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Contract Governance e sostenibilità

31 Luglio 2024

Rita Rolli, Professoressa Ordinaria di Diritto Privato, Università di Bologna

Di cosa si parla in questo articolo

[*] SOMMARIO: Il saggio affronta la sinergia tra corporate governance e contract governance come strumenti di progettazione e regolamentazione del mercato. Il tramonto della categoria del negozio giuridico fa emergere la figura del contratto nelle sue poliedriche funzioni, tra cui quella del “contratto al posto della legge”. Questa funzione di autoregolazione e regolazione del contratto evidenzia l’insufficienza della visione classica dello stesso come atto di scambio e di composizione di interessi individualistici, sottolineando la necessità, in una moderna teoria del contratto, di indagare i suoi effetti nei confronti dei terzi, come la prospettiva della contract governance si propone di operare. Il tema rileva in particolare con riferimento ai contratti che regolano le catene del valore, assunte a paradigma nel mercato globale contemporaneo. In questa prospettiva, la prassi contrattuale e la recente legislazione comunitaria, in primis la CSDDD, registrato il fallimento dello strumento volontaristico dei codici etici, propongono clausole di sostenibilità, che da un lato sollevano nuovi profili di teoria generale del contratto, quanto agli effetti tra le parti e nei confronti dei terzi, dall’altro dimostrano come il contratto possa fungere nel contesto attuale da strumento di governo della sostenibilità, evidenziando come sempre più in questo campo e, più in generale, nel mercato il private ordering concorra con il public ordering a fornire un quadro di riferimento.

ABSTRACT: The essay addresses the synergy between corporate governance and contract governance as instruments of market design and regulation. The demise of the category of “negozio giuridico” brings out the figure of the contract in its multifaceted functions, including that of the ‘contract instead of the law’. This function of self-regulation and regulation of the contract highlights the inadequacy of the classical view of the contract as merely an act of exchange and composition of individualistic interests, underlining the need, in a modern theory of the contract, to investigate its effects on third parties, as the perspective of contract governance proposes to do. The topic is particularly relevant with reference to contracts that regulate value chains, taken as a paradigm in the contemporary global market. In this perspective, contractual practice and recent Community legislation, first and foremost the CS3D, having registered the failure of the voluntary instrument of codes of ethics, propose sustainability clauses, which on the one hand raise new profiles of the general theory of the contract, as regards the effects between the parties and in relation to third parties, and on the other demonstrate how the contract can act in the current context as an instrument for governing sustainability, highlighting how private ordering increasingly competes with public ordering to provide a reference framework in this field and, more generally, in the market.


1. La sostenibilità nell’attuale legal framework. Corporate governance e contract governance strumenti di progettazione e regolazione del mercato?

Una prospettiva emergente della funzione del contratto nel contesto attuale può essere quello di governo della sostenibilità.

La sostenibilità si mostra, data l’abbondanza delle sue prospettive sociali, economiche, giuridiche, quasi l’elisir mediatico del momento.

Se solo si ha riguardo alla riforma degli art. 9 e 41 cost. – che fanno riferimento alla tutela dell’ambiente “anche nell’interesse delle generazioni future” (art. 9) e ai “fini sociali e ambientali” ai quali deve essere coordinata l’attività economica privata – si assiste all’irrompere degli elementi naturali nella conoscenza e progettazione delle istituzioni sociali [1].

È oggi presente a livello sociale ampia condivisione dei valori sottesi alla sostenibilità [2], alla luce degli urgenti problemi che attraversano la società civile nell’attuale periodo storico.

Ed “i fattori culturali sono potenti, nelle vicende sociali ed economiche” [3]; “quando un quadro culturale cambia, le norme giuridiche, più o meno rapidamente, si adeguano, nel processo interpretativo e applicativo” [4], come dimostra il progressivo legal framework, che rapidamente si è sviluppato negli ultimi anni a livello internazionale, comunitario, nazionale e di autodisciplina attorno ai temi sussunti nella sostenibilità [5].

In via riassuntiva ricordata, a livello globale e internazionale, l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità, sottoscritta il 25 settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite, e approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU, costituita da 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile – Sustainable Development Goals, SDGs – inquadrati all’interno di un programma d’azione più vasto costituito da 169 target o traguardi, ad essi associati, da raggiungere in ambito ambientale, economico, sociale e istituzionale entro il 2030.

L’accordo di Parigi, firmato nel dicembre 2015 da 195 Paesi, ratificato dall’Unione europea il 5 ottobre 2016 ed entrato in vigore il 4 novembre 2016, costituisce il primo accordo universale sul clima mondiale per adattare e rafforzare la resilienza ai cambiamenti climatici e per contenere l’aumento della temperatura globale entro 2 gradi dall’epoca preindustriale, cercando di restare, se possibile, entro il target ottimale di 1.5 gradi.

L’Europa ha intrapreso un vigoroso Green Deal, presentato l’11 dicembre 2019 [6], come progetto per rendere l’Europa il primo continente climaticamente neutro entro il 2050, promuovendo l’economia, migliorando la salute e la qualità della vita delle persone, prendendosi cura della natura e senza lasciare nessuno indietro, i cui obiettivi sono oggi riflessi nel Recovery Plan Next Generation Ue, e in Italia nel PNRR.

Nell’ambito del Green Deal si inserisce l’Action Plan del 2018 – Piano d’azione per finanziare la crescita sostenibile dell’8 marzo 2018 adottato dalla Commissione dell’Unione europea –, finalizzato, tra l’altro, a riorientare i flussi di capitali verso investimenti sostenibili, al fine di realizzare una crescita sostenibile e inclusiva, di integrare la sostenibilità nella gestione dei rischi e di promuovere la trasparenza e la visione a lungo termine delle imprese. Di particolare rilevanza, quale documento fondante il predetto Action Plan, è la Relazione finale del 31 gennaio 2018 del gruppo di esperti ad alto livello sulla finanza sostenibile (High-level expert group on sustainable finance – HLEG), incardinata su due imperativi: (i) migliorare il contributo della finanza alla crescita sostenibile e inclusiva finanziando le esigenze a lungo termine e (ii) consolidare la stabilità finanziaria integrando i fattori ESG nel processo decisionale relativo agli investimenti.

Con il pacchetto Fit for 55 l’Europa si prefigge il conseguimento dell’obiettivo climatico di ridurre le emissioni dell’UE di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, che diventa un obbligo giuridico, con lo scopo di rendere l’UE climaticamente neutra entro il 2050, in linea con il ruolo di leader nella transizione energetica e più in generale nella sostenibilità, che le istituzioni comunitarie hanno intrapreso a livello globale.

Da questo quadro internazionale e comunitario sono gemmate nuove legislazioni a livello sia europeo sia comunitario.

In Francia la Loi Pacte – Plan d’Action pour la Croissance et la Transformation des Enterprises (PACTE) dell’11 aprile 2019, ha modificato l’art. 1833 Code civil: “ogni azienda deve avere un oggetto lecito ed essere costituita nell’interesse comune dei soci. L’azienda è gestita nel suo interesse sociale, tenendo in considerazione le problematiche sociali e ambientali della propria attività”; l’art. 1835 Code civil: “Lo statuto può prevedere una ragion d’essere, costituita dai principi che la società adotta e per i quali intende destinare risorse nello svolgimento della propria attività”; art. L. 210-10 del Codice di Commercio, introducendo la société à mission [7].

La Loi n. 2017-399 del 27 marzo 2017, relativa au devoir de vigilance des sociéteés mères et des entreprises donneuses d’ordre, ha imposto alle società di grandi dimensioni uno specifico dovere di vigilanza sulla propria catena di approvvigionamento e, dunque, ha previsto l’obbligo per le società di notevole dimensione di predisporre un piano di vigilanza per identificare i rischi e prevenire le lesioni gravi dei diritti umani e dei diritti fondamentali, della salute, della sicurezza delle persone e dell’ambiente. Oltre a un meccanismo di controllo e di public enforcement, le società che, violando il devoir de vigilance, causano un danno, sono tenute al risarcimento dello stesso secondo le norme sulla responsabilità civile [8].

La legge 8 agosto 2016, n. 2016-1087, ha introdotto agli artt. 1246-1252 e 2226-1 del Code civil la nozione di préjudice écologique.

La Corte d’Appello di Parigi nel gennaio 2024 ha annunciato la creazione di una nuova sezione specializzata dedicata al contenzioso emergente in materia di devoir de vigilance e alla responsabilità ecologica [9].

In Belgio l’art. 1:1 della Loi du 23 mars 2019 introduisant le Code des sociétés et des associations et portant des dispositions diverses (Nuovo codice delle società e delle associazioni) ha chiarito che lo scopo di lucro è scopo necessario, ma non esclusivo, delle società.

In Germania la Lieferkettensorgfaltspflichtengesetz (LkSG) – Legge sulla due diligence nella catena di fornitura – del 17 luglio 2021 ha previsto l’obbligo per le società che superano determinate soglie dimensionali di esercitare la dovuta diligenza nelle loro catene di approvvigionamento, con l’obiettivo di prevenire o ridurre al minimo i rischi per i diritti umani o l’ambiente o di porre fine alla violazione dei diritti umani o degli obblighi ambientali [10].

Sebbene la violazione delle norme in materia di dovuta diligenza preveda la possibilità di irrogare sanzioni pecuniarie nei confronti dell’impresa, la legge non prevede alcun meccanismo di responsabilità civile. Tuttavia, vi è possibilità di interazione con le norme generali sulla responsabilità civile del § 823 BGB.

In Norvegia il Forbrukertilsynet – Transparency Act, entrato in vigore il 1° luglio 2022, ha previsto tre principali obblighi per le società che superano determinate soglie dimensionali: due diligence, obbligo di svolgere la dovuta diligenza per identificare e valutare gli effettivi e potenziali impatti negativi sui diritti umani e sulle condizioni di lavoro dignitose nelle aziende e nelle loro catene di approvvigionamento; rapporto sulla due diligence, obbligo di pubblicare un resoconto annuale del processo di due diligence entro il 30 giugno di ogni anno; diritto all’informazione, obbligo di rispondere alle richieste del pubblico su come un’azienda affronta gli impatti negativi reali e potenziali sui diritti umani e sulle condizioni di lavoro dignitose.

Pilastri della normativa a livello comunitario sono il Regolamento UE 2019/2088, relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari (Sustainable Finance Disclosure Regulation – SFDR) [11] e il Regolamento UE 2020/852, relativo all’istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili (Taxonomy Regulation), che ha istituito un quadro generale sulla “tassonomia UE”, fornendo così uno strumento per valutare l’eligibility delle attività economiche e degli investimenti dal punto di vista dell’ecosostenibilità, ed ha affidato alla Commissione il compito di adottare successivi atti delegati per fissare i criteri di vaglio tecnico, con cui determinare se l’attività contribuisce in modo sostanziale agli obiettivi ambientali dell’Unione e non arreca un danno significativo a nessun altro obiettivo ambientale.

Ed ancor prima va ricordata Shareholder Rights Directive II, 2017/828/UE del 17 maggio 2017, che modifica ed integra la direttiva 2007/36/CE, Shareholder Rights Directive – SHRD, per quanto riguarda l’incoraggiamento dell’impegno a lungo termine degli azionisti, recepita in Italia dal d. lgs. 10 maggio n. 49 del 2019.

Tra le varie modifiche introdotte dal citato d. lgs. n. 49 del 2019, il nuovo art. 124-quinquies T.U.F., rubricato “Politica di impegno”, prevede che gli investitori istituzionali e i gestori di attivi che investono in società le cui azioni sono negoziate su mercati regolamentati dell’Unione Europea dovranno adottare e comunicare al pubblico “una politica di impegno che descriva le modalità con cui integrano l’impegno in qualità di azionisti nella loro strategia di investimento”.

La politica di impegno dovrà descrivere le modalità con cui i predetti soggetti: (a) monitorano le società partecipate sulle questioni rilevanti, compresi la strategia, i risultati finanziari e non finanziari nonché i rischi, la struttura del capitale, l’impatto sociale e ambientale e il governo societario; (b) dialogano con le società partecipate; (c) esercitano i diritti di voto e altri diritti connessi alle azioni; (d) collaborano con altri azionisti e comunicano con i pertinenti portatori di interesse delle società partecipate; e (e) gestiscono gli attuali e potenziali conflitti di interesse in relazione al loro impegno (comma 1).

Più di recente notevole impatto sugli ordinamenti europei avranno la direttiva CSRD, Corporate Sustainability Reporting Directive, direttiva 2022/2464 sulla rendicontazione della sostenibilità aziendale, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il 16 dicembre 2022 ed entrata in vigore il 5 gennaio 2023, relativamente alla quale in Italia il decreto delegato (recante recepimento della direttiva (UE) 2022/2464, che modifica il regolamento (UE) 537/2014, la direttiva 2004/109/CE, la direttiva 2006/43/CE e la direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la rendicontazione societaria di sostenibilità e per l’adeguamento della normativa nazionale) è stato approvato in prima lettura dal Consiglio dei Ministri il 10 giugno 2024 [12], e la direttiva CSDDD, Corporate Sustainability Due Diligence Directive, riguardante il dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità e che modifica la direttiva UE 2019/1937, approvata il 24 maggio 2024 in prima lettura dal Consiglio UE.

A livello di autodisciplina in Italia deve essere menzionato l’art. 1 del nuovo codice di Corporate governance del 2021, secondo il quale “l’organo di amministrazione guida la società perseguendone il successo sostenibile” (Principio I) [13], definito come “l’obiettivo che guida l’azione dell’organo di amministrazione e che si sostanza nella creazione di valore nel lungo termine a beneficio degli azionisti, tenendo conto degli interessi degli altri stakeholder rilevanti per l’impresa” (Definizioni).

Alla luce del quadro rapidamente delineato, nell’ambito dell’impresa, nel perdurante dibattito tra shareholderism e stakeholderism, pare nel contesto attuale emergere la convinzione che “una modifica della disciplina dell’impresa, che comporti una possibilità di controllo della discrezionalità imprenditoriale, legata alla sostenibilità delle scelte gestionali compiute, (non) sia incompatibile con il modello di un’economia di mercato ben funzionante” [14].

Ne è riprova la nuova prospettiva emergente nel dibattito che ha attraversato nei secoli il diritto societario, ossia se la società, ente causalmente preordinato alla realizzazione dello scopo di lucro (art. 2247 cod civ.), possa [15] perseguire anche “interessi altri”, ossia di quella categoria di soggetti, in verità eterogena, riassuntivamente definiti stakeholder rilevanti per l’impresa [16]. Nella teoria della shareholder primacy, ritenuta il punto conclusivo del dibattito nel famoso saggio del 2000 dei due giuristi americani, Hansmann e Krakmann, The End of History of Corporate Law [17], lo scopo della società, come in maniera paradigmatica scrisse il Premio Nobel per l’economia Milton Friedman, The Social Responsability of Business Is To Increase Its Profits, nel New York Times, 13 settembre 1970, consiste nella massimizzazione del profitto: “se c’è una e una sola responsabilità sociale dell’impresa – usare le sue risorse e dedicarsi ad attività volte ad incrementare i propri profitti a patto che essa rimanga all’interno delle regole del gioco, il che equivale a sostenere che competa apertamente senza ricorrere all’inganno o alla frode”. In questa prospettiva il perseguimento degli “interessi altri”, ad esempio, in ambito ambientale e sociale, viene, al contrario, demandato allo Stato, ossia al potere pubblico.

Vi sono oggi, a mio avviso, i presupposti per superare questa visione dicotomica, che pone in antitesi inconciliabile l’interesse dei soci al profitto e gli interessi “altri”, alla luce delle riflessioni più moderne, che vedono nella sustainability una core business function, funzionale alla profittabilità dell’impresa nel medio-lungo periodo [18].

Nell’attività gestoria, già gli amministratori devono bilanciare gli interessi plurimi dei soci, che sono eterogenei, in ragione delle diverse motivazioni dell’investimento [19], e non riconducibili all’idea di un fictional shareholder [20]; si tratta ora di comprendere che l’interesse sociale, nel perseguimento dello scopo di lucro, è anche la risultante della composizione di interessi plurimi, non solo dei soci, ma anche degli stakeholder rilevanti per l’impresa, coordinati dagli amministratori in vista dell’efficienza dell’impresa [21].

Le citate direttive CSRD e CSDDD sono il risultato di un percorso promosso dalle autorità comunitarie, che ha suscitato grande dibattito in Europa [22], con l’intento di promuovere in ambito comunitario una sustainable corporate governance [23].

L’incidenza sul diritto dell’impresa non riguarda, tuttavia, solamente la prospettiva della governance societaria [24], ma ricade innanzitutto su istituti del codice civile, quale quello della responsabilità civile dell’impresa, oggi statuito, dopo una lunga e complicata gestazione [25], dall’art. 29 della CSDDD – Responsabilità civile e pieno risarcimento del danno –, secondo il quale la società, tenuta ad esercitare il dovere di diligenza in materia di diritti umani e di ambiente (art. 5), può essere ritenuta responsabile di un danno causato a una persona fisica o giuridica, qualora la essa non abbia ottemperato agli obblighi di prevenzione degli impatti negativi potenziali sui diritti umani o sull’ambiente e/o di arresto degli impatti negativi effettivi sui medesimi, intenzionalmente o per negligenza, lungo la sua catena di attività, ricorrendone le condizioni previste dalla norma.

Si può discutere se questa sia una forma autonoma di responsabilità, stante il comma 6 della direttiva, che lascia impregiudicate le disposizioni nazionali, prevedendo che “le norme in materia di responsabilità civile di cui alla presente direttiva non limitano la responsabilità delle società ai sensi dei sistemi giuridici dell’unione o nazionali e lasciano impregiudicate le norme unionali o nazionali in materia di responsabilità civile relative agli impatti negativi sui diritti umani o agli impatti ambientali negativi che prevedono la responsabilità in situazioni non contemplate dalla presente direttiva o che prevedono una responsabilità più rigorosa rispetto alla presente direttiva”.

Tuttavia, la radice della responsabilità della società per la violazione degli obblighi di dovuta diligenza alla quale sia conseguito un danno non mi pare possa sfuggire dalla sua qualificazione in termini di responsabilità extracontrattuale, con la precisazione che che non saranno risarcibili danni ultracompensativi o punitivi (comma 2); “una società non può essere ritenuta responsabile se il danno è stato causato solo dai suoi partner commerciali nella sua catena di attività” (comma 1); “la responsabilità civile della società (…) lascia impregiudicata la responsabilità civile delle sue filiazioni o dei suoi partner commerciali diretti e indiretti nella catena di attività della società. Quando il danno è stato causato congiuntamente dalla società, dalla sua filiazione e da un partner commerciale diretto o indiretto, essi sono responsabili in solido, fatte salve le disposizioni di diritto nazionale relative alle condizioni della responsabilità in solido e ai diritti di regresso” (comma 5).

Si può, infatti, consentire con l’opinione espressa nel corso dell’adozione della direttiva, per cui “se la proposta diventerà legge, saranno superate le strettoie della teoria tradizionale del risarcimento e si aprirà un capitolo molto vasto sul tema della responsabilità extracontrattuale dell’impresa” [26]. Viene allora confermata la sensazione di essere dinanzi ad una rivoluzione “del diritto dell’impresa” [27].

Ma sorge il quesito se la nuova prospettiva si estenda dalla responsabilità civile dell’impresa ad un altro istituto centrale del codice civile, il contratto, e se alla funzione della corporate governance, declinata come sustainable corporate governance, possa aggiungersi quella della contract governance in merito al governo della sostenibilità, come possibili strumenti di progettazione e regolazione del mercato.

2. Dal negozio giuridico alla contract governance nelle funzioni del contratto

Il negozio giuridico, elaborazione della Pandettistica tedesca, in cui riecheggia il solus consensus obligat del giusnaturalismo di Grozio, è stata categoria ordinante della società civile nella Germania dell’800, nella quale il Diritto dei Professori ha svolto una funzione di regolamentazione al di fuori della necessità di un codice civile [28].

Seppur ripudiato nel codice del 1942 e sottoposto a critica dalla moderna dottrina antidogmatica, la categoria del negozio giuridico ha continuato a svolgere un ruolo centrale nella scienza giuridica dell’Europa continentale dell’800 e del ‘900, in quanto coestensivo alla nozione di autonomia privata, come pilastro dell’agire del privato nella società, in un’ottica individualistica, riveniente dalla rivoluzione borghese e dai dettami del liberismo economico a base del processo di codificazione, che, configurando il mercato come luogo ideale capace di realizzare un’ottimale allocazione delle risorse ed opportunità per tutti, si è saldamente ancorato ad un principio di uguaglianza formale delle parti nel contratto, favorendo il consolidarsi di una concezione soggettiva e volontaristica dello stesso.

L’esperienza storica e giuridica successiva ha posto in crisi il “mito” del mercato ed evidenziato come esso possa determinare esternalità negative, cd. market failures.

Di ciò si è fatto carico il legislatore contemporaneo, soprattutto comunitario, nell’intento, alla luce di un principio di uguaglianza sostanziale, di colmare le asimmetrie informative e di potere contrattuale delle parti nel mercato.

Il diritto settoriale ha svolto una funzione trainante per l’evoluzione della disciplina del contratto in generale – ne è testimonianza il dibattito tra primo, secondo, terzo contratto [29] e contratto asimmetrico [30] – favorendo l’affermarsi nel cd. nuovo diritto dei contratti di una visione più incentrata sul profilo oggettivo del contratto relativo alla congruità dello scambio.

Il predetto scenario nel sistema multilivello delle fonti e nelle fonti di regolamentazione del mercato [31] solleva, nel passaggio dal negozio giuridico al contratto, nuove riflessioni sul ruolo del contratto nell’ordinamento contemporaneo e attualizza il perdurante quesito sulle funzioni del diritto privato, sulla distinzione tra diritto pubblico e diritto privato [32].

Sulla base di queste premesse è significativo richiamare le parole di uno dei massimi fautori della revisione o meglio “reiezione” della categoria del negozio giuridico nell’attuale ordinamento giuridico.

Francesco Galgano nella Prefazione alla prima edizione de Il negozio giuridico [33] scriveva: “Non ripeto qui, perché ne parlo largamente nei primi due capitoli del volume le ragioni per le quali ‘antica reductio ad unum non è più in grado di resistere al vaglio di una moderna tecnica della costruzione. Qui sento il bisogno di prevenire il possibile interrogativo di chi mi domandasse perché mai ho scritto un libro intitolato al negozio giuridico, dal momento che non ritengo proponibile la sintesi concettuale che questa locuzione esprime. A questo ipotetico, ma non improbabile, obiettore ricordo le parole di Immanuel Kant, dettate nel primo volume della Critica della ragion pura, che cito nella versione italiana a cura di Gentile e Lombardo-Radice, Bari 1969, p. 43. Togliete ad una ad una dal concetto che avete di un dato oggetto, scriveva il filosofo, tutte le proprietà che gli vengono attribuite; toglietele fino all’ultima: qualcosa resta: “resta tuttavia lo spazio che esso (ora del tutto svanito) occupava, e che non può essere soppresso”. Questo libro si estende per tutto lo spazio che nella nostra letteratura giuridica ha occupato il concetto di negozio giuridico. Restano, rimosso questo concetto, i contratti, gli atti unilaterali e così via; resta l’esigenza di una riorganizzazione concettuale di quell’antico spazio. Bisogna ridefinire i confini, sottoponendo a nuova analisi i preliminari concetti di fatto e atto giuridico; bisogna, soprattutto, intraprendere un’opera di ricognizione di quello spazio, accostando alle antiche le nuove norme che ora lo occupano, alle antiche le nuove pratiche degli affari, agli antichi i nuovi orientamenti della giurisprudenza, che in questa materia ha elaborato una moltitudine sterminata di innovative regulae iuris”.

Dunque, rimosso il negozio giuridico e con esso il dogma [34], si appalesa la figura codicistica del contratto; tuttavia, un contratto nel quale, soprattutto nella lettura giurisprudenziale [35], “la volontà delle parti, che per intero assorbiva l’essenza del concetto antico del negozio giuridico, va progressivamente cedendo posizioni a favore della causa, della obiettiva funzione del contratto” [36], in una progressiva accentuazione del processo di oggettivazione dello scambio [37], un contratto sindacabile alla luce della clausola generale della buona fede oggettiva [38], che si apre, nella logica del contratto transnazionale governato dalla nuova lex mercatoria e dai Principi Unidroit [39], ad “inedite mediazioni degli interessi in gioco, quali la gross disparity o la hardship[40], “nella ricerca del giusto punto di equilibrio fra gli opposti interessi in gioco, fra le ragioni dell’impresa e le esigenze di protezione del contraente debole” [41].

Un contratto capace di suggerire nuove espansioni in merito alla cd. causa concreta del contratto e al giudizio di meritevolezza dell’autonomia privata, alla luce dei fini sociali e ambientali oggi riconosciuti dall’art. 41 cost., financo a svolgerne una funzione conformativa nel cd. contratto ecologico [42].

Un contratto ancora del quale non si esaurisce l’indagine delle sue poliedriche funzioni, tant’è che esso non risulta circoscritto alla logica individualistica della teoria contrattuale classica dello scambio o alla composizione di interessi particolari e antagonisti, ma si pone anche come strumento di autoregolamentazione o di regolamentazione, sintetizzata nell’espressione “il contratto al posto della legge”, di cui si trova traccia nella circolazione planetaria dei modelli contrattuali atipici, nell’autodisciplina pubblicitaria, urbanistica e professionale [43].

All’epoca del negozio giuridico, come categoria legislativa e dottrinaria, nel contesto del commercio internazionale, primeggiava all’interno di tale figura il contratto, nella sua veste di strumento di scambio, volto al perseguimento di fini individualistici e tendenzialmente contrapposti; nell’attuale era della globalizzazione, nella quale lo stesso processo produttivo è organizzato a livello globale – tralasciando i riferimenti contemporanei ai recenti processi di de-globalizzazione o ri-globalizzazione secondo criteri di comune condivisione della struttura politica, economica e sociale della società civile [44] – l’impresa si organizza secondo catene del valore nel modo di produrre e di distribuire a livello transnazionale e il contratto è chiamato a regolare questo fenomeno e ad articolare nuove funzioni.

In questa prospettiva la funzione del contratto trascende i contraenti e si pone potenzialmente nell’ottica di incidere le posizioni di parti terze, sfilandosi dal caposaldo della relatività del contratto, innalzato a principio sulla scorta del Code civil dall’art. 1372 cod. civ.: è vero che il contratto “ha forza di legge”, ma nel rapporto tra le parti; la direttiva in esame, al contrario, allude ai possibili riflessi su terzi e, dunque, ad una proiezione ultraindividuale degli effetti del contratto.

Tramontato il negozio giuridico, il contratto sperimenta oggi le sue potenzialità applicative, declinando funzioni anche ultraindividuali nell’ottica di fonte di regolamentazione di rapporti giuridici rilevanti nella società civile, come strumento di governo di valori particolarmente sentiti nella società contemporanea.

In questa direttiva va verificato se la cd. contract governance possa soddisfare tale funzione nel prisma della sostenibilità e se questo, tra gli altri, sia l’intento della nuova direttiva CSDDD (Corporate Sustainability Due Diligence Directive), che impone alle società obblighi due diligence per il rispetto dei diritti umani e dell’ambiente lungo la catena del valore, avvalendosi anche dello strumento contrattuale.

3. Private ordering e contract governance

Gli studi più recenti sulla contract governance – mi riferisco a Grundmann, Möslein, Riesenhuber, Contract Governance: Dimensions in Law and Interdisciplinary Research, Oxford, 2015 – la considerano nella prospettiva interdisciplinare un nuovo approccio alla teoria del contratto, che copre diversi temi di governo e prassi contrattuale, così come la corporate governance nel campo del diritto societario e finanziario [45], che attesta “le funzioni di governance oggi svolte attraverso il diritto privato” [46].

Il profilo della contract governance riveste significato nell’assetto ordinamentale contemporaneo nell’ambito del più generale processo di private lawmaking, che nel mondo globalizzato si manifesta soprattutto nel campo economico e finanziario, ma viene sperimentato anche nell’area dei diritti umani [47], e di private ordering [48], nel quale in senso lato gli attori privati stabiliscono un ordine normativo con effetti comparabili a quelli del diritto posto dallo stato (public ordering).

I processi di globalizzazione hanno posto in crisi la statualità del diritto e la sovranità del legislatore nazionale, inadeguato a regolamentare processi economici che ne trascendono l’ambito territoriale, stimolando centri di produzione normativa diffusi, nell’estensione sia della “governance giudiziaria” sia della “governance contrattuale”, in ambito nazionale e soprattutto internazionale, nel quale emergono forme di regolamentazione trasnazionale, quali la nuova lex mercatoria, favorendo un universo giuridico decentrato e variabile, che mette in discussione i capisaldi tradizionali del diritto [49].

L’approccio della contract governance diverge fondamentalmente dalla visione largamente accettata del contratto come produttivo di effetti esclusivamente o, al limite, precipuamente tra le sole parti: essa propone lo studio degli effetti, positivi o negativi, su parti terze rispetto al contratto. In particolare la prospettiva può riguardare: i) secondo una schema di mutualità, gli impatti che il contratto può avere sulla sfera di terze parti e gli impatti che terze parti possono avere sul contratto, considerando gli aspetti biologici, comportamentali, e sociali; ii) i contratti e le reti, in considerazione del fatto che i contratti sono spesso parti di una più larga rete di relazioni, al contempo individuali ed interdipendenti, determinando modelli sociali ed economici ibridi, come emerso nelle recenti crisi finanziarie globali, che hanno dimostrato gli effetti sui terzi degli accordi contrattuali ed un alto rischio di reciproco “contagio”, in considerazione delle interrelazioni nel contemporaneo assetto economico; iii) contratti caratterizzati da elementi organizzativi tra le parti, come evidente nei contratti di durata, relazionali ed incompleti, che richiedono tra i contraenti una collaborazione di lungo periodo; iv) il problema della regolamentazione e della tecnica di redazione dei testi contrattuali all’interno di tali interrelazioni [50].

Le recenti crisi nei mercati dei capitali, attraversate dalla responsabilità delle società e dei loro revisori, hanno favorito lo sviluppo più rapido della corporate governance come strumento di risposta; in verità il contratto e l’impresa (market and firm) possono essere visti come due strumenti fondamentali – e spesso alternativi – di progettazione del mercato. Contratto e società sono due aree, nelle quali gli operatori sono chiamati a creare i loro progetti sulla base dell’autonomia privata e, di converso, sono, altresì, aree cruciali nelle quali la regolamentazione pone limiti all’autonomia privata e alla libertà di contratto (ad esempio, nella legislazione antitrust). Anzi, tale regolamentazione tesa a colmare le asimmetrie informative è propriamente rivolta alle imprese e al mercato, scaturendo dal fenomeno dei cd. market failures [51].

Infatti, ricorre un’indubbia relazione tra impresa e contratto da un lato e soggetti terzi, che non sono rispettivamente parti della società o del contratto, dall’altro, ma che, cionondimeno ne sono influenzati o che possono influenzarne, sia positivamente sia negativamente, le relazioni [52].

Ne emerge l’evidenza, rilevante per il tema qui affrontato, che gli effetti negativi esterni rivenienti dall’impresa o dal contratto posso essere disciplinati sulla base della disciplina del fatto illecito; una diversa prospettiva, tuttavia, emerge: il regime della responsabilità può essere ricostruito anche su base contrattuale, sul presupposto che vi siano reti di relazioni contrattuali, idonee a creare effetti ed impatti esterni [53].

Nel diritto contrattuale le relazioni contrattuali integrate in una “rete” sono molteplici, come nel caso di reti di fornitori, catene distributive, o reti di sistemi di pagamenti, più in generale sistemi che costituiscono la spina dorsale del mercato.

Se è chiaro che tutte le parti condividono l’interesse all’esistenza e successo della rete e delle relative relazioni, non sono altrettanto chiaramente definiti lo scopo perseguito e la base legale. La questione centrale è, infatti, di comprendere quali modifiche al diritto contrattuale generale sono richieste per prendere in considerazione le interrelazioni o la struttura a rete dei vari contratti; si pensi ai rimedi contrattuali nascenti dai singoli contratti compresi nella rete, che dovrebbero essere tra loro allineati, oppure all’azione diretta di un terzo lungo la catena di attività [54], in deroga al principio di relatività del contratto. In entrambi casi ciò determina un’incidenza sul diritto contrattuale generale per effetto dell’esistenza di una struttura contrattuale complessa [55].

In questa prospettiva l’approccio della contract governance si pone come autonomo rispetto a quello della corporate governance e necessario a completamento di quest’ultimo nel contesto del mercato.

Inoltre, la contract governance realizza uno strumento di modernizzazione del diritto contrattuale, che mette capo ad una regolamentazione, non già come limite alla libertà del contratto, ma come prerequisito per un maggiormente informato e consapevole esercizio della stessa, cosicchè il diritto privato regolatorio e il diritto contrattuale possano costituire due ordini mutualmente supplementari.

In questo senso la regolamentazione non dovrebbe essere vista come un limite all’autonomia contrattuale, ma come un consolidamento del suo fondamento e pieno esercizio [56].

La contract governance è guidata dal mutuo consenso [57] ed, in ultima analisi, realizza una governance through contract law [58].

4. Value Chain e Contract Law. Le clausole di sostenibilità

In questo senso sono state individuate correlazioni tra la funzione regolatoria nella supply chain e la forma ed il contenuto del contratto [59].

È nota la funzione delle catene globali del valore nel commercio globale come potenti strutture nell’ambito della società, spesso istituite e controllate da società con rilevante potere di mercato (cd. chain leader) e operanti a livello transnazionale [60].

In questo contesto nello scenario attuale è progressivamente invalsa la prassi contrattuale per tali società, al fine del perseguimento di obiettivi di sostenibilità, di inserire nei rispettivi contratti lungo la catena globale del valore clausole di sostenibilità oppure clausole di rinvio ai rispettivi codici di condotta. Tali clausole richiedono ai fornitori di aderire a specifici requisiti di produzione sostenibile relativamente all’ambiente, alle condizioni di lavoro, ai diritti umani e alle misure anticorruzione. Inoltre, tali clausole spesso impongono altresì ai fornitori un’obbligazione di imporre simili obbligazioni ai loro diretti fornitori [61].

Il fenomeno, fino a tempi recenti pressoché inedito, è stato oggetto di alcuni approfonditi studi anche nel contesto italiano, che, nell’ottica della “giuridicizzazione” dell’attività d’impresa, hanno colto come tramite le cd. clausole di compliance “l’impresa committente mira a governare mediante tali previsioni contrattuali il comportamento del partner, vincolandolo all’osservanza di norme giuridiche, di principi o standard, di codici etici” oppure a fonti operanti a livello di soft law della Responsabilità Sociale d’Impresa [62], e, dunque, a standard giuridici ed extragiuridici, in un processo di internalizzazione delle esternalità negative concretamente o potenzialmente rinvenienti dall’impresa [63].

Queste clausole possono trovare applicazione nella supply chain dei contratti relativi all’approvvigionamento di materie prime o semilavorati, prevedendo “l’obbligo per il fornitore della sua completa conformità alle norme dell’ordinamento, nonché l’ulteriore suo diretto impegno in relazione alla estensione di tale vincolo anche ai terzi suoi contraenti” [64].

L’ambito di operatività di tali clausole si caratterizza per determinare effetti diretti e indiretti anche di carattere extraterritoriale, nella misura in cui si rivolge a partner contrattuali di ordinamenti stranieri.

Il private ordering legato alle nuove funzioni del contratto, dunque, replica meccanismi di ultra-territorialità di disciplina, già sperimentati per via normativa dalla regolamentazione del mercato relativa a doveri di trasparenza e a doveri di diligenza [65].

La governance through contract law può essere il mezzo per superare la tradizionale non obbligatorietà dei codici di condotta.

Infatti, la prospettiva dei codici etici o codici di condotta è stata tradizionalmente condizionata dalla loro non vincolatività e dalla valenza meramente reputazionale degli stessi, che senz’altro può costituire un valido deterrente da determinate condotte, ma non beneficia di enforcement dal punto di vista giuridico, come emerso, tra l’altro, nel caso Doe v. Wal-Mart Stores Inc. del 2001 [66], nel quale i lavoratori negli stabilimenti di fornitori Wal-Mart in Cina, Bangladesh, Indonesia, Ngwane, Nicaragua, e i dipendenti dei concorrenti di Wal Mart nel Sud della California intentarono una class action contro la catena di vendita al dettaglio. Gli attori denunciavano un inadempimento contrattuale come terze parti beneficiarie, assumendo che Wal-Mart non aveva dato attuazione al suo Standards for Suppliers Code of Conduct, che richiedeva ai fornitori stranieri di aderire alle legislazioni locali e agli standard industriali riguardanti alle condizioni di lavoro, quali retribuzioni, orario di lavoro, lavoro forzato, lavoro minorile e discriminazione.

L’azione fu respinta in considerazione, del fatto che i codici di condotta sono funzionali alle relazioni con il pubblico tese a rafforzare l’immagine della società, ma non creano reali obbligazioni suscettibili di enforcement [67].

Alla luce di ciò è da salutare con favore la prassi che sta affermandosi di incorporare i codici di condotta conformi ai principi ESG o di CSR nei contratti [68].

A questo riguardo possono coniugarsi una pluralità di clausole.

In ogni caso permane l’idea di fondo secondo la quale l’assunzione di tali impegni impedisce alle parti di porre in essere condotte che siano in contraddizione con lo spirito ed il contenuto dei contratti, tanto sotto il divieto di venire contra factum proprium nella tradizione di civil law, quanto con riferimento alla dottrina dell’estoppel in common law [69].

Una tipologia di clausola può essere declinata come best efforts clause, in contrapposizione all’obbligazione di raggiungere uno specifico risultato.

Ciò è in linea con la formulazione dei codici di condotta, che solitamente si esprimono per principi, con conseguente difficoltà di determinare quale comportamento sia richiesto.

Tali clausole sono riconducibili alla previsione di obbligazioni di mezzi in virtù delle quali il fornitore si impegna nell’ambito delle sue possibilità organizzative e di mercato a cercare di vincolare anche i propri partner alla compliance [70], mettendo capo ad una valutazione secondo i correnti standard di diligenza [71], correttezza e buona fede.

Nell’ambito delle clausole di sostenibilità possono, tuttavia, essere formulate clausole che richiedono il raggiungimento di Sustainable Development Goals come “specific result”, in particolare in relazione alla possibile misurazione del risultato di sostenibilità attraverso kpi, messi a disposizione da terzi data providers [72].

Il collegamento a kpi ben definiti – ESG triggers – stabilisce uno standard di performance specifico e stringente, assicurando in modo efficace la compliance, legata a target quantitativi e misurabili [73].

Una buona tecnica contrattuale potrebbe consistere nel formulare clausole di best efforts, che mettono in campo gli standard di diligenza qualificata e di buona fede, per gli obiettivi di sostenibilità più ampi, combinate con clausole contenenti il dovere di raggiungere specifici risultati in base a target di sostenibilità suscettibili di quantificazione [74].

In questo contesto, se gli obiettivi di sostenibilità sono definiti, può essere previsto come incentivo addizionale all’adempimento, un meccanismo bonus/malus, ad esempio applicato al calcolo del tasso di interesse [75], con la funzione di attuare un meccanismo preventivo, che stimola l’adempimento, piuttosto che sfociare in presupposti di responsabilità [76].

Nella casistica di clausole applicabili trovano spazio anche clausole che mettono capo alla responsabilità civile della parte.

Come si è detto, lo scambio non esaurisce le funzioni del contratto, quando questo costituisce elemento o strumento di una più lunga catena di risorse o produzione.

La prospettiva dell’inadempimento e del relativo enforcement nell’ottica della privity of contract rimane circoscritta ai contraenti.

Un tentativo di superare tale limitazione è stato svolto dalla American Bar Association (ABA), che ha predisposto un modello di clausola vincolante tutti i contraenti lungo la supply chain tenuti ad adempiere alle obbligazioni di sostenibilità, con obblighi tanto stringenti quanto quelli delle parti iniziali. La clausola inoltre richiede che le parti registrino questi consensi scritti e li esibiscano all’altra parte su richiesta [77].

Un’altra via per garantire la compliance di sostenibilità lungo la supply chain è la clausola del relativo monitoraggio, che prevede anche che il cd. chain-leader abbia il diritto di visitare lo stabilimento dell’altra parte, con o senza previa notifica, la descrizione del processo che permetta l’identificazione di possibili violazioni da parte di terze parti. Tali violazioni possono poi essere riferite al contratto per verificare l’adempimento delle clausole che disciplinano gli standard di sostenibilità [78].

Una volta che sia individuata la violazione di un’obbligazione relativa ad un obiettivo di sostenibilità, ne può seguire una responsabilità, un rimedio di risarcimento del danno o la risoluzione del contratto.

Se le parti intendono dare importanza all’attuazione dell’obbligo, soprattutto nei contratti relazionali e di durata, che presuppongono un’intensa cooperazione tra le parti, possono prevedere il termine entro il quale è possibile realizzare un’azione correttiva prima dell’immediata risoluzione del contratto, cd. cure period [79].

Infine, per dare importanza alle clausole di sostenibilità, può essere prevista l’immediata risoluzione del contratto [80].

Nulla esclude che, in considerazione dell’ampiezza dei contenuti della sostenibilità, le clausole contrattuali siano adottate in combinazione tra loro, per dare attuazione alle obbligazioni di sostenibilità [81].

Una prospettiva da seguire è quella di evitare contraddizioni all’interno del contratto e della catena contrattuale, e, dunque, progettare le clausole di sostenibilità in linea con i contenuti e gli obiettivi delle relative clausole commerciali, in quanto egualmente importanti [82].

5. Sistemi di garanzia contrattuale a cascata nella CSDDD

La Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD), adottata il 24 maggio 2024 e pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 5 luglio 2024, nel panorama indicato è uno dei primi testi normativi a tracciare una regolamentazione della catena di attività.

Diventano rilevanti ai fini della nuova normativa la nozione di filiazione [83], di partner contrattuale, diretto o indiretto [84], di catena di attività [85].

Le società sono tenute ad esercitare il dovere di diligenza basato sul rischio in materia di diritti umani e di ambiente mediante: l’integrazione del dovere di diligenza nelle proprie politiche e nei propri sistemi di gestione dei rischi; l’individuazione e valutazione degli impatti negativi effettivi o potenziali; la prevenzione e attenuazione degli impatti negativi potenziali e arresto degli impatti negativi effettivi e minimizzazione della relativa entità; la riparazione degli impatti negativi effettivi; lo svolgimento di un dialogo significativo con i portatori di interessi; l’instaurazione e mantenimento di un meccanismo di notifica e una procedura di reclamo; il monitoraggio dell’efficacia della politica e delle misure relative al dovere di diligenza; la comunicazione pubblica sul dovere di diligenza (art. 5).

La direttiva, inoltre, prevede meccanismi di condivisione lungo la catena di attività di codici di condotta, piani di azione di prevenzione degli impatti negativi potenziali e di piani di azione correttivi degli impatti negativi effettivi sui diritti umani e sull’ambiente secondo un sistema di garanzia contrattuale a cascata.

Infatti, secondo l’art. 10 – Prevenzione degli impatti potenziali – le società sono tenute ad adottare misure adeguate per prevenire gli impatti negativi potenziali, previamente individuati o per attenuarli sufficientemente. A tal fine si tiene conto: a) se l’impatto negativo potenziale può essere causato solo dalla società, se può essere causato congiuntamente dalla società e da una filiazione o da un partner commerciale, mediante atti o omissioni, o se può essere causato solo da un partner commerciale della società nella catena di attività; b) se l’impatto negativo potenziale può verificarsi nelle attività di una filiazione, di un partner commerciale diretto o di un partner commerciale indiretto; e c) la capacità della società di influenzare il partner commerciale che può causare o causare congiuntamente l’impatto negativo potenziale.

La società è tenuta ad adottare le misure adeguate seguenti: a) se la natura o la complessità delle necessarie misure di prevenzione lo esige, predisporre e attuare senza indebito ritardo un piano d’azione in materia di prevenzione; il piano d’azione in materia di prevenzione è adattato alle attività e alle catene di attività delle società; b) chiedere a un partner commerciale diretto garanzie contrattuali quanto al rispetto del codice di condotta della società e, se necessario, di un piano d’azione in materia di prevenzione, anche chiedendogli di ottenere a sua volta dai partner garanzie contrattuali equivalenti per quanto le loro attività rientrino nella catena di attività della società; c) effettuare gli investimenti finanziari o non finanziari, gli adeguamenti o gli aggiornamenti necessari, ad esempio, degli impianti, dei processi e delle infrastrutture di produzione o di altri processi e infrastrutture operativi; d) apportare le modifiche o i miglioramenti necessari al piano aziendale, alle strategie generali e alle attività della società stessa, comprese le pratiche di acquisto, la progettazione e le pratiche di distribuzione; e) offrire sostegno mirato e proporzionato alla PMI che è partner commerciale della società, se necessario alla luce delle risorse, delle conoscenze e dei vincoli della PMI, anche fornendo o consentendo l’accesso allo sviluppo delle capacità, alla formazione o al potenziamento dei sistemi di gestione e, qualora il rispetto del codice di condotta o del piano d’azione in materia di prevenzione ne comprometta la sostenibilità economica, offrendo sostegno finanziario mirato e proporzionato, ad esempio finanziamenti diretti, prestiti a tasso agevolato, garanzie di approvvigionamento continuo o assistenza nell’ottenere finanziamenti; f) in conformità del diritto dell’Unione, compreso il diritto della concorrenza, collaborare con altri soggetti, se del caso anche al fine di aumentare la propria capacità di prevenire o attenuare l’impatto negativo.

Le società possono adottare, se del caso, misure adeguate aggiuntive, ad esempio dialogare con un partner commerciale sulle aspettative della società per quanto riguarda la prevenzione e l’attenuazione dei potenziali impatti negativi o fornire o consentire l’accesso allo sviluppo delle capacità, a orientamenti, a un sostegno amministrativo e finanziario come prestiti o finanziamenti, tenendo conto allo stesso tempo delle risorse, delle conoscenze e dei vincoli del partner commerciale.

Per quanto riguarda gli impatti negativi potenziali che risulti impossibile prevenire o attenuare sufficientemente con le predette misure adeguate, la società può chiedere garanzie contrattuali a un partner commerciale indiretto al fine di assicurare il rispetto del codice di condotta o del piano d’azione in materia di prevenzione.

Quando le garanzie contrattuali sono ottenute da una PMI o il contratto è concluso con una PMI, sono previste condizioni eque, ragionevoli e non discriminatorie.

Secondo l’art. 11 – Arresto degli impatti effettivi – le società sono tenute ad adottare misure adeguate per arrestare gli impatti negativi effettivi previamente individuati.

Al fine di stabilire le predette misure adeguate, si tiene conto dei seguenti elementi: a) se l’impatto negativo effettivo è causato solo dalla società, se è causato congiuntamente dalla società e da una filiazione o da un partner commerciale, mediante atti o omissioni, o se è causato solo da un partner commerciale della società nella catena di attività; b) se l’impatto negativo effettivo si è verificato nelle attività di una filiazione, di un partner commerciale diretto o di un partner commerciale indiretto; e c) la capacità della società di influenzare il partner commerciale che ha causato o ha causato congiuntamente l’impatto negativo effettivo.

Laddove l’arresto immediato dell’impatto negativo risulti impossibile, le società sono tenute a minimizzarne l’entità.

Le società sono tenute ad adottare le misure adeguate seguenti, ove pertinente: a) neutralizzare l’impatto negativo o minimizzarne l’entità; tali misure sono proporzionate alla gravità dell’impatto negativo e all’implicazione della società in esso; b) se l’impossibilità di un arresto immediato dell’impatto negativo lo rende necessario, predisporre e attuare senza indebito ritardo un piano d’azione correttivo; il piano d’azione correttivo è adattato alle attività e alle catene di attività delle società; c) chiedere a un partner commerciale diretto garanzie contrattuali quanto al rispetto del codice di condotta della società e, se necessario, di un piano d’azione correttivo, anche chiedendogli di ottenere a sua volta dai partner garanzie contrattuali equivalenti per quanto le loro attività rientrino nella catena di attività della società; d) effettuare gli investimenti finanziari o non finanziari, gli adeguamenti o gli aggiornamenti necessari, ad esempio, degli impianti, dei processi e delle infrastrutture di produzione o di altri processi e infrastrutture operativi; e) apportare le modifiche o i miglioramenti necessari al piano aziendale, alle strategie generali e alle attività della società stessa, comprese le pratiche di acquisto, la progettazione e le pratiche di distribuzione; f) offrire sostegno mirato e proporzionato alla PMI che è partner commerciale della società, se necessario alla luce delle risorse, delle conoscenze e dei vincoli della PMI, anche fornendo o consentendo l’accesso allo sviluppo delle capacità, alla formazione o al potenziamento dei sistemi di gestione e, qualora il rispetto del codice di condotta o del piano d’azione correttivo ne comprometta la sostenibilità economica, offrendo sostegno finanziario mirato e proporzionato, ad esempio finanziamenti diretti, prestiti a tasso agevolato, garanzie di approvvigionamento continuo o assistenza nell’ottenere finanziamenti; g) in conformità del diritto dell’Unione, compreso il diritto della concorrenza, collaborare con altri soggetti, se del caso anche al fine di aumentare la propria capacità di arrestare l’impatto negativo o minimizzarne l’entità, in particolare se nessun’altra misura risulta idonea o efficace; h) fornire riparazione.

Le società possono adottare misure adeguate aggiuntive, ad esempio dialogare con un partner commerciale in merito alle aspettative della società riguardo all’arresto degli impatti negativi effettivi o alla minimizzazione della loro entità, oppure fornire o consentire l’accesso allo sviluppo delle capacità, a orientamenti, a un sostegno amministrativo e finanziario come prestiti o finanziamenti, tenendo conto allo stesso tempo delle risorse, delle conoscenze e dei vincoli del partner commerciale.

Per quanto riguarda gli impatti negativi effettivi che risulti impossibile arrestare o minimizzare sufficientemente nell’entità con le predette misure adeguate elencate al paragrafo 3, la società può chiedere garanzie contrattuali a un partner commerciale indiretto al fine di assicurare il rispetto del codice di condotta o del piano d’azione correttivo. Quando le garanzie contrattuali sono ottenute da una PMI o il contratto è concluso con una PMI, sono previste condizioni eque, ragionevoli e non discriminatorie.

Ancora il profilo delle clausole contrattuali non si esaurirà con l’attuazione della direttiva, giacché secondo l’art. 18 – Clausole tipo – la Commissione, in consultazione con gli Stati membri e i portatori di interessi, adotta orientamenti su clausole contrattuali tipo d’uso volontario entro trenta mesi dall’entrata in vigore della presente direttiva”.

6. Riflessi sulla teoria generale del contratto

Seguendo questa direttiva il contratto diventa vecteur de compliance [86].

Dal punto di vista della disciplina concreta le prospettive da indagare, nascenti dalle clausole di sostenibilità e dai sistemi di garanzia contrattuale a cascata, riguardano da un lato i rapporti tra le parti – sia i rimedi esperibili sia l’esigenza di tutela della parte più debole nei rapporti contrattuali -, dall’altro gli effetti nei confronti dei terzi, i partner terzi lungo la catena di attività ed in generale dei terzi portatori di interessi, essendo indubbio che la prassi contrattuale considerata determina effetti, non solo riflessi, nei confronti dei predetti soggetti.

Nell’affrontare la questione va ricordato che le clausole di compliance o di sostenibilità come strumento di contract governance “sono destinate in via di principio ad innervare l’intera materia delle relazioni contrattuali tra imprese nelle catene globali di fornitura, in particolare nei rapporti di durata” [87], che spesso hanno effetto su terze parti [88].

In via preliminare, il problema centrale non emerge particolarmente sul piano della validità o effettività di tali clausole, ma nella direzione dei loro effetti, tra le parti e nei confronti dei terzi, conseguenze sui rapporti contrattuali ed enforcement.

Potrebbero, infatti, essere nulle ai sensi dell’art. 1418 o 1419, comma 1, cod. civ. le clausole di sostenibilità che facciano riferimento a norme giuridiche straniere o a standard extragiuridici, incompatibili con l’ordinamento italiano oppure paralizzate secondo l’art. 1256 cod. civ., qualora la richiesta di adempimento della clausola si configuri come richiesta di una prestazione giuridicamente impossibile [89].

Al di là di tale ipotesi, l’aspetto nei rapporti tra le parti contraenti lungo la catena di attività riguarda le rispettive responsabilità, che saranno disegnate a seconda della interpretazione della clausola di sostenibilità, come originante un’obbligazione di mezzi o di risultato, eventualmente misurabile secondo determinati kpi, o con riferimento a meccanismi bonus/malus, oppure relativi ad obblighi di controllo o verifiche nell’attività, audit della compliance [90]. Potranno poi applicarsi rimedi correttivi, fino ai tradizionali rimedi del risarcimento del danno, non solo patrimoniale, ma esteso all’immagine aziendale [91], previsione di clausole penali, per supplire alle difficoltà in ordine alla prova del danno e sua liquidazione [92], del recesso [93] o della risoluzione del contratto.

Da ciò emerge, a livello di teoria generale del contratto, che la contrattualizzazione delle clausole di sostenibilità “non identifica il contenuto di un obbligo contrattuale “classico”: questo vincolo, pur connesso alla prestazione caratteristica, non riguarda la sua realizzazione materiale e tecnica” [94].

Questa circostanza pone il problema al confine con il tema delle obbligazioni cd. “senza prestazione” [95], di protezione tra le parti, che sono chiamate in causa dal contenuto dalle “obbligazioni di sostenibilità”, che possono altresì mettere capo alla distinzione tra “obligations dites classique” e “obligations dites éthiques[96], tra legal obligation e ethical obligation [97], nelle quali si pone il problema di tutelare non solo gli interessi privati delle parti, ma di interessi sociali esterni alle parti [98].

In questo senso le obbligazioni di sostenibilità dovrebbero essere valutate come obbligazioni accessorie [99], ma è inevitabile ritenere che le obbligazioni di sostenibilità, una volta inserite in un contratto, diventano obbligazioni vincolanti a tutti gli effetti.

Il dato certo è che nella valutazione di tali aspetti dovrà attribuirsi primario significato alle obbligazioni di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto ai sensi degli artt. 1366, 1175 e 1375 cod. civ., particolarmente calzanti nei rapporti di durata e “a rete”, spesso “incompleti”, in cui si sostanziano i contratti tra le parti lungo la catena di attività.

A questo riguardo un importante canone interpretativo è richiamato nel DCFR art. I.102 (2), secondo il quale le norme sull’interpretazione devono essere lette “alla luce di ogni strumento applicabile che garantisca i diritti umani e le libertà fondamentali e ogni altra norma costituzionale applicabile”.

Sempre nell’ambito dei rapporti tra le parti, un aspetto delicato riguarda l’applicazione delle clausole di sostenibilità nei rapporti tra contraenti con diseguale potere contrattuale nella catena di attività, che richiedono tra le stesse un’intensa collaborazione.

È evidente, infatti, che il cd. chain leader che “impone” le clausole di sostenibilità si trova in una posizione di preminente potere contrattuale, rispetto al quale gli interlocutori possono trovarsi in una posizione di soggezione ed anche di dipendenza economica, essendo così quindi potenzialmente in grado di traslare sui contraenti più deboli costi e responsabilità della condotta diligente e sostenibile [100], di fatto imponendo ad una parte debole di proteggere un’altra parte debole [101].

Siffatta traslazione dei doveri di sostenibilità lungo la catena del valore renderebbe inefficace il contenuto dell’obbligo [102].

La previsione delle clausole di sostenibilità nel contratto con il partner commerciale, infatti, “costituisce in via di principio una profonda limitazione della sua libertà imprenditoriale” [103], in linea con le nuove prospettive di conformazione del contratto che incida su fattori di sostenibilità, quali l’ambiente o aspetti sociali, ma suscettibile, nei rapporti all’interno della catena di attività, di determinare asimmetrie tra le posizioni delle parti, nel caso in cui tali clausole impongano ai partner vincoli complessi, particolarmente onerosi ed impegnativi dal punto di vista dell’organizzazione aziendale, anche in relazione alla sua dimensione imprenditoriale, assumendo natura sproporzionata ed abusiva [104].

A questo riguardo è stata denunciata l’incalcolabile carattere delle obbligazioni di sostenibilità, spesso declinate in termini generici, per cui il fornitore è tenuto a rispettare tutti le leggi, regolamentazioni e standard in materia ambientale, circostanza che espone la parte ad un obbligo indeterminato, in considerazione del fatto che la variazione di tali parametri legali può essere imprevedibile e difficile da soddisfare [105]; oppure il diritto di variazione unilaterale dei codici di condotta ed in generale degli standard e del grado di compliance, idoneo a dare luogo ad un continuo “contract management”, che parimenti espone ad incertezza il fornitore [106].

Sotto questo profilo, pertanto, in quanto applicabili secondo la scelta della legge che governa il contratto transnazionale, potrà essere particolarmente efficace l’applicazione dei citati artt. 1366, 1175 e 1375 cod. civ. nell’ambito una valutazione degli obblighi reciproci ed anche dell’art. 9 della legge 192 del 1998, trascendendo il divieto di abuso di dipendenza economica il rapporto di subfornitura e costituendo paradigma di riferimento dei contratti commerciali.

In common law si è proposto di applicare a tali clausole la doctrine of unconscionability, con riferimento sia ai rapporti interni lungo la catena del valore nei confronti del fornitore debole sia alla protezione degli interessi esterni concernenti gli obiettivi di sostenibilità [107].

Ma nella sostanza si può convenire che l’aspetto della tutela del contraente debole nella supply chain sollevato dalle clausole di sostenibilità è ancora inesplorato nel diritto contrattuale contemporaneo [108].

Il problema si pone con particolare delicatezza nella direttiva CSDDD e, dunque, nella legislazione italiana di futura attuazione.

Gli artt. 10 – Prevenzione degli impatti negativi potenziali – e 11 – Arresto degli impatti negativi effettivi – della direttiva prevedono, infatti, in un’ottica remediale anche la facoltà della società di sospensione temporanea e di cessazione del rapporto contrattuale con il partner commerciale, a meno che esse non determinino impatti negativi manifestamente più gravi rispetto alla prosecuzione del rapporto [109], circostanza che può sollevare concorrenti problemi di tutela del fornitore “debole”, che subisce la sospensione temporanea o l’interruzione del rapporto di affari.

A riprova dei rapporti relazionali, a rete e di durata in cui si sostanziano i rapporti contrattuali nella value chain, la direttiva prevede come bilanciamento processi di finanziamento, istruttoria, assessment, mappatura, ponderazione, collaborazione e dialogo con i partner commerciali per prevenire, minimizzare, correggere gli impatti negativi potenziali od effettivi sui diritti umani e sull’ambiente, di modo che la sospensione temporanea o la cessazione del rapporto contrattuale operino come extrema ratio, in linea con i citati doveri di buona fede e cooperazione di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., che dovranno essere correttamente attuati nell’ordinamento interno proprio per evitare abusi in danno ai contraenti più deboli nella catena di attività [110].

In linea con tale prospettiva è la previsione nella direttiva di un preavviso ragionevole al partner commerciale interessato in caso di sospensione o cessazione del rapporto d’affari (art. 10, comma 6, art. 11, comma 7).

Ma un aspetto senza dubbio nuovo in merito alle clausole di sostenibilità riguarda “l’estensione della efficacia soggettiva delle clausole stesse, attraverso la sottoposizione ad esse anche di altri terzi all’interno della catena globale di fornitura”, prospettiva che può rendere operante la disciplina dell’art. 1381 cod. civ. [111].

L’applicazione dell’art. 1381 cod. civ. potrà trovare applicazione nell’attuazione della direttiva, laddove rispettivamente all’art.10, comma 2, lett. b), e art. 11, lett. c), essa prevede che tra le misure adeguate da adottare vi sia la richiesta a un partner contrattuale diretto di garanzie contrattuali quanto al rispetto del codice di condotta della società, al piano di azione preventivo di impatti negativi potenziali, al piano di azione correttivo di impatti negativi effettivi, anche chiedendogli di ottenere a sua volta dai partner garanzie contrattuali equivalenti per quanto le loro attività rientrino nella catena di attività della società, secondo un sistema di garanzia contrattuale a cascata [112].

Il partner diretto della società, che si sia vincolato nei confronti di essa ad ottenere dal proprio partner garanzie contrattuali di rispetto del codice di condotta e dei predetti piani di azione, si troverà nella posizione di avere promesso il fatto o l’atto del terzo ai sensi dell’art. 1381 cod. civ., con conseguente possibile responsabilità nei confronti della società e aggravamento della propria posizione.

Si tratterebbe di una responsabilità gravosa in considerazione dell’obbligazione mista di fare e di garanzia nascente dall’art. 1381 cod. civ., secondo il Supremo Collegio nell’ordinamento italiano [113].

Un possibile riscontro nel presente contesto potrà avere la figura del collegamento contrattuale.

L direttiva più delicata da indagare riguarda la possibilità di individuare un terzo beneficiario delle obbligazioni di sostenibilità, nel senso di riconoscere al terzo in tale veste il potere di “agire nei confronti del fornitore per avere negligentemente inadempiuto l’obbligazione di sostenibilità nel contratto con il chain leader[114] .

In common law tale possibilità potrebbe essere ricostruita sulla base dei cd. implied terms, che possano determinare policy di protezione non solo reciproche tra le parti, ma anche per tutelare interessi esterni, funzionali agli obiettivi di sostenibilità [115] oppure nella forma di contrattazione a favore di un terzo beneficiario, alla condizione, spesso difficile da dimostrare, che le parti contraenti abbiano inteso attribuire al terzo il diritto di agire sulla base del contratto [116].

Più efficacia tutela potrebbe rinvenirsi nell’ipotesi in cui il contraente principale abbia formalizzato i doveri di sostenibilità dei fornitori in documenti e procedure aziendali [117].

In civil law potrebbe indagarsi se al fine considerato possa essere applicata la figura, tracciata sulla base dell’art. 1411 cod. civ., del contratto con effetti protettiti a favore del terzo, che può venire in considerazione quando si tratta di tutelare in capo ai terzi diritti fondamentali [118], quali i diritti umani in generale o il diritto ad un ambiente salubre.

L’aspetto pare assorbito dalla peculiare forma di responsabilità dell’art. 29 della direttiva che prevede la responsabilità della società per un danno causato a una persona fisica o giuridica, a condizione che: a) la società non abbia ottemperato, intenzionalmente o per negligenza, agli obblighi di cui agli articoli 10 e 11, rispettivamente relativi alla prevenzione degli impatti negativi potenziali e all’arresto degli impatti negatiti effettivi (…); b) a seguito di tale inosservanza, sia stato causato un danno agli interessi giuridici della persona fisica o giuridica che sono tutelati dal diritto nazionale, con la precisazione che non saranno risarcibili danni ultracompensativi o punitivi (comma 2); una società non potrà essere ritenuta responsabile se il danno è stato causato solo dai suoi partner commerciali nella sua catena di attività, che, pertanto, saranno personalmente e direttamente responsabili (comma 1), dal momento che la responsabilità civile della società lascia impregiudicata la responsabilità civile delle sue filiazioni o dei suoi partner commerciali diretti e indiretti nella catena di attività della società (comma 5); quando il danno è stato causato congiuntamente dalla società, dalla sua filiazione e da un partner commerciale diretto o indiretto, essi sono responsabili in solido, fatte salve le disposizioni di diritto nazionale relative alle condizioni della responsabilità in solido e ai diritti di regresso (comma 5).

La circostanza che la responsabilità disegnata dall’art. 29 della società o, secondo i commi 1 e 5, anche delle filiazioni o dei partner commerciali diretti e indiretti nella catena di attività della società vada a soddisfare interessi esterni alla società e alla sua catena di attività è confermata dalla disciplina della legittimazione attiva prevista dall’art. 29.

La persona fisica o giuridica lesa ha diritto al pieno risarcimento del danno in conformità al diritto nazionale (comma 2) e ogni presunto danneggiato (comma 3, lett. d) può autorizzare un sindacato, un’organizzazione non governativa per i diritti umani o l’ambiente o un’altra organizzazione non governativa e, in conformità del diritto nazionale, le istituzioni nazionali per i diritti umani con sede in uno Stato membro a intentare azioni per fare valere i diritti della presunta parte lesa, fatte salve le norme nazionali di procedura civile (comma 3, lett. d).

Si può, pertanto, affermare che la direttiva, prendendo atto della organizzazione a rete, secondo rapporti di durata, tra i partecipanti alla catena di attività, si sia curata di introdurre una forma peculiare di private enforcement a favore dei portatori degli interessi sociali esterni [119], riguardante gli obiettivi di sostenibilità relativi a diritti umani ed ambiente, indicati nelle convenzioni internazionali allegate alla direttiva, con una legittimazione attiva diffusa, idonea a sfociare nell’ambito dei rimedi di diritto interno anche nell’applicazione della class action di cui agli artt. 840 bis c.p.c.

7. Il contratto come strumento di governo della sostenibilità.

In conclusione, si può rilevare che nel diritto contrattuale contemporaneo gli aspetti dei contratti di durata che determinano rapporti collaborativi tra le parti e le teorie delle reti evidenziano la crisi del tradizionale principio di relatività del contratto in una realtà in cui i contratti sono legati insieme in una sorta di “web of contracts[120], nella quale la prassi relativa alle clausole di sostenibilità e i sistemi di garanzia contrattuale a cascata apportano nuovi elementi di corrosione del paradigma classico del contratto [121].

Per questa via si è messo in guardia dal possibile “snaturamento del contratto” [122], dal “rischio di deformazione della categoria del contratto con riferimento all’inserimento delle clausole di compliance, in via generale predisposte da una fonte specifica: l’impresa privata. Un rischio che consegna il contratto ad un legislatore privato, indiscussa fonte di norme”, anzi di “penetrante strumento di regolazione privata”, demandata ad “un potere regolatore esercitato dall’impresa in posizione di supremazia economica” [123].

La prassi contrattuale sovente ha espresso, infatti, “un nuovo quadro di controllo del potere dell’impresa che predispone le clausole di compliance, adeguato alla specifica finalità ed al contenuto delle clausole di compliance medesime” [124].

A questo riguardo opportunamente la CSDDD agli artt. 10 e 11 mette in campo strumenti che privilegiano l’interazione con i partner di affari nella catena di attività prima di giungere alle misure di sospensione o cessazione del rapporto di affari, operanti come extrema ratio, in linea con la natura relazionale dei contratti lungo la catena di attività e con la conseguente rilevanza dei doveri di buona fede e cooperazione.

Il superamento dell’archetipo del contratto bilaterale di scambio dovrebbe essere preso in considerazione anche da fonti di regolazione dei contratti internazionali, quali Unidroit, Uncitral e ICC [125].

Tale via è da valorizzare in considerazione del fatto che le contemporanee prospettive del diritto contrattuale fanno emergere la rilevanza della relazione contrattuale come relazione tra i contraenti e gli interessi esterni e sociali [126].

Pare calzante l’opinione di chi ha affermato che il contratto si afferma nell’era della globalizzazione come il mezzo di regolazione per eccellenza dei rapporti giuridici [127].

Il problema riecheggia il quesito relativo alla fonte di legittimazione della lex mercatoria e la prospettiva se essa debba prima o poi fare i conti con la politica, aspetto che pone in luce la crisi dei processi democratici che sta alla base del private ordering e il mutevole confine tra diritto privato e diritto pubblico.

Il negozio giuridico è stata categoria ordinante della società civile è la sua auctoritas proveniva dai Giuristi, ancora prima che dal codice civile.

La stessa legittimazione vale per la nuova lex mercatoria, giacchè della stessa è “stata fatta da Unidroit una organica compilazione, che va sotto il nome di Principi dei contratti commerciali internazionali, divulgati nelle principali lingue del nostro tempo. Il riscontro della effettività di questa sorta di nuovo Digesto è nel crescente numero di lodi arbitrali internazionali che, nel risolvere controversie in applicazione della lex mercatoria, fanno testuale riferimento ai principi di Unidroit, assumendoli come accreditata sua fonte di cognizione. L’essenza di questa compilazione sta nell’opera sapiente di coordinamento delle pratiche contrattuali internazionali con i principi generali del diritto universalmente accolti. Alla mediazione politica degli interessi in gioco, che è propria del diritto legislativamente creato dagli Stati, è qui sostituita la mediazione culturale dei giuristi” [128].

Il processo di Private Law Making al quale si è fatto cenno, cui è riconducibile anche la contract governance, solleva reazioni molteplici.

Ad esempio, della nuova lex mercatoria si è messo in luce il carattere di “diritto di classe”, come fu per l’antico jus mercatorum [129], che ignora le esternalità negative e i principi di bene comune, che sono prerogativa tradizionale dello Stato e del diritto pubblico [130].

In questa prospettiva anche la contract governance implementata dalla CSDDD è una regolamentazione che viene dall’impresa, ed in particolare dalla grande impresa che regola tramite il contratto la propria catena di attività, con potenziali aspetti di abuso della propria posizione dominante nei rapporti d’impresa.

La CSDDD prende atto di questa realtà, intervenendo non in maniera dirigistica, ma facendo leva sui rapporti di impresa e sulle nuove funzioni del contratto nel mercato, cercando di porre i presupposti di un diritto regolatorio (public enforcement), di una nuova responsabilità civile dell’impresa (private enforcement) e di una governance through contract law, della quale disciplina fasi di bilanciamento delle diverse posizioni dei soggetti ad essa partecipanti, tramite dialogo, engagement, finanziamento lungo la catena di attività.

Sarà fondamentale la sua trasposizione nel diritto interno, nell’ambito della quale dovranno essere implementati i doveri di collaborazione, correttezza e buona fede e gli strumenti che già innervano a questo riguardo il nostro ordinamento giuridico.

Con un progetto, che ora è legge, i cui effetti saranno altamente innovativi e anche suscettibili di determinare frizioni, che chiederanno aggiustamenti e un ruolo centrale all’interpretazione dei giuristi per armonizzare i nuovi istituti con la collaudata struttura dell’ordinamento interno, si affida anche al contratto la tutela dei diritti umani e dell’ambiente, come, nella prospettiva richiamata, è valso per la corporate governance.

Il presente quadro riprova che nell’esperienza giuridica contemporanea la tutela di certi valori e, precipuamente, di quelli evocati dalla sostenibilità e la correzione delle esternalità negative non è più solo appannaggio del potere pubblico, ciò che conferma la concorrente funzione del contratto come strumento di governo della società civile [131].

In questa ottica la contract governance può essere strumento di governo della sostenibilità, nella previsione per cui “sustainability goals is regarded as one of the ordinary tasks of contract law[132].

 

[*] Il saggio rielabora la relazione “Contract Governance e sostenibilità” nell’ambito del Convegno “Dal negozio giuridico alla contract governance: riflessioni sulle funzioni del contratto nella società civile e nell’impresa”, svoltosi l’11 luglio 2024 presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna, con il Patrocinio dell’Associazione dei Civilisti Italiani e dell’Unione dei Privatisti.

[1] Garbarino, Un nuovo patto costituzionale tra natura e società, in Il Sole 24 ore, 3 marzo 2022.

[2] Si rinvia a Rolli, L’impatto dei fattori ESG sull’impresa. Modelli di governance e nuove responsabilità, Bologna, 2020, pp. 7 ss. e 201 ss.

[3] Libertini, Sulla proposta di Direttiva UE su “Dovere di diligenza e responsabilità delle imprese”, in Riv. soc., 2021, p. 334, il quale osserva che “i fattori culturali di cui si tratta si manifestato a livello globale e potrebbero determinare un processo sinergico con le riforme europee, attenuando le preoccupazioni di svantaggio competitivo per le imprese europee”.

[4] “Tanto più in sistemi giuridici, come quelli europei continentali, ricchi di clausole generali, a cominciare del neminem laedere”: Libertini, op. ult. cit., p. 328, che osserva, altresì, che “oggi i doveri etico-politici delle imprese vengono presentati, invece, come espressione di valori profondamente radicati nel senso comune” (p. 330). Queste valutazioni sono ampiamente svolte in Rolli, op. cit., p. 7 ss. e 201 ss.

[5] Si rinvia a Rolli, op. cit., p. 35 ss.

[6] In https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?qid=1588580774040&uri=CELEX%3A52019DC0640.

[7] Si vedano Levillain, Segrestin, Hatchuel, La mission: une norme de gestion comme fondement de la governance de l’enterprise responsable, in Revue internationale de droit économique, 2021, p. 193 ss.

[8] D’Ambrosio, Face à l’urgence écologique: les promises de la corporate due diligence, in Revue juridique de l’environnement, 2022, p. 203 ss. Si veda Haut Comité Juridique de la Place Financière de Paris,  Rapport  sur le régime de responsabilité civile envisagé par la proposition de directive européenne sur le devoir de vigilance,  9 ottobre 2023, in https://www.banque-france.fr/system/files/2023-11/rapport_59_f.pdf

[9] Il 15 gennaio 2024, in occasione della sua prima udienza formale, la Corte d’appello di Parigi ha annunciato la creazione di una sezione dedicata al contenzioso emergente all’interno della sua divisione economica, con la responsabilità delle controversie relative al dovere di diligenza e alla responsabilità ecologica (ordinanza di rinnovo del 5 gennaio 2024 – sezione 5-12), dimostrando così l’importanza che il tribunale attribuisce a questi casi. Il 30 novembre 2023, le questioni giudiziarie relative alla responsabilità sociale delle imprese (RSI) sono state discusse anche nella sessione inaugurale del Consiglio di giustizia economica, uno dei cui temi principali era: Quale giustizia di fronte alle questioni sociali, ambientali e di governance?  Questa camera sarà responsabile delle controversie interdisciplinari che riguardano le questioni ambientali. In particolare, avrà giurisdizione d’appello sulle decisioni emesse dai tribunali giudiziari nelle controversie relative all’obbligo di vigilanza basato sugli articoli L. 225-102-4 e L. 225-102-5 del Codice di Commercio francese, nonché nelle controversie relative alla pubblicazione di informazioni sulla sostenibilità da parte delle imprese (nuova direttiva europea CSRD in corso di pubblicazione). La Francia, che è stata pioniera essendo il primo Paese a emanare una legge sul dovere di diligenza (legge n. 2017-399 del 27 marzo 2017 sul dovere di diligenza delle società madri e delle società committenti), sarà anche pioniera con la creazione di questa camera con giurisdizione interdisciplinare. Le prime udienze della Camera 5-12, attualmente presieduta da Hébert-Pageot, si sono tenute nella prima metà del 2024 (Comunicato della Corte d’Appello di Parigi, in https://www.cours appel.justice.fr/paris/creation-dune-chambre-des-contentieux-emergents-devoir-de-vigilance-et-responsabilite).

[10] Si vedano Splinder, Unternehmensinteresse als Leitlinie des Vorstandshandelns – Berücksichtigung von Arbeitnehmerinteressen Shareholder Value, in www.boeckler.de, 2008, p. 2 ss.; Strohn, Schutz der Menschenrechte durch das Sorgfaltsflichchtengesetz, in ZHR 195 (2021), p. 626 ss.; Everhardt, Campos Nave, Bauer, The new German Supply Chain Due Diligence Act (LkSG) – what needs to be done, 2 gennaio 2023, in https://www.roedl.com/insights/supply-chain-act-due-diligence-obligations; Allen & Overy, Germany’s New Supply Chain Act – Part 3 of 4 – Litigation, 28 giugno 2021, in https://www.jdsupra.com/legalnews/germany-s-new-supply-chain-act-part-3-8712398/.

[11] con focus sugli obblighi di informativa per gli operatori e consulenti finanziari (v. in particolare artt. 8 e 9).

[12] La normativa andrà a sostituire il d. lgs. n. 254 del 2016, relativo alla DNF, attuativo della direttiva 2014/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2014, recante modifica alla direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune imprese e di taluni gruppi di grandi dimensioni.

[13] Per l’analisi di altri codici di autodisciplina sotto il profilo del rilievo attribuito alla sostenibilità, si rinvia a Rolli, op. cit., p. 35 ss.

[14] Libertini, Gestione “sostenibile” delle imprese e limiti alla discrezionalità imprenditoriale, in Contratto e impresa, 2023, p. 54 ss.

[15] A seguito del nuovo codice di corporate governance e della legislazione in materia il consiglio di amministrazione “deve” perseguire anche tali interessi nella discrezionalità tecnica dei poteri gestori. Si veda il rapporto 6/2021 di Assonime, Doveri degli amministratori e sostenibilità.

[16] Il dibattito evoca la contrapposizione tra shareholderism e stakeholderism, che si riflette in Italia nella contrapposizione tra teoria contrattuale e istituzionalistica della società e dell’interesse sociale: riferimenti in Rolli, op. cit., p. 78, nota 14.

[17] Hansmann e Krakmann, The End oh History of Corporate Law, Oxford University Press, 2004, p. 18.

[18] Carroll, The Pyramid of Corporate Social Responsability: toward Moral Management of Organizational Stakeholders, in Business Horizons, 1991, p. 93. Si rinvia a Rolli, op. cit., p. 29 ss.

[19] Angelici, Interesse sociale e business judgement rule, in Riv. dir. comm. e del diritto generale delle obbligazioni, 2012, p.  573 ss.; Montalenti, Interesse sociale e amministratori, Milano, 2010, p. 82.

[20] Angelici, “Potere” e “interessi” nella grande impresa azionaria: a proposito di un recente libro di Umberto Tombari, in Riv. soc., 2020, p. 6.

[21] Montalenti, L’interesse sociale: una sintesi, in Riv. soc., 2018, p. 303 ss.

[22] European Company Law Experts Group, The European Parliament’s Draft Directive on Corporate on Corporate Due Diligence and Corporate Accountability, in https://ecgi.global/news/commentary-european-parliament%E2%80%99s-draft-directive-corporate-due-dilegence-and-corporate; Marchetti e Ventoruzzo, Ma quanto è grande il club degli azionisti?, in Corriere della Sera. Economia, 19 ottobre 2020.

[23] L’incipit della discussione europea sulla sustainable corporate governance è dato dall’azione 10 del citato Action Plan, secondo la quale “per promuovere un governo societario che favorisca maggiormente gli investimenti sostenibili, la Commissione svolgerà entro il secondo trimestre del 2019 un lavoro di analisi e di consultazione presso le parti interessate per valutare: i) l’eventuale necessità di imporre ai consigli di amministrazione di elaborare e divulgare una strategia in materia di sostenibilità, compresa una due diligence lungo l’intera catena di approvvigionamento, nonché obiettivi di sostenibilità misurabili; e ii) l’eventuale necessità di chiarire le norme che impongono agli amministratori di agire nell’interesse a lungo termine dell’impresa”. A tal fine, su incarico della Commissione, Ernst & Young ha realizzato lo Study on directors’ duties and sustainable corporate governance – Final Report, pubblicato il 29 luglio 2020. Il dibattito sulla sustainable corporate governance è testimoniato anche in UK, stante la Section 172 del Companies Act del 2006, ove lo statute dell’enlightened shareholder value rappresenta un compromesso o una terza via tra la shareholder primacy marcatamente statunitense e il modello orientato agli stakeholder, più rappresentato nell’Europa continentale: Millon, Enlightened Shareholder Value, Social Responsibility, and the Redefinition of Corporate Purpose Without Law, 16 June 2010, in https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=1625750. Si vedano Jung, Sustainable Corporate Governance in the United Kingdom, Environmental Sustainability in Directors’ Decision-Making, July 2022, in https://www.econstor.eu/bitstream/10419/263241/1/181318044X.pdf; Knapp, Sustainable Corporate Governance: A Way Forward?, in European Company and Financial Law Review, 2021, p. 219 ss.

[24]  Il dibattito evoca il tema del purpose e dei doveri fiduciari degli amministratori. Sul primo termine di discussion si rinvia a Mayer, The future of the corporation: Towards humane business, in Journal of the British Academy, 19 dicembre 2018, secondo il quale corporate law should require companies to specify their corporate purposes. Id., Prosperity: Better Business Makes the Greater Good, Oxford University Press, 2018, p. 39, precisa la convizione che “the purpose of companies is to produce solutions to problem of people and planet and in the process to produce profits, but profits are not per se the purpose of companies”. Ventoruzzo, Brief Remarks on «Prosperity» by Colin Mayer and the often Misunderstood Notion of Corporate Purpose, in Riv. soc., 2020, pp. 43 ss., esprime perplessità sul fatto che, da un punto di vista giuridico, simili formule possano avere ricadute sul piano dei doveri degli amministratori e siano suscettibili di essere giuridicamente sanzionabili. Si rinvia anche a Strine Jr., Corporate Power is Corporate Purpose II: An Encouragement for Future Consideration from Professor Johnson and Millon, 2016, in https://scholarlycommons.law.wlu.edu/wlulr/vol74/iss2/20/; Ruggie, Corporate Purpose in Play: The Role of ESG Investing, 2019, in https://www.hks.harvard.edu/publications/corporate-purpose-play-role-esg-investing; Ferrarini, An Alternative View of Corporate Purpose: Colin Mayer on Prosperity, in Riv. soc., 2020, p. 41 ss.; Eccles, in Towards Business 2030 by integrating Purpose&Materiality with Innovation and Performance, Roma, ottobre 2019, individua 5 azioni che le società dovrebbero intraprendere per preparare una nuova era di investimenti sostenibili: “Articulate your Purpose; Improve Engagement with Shareholders; Increase Involvement by Middle Management; Invest in Internal Systems for ESG Performance; Improve Measurement and Reporting”. Sul profilo dei doveri fiduciari degli amministratori occorre ricordare che nell’iter che ha portato all’approvazione della CSDDD è stata espunto l’articolo che orientava alla sostenibilità gli obblighi degli amministratori, con correlativa responsabilità civile. L’art. 25 – Dovere di sollecitudine degli amministratori – della proposta di direttiva della Commissione del 23 febbraio 2022, venuto meno con l’Orientamento generale del Consiglio UE del 1° dicembre 2022, prevedeva che “1. Gli Stati membri provvedono a che gli amministratori di società (…) tengano conto nell’adempiere al loro dovere di agire nel superiore interesse della società, delle conseguenze in termini di sostenibilità, a breve, medio e lungo termine, delle decisioni che assumono, comprese, se del caso, le conseguenze per i diritti umani, i cambiamenti climatici e l’ambiente. 2. Gli Stati membri provvedono a che le rispettive disposizioni legislative, regolamentari e amministrative vertenti sulla violazione degli obblighi degli amministratori si applichino anche alle disposizioni del presente articolo”. Nella direzione di attribuire maggiore rilevanza alla sostenibilità e resilienza delle società vanno infine ricordati The new G20/OECD principles of corporate governance 2023, in https://www.oecd.org/publications/g20-oecd-principles-of-corporate-governance-2023-ed750b30-en.htm.

[25] Il 10 marzo 2021 il Parlamento UE ha formulato raccomandazioni alla Commissione concernenti il dovere di diligenza e la responsabilità delle imprese, invitando la Commissione a proporre norme per un obbligo globale di diligenza delle società. A seguito di tale risoluzione, il 23 febbraio 2022 la Commissione ha pubblicato la propria proposta di Direttiva sulla Corporate Sustainability Due Diligence. Il Consiglio UE ha espresso il suo Orientamento Generale il 1° dicembre 2022. Successivamente, il 1° giugno 2023, il Parlamento UE ha espresso la propria posizione – con 366 voti favorevoli e 225 contrari – sulla bozza della Corporate Sustainability Due Diligence Directive, con emendamenti rispetto al testo della Commissione. A seguito del voto in Parlamento, lo scorso 8 giugno 2023 sono iniziate articolate consultazioni fra Commissione, Consiglio UE e Parlamento UE (c.d. “triloghi”), al fine di addivenire ad un testo concordato. Dopo alcuni tentativi da parte della Presidenza belga di trovare un compromesso tra le divergenti posizioni degli stati membri, il 15 marzo 2024 il COREPER in seno al Consiglio UE, a maggioranza qualificata, ha approvato un testo di direttiva con significativa diluizione delle previsioni originariamente concepite dalla Commissione. Il 19 marzo 2024 la stessa bozza è stata altresì approvata in seno alla Commissione JURI del Parlamento UE. Il testo è stato adottato in prima lettura nell’adunanza plenaria del Parlamento UE del 24 aprile 2024 nonché dal Consiglio UE il 24 maggio 2024 ed è, allo stato, in attesa di essere pubblicato nella Gazzetta Ufficiale. Rispetto alla proposta della Commissione del 23 febbraio 2022 nella versione finale si registra una restrizione della sfera di applicazione, l’eliminazione della responsabilità degli amministratori, la soppressione del collegamento tra remunerazione variabile degli amministratori e kpi di sostenibilità, l’esclusione del settore finanziario dall’ambito di applicazione della direttiva, la previsione che l’eventuale responsabilità delle società per la violazione dell’obbligo di diligenza non è di natura oggettiva.

[26] Libertini, Sulla proposta di Direttiva UE su “Dovere di diligenza e responsabilità delle imprese”, cit., p. 332, in relazione alla Risoluzione del Parlamento europeo del 10 marzo 2021, recante raccomandazioni alla Commissione concernenti la dovuta diligenza e la responsabilità delle imprese. Mar­chetti-Ventoruzzo, Sostenibilità, doppia spinta. Non aspettiamo Bruxelles, in Corriere della Sera. Economia, 7 marzo 2022, in relazione alla Pro­posta di direttiva relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità del 23 febbraio 2022, in considerazione al nuovo comma dell’art. 9 Cost., che statuisce che la Repubblica “tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni …”, osservano che “si apre così la via, stretta e non priva di pericoli, che perlomeno sino all’entrata a pieno regime della disciplina europea della sostenibilità, gli Stati, come appunto l’Italia, che abbiano un supporto costituzionale trovino la possibilità, attraverso l’autodisciplina, i doveri degli amministratori, in casi limite la clausole generale di risarcimento da atto illecito, per passare dalla declamazione alla realizzazione della sostenibilità”. Libertini, Sulla proposta di Direttiva UE su “Dovere di diligenza e responsabilità delle imprese”, cit., p. 331 e 333, il quale osserva che “la riforma proposta non incide direttamente (almeno per ora) sul diritto societario, ma prevede la creazione di una piattaforma in cui i diritti di voice degli stakeholders potranno trovare uno spazio finora impensato. Gli effetti sul diritto societario saranno indiretti, ma non per questo meno incisivi (soprattutto in materia di doveri e responsabilità di amministratori e di soci detentori del controllo)” (p. 334, 335).

[27] Libertini, Sulla proposta di Direttiva UE su “Dovere di diligenza e responsabilità delle imprese”, cit., p. 329 e 333.

[28] Nella sterminata bibliografia sul negozio giuridico si segnalano Betti, Teoria generale del negozio giuridico, Esi, 1943, in Tratt. Vassalli, Torino, 1952; Calasso, Il negozio giuridico, Milano, 1959; Cariota-Ferrara, Negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1945; Mirabelli, voce Negozio giuridico (teoria del), in Enc. del dir., v. XXVIII, Milano, 1978, p. 1 ss.; Rescigno, Manuale di diritto privato italiano, Manuale di diritto privato italiano, Napoli, 1997, p. 287 ss.; Id., Atto giuridico, Diritto privato, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1988; G.B. Ferri, Il negozio giuridico tra libertà e norma, Rimini, 1987; Id., Il negozio giuridico, Padova, 2004; AA.VV., Categorie giuridiche e rapporti sociali – Il problema del negozio giuridico (a cura di C. Salvi), Milano, 1978; De Giovanni, Fatto e valutazione nella teoria del negozio giuridico, Napoli, 1958; Fadda, Parte generale con speciale riguardo alla teoria del negozio giuridico, Napoli, 1909; Ferrante, Negozio giuridico, Milano, 1950; L. Ferri, L’autonomia privata, Milano, 1959; Passerin D’Entrèves, Il negozio giuridico – Saggio di filosofia del diritto, Torino, 1934; Pugliatti, Autonomia privata, in Enc. dir., IV, Milano, 1959; Salv. Romano, Autonomia privata (Appunti), Milano, 1957; Sacco, Autonomia nel diritto privato, in Digesto/Civ., I, Torino, 1987; F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1966 (nova edizione); V. Scialoja, Negozi giuridici, Roma, 1950 (ristampa del corso di Diritto Romano svolto nell’Un. di Roma nell’A.A. 1892-1893); R. Scognamiglio, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napoli, 1950; Id., Negozio giuridico: 1) profili generali, in Enc. giur., XX, Roma, 1990; Id., Negozio giuridico e autonomia privata, in La civilistica italiana dagli anni ‘50 ad oggi tra crisi dogmatica e riforme legislative (Atti del Congresso dei civilisti italiani svoltosi a Venezia dal 23 al 26-6-1988), Padova, 1992; Stolfi, Teoria del negozio giuridico, Padova, 1947; Tesauro, Atti e negozi giuridici, Padova, 1933; F. Vassalli, Sommario delle lezioni sulla teoria del negozio giuridico (a cura di A. Bozzi), Roma, 1934.

[29] Gitti, Villa (a cura di), Il terzo contratto. L’abuso di potere contrattuale nei rapporti tra imprese, Bologna, 2008; Sirena (a cura di), Il diritto europeo dei contratti d’impresa. Autonomia negoziale dei privati e tecniche di regolazione del mercato, Milano, 2006; Navarra, Il terzo contratto: evoluzione e sviluppo delle forme contrattuali, Napoli, 2015; Franco, Il terzo contratto: da ipotesi di studio a formula problematica. Profili ermeneutici e prospettive assiologiche, Padova, 2010; Giovagnoli, Terzo contratto e abuso di dipendenza economica, in Giur. civ., 2010, p. 31 ss.

[30] Roppo, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppi di un nuovo paradigma, in Riv. dir. priv., 2001, p. 769; Id., I paradigmi di comportamento del consumatore, del contraente debole e del contraente professionale nella disciplina del contratto, in G. Rojas Elgueta, N. Vardi (a cura di), Oltre il soggetto razionale. Fallimenti cognitivi e razionalità limitata nel diritto privato, Romatre-press, 2014, p. 25 ss.

[31] si rinvia a Rolli, Il diritto privato nella società 4.0, Milano, 2022.

[32] Zoppini, Il diritto privato e i suoi confini, Bologna, 2020.

[33] Il negozio giuridico, in Tratt. dir. civ. e comm., già diretto da Cicu e Messineo e Mengoni e continuato da Schlesinger, V. III t. 1, Milano, 1988.

[34] Galgano, Dogmi e dogmatica nel diritto, Padova, 2010; Id., I dogmi nel diritto, in Contratto e Impresa, 2010, p. 95 ss.;   Irti, La regola e l’eccezione, Resoconto sulla dottrina italiana del diritto privato nel secolo XX, in Diritto e società, 1997, p. 448, esprime che il concetto di negozio giuridico “ormai sopravvive soltanto per una sorta di misticismo dottrinario”, sottolinea Galgano, Prefazione alla seconda edizione de Il negozio giuridico, Tratt. dir. civ. e comm., già diretto da Cicu e Messineo e Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, 2002, “destinato al declino insieme alla tradizione dogmatica che lo aveva prodotto”.

[35] Rolli, Causa in astratto e causa in concreto, Padova, 2008.

[36] Galgano, Prefazione alla seconda edizione de Il negozio giuridico, cit.

[37] Rolli, Le attuali prospettive di “oggettivazione dello scambio”: verso la rilevanza della “congruità dello scambio contrattuale”?, in Contratto e impresa, 2001, p. 611 ss.

[38] Galgano, Prefazione alla seconda edizione de Il negozio giuridico, cit.

[39] Galgano, Diritto ed economia alle soglie del nuovo millennio, in Contratto e Impresa, 2000, p. 189 ss.; M. Barcellona, Il contratto e l’economia globale, in AA.VV., Contratto e lavoro subordinato. Il diritto privato alle soglie del 2000, Padova, 2000, p. 33 ss., secondo il quale  è “opinione largamente diffusa che la globalizzazione abbia modificato profondamente la premesse normative e concettuali poste alla base delle dottrine correnti sul contratto e sull’autonomia privata”; Galgano-Marrella, Diritto e prassi del commercio internazionale, in Trattato di Diritto Commerciale e di Diritto Pubblico dell’Economia, diretto da Galgano, V. 54, Padova, 2010; Galgano, Lex mercatoria. Storia del diritto commerciale, Bologna, 1976; Marrella, La nuova lex mercatoria, Principi Unidroit e usi dei contratti del commercio internazionale, Trattato di Diritto Commerciale e di Diritto Pubblico dell’Economia, diretto da Galgano, V. 30, Padova, 2003.

[40] Galgano, Prefazione alla seconda edizione de Il negozio giuridico, cit.

[41] Galgano, Diritto ed economia alle soglie del nuovo millennio, cit., p. 204 ss. Sul profilo della gross disparity si vedano Alpa, La protezione del contraente debole nei principi dell’Unidroit, in I contratti in generale (Aggiornamento 1991-1998), in Giur. sist. dir. civ. e comm., fondata da Bigiavi, diretta da Alpa e Bessone, Torino, 1999, p. 119 ss.; Timoteo, Nuove regole in materia di squilibrio contrattuale: l’art. 3.10 dei Principi Unidroit, in Contratto e impresa Europa, 1997, p. 141 ss.; Volpe, I principi Unidroit e l’eccessivo squilibrio del contenuto del contratto (gross disparity), in Riv. dir. priv., 1999, p. 40 ss., Pontiroli, La protezione del «contraente debole» nei Principles of International Commercial Contracts di Unidroit: much ado about nothing?, in Giur. comm., 1997, II, p. 566 ss.

[42] per il tema del “contratto ecologico” si veda Pennasilico, La “sostenibilità ambientale” nella dimensione civil-costituzionale: verso un diritto dello “sviluppo umano ed ecologico”, Riv. quadr. dir. dell’ambiente, p. 4 ss.; Id., Il “contratto ecologico tra Italia e Cina”: verso un nuovo paradigma giuridico, in Annuario di diritto comparato e di studi legislativi, Napoli, 2021, p. 169 ss.

[43] Galgano, La globalizzazione nello specchio del diritto, Bologna, 2005. Ferrarese, Private lawmaking a livello globale tra potenzialità e problemi, in Riv. dir. priv., 2020, p. 69, in merito al contratto, osserva che “in molti casi, l’utilizzo di strumenti pubblicistici è arretrato per fargli posto, in nome di fini di libertà, velocità ed efficienza. Si pensi, ad esempio, all’uso del contratto per assolvere a finalità di governo pubblico, che una volta erano affidate alla legislazione, o all’utilizzo del contratto nel pubblico impiego, o nell’azione della Pubblica Amministrazione”.

[44] Per un’analisi dei “segni della deglobalizzazione” si rinvia a Zoppini, Il diritto privato e i suoi confini, cit.

[45] p. 3.

[46] Ferrarese, Private lawmaking a livello globale tra potenzialità e problemi, cit., p. 72.

[47] Ead., Private lawmaking a livello globale tra potenzialità e problemi, cit., p. 67 ss., la quale osserva che l’espressione private law making a livello transnazionale ha un fondamento soprattutto contrattuale.

[48] Grundmann, Micklitz, Renner, Private Law (Rule-Setting) beyond the State, in New Private Law Theory, A Pluralistic Approach, 2021, Cambridge University Press.

[49] Ferrarese, La governance tra politica e diritto, Bologna, 2010; Ead., Le istituzioni della globalizzazione. Diritto e diritti nella società trasnazionale, Bologna, 2000; Ead., Il diritto al presente, Bologna, 2002; Diritto sconfinato, Bari, 2006.

[50] Grundam, Möslein, Riesenhuber, Contract Governance: Dimensions in Law and Interdisciplinary Research, cit., p. 6.

[51] Grundam, Möslein, Riesenhuber, op. cit., p. 10.

[52] Grundam, Möslein, Riesenhuber, op. cit., p. 11.

[53] Grundam, Möslein, Riesenhuber, op. cit., p. 13.

[54] In sede di attuazione della direttiva UE 2019/771 sulla vendita dei beni di consumo, con d. lgs. n. 170 del 2021, confluito nel codice del consumo, lgs. n. 206 del 2005, in Italia non è prevista l’azione diretta del consumatore, che ha ottenuto la consegna di un bene non conforme al contratto, nei confronti del produttore, ma solo nei confronti del rivenditore finale, salvo l’azione di regresso di quest’ultimo nei confronti degli altri rivenditori nella catena distributiva (art. 134 codice del consumo). In Spagna è riconosciuta azione diretta del consumatore nei confronti del produttore.

[55] Grundam, Möslein, Riesenhuber, op. cit., p. 14 ss.

[56] Grundam, Möslein, Riesenhuber, op. cit., p. 22 ss.

[57] Grundam, Möslein, Riesenhuber, op. cit., p. 43 ss.

[58] Micklitz, Herd Behaviour and Third Part Impact as a Legal Concept, in Grundam, Möslein, Riesenhuber, op. cit.

[59] Cafaggi e Iamiceli, Private Regulation and Industrial Organization: Contractual Governance and the Network Approach, in Grundam, Möslein, Riesenhuber, op. cit., p. 349.

[60] Ulfbeck & Hansen, Sustainability clauses in an unsustainable law?, 1° agosto 2022, in https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=4174259.

[61] Ulfbeck & Hansen, op. cit.

[62] Piepoli, Responsabilità sociale d’impresa e compliance contrattuale, in Giust. civ., 2022, p. 19 ss.

[63] Piepoli, op. cit., il quale sottolinea come le clausole di compliance sono “strumento centrale di governo dei rapporti contrattuali tra imprese nelle catene globali di fornitura”. La prospettiva della giuridificazione della responsabilità d’impresa è colta anche da Rolli, L’impatto dei fattori ESG sull’impresa. Modelli di governance e nuove responsabilità, cit., p. 34.

[64] Piepoli, op. cit.

[65] A livello normativo il carattere di ultraterritorialità è presente nella direttiva CSDDD applicabile alle società straniere operanti nel mercato europeo secondo i requisiti di cui all’art. 2 della direttiva, in linea con la tendenza europea ad essere leader nella transizione energetica e con la volontà di evitare pratiche elusive di imprese di Paesi terzi e di mantenere la competitività delle imprese europee, evitando diseguaglianze in favore di imprese di Stati extra UE. In ambito diverso della regolazione del mercato di qualche anno risalente Galgano, La globalizzazione nello specchio del diritto, cit., p. 77, faceva riferimento al diritto degli Stati Uniti, quale emerge dallo Sarbanes-Oxley Act del 30 luglio 2002, e dai suoi regolamenti di attuazione, emanati dalla Sec (Securities and Exchange Commission): “ecco un primo aspetto: una società non americana, quotata in borse americane, che ivi raccolga il capitale di rischio, è sottoposta alle medesime garanzie di trasparenza che la legge americana esige per le imprese nazionali. (…) Ma ecco un secondo più rilevante aspetto: società non americane, controllate da una transnazionale americana, sono tenute a redigere i propri bilanci secondo il diritto americano, a sottoporre questi bilanci a revisori americani. Queste società hanno così una doppia nazionalità: quella del paese in cui operano e, al tempo stesso, la nazionalità della holding americana; sicchè sono sottoposte ad un doppio diritto. Sono società italiane, tedesche, giapponesi e così via, rette dal diritto italiano, tedesco e giapponese, a seconda che siano state costituite in Italia o in Germania o in Giappone; ma sono, al tempo stesso, società americane, sottoposte alla legislazione americana, in quanto controllate da una holding americana. A questo modo il diritto americano si studia di evitare che le proprie imprese eludano i rigori del diritto interno, lasciando sul territorio nazionale solo una holding di partecipazione e trasferendo presso le controllate estere le attività di produzione e di distribuzione. Sotto questo profilo, la risposta americana alla globalizzazione è la transnazionalità del proprio diritto, cui le imprese americane sono sottoposte anche quando si dislocano fuori dei confini nazionali”. Riferimenti a tale aspetto sono formulati anche da Piepoli, op. cit.

[66] Doe v. Wal-Mart Stores Inc., 572, F. 3d 677, in LexisNexis, 28 aprile, 2024.

[67] Revak, Note-Corporate Codes of Conduct: Binding Contract or Ideal Publicity, in Hastings Law, V. 63, 2012, p. 1647. Sul tema in Italia si veda Angelici, Responsabilità sociale dell’impresa, codici etici e autodisciplina, in Giur. comm., 2011, p. 159; Id., Divagazioni sulla “responsabilità sociale” d’impresa, in Riv. soc., 2018, p. 3 ss.

[68] Pannebakker, Sustainable development clauses in international contracts through the lens of the Unidroit Principles, 2023, in https://www.unidroit.org/results-of-the-unidroit-and-sustainable-development-essay-competition/, p. 4.

[69] Pannebakker, op. cit., p. 4.

[70] Piepoli, op. cit.

[71] Pannebakker, op. cit., p. 4.

[72] Id., op. cit., p. 6.

[73] Id., op. cit., p. 6.

[74] Id., op. cit., p. 7.

[75] Crisostomo, Serve un green deal anche per banche e assicurazioni, in Il Sole 24 Ore, 21 febbraio 2024.

[76] Pannebakker, op. cit., p. 7.

[77] Id., op. cit., p. 7.

[78] Id., op. cit., p. 7 ss.

[79] Id., op. cit., p. 8.

[80] Id., op. cit., p. 8.

[81] Id., op. cit., p. 8.

[82] Ulfbeck & Hansen, op. cit., p. 18.

[83] Art. 3 Definizioni e) Filiazione: “persona giuridica, quale definita all’articolo 2, punto 10, della direttiva 2013/34/UE, e persona giuridica per il cui tramite è esercitata l’attività di “impresa controllata”, quale definita all’art. 2, paragrafo 1, lettera f) della direttiva 2004/109/CE del Parlamento europeo e del Consiglio”.

[84] Art. 3 Definizioni f) Partner commerciale: i) “un soggetto con il quale la società ha concluso un accordo commerciale connesso alle attività, ai prodotti o ai servizi della società o al quale la società fornisce servizi a norma della lettera g) (“partner commerciale diretto”)”; o ii) che non è un partner commerciale diretto ma svolge attività commerciali connesse alle attività, ai prodotti o ai servizi della società (“partner commerciale indiretto”).

[85] Definizioni g) Catena di attività: i) attività di un partner commerciale a monte di una società inerenti alla produzione di beni o alla prestazione di servizi da parte di tale società, compresi la progettazione, l’estrazione, l’approvvigionamento, la produzione, il trasporto, l’immagazzinamento e la fornitura di materie prime, prodotti o parti di prodotti e lo sviluppo del prodotto o del servizio; e ii) attività di un partner commerciale a valle di una società inerenti alla distribuzione, al trasporto e all’immagazzinamento del prodotto di tale società, laddove i partner commerciali svolgano tali attività per la società o a nome della società, a eccezione della distribuzione, del trasporto e dell’immagazzinamento del prodotto soggetto al controllo delle esportazioni a norma del regolamento UE 2021/821 o a controlli delle esportazioni relativi ad armi, munizioni o materiali bellici, una volta che l’esportazione del prodotto sia stata autorizzata.

[86] Roda, Quand la compliance américaine s’invite dans le contentieux contractuel français, in Recueil Dalloz, 2020 p. 914.

[87] Piepoli, op. cit.

[88] Ulfbeck & Hansen, op. cit.

[89] Piepoli, op. cit., il quale viceversa ritiene irrilevante la violazione da parte della clausola di sostenibilità, che impone condotte antidiscriminatorie, di norme straniere che, ad esempio, sanzionino anche penalmente gli orientamenti sessuali diversi.

[90] Piepoli, op. cit., sottolinea che la verifica della documentazione del partner contrattuale potrebbe sollevare problemi di tutela della privacy aziendale e dei dati personali dei clienti del partner ed essere fonte di oneri sproporzionati ed ingiustificati per il medesimo, aspetto del quale si fa carico l’art. 5, comma 3, della CSDDD.

[91] Piepoli, op. cit.

[92] Id., op. cit.

[93] Id., op. cit., che fa riferimento all’ipotesi di recesso ad nutum, che la prassi conosce anche per le violazioni lievi o solamente in caso di sospetta violazione.

[94] Id., op. cit.

[95] Castronovo, Ritorno all’obbligazione senza prestazione, in Europa diritto privato, 2009, p. 679 ss.

[96] De Bonnafos, La valorisation de l’entreprise citoyenne, Aix-Mirseille, 2020, p. 159.

[97] Ulfbeck & Hansen, op. cit.

[98] Id., op. cit.

[99] Id., op. cit.

[100] La prospettiva è segnalata da Piepoli, op. cit.; Di Majo, L’obbligazione senza prestazione approda in Cassazione, in Corr. giur. 1999, p. 441 ss.

[101] Ulfbeck & Hansen, op. cit.

[102] Id., op. cit., p. 17, i quali osservano che il chain leader non potrà fare valere i requisiti di sostenibilità nei confronti del fornitore se essi siano illegittimi, né le terze parti beneficiarie potranno fare affidamento sul contratto tra il chain leader e il fornitore se i termini del contratto siano illegittimi, in quanto contrari a buona fede.

[103] Piepoli, op. cit.

[104] Id., op. cit., che fa riferimento altresì al partner contrattuale che si trovi ad essere destinatario e punto di riferimento passivo di una variegata pluralità di codici di condotta.

[105] Ulfbeck & Hansen, op. cit., p. 14 ss.

[106] Id., op. cit., p. 14 ss.

[107] Ulfbeck & Hansen, op. cit., p. 16 ss.

[108] Id., op. cit., p. 17.

[109] Art. 11, comma 6: “Per quanto riguarda gli impatti negativi potenziali di cui al paragrafo 1 che risulti impossibile prevenire o attenuare sufficientemente con le misure previste dai paragrafi 2, 4 e 5, come opzione ultima la società è tenuta ad astenersi dall’allacciare un rapporto nuovo o prolungare un rapporto esistente con un partner commerciale in collegamento con il quale o nella catena di attività del quale è emerso l’impatto e, se permesso dalla legge che disciplina le relazioni con detto partner, adotta, come opzione ultima, le azioni seguenti: a) adozione e attuazione senza indebito ritardo di un piano d’azione in materia di prevenzione rafforzato per lo specifico impatto negativo, utilizzando o aumentando l’effetto leva della società attraverso la sospensione temporanea dei rapporti d’affari in relazione alle attività in questione, purché sia ragionevole attendersi che tali iniziative vadano a buon fine; il piano d’azione comprende un calendario specifico e adeguato per l’adozione e l’attuazione di tutte le azioni ivi contenute, durante il quale la società può anche cercare partner commerciali alternativi; b) se non è ragionevole attendersi che tali iniziative vadano a buon fine, o se l’attuazione del piano d’azione in materia di prevenzione rafforzato non è riuscita a prevenire o attenuare l’impatto negativo, cessazione del rapporto d’affari per le attività in questione se l’impatto negativo potenziale è grave. Prima di sospendere temporaneamente o cessare un rapporto d’affari, la società valuta se si possa ragionevolmente prevedere che gli impatti negativi di tale sospensione o cessazione siano manifestamente più gravi dell’impatto negativo che non era possibile prevenire o attenuare sufficientemente. In tal caso, la società non è tenuta a sospendere o cessare il rapporto d’affari e deve essere in grado di riferire all’autorità di controllo competente in merito alle ragioni debitamente giustificate alla base di tale decisione”. Art. 11, comma 7: “Per quanto riguarda gli impatti negativi effettivi di cui al paragrafo 1 che risulti impossibile arrestare o minimizzare nell’entità con le misure di cui ai paragrafi 3, 5 e 6, come opzione ultima la società è tenuta ad astenersi dall’allacciare un  rapporto nuovo o prolungare un rapporto esistente con un partner commerciale in collegamento con il quale o nella catena    di attività del quale è emerso l’impatto e, se permesso dalla legge che disciplina le relazioni con detto partner, adotta, come opzione ultima, le azioni seguenti: a) adozione e attuazione senza indebito ritardo di un piano d’azione correttivo rafforzato per lo specifico impatto negativo, anche utilizzando o aumentando l’effetto leva della società attraverso la sospensione temporanea dei rapporti d’affari in relazione alle attività in questione, purché sia ragionevole attendersi che tali iniziative vadano a buon fine; il piano d’azione comprende un calendario specifico e adeguato per l’adozione e l’attuazione di tutte le azioni ivi contenute, durante il quale la società può anche cercare partner commerciali alternativi; b) se non è ragionevole attendersi che le iniziative di cui alla lettera a) andranno a buon fine, o se l’attuazione del piano d’azione correttivo rafforzato non riesce ad arrestare l’impatto negativo o a minimizzarne l’entità, cessazione del rapporto d’affari per le attività in questione se l’impatto negativo effettivo è grave. Prima di sospendere temporaneamente o cessare un rapporto d’affari, la società valuta se si possa ragionevolmente prevedere che gli impatti negativi di tale cessazione o sospensione siano manifestamente più gravi dell’impatto negativo che non era possibile arrestare o di cui non era possibile minimizzare sufficientemente l’entità. In tal caso, la società non è tenuta a sospendere o cessare il rapporto d’affari e deve essere in grado di riferire all’autorità di controllo competente in merito alle ragioni debitamente giustificate alla base di tale decisione.”

[110] Art. 10, comma 2, lett. f), e comma 3: La società è tenuta ad adottare le misure adeguate seguenti, ove pertinente: “in conformità del diritto dell’Unione, compreso il diritto della concorrenza, collaborare con altri soggetti, se del caso anche al fine di aumentare la propria capacità di prevenire o attenuare l’impatto negativo, in particolare se nessun’altra misura risulta idonea o efficace. Le società possono adottare, se del caso, misure adeguate in aggiunta alle misure elencate nel paragrafo 2, ad esempio dialogare con un partner commerciale sulle aspettative della società per quanto riguarda la prevenzione e l’attenuazione dei potenziali impatti negativi o fornire o consentire l’accesso allo sviluppo delle capacità, a orientamenti, a un sostegno amministrativo e finanziario come prestiti o finanziamenti, tenendo conto nel contempo delle risorse, delle conoscenze e dei vincoli del partner commerciale”. Art. 11, comma 4, “Le società possono adottare, se del caso, misure adeguate in aggiunta alle misure elencate al paragrafo 3, ad esempio dialogare con un partner commerciale in merito alle aspettative della società riguardo all’arresto degli impatti negativi effettivi o alla minimizzazione della loro entità, oppure fornire o consentire l’accesso allo sviluppo delle capacità, a orientamenti, a un sostegno amministrativo e finanziario come prestiti o finanziamenti, tenendo conto nel contempo delle risorse, delle conoscenze e dei vincoli del partner commerciale”.

[111] Piepoli, op. cit., il quale ritiene la scelta dell’art. 1381 cod. civ., che legittima le differenti possibili articolazioni dell’obbligo del partner contrattuale, confermata anche nella prospettiva di un corretto bilanciamento degli interessi in campo. Nella logica più ampia della teoria generale del contratto, l’idea per cui, se il contratto incide su un bene comune, gli effetti trascendono la dimensione strettamente individuale, è espressa da Persia, Proprietà e contratto nel paradigma del diritto civile “sostenibile”, in Riv. quadr. dir. dell’ambiente, 2018, p. 14, secondo la quale in questo caso gli atti di autonomia privata spiegheranno effetti anche verso i terzi, assumendo, quindi, un’efficacia esterna. La prospettiva del “contratto ecologico” è espressa da Pennasilico, La “sostenibilità ambientale” nella dimensione civil-costituzionale: verso un diritto dello “sviluppo umano ed ecologico”, ivi, p. 4 ss.; Id., Il “contratto ecologico tra Italia e Cina”: verso un nuovo paradigma giuridico, in Annuario di diritto comparato e di studi legislativi, Napoli, 2021, p. 169 ss.

[112] In tal caso, secondo l’art. 10, comma 5, e 11, comma 6, le garanzie contrattuali saranno accompagnate da misure adeguate di verifica della conformità. Ai fini della verifica della conformità, la società piò richiamarsi alla verifica di un terzo indipendente, anche attraverso iniziative di settore o multipartecipative.

[113] Cass. civ., Ordinanza, 12 luglio 2023, n. 19873, Massima redazionale; Cass., 24 gennaio 2003, n. 1137, in Mass., Foro it., 2003, secondo la quale “la promessa dell’obbligazione o del fatto del terzo genera, anche, un’autonoma obbligazione del promittente nei confronti del promissario, avente natura strumentale, essendo diretta a rendere possibile la condotta del terzo promessa, e ha a oggetto un facere, consistente nell’attivarsi presso il terzo affinché questi assuma l’obbligazione o compia il fatto promessi. Deriva, da quanto precede, pertanto, che se, nonostante l’adempimento dell’obbligo di fare spettante al promittente, si verifichi il rifiuto del terzo, il promissario resta comunque garantito dalla sicurezza di poter contare sul patrimonio del promittente, tenuto a corrispondergli l’indennizzo. Se, invece, il promittente venga meno all’obbligo di adoperarsi con la dovuta diligenza presso il terzo, e il rifiuto di quest’ultimo sia ricollegabile con rapporto di causalità, alla sua condotta negligente, al promissario sarà data la possibilità di avvalersi degli ordinari mezzi di tutela previsti dalla legge contro l’inadempimento delle obbligazioni, tra cui la tutela risarcitoria”. In dottrina Galgano, Tratt. dir. civ., VII, Padova, 2010, p. 495 ss.

[114] Ulfbeck & Hansen, op. cit., p. 11.

[115] Id., op. cit., p. 10.

[116] Id., op. cit., p. 11.

[117] Ulfbeck & Hansen, op. cit., p. 12 ss.

[118] In tema di contratto con effetti protettiti a favore del terzo si veda in dottrina Messineo, voce “Contratto nei rapporti col terzo”, in Enc. Dir., Milano, 1962, p. 198; Scozzafava, voce “Contratto a favore dei terzi”, in Enc. Giur. Treccani, 1988, p. 5; De Nova, Il contratto a favore di terzo, in Sacco – De Nova, Il contratto, in Trattato di diritto privato diretto da Rescigno, Giappichelli, 1982, p. 416; Angeloni, Del contratto a favore di terzi, Zanichelli, 2004; per la più recente giurisprudenza di legittimità e di merito sul tema si veda: Cass. civ., Sez. Unite, 14 dicembre 2023, n. 35092; Cass. civ., Sez. III, 7 aprile 2022, n. 11320; Cass. civ., Sez. III, 9 luglio 2020, n. 14615; Cass. civ., Sez. II, 12 maggio 2014, n. 10272; Trib. Avezzano, 2 gennaio 2017; Trib. Frosinone, 24 maggio 2016; Trib. Milano, Sez. IX, ordinanza 23 marzo 2016.

[119] Il cd. Public Enforcement è previsto agli artt. 24 ss.

[120] Ulfbeck & Hansen, op. cit.

[121] Id., op. cit.

[122] Larourer, Les codes de conduite, sources du droit, Paris, 2017, p. 197.

[123] Piepoli, op. cit.

[124] Id., op. cit.

[125] Cafaggi, The Regulatory Functions of Transnational Commercial Contracts: New Architectures, in Fordham International Law Jounrnal, 2013, p. 1618 ss.

[126] Ulfbeck & Hansen, op. cit., p. 19.

[127] Hennebel-Lewkowicz, La contractualisation des droit de l’homme. De la pratique à la théorie du pluralisme politique et juridique, in Repenser le contrat, Paris, 2009, p. 211.

[128] Galgano, Prefazione alla Seconda Edizione de Il negozio giuridico, cit., il quale osserva che “è vero sì che la nuova lex mercatoria è diritto unilateralmente creato dalla classe imprenditoriale e che essa ha, per ciò stesso, meritato il giudizio di diritto dispotico. Ma è vero anche che essa viene applicata dopo avere ricevuto il filtro culturale di Unidroit, che la rimodella secondo i principi generali del diritto, nella ricerca del giusto equilibrio fra gli opposti interessi in gioco, far le ragioni dell’impresa e le esigenze di protezione del contraente debole”.

[129] Galgano, La globalizzazione nello specchio del diritto, cit., p. 43 ss. Irti, Norma e luoghi. Problemi di geo-diritto, Roma-Bari 2001, rifuggendo la prospettiva della nuova lex mercatoria, ritiene che la globalizzazione – soprattutto quella economica – possa essere efficacemente gestita attraverso lo strumento politico-statuale del diritto (accordi fra Stati e diritto internazionale privato).

[130] Collins, Flipping Wreck: Lex Mercatoria on the Shoals of Jus Cogens, in Grundam, Möslein, Riesenhuber op. cit.

[131] Galgano, La globalizzazione nello specchio del diritto, cit., p. 99.

[132] Ulfbeck & Hansen, op. cit., p. 7.

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