Con il presente ricorso parte ricorrente, titolare di un rapporto di conto corrente intrattenuto presso l’intermediario, invoca l’intervento dell’ABF per ottenere esaurienti spiegazioni sulle motivazioni che hanno portato al recesso ad nutum dal conto corrente senza preavviso con richiesta di liquidazione del saldo residuo nonché restituzione delle spese e degli interessi addebitati.
L’intermediario rileva di avere esplicitato le ragioni sottese all’estinzione del rapporto in sede di riscontro al reclamo e di avere inviato a parte ricorrente una lettera di recesso con concessione di un termine di preavviso superiore rispetto a quello di 15 giorni previsto dalla legge e dall’art. 15 del contratto.
Rappresenta, comunque, che alla data della domanda il rapporto non risultava ancora estinto e produce al riguardo evidenza da cui si evince che il conto corrente intestato al cliente era ancora in essere, seppur con saldo negativo.
Ne consegue, alla luce della circostanza sopra riportata, che la domanda non può trovare accoglimento considerato che alla data della stessa il rapporto di conto corrente non risultava estinto.
In ogni caso e comunque il Collegio evidenzia che secondo l’orientamento maggioritario dei Collegi territoriali ABF il recesso ad nutum da un rapporto a tempo indeterminato è da ritenersi legittimo, senza che vi sia necessità per l’intermediario di esplicitare le ragioni che lo hanno determinato, trattandosi di facoltà espressamente prevista dalla legge; l’art. 1855 c.c. stabilisce, infatti, che «[s]e l’operazione regolata in conto corrente è a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può recedere dal contratto, dandone preavviso nel termine stabilito dagli usi o, in mancanza, entro quindici giorni» (cfr. Collegio di Milano, n. 7594/2022; Collegio di Roma, n. 6164/2022; Collegio di Bari, n. 3153/2022; Collegio di Bologna, n. 18120/2020).
Si è, inoltre, osservato che “il recesso ad nutum si configura come una modalità di scioglimento del rapporto contrattuale a tempo indeterminato che richiede un preavviso proprio in virtù dell’assenza di giusta causa.
Da questo punto di vista, esigere che la banca giustifichi l’esercizio del suo diritto a sciogliersi dal vincolo contrattuale significherebbe snaturare l’istituto in esame, tramutandolo in un recesso per giusta causa e di fatto annullando la differenza ontologica esistente tra le due tipologie di recesso, ben evidenziata dall’impostazione che il codice civile, all’art. 1845, adotta con riferimento al recesso della banca dal contratto di apertura di credito” (cfr. Coll. ABF Roma, n. 15035/2020).
Il modus operandi di tale diritto, nonostante la non sindacabilità delle motivazioni alla base dello stesso è, invece, valutabile restando vincolato al fondamentale principio dell’esecuzione dei contratti secondo buona fede.
A ciò si aggiunge che, per quanto anche per il recesso (ad nutum) valgano i canoni generali di buona fede oggettiva e di lealtà e correttezza nell’esecuzione del contratto, la rilevanza degli stessi è limitata all’eventuale ricorrenza di un abuso. Parte ricorrente non ha, tuttavia, offerto prova alcuna dell’abuso né ha formulato alcuna domanda risarcitoria.