Con la pronuncia in oggetto, l’ABF si è pronunciato su un conto corrente pubblicizzato come gratuito per sempre e sullo ius variandi ex art. 118 TUB dell’intermediario.
In particolare, nel caso di specie, l’intermediario propone sul mercato un conto corrente «SMART – pacchetto base – già tuo e gratuito per sempre», pure provvedendo a pubblicizzare il prodotto negli stessi termini sul proprio sito.
Il testo contrattuale prevede, tra l’altro, che la «valorizzazione delle spese mensili di liquidazione del conto corrente pacchetto/profilo SMART» è «a zero»; pure si esprime la facoltà per la banca di modificare unilateralmente le condizioni del contratto (art. 14).
Sennonché, con due distinte comunicazioni di analogo tenore sostanziale (nel maggio 2021 e poi nel luglio 2022), la banca provvede alla modifica unilaterale delle condizioni contrattuali ex art. 118 tub: comunicando che, salvo il caso di recesso del cliente nei termini di legge, per il futuro richiederà «in via continuativa» per le spese fisse di liquidazione del conto la somma di € 7,50 per ogni trimestre.
La prima comunicazione, peraltro, ha costituito oggetto di un procedimento davanti all’AGCM: l’Autorità di tutela della concorrenza non ha, tuttavia, nel concreto irrogato sanzioni, posto il ravvedimento operoso dell’intermediario che aveva prontamente provveduto a riaccreditare le somme addebitate sulla base della nuova clausola.
Nei fatti, il giudizio dell’ABF si concentra dunque solo sulla seconda comunicazione, comunque analoga in termini sostantivi a quella già attenzionata dall’AGCM.
Alla contestazione del cliente, relativa all’illegittimità dell’indicata clausola, l’intermediario risponde che è stata solo «modificata la valorizzazione delle spese mensili di liquidazione del conto corrente pacchetto/profilo SMART»: questo «elemento [era] già indicato nel relativo contratto sottoscritto dal ricorrente con valorizzazione “a zero”».
Non è stata introdotta alcuna «nuova clausola», dunque: «le spese di liquidazione del conto corrente erano già indicate e previste nel contratto sottoscritto» dal ricorrente; «lo zero rientra pacificamente tra i simboli numerici rappresentativi di un “valore”, di una “cifra”, di una “misura”».
«A seguire l’assunto secondo il quale una spesa prevista in un contratto di conto corrente non può essere oggetto di ius variandi ex art. 118 TUB solo perché valorizzata “a zero”, si giungerebbe all’assurda conclusione di poterla modificare se questa fosse stata invece valorizzata a 0,00001»: «il che non sembra esattamente un ragionamento lineare e fondato logicamente, ancora prima che dal punto di vista normativo».
Le difese della banca vengono tuttavia respinte dall’ABF.
Secondo l’Arbitro, l’incremento della voce di costo fissata «a zero» a un valore positivo costituisce applicazione di «nuovo costo», con conseguente illegittimità della modifica unilaterale del contratto.
Pur costituendo, infatti, certamente lo zero una misura, lo stesso «indica e rappresenta che la cifra cui [la detta misura] viene nel concreto riferita, è una attività, ovvero un servizio, di ordine gratuito, non già oneroso.
Non può essere dubbio, perciò, che l’adozione – in corso di contratto – di un valore positivo a fronte dello svolgimento di un’attività o di un servizio, che in precedenza era valorizzato a zero, comporti il transito da un’attività, o servizio, di natura gratuita a un’attività, o servizio, di natura per contro onerosa».
La natura di conto corrente gratuito del servizio – precisa pure l’Arbitro – non viene certo a mutare per il caso di valori appena positivi (0,00001): il prezzo simbolico (nummo uno) non vale, del resto, a mutare la causa liberale in quella di scambio.
A questo primo argomento di natura per così dire «tecnica», l’ABF ne aggiunge un altro di carattere più «sostanziale».
L’accoglimento del ricorso viene infatti a costruirsi sulla costatazione della lesione dell’affidamento ingenerato nella clientela per effetto della pubblicizzazione del prodotto in termini di «gratuità per sempre».
È ragionevole assumere, in effetti, che sia stata questa particolare caratteristica ad attrarre i clienti verso la sottoscrizione del contratto.
Nel contesto del rapporto complessivo, il successivo transito da un regime di gratuità a uno oneroso costituisce, all’evidenza, una netta frattura, in sé comunque oggettivamente non prevedibile attesa la particolare presentazione che l’intermediario aveva dato al prodotto: difficile sembra allora stimare legittima la variazione in pejus applicata dall’intermediario.
Nel caso di specie – aggiunge l’ABF, sempre in questa prospettiva – la clausola contrattuale riproduttiva del ius variandi veniva testualmente formulata facendo «salvo» il caso di «quanto espressamente previsto per i singoli servizi».
Ora, posta la ridetta pubblicizzazione del conto corrente come «gratuito per sempre», ne segue che il complessivo comportamento dell’intermediario si dirige verso la sottrazione della voce di costo in questione dall’ambito di applicazione dello ius variandi contrattuale: in questo senso, se non altro, trattandosi di contratto predisposto dall’impresa, depone il principio di interpretatio contra proferentem (art. 1370 c.c. e 35 cod. cons.).