Imprescindibile il contraddittorio preventivo con il contribuente anche per l’abuso del diritto.
Nell’accertamento antielusivo la previsione della nullità dell’avviso emanato prima dei sessanta giorni dalla richiesta di chiarimenti è costituzionalmente legittima, non essendo tale previsione uno sterile formalismo, ma essendo finalizzata a garantire l’effettività “sostanziale” del contraddittorio.
Questi i principi fatti propri dalla sentenza della Corte Costituzionale 7 luglio 2015, n. 132.
Questa l’ennesima pronuncia favorevole al contribuente che contribuisce ad allungare le fila di una vasta serie di sentenze (anche della Corte di Cassazione a Sezioni Unite) sulla imprescindibilità del contraddittorio preventivo, principio di applicazione generalizzata perché di matrice comunitaria.
Il caso traeva origine da un avviso di accertamento in materia di Irpef e di Ilor, con cui l’Agenzia delle Entrate aveva sottoposto a tassazione una somma dedotta dalla contribuente, quale perdita generata dalla cessione di crediti “svalutati”, avendola ritenuta operazione elusiva ai sensi dell’art. 37 bis del DPR n. 600/1973.
La Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in riforma della sentenza di primo grado, ha annullato l’avviso di accertamento, in quanto emanato il cinquantaquattresimo giorno dalla notifica della richiesta di chiarimenti al contribuente, in ossequio a quanto previsto dall’art. 37 bis comma 4 del DPR n. 600/1973, secondo cui l’avviso di accertamento relativo ad operazioni elusive è nullo se emanato prima del decorso del termine di sessanta giorni dal ricevimento della richiesta di chiarimenti al contribuente.
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, eccependo l’irrilevanza del rispetto del termine dei sessanta giorni previsto dall’art. 37 bis del DPR n. 600/1973, dovendo prevalere sul rispetto del principio del contraddittorio la necessità di reprimere l’elusione, a seguito dell’introduzione nell’ordinamento nazionale del generale divieto di abuso del diritto, in forza del quale l’amministrazione può disattendere gli effetti di operazioni essenzialmente compiute per il conseguimento di un vantaggio fiscale.
La Corte di Cassazione, pur ritenendo che l’atto avrebbe dovuto essere dichiarato nullo in quanto emesso prima della scadenza del sessantesimo giorno dalla notifica della richiesta di chiarimenti, ha sottoposto alla Corte Costituzionale con ordinanza di rimessione la questione di costituzionalità dell’art. 36 bis, comma 4 del DPR n. 600/1973 per violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione.
In particolare, ad avviso dei giudici rimettenti, la norma sarebbe contraria all’art. 3 della Costituzione perché creerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento con altre fattispecie antielusive (ad esempio con l’art. 20 del DPR 131/1986, per gli accertamenti dell’imposta di registro fondati sulla “riqualificazione degli atti”) che, al contrario dell’art. 36 bis comma 4 del DPR 600/1976, non prevedono espressamente il contraddittorio con il contribuente.
Sempre ad avviso della Cassazione, la norma sarebbe altresì contrastante con l’art. 53 della Costituzione, che impone l’adempimento delle obbligazioni tributarie in virtù del principio della capacità contributiva. Dare la prevalenza al principio del contraddittorio in tali termini sarebbe solo un inutile formalismo, atteso che si dovrebbe dare rilevo ad un’effettività sostanziale, non meramente formalistica, del contraddittorio, come si desume tra l’altro da alcune norme del codice di procedura civile che impongono la prevalenza della sostanza sulla forma (es. la sanatoria per il raggiungimento dello scopo di cui all’art. 156 c.p.c. in relazione ai vizi di notifica).
La Presidenza del Consiglio, intervenuta in giudizio, rincarava la dose definendo il contraddittorio un “inutile formalismo” contrario ai principi del “giusto processo”.
La Corte Costituzionale ha rigettato la questione di illegittimità costituzionale ritenendo che non vi sarebbe alcuna violazione dell’art. 3 della Costituzione atteso che la mancanza espressa in alcune norme della previsione del contraddittorio anticipato non dà luogo ad una ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla fattispecie disciplinata dall’art. 36bis che, al contrario, tale previsione espressamente reca. E ciò in virtù del fatto che il principio del contraddittorio anticipato è di matrice comunitaria e dunque, si applica in maniera generalizzata a 360 gradi anche quando non è espressamente codificato nella normativa nazionale (Cass., SS.UU., n. 18184/2013; Cass., SS.UU., 19667/2014). Tra l’altro, proprio in materia di abuso del diritto, la stessa Corte di Cassazione è intervenuta con la recente sentenza 406/2015, statuendo che “Il contraddittorio preventivo tra le parti è un principio che discende in via diretta dall’ordinamento comunitario e dalla Costituzione, per cui deve essere rispettato anche negli accertamenti sul c.d. “abuso del diritto”, e ciò a prescindere dal fatto che, nella fattispecie concreta, sia applicabile l’art. 12 co. 7 della L. 212/2000 o l’art. 37-bis del DPR 600/73”.
Quanto alla presunta violazione dell’art. 53 della Costituzione, la Corte Costituzionale afferma che “la nullità dell’avviso di accertamento per inosservanza del termine dilatorio prescritto dalla norma denunciata è la conseguenza di un vizio del procedimento, consistente nel fatto di non essere stato messo a disposizione del contribuente l’intero lasso di tempo previsto dalla legge a garanzia della sua facoltà di partecipare al procedimento stesso presentando osservazioni e chiarimenti”. Tale sanzione, aggiunge la Corte, “non è posta a presidio di un mero requisito di forma del procedimento, estraneo alla sostanza del contraddittorio, ma costituisce invece strumento efficace ed adeguato di garanzia dell’effettività del contraddittorio stesso, eliminando in radice l’avviso di accertamento emanato prematuramente”.
Dunque, in buona sostanza, l’accertamento emesso ante tempus va annullato perché illegittimo. Non si tratta di dare peso ad inutili formalismi, ma di garantire un imprescindibile diritto del contribuente. Lo stesso richiamo fatto dai giudici rimettenti all’interpretazione della regola sulla sanatoria della nullità della notificazione degli atti per raggiungimento dello scopo viene definito dalla Consulta “non pertinente” al caso de quo. Se l’Agenzia delle Entrate sbaglia nell’applicare le norme o nell’interpretare principi di matrice comunitaria non può e non deve essere il contribuente a pagarne le spese. L’atto va annullato e basta. E non ci sono ragioni di gettito erariale che tengano.