”; dall’altro, prodotti più complessi, per investitori evoluti, distribuiti da intermediari di grandi dimensioni. Concentrando l’attenzione sul design del prodotto, la product governance sposta, inoltre, il baricentro della catena del valore dal “distributore” al “produttore”: con un possibile problema di competitività, quindi, per le industrie bancarie caratterizzate – come quella italiana – da una folta presenza di “distributori” e dalla quasi completa assenza di “produttori”.

4. Una verifica dei possibili esiti e la conseguente valutazione della disciplina richiedono strumenti adeguati di misurazione empirica, che permettano di evitare conseguenze non volute e di adottare, se del caso, interventi correttivi. Al problema le istituzioni europee hanno prestato sino a oggi una ridotta attenzione. Per le implicazioni distributive e di efficienza che la product governance può comportare, una riflessione sulla metrics non pare, tuttavia, troppo differibile. L’adeguato equilibrio tra incoraggiare e proteggere gli investimenti nel mercato dei capitali dipende anche da numeri e tabelle.

 

Nota bibliografica

L’editoriale beneficia della lettura di N. Moloney, Eu Financial Market Governance and the Retail Investor: Reflections at an Inflection Point, in 37 YEL (2018), pp. 251- 304, e di V. Colaert, Building Blocks of Investor Protection: All-embracing Regulation Tightens its Grips, in 6 JECML (2017), 229-244; riprende, altresì, idee già espresse in A. Perrone, Servizi di investimento e tutela dell’investitore, inBanca borsa, tit. cred., 2019, I, pp. 1-16, e in A. Perrone, Il diritto del mercato dei capitali2, Milano, 2018.

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