1. In un periodo di complessità incommensurabile rispetto a quello, già non semplice, in cui le imprese navigavano in epoca precedente alla pandemia, è stata approvata, da qualche giorno, la legge di bilancio dello Stato nella quale sono anche contenute nuove disposizioni sul capitale delle società. Con quest’ultima legge, tra le tantissime altre cose, è stato infatti sostituito l’art. 6 del c.d. d.l. “liquidità” ovvero del d.l. 8 aprile 2020, n. 23, poi convertito, che aveva già introdotto una disposizione temporanea in materia di riduzione del capitale sociale.
Quest’ultima norma è, da qualche giorno, modificata dal comma 266 dell’art. 1 della l. 30 dicembre 2020, n. 178, ovvero della c.d. “legge di bilancio” di cui si è detto, che disciplina oggi la materia in modo parzialmente diverso.
A differenza di quanto accadeva in passato, il termine entro il quale la perdita deve risultare diminuita a meno del terzo (anche se intacca il minimo legale) è posticipato al quinto esercizio successivo, e l’assemblea che approva il bilancio di tale esercizio deve ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate. «Fino alla data di tale assemblea non opera la causa di scioglimento delle società per riduzione o perdita del capitale sociale» di cui all’art. 2484, comma 1°, n. 4), c.c. e di cui all’art. 2545 duodecies c.c.
2. Il legislatore sembra però non avere consapevolezza del fatto che nel nostro ordinamento ormai da tempo si è diffuso un orientamento, non condivisibile ma ormai radicato, che sostiene che la perdita della continuità aziendale possa concretizzarsi in una causa di scioglimento della società; per la precisione – art. 2484, comma 1°, n. 2), c.c. – quella relativa alla sopravvenuta impossibilità di conseguire l’oggetto sociale.
Disporre la non operatività, in epoca di pandemia, della causa di scioglimento per riduzione o perdita del capitale sociale non risolve necessariamente i problemi che si sarebbero dovuti affrontare. Il rischio che, in futuro, possa affermarsi che si è verificata la causa di scioglimento derivante dal venir meno della continuità aziendale avrebbe dovuto essere previsto e soprattutto neutralizzato.
Quello che si vuole sostenere, insomma, è che in un periodo come quello che le imprese stanno attraversando in cui la continuità aziendale è messa a rischio, se non proprio congelata, dalle norme che impongono per determinati settori la chiusura o lo svolgimento di un’attività limitata, il legislatore si è occupato di “fingere” contabilmente che la continuità esista (da ultimo, con l’art. 38 quater del d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito dalla l. 17 luglio 2020, n. 77), ma ha completamento omesso di considerare gli effetti che la sua mancanza potrebbe creare sullo scioglimento della società.
Chi scrive non ha mai condiviso – lo si dice con inevitabili semplificazioni – l’assunto che fa conseguire, dal venir meno della continuità aziendale, il verificarsi di una causa di scioglimento; e tanto per molteplici ragioni che non è questa ovviamente la sede per esaminare nel dettaglio.
Un argomento per tutti: la sopravvenuta impossibilità di conseguire l’oggetto sociale deve essere definitiva e irreversibile per concretizzare la causa di scioglimento prevista dall’art. 2484, comma 1°, n. 2), c.c.; la perdita della continuità aziendale è, per contro, un giudizio prognostico e può limitarsi ad un periodo limitato di tempo (come dimostra la pandemia in corso); la perdita della continuità aziendale è tendenzialmente, in altre parole, per definizione, reversibile.
Oggi le repliche all’orientamento, che non si condivide, rischiano di dover essere ripensate, lo si dice in forma dubitativa, alla luce del disposto dell’art. 380 c.c.i. che aggiungendo all’art. 2484, comma 1°, c.c. il comma 7 bis – in forza del quale, in futuro, le società si scioglieranno anche «per l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale e della liquidazione controllata» – sembra voler accreditare la tesi che qui si avversa; è indubbio, infatti, che da questo dato testuale si potrebbe argomentare un’apertura del legislatore ad una causa di scioglimento slegata dalla riduzione del capitale al di sotto del limite legale (e dalle altre previsioni espresse contenute nella legge).
Per contro la tesi che si critica può forse essere messa ulteriormente in discussione dalle nuove disposizioni temporanee sul capitale, di cui si è detto sopra, perché, se il legislatore vuole che, nel periodo pandemico, il verificarsi della causa di scioglimento riferita al capitale non produca i suoi effetti, a maggior ragione – si può sostenere – non vuole che la mancanza di continuità aziendale possa rappresentare causa di scioglimento per impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale (cfr. anche l’art. 182 bis l. fall. e l’art. 64 c.c.i.).
Il legislatore del periodo pandemico avrebbe dovuto – e dovrebbe – farsi carico di chiarire che il venir meno della continuità non può essere considerata una causa di scioglimento della società con tutte le conseguenze che ne derivano sul piano logico e giuridico.