La sentenza in commento n. 560/2019 del Tribunale di Reggio Emilia conferma alcuni importanti principi che assumono rilevanza nell’ambito del contenzioso banca-cliente, in particolare sul tema dell’onere della prova della apertura di credito ai fini della verifica delle rimesse cd. solutorie oggetto di prescrizione, nonché in punto alle modalità di adeguamento, da parte dell’Istituto di credito, alla delibera CICR 9 febbraio 2000.
Sotto il primo profilo, il Tribunale fa preliminarmente richiamo alla nota sentenza della Corte di Cassazione n. 24418/10 ai fini della individuazione del termine di decorrenza della prescrizione, che viene fatto coincidere non con la chiusura del conto, bensì con il singolo accredito/addebito in conto corrente avente funzione solutoria, in quanto effettuato su un conto privo di apertura di credito o destinato a coprire un passivo eccedente i limiti dell’affidamento. A tale proposito, rileva il Tribunale come, nel caso di specie, il rapporto di conto corrente non potesse ritenersi assistito da concessione di affidamento, non essendo presente in atti alcun contratto di apertura di credito.
In punto all’onere della prova, osserva il Giudicante che, per condivisibile orientamento giurisprudenziale, incombe in capo al correntista che agisce in ripetizione, ai sensi dell’art. 2697 c.c., non solo l’onere della produzione integrale degli estratti conto dai quali desumere le somme che si assumono illegittimamente pagate alla banca e delle quali si rivendica la ripetizione, ma altresì l’onere di provare la natura ripristinatoria delle rimesse e, dunque, l’esistenza di affidamenti. Nel caso di specie, non essendovi in atti prova scritta dell’esistenza di un contratto di apertura di credito, né della durata, misura ed entità del relativo affidamento, il Tribunale ribadisce in via generale l’impossibilità di attribuire rilevanza al c.d. affidamento “di fatto” (del quale non si conoscono la misura, il tasso applicato e la durata, elementi nemmeno dedotti da parte attrice/opponente), così come di evincere in via automatica la presenza di affidamenti dall’esistenza di scoperti di conto corrente (Corte d’Appello di Brescia, sent. n. 81/2016 del 26.1.2016).
Attesa, dunque, la tempestività dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca convenuta, la mancata produzione del contratto di affidamento comporta che tutte le rimesse eseguite a valere sul conto corrente oggetto di causa, a ritroso dal decennio antecedente alla data di notifica della citazione, devono essere considerate avvenute in assenza di affidamenti e, quindi, allo scoperto (ovvero destinate a coprire un passivo eccedente il limite dell’accreditamento) e per l’effetto prescritte.
La sentenza si pone in linea di continuità con l’orientamento giurisprudenziale che ritiene inammissibile la configurabilità di un affidamento cd. “de facto”, in quanto contrastante con i principi della determinatezza e della trasparenza contrattuale e con l’esigenza di una quantificazione esatta del supposto fido,dovendo la prova dell’affidamento essere fornita per iscritto ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 117 TUB e non potendo essere desunta dai meri saldi negativi di conto corrente (fra le tante, Corte d’Appello di Napoli, sentenza n. 13 del 03/01/2018; Corte di Appello di Brescia, sentenza del 23 dicembre 2015; Corte di Appello di Torino, sentenza del 12.01.2017; Corte d’Appello di Torino, sentenza del 12.12.2014; Tribunale di Bari, sentenza n. 2353 del 21 maggio 2015; Tribunale di Mantova, sentenza del 03.05.2014; Tribunale di Torino, sentenza del 24.11.2014).
Sul tema dell’anatocismo, inoltre, il Tribunale di Reggio Emilia, dopo aver ribadito che, per il periodo che precede l’adeguamento delle clausole anatocistiche alle nuove disposizioni, attuato mediante pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, l’applicazione di interessi anatocistici non può ritenersi legittima, essendo escluso che tale pratica possa ritenersi conforme ad un uso normativo regolarmente accertato e consolidato attraverso una ventennale giurisprudenza, accerta che, nel caso di specie, risultava prodotta dalla banca la copia del comunicato pubblicato sul foglio inserzioni della G.U. del 30 maggio 2000 avente ad oggetto l’adeguamento alle disposizioni della delibera del CICR del 9 febbraio 2000. In particolare, nel predetto comunicato veniva indicata l’introduzione per i conti correnti della periodicità di capitalizzazione trimestrale sia per gli interessi debitori che per gli interessi creditori a far data dalla liquidazione delle competenze del 30 giugno 2000.
Tale pubblicazione in Gazzetta Ufficiale viene, dunque, ritenuta sufficiente ai fini dell’adeguamento della banca alla delibera del CICR del 9 febbraio 2000, pur in mancanza della comunicazione scritta al correntista. Su tale presupposto, la sentenza ritiene solo parzialmente fondata la domanda svolta dall’attore avente ad oggetto la declaratoria della illegittimità della capitalizzazione degli interessi debitori operata dalla banca convenuta. Per il periodo successivo al 1.7.2000, infatti, il Tribunale conferma la legittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi creditori e debitori, atteso l’adeguamento alla delibera del CICR del 9 febbraio 2000 effettuato dalla Banca mediante pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
La sentenza in commento si segnala altresì per aver confermato, tra l’altro, il principio della inammissibilità della domanda di ripetizione di indebito ex art. 2033 c.c. svolta in relazione ad un conto corrente ancora in essere alla data di notifica della citazione.
Precisa il Giudicante che, in siffatta ipotesi, il cliente ha in ogni caso titolo e interesse a proporre apposita azione di accertamento negativo volta ad ottenere la dichiarazione di nullità delle clausole contrattuali, nonché l’accertamento delle somme addebitate dalla banca in base alla clausola nulla, o comunque in difetto di una conforme previsione contrattuale, e, dunque, lo storno dell’annotazione indebita, con il conseguente ricalcolo dei rapporti di dare-avere tra le parti.
Sul punto, resta da chiedersi se tale accertamento, laddove implichi ancheil ricalcolo dei rapporti di dare-avere tra le parti ed il conseguente storno dell’annotazione indebita – come richiede il Tribunale – non si tramuti in una sorta di ripetizione, seppur in chiave contabile, come tale inammissibile.
In caso contrario, non si comprende quale sarebbe il risultato giuridicamente apprezzabile di un mero accertamento di un saldo corretto, senza obbligo per la banca di accreditare un importo pari alle somme che si reputano illegittimamente addebitate (nel senso della inammissibilità della stessa domanda di accertamento qualora il conto corrente sia ancora aperto, si veda, ad esempio, Tribunale di Monza, sentenza del 25 gennaio 2016; Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sentenza n. 2993 del 13.09.2016).