Nell’ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria si trovi dinanzi a una situazione in cui una società sia nuda proprietaria di beni di cui i soci abbiano l’usufrutto, e ne consideri comunque la soggettività passiva tributaria, non si verifica una doppia imposizione, trattandosi l’usufrutto, in questo caso, di una mera operazione interna di ripartizione dei diritti reali. Sebbene, da un punto di vista civilistico, i frutti del bene si producano esclusivamente in capo agli usufruttuari, da un punto di vista fiscale può essere necessario, a fini antievasivi e antielusivi, fare riferimento alla situazione sostanziale facente capo alle parti e non a quella formale risultante da negozi giuridici. Viene quindi confermato il principio per cui i beni societari in usufrutto a terzi non rilevano ai fini della determinazione del reddito della persona giuridica, ma solo a condizione che dell’usufrutto non siano titolari gli stessi soci.
La Corte di Cassazione sancisce, inoltre, la costituzionalità e la rispondenza ai principi eurounitari – e, segnatamente, al principio di proporzionalità – , della normativa di cui al d.l. 223 del 2006, poi riconvertita in legge n. 248 dello stesso anno, che ha introdotto una nuova versione della norma ex art. 30 della legge 724 del 1994. In tale norma è infatti presente un meccanismo di determinazione del reddito basato su presunzioni, volto a contrastare la creazione di società di comodo, che sono tuttavia superabili con prova contraria, laddove il contribuente, in presenza di oggettive situazioni di carattere straordinario che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi e degli altri elementi rilevanti per la determinazione del reddito imponibile, può chiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive (Sez. V, n. 21358 del 2015). La disposizione consente quindi di stabilire se una transazione consiste in una costruzione di puro artificio, ma consente anche al contribuente di produrre elementi relativi alle eventuali ragioni commerciali per le quali è stata conclusa, ed è pertanto da considerarsi legittima (CGUE, C-524/04).