La scelta per il regime del consolidato nazionale – che costituisce un’opzione negoziale per un metodo di liquidazione d’imposta alternativo – deve essere espressa in modo univoco mediante una manifestazione di volontà tempestiva, trattandosi di un regime fiscale dal quale scaturiscono benefici per le società che vi aderiscono.
Di conseguenza, qualora tale comunicazione non venga effettuata nei termini, non può ritenersi realizzato l’effetto costitutivo della scelta per il diverso regime fiscale né tra le parti, né nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, dovendosi escludere la rilevanza dei comportamenti concludenti di cui all’articolo 1, d.P.R. 442/1997, limitata ai regimi contabili e di determinazione delle imposte, non alle modalità di pagamento di quest’ultime (cui il consolidato si ascrive).
Il principio espresso dalla sentenza in oggetto, sembra dunque essere conforme ad un precedente orientamento espresso dalla Corte di Cassazione in materia (cfr.Cass n. 31061/2018).
Nella fattispecie in esame, un gruppo di società per azioni esercitava, in data 7 giugno 2005, mediante la propria consolidante, l’opzione per il consolidato fiscale di cui all’art. 117 del d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917.
In data 8 gennaio 2008, la stessa consolidante comunicava che anche un’altra società per azioni intendeva aderire al consolidato, con effetto dall’anno di imposta 2007.
Successivamente, con istanza di rimborso presentata nel 2010, la società consolidante chiedeva la restituzione di un importo a titolo di maggiore IRES versata in relazione all’anno d’imposta 2007, deducendo che in sede di liquidazione era incorsa in errore materiale, avendo quantificato il reddito imponibile senza computare il risultato fiscale negativo conseguito dalla società inserita tardivamente nel perimetro del consolidato.
L’Agenzia delle entrate notificava provvedimento di diniego di rimborso, nel quale evidenziava che la dichiarazione di adesione al consolidato nazionale dell’ultima consolidata non poteva operare per l’anno 2007, essendo la comunicazione pervenuta solo dopo la scadenza del termine di cui all’art. 119, co. 1, lett. d), del TUIR.
Pertanto, la contribuente proponeva ricorso avverso il provvedimento di diniego e depositava documentazione comprovante l’adesione alla sanatoria di cui all’art. 2, co. 1, del D.L. 2 marzo 2012 n. 16, nonché il pagamento della relativa sanzione di cui all’articolo 11, comma primo, del d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 471, nella misura minima, volta a regolarizzare la violazione relativa alla tardiva adesione dell’ultima consolidata.
A seguito dell’accoglimento del ricorso della contribuente, l’Amministrazione finanziaria ricorreva infruttuosamente in appello.
In particolare, la commissione regionale osservava che l’utilizzo del ravvedimento operoso avesse sanato il ritardo nella presentazione della comunicazione, atteso che il citato art. 2 del D.L. n. 16/2012 poneva come condizione necessaria per la sua efficacia che non fosse scaduto il termine di presentazione della prima dichiarazione utile che, nel caso di specie, spirava il 30 giugno 2008.
Tale conclusione non veniva condivisa dal Collegio di Legittimità adito che, con la pronuncia in questione, accoglieva il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate, che si doleva, anzitutto, della violazione e falsa applicazione dell’articolo 2, comma primo del d.l. 16/2012, nell’avere la CTR riconosciuto portata retroattiva alla disposizione, in violazione dell’articolo 11 delle preleggi; detta disposizione, come chiarito dalla circolare n. 38/E del 28 settembre 2012, avrebbe dovuto dispiegare effetti per gli adempimenti omessi a decorrere dal 2011, e non per annualità pregresse, per le quali, peraltro, il potere accertativo non era più esercitabile.
Inoltre, lamentava l’Amministrazione, il giudice di seconde cure avrebbe applicato la menzionata disposizione in difetto dei requisiti in concreto richiesti; l’esercizio dell’opzione da parte della consolidante, infatti, nel caso di specie avrebbe testimoniato un ripensamento di una scelta precedentemente operata e non un errore formale, non sussistendo comportamenti concludenti rilevabili.
A parere della Suprema Corte, nonostante la società contribuente avesse aderito alla sanatoria, provvedendo al versamento della relativa sanzione, il ritardo nella comunicazione di adesione di una controllata al consolidato fiscale non poteva essere sanato mediante il meccanismo previsto dal richiamato comma 1 dell’art. 2 del D.L. n. 16/2012.
Detto meccanismo, infatti, può trovare applicazione, per espressa previsione normativa, solo allorquando la violazione non sia stata preventivamente constatata dall’Amministrazione finanziaria, mediante attività amministrative di cui il contribuente abbia avuto formale conoscenza.
Nella descritta fattispecie l’Ufficio, già prima della data di entrata in vigore del decreto-legge, aveva emesso provvedimento di diniego di rimborso, motivato proprio sulla base della tardività della comunicazione dell’opzione, da parte dell’ultima consolidata, per il regime di tassazione del gruppo.
Nello specifico, con il provvedimento di diniego in questione, l’Agenzia delle entrate evidenziava che l’istanza di rimborso presentata dalla società consolidante non potesse trovare accoglimento in quanto, come previsto dall’art. 119, co. 1, lett. d), del TUIR, l’avvenuto esercizio dell’opzione doveva essere comunicato all’Ufficio entro il sedicesimo giorno del sesto mese successivo alla chiusura del periodo d’imposta precedente al primo esercizio cui si riferiva l’esercizio dell’opzione stessa (nel caso di specie, entro il 16 giugno 2007).
Dal momento che era indubbio il fatto che il provvedimento di diniego espresso fosse stato notificato alla contribuente, la quale ne ha quindi avuto piena conoscenza, la Corte ha evidenziato come la violazione non sia rimasta incontestata e che la consolidante non potesse, di conseguenza, avvalersi legittimamente dell’applicazione del beneficio della remissio in bonis.