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Attualità

Contratti derivati e responsabilità erariale: gli ultimi orientamenti della Corte dei Conti

27 Gennaio 2022

G. Massimiliano Danusso, BonelliErede

Ettore Frustaci, BonelliErede

Di cosa si parla in questo articolo

Con la sentenza n. 2 del 20 gennaio 2022, la Corte dei Conti, Sez. giurisdizionale Basilicata, è tornata a pronunciarsi sui limiti della propria giurisdizione nei confronti degli intermediari finanziari che agiscano quali controparti finanziarie di contratti derivati sottoscritti da enti locali e territoriali, oltre che sulla sindacabilità delle scelte discrezionali condotte a riguardo dai funzionari delle amministrazioni interessate.

L’oggetto del giudizio

Il caso riguardava alcuni contratti derivati sottoscritti dalla Regione Basilicata nell’anno 2006 a copertura di un precedente mutuo a tasso variabile, finalizzato agli interventi di ricostruzione richiesti dal terremoto del Pollino. In particolare, in aggiunta ad una componente di scambio di capitali connessa alle particolari caratteristiche del mutuo, i contratti derivati in discussione presentavano una struttura plain vanilla, prevedendo in particolare il pagamento da parte della Regione di un tasso fisso, a fronte del pagamento da parte delle banche di un tasso variabile equivalente a quello dovuto dall’ente ai sensi del mutuo.

Secondo la Procura , tali contratti derivati avrebbero, tuttavia, causato ingenti danni erariali, in capo alla Regione Basilicata, a causa dei vizi genetici che li avrebbero caratterizzati, quali in particolare il caricamento sul tasso fisso dovuto dalla Regione di commissioni implicite non previamente comunicate all’ente e la loro sostanziale inidoneità a svolgere funzione di copertura.

Sempre secondo la procura, tali danni avrebbero dovuto essere ascritti solo in piccola parte ai funzionari amministrativi che ne avevano deciso la sottoscrizione. La maggiore quota di danno veniva, infatti, imputata agli intermediari finanziari che avevano agito quali controparti della Regione in relazione a tali contratti, sul presupposto di una loro presunta compartecipazione alle scelte assunte dall’amministrazione.

La tesi della procura si fondava sui ben noti indirizzi giurisprudenziali riguardanti il c.d. “rapporto di servizio”. Secondo la giurisprudenza della Corte dei Conti e della Corte di Cassazione, la responsabilità erariale non riguarda, infatti, solo pubblici ufficiali ed incaricati di pubblico servizio, ma anche il privato esterno all’amministrazione che risulti anche solo in via di fatto investito “dell’incarico di svolgere, nell’interesse e con le risorse della P.A., un’attività o un servizio pubblico in sua vece e con suo inserimento nell’apparato organizzativo della stessa”, in modo tale da “rendere il primo compartecipe dell’operato del secondo, così da assumere la veste di vero e proprio agente dell’amministrazione, come tale tenuto ad osservare particolari vincoli ed obblighi funzionali ad assicurare il perseguimento delle esigenze generali cui l’attività amministrativa dell’ente, nel suo complesso, è preordinata[1].

Nel caso de quo, la Procura erariale riteneva che detto rapporto di servizio risultasse integrato in virtù del fatto che gli intermediari finanziari interessati, prima di procedere alla sottoscrizione dei contratti derivati di cui è causa, sarebbero stati incaricati dalla Regione di svolgere attività di consulenza, riguardanti la gestione del suo indebitamento. Sempre nella prospettiva della procura, in tale ruolo esse avrebbero di fatto espropriato l’amministrazione delle sue attività gestorie, indirizzandone le scelte.

I precedenti della Corte dei Conti in materia di rapporto di servizio nell’ambito della sottoscrizione di contratti derivati: il caso dei derivati della Repubblica Italiana

Non è la prima volta che la Corte dei Conti si pronuncia sulla sussistenza della sua giurisdizione nei confronti degli intermediari finanziari controparti dell’amministrazione, nell’ambito di operazioni finanziarie in derivati.

Il leading case è rappresentato dalla ben nota vicenda riguardante i contratti derivati conclusi dalla Repubblica Italiana, per il tramite del Dipartimento del Tesoro, con una banca d’affari americana e che erano stati oggetto di estinzione anticipata con pagamento di ingenti importi da parte dello Stato. Su tali presupposti, la procura erariale aveva avviato un giudizio contabile nei confronti della banca interessata, basandosi, anche in quel caso, sul presupposto che essa avrebbe agito quale consulente del Dipartimento del Tesoro, indirizzandone le scelte di investimento.

La Corte dei Conti ha respinto tanto in primo[2] che in secondo grado[3] tale impostazione dichiarando il proprio difetto di giurisdizione, con pronunce successivamente confermate dalla Corte di Cassazione[4].

Con tale ultima sentenza, in particolare, il giudice di legittimità ha evidenziato che, seppure in forza della teoria sul rapporto di servizio, il privato può risultare soggetto alla giurisdizione della Corte dei Conti, tale giurisdizione, invero, sussiste solo al ricorrere di un effettivo inserimento nella struttura organizzativa dell’amministrazione “con effetto sostanzialmente sostitutivo delle [sue] valutazioni e decisioni[5].

Non era questo il caso dell’azione condotta dalla Procura. Secondo quanto osservato dal giudice di legittimità, non vi era, infatti, prova alcuna che l’attività di consulenza che sarebbe stata asseritamente svolta dalla banca avrebbe assunto carattere essenziale e decisivo per le scelte dell’amministrazione. Di contro, è solo al ricorrere di un simile presupposto che l’attività di consulenza può considerarsi idonea ad instaurare un rapporto di servizio[6].

Peraltro, guardando al suo petitum sostanziale, l’azione della procura concerneva la asserita mancata osservanza di doveri informativi e comportamentali, cui la banca poteva eventualmente essere vincolata quale controparte in derivati del Tesoro e non certo quale soggetto investito di specifiche funzioni pubbliche.

La decisione della Corte dei Conti sul caso Basilicata

Il difetto di giurisdizione delle banche

Con la decisione in commento la Corte dei Conti si è ampiamente allineata alle statuizioni rese dalla Cassazione nel caso dei contratti derivati della Repubblica.

La Corte dei Conti ha, infatti, escluso la sussistenza della propria giurisdizione nei confronti degli istituti finanziari interessati, sul presupposto che la Procura erariale aveva completamente omesso di fornire dimostrazione alcuna “in ordine all’inserimento – concreto, diuturno, effettivo e determinante – delle convenute nell’apparato organizzativo regionale con effetto sostanzialmente sostitutivo […] delle valutazioni e delle decisioni di quest’ultimo circa le scelte di gestione del debito”.

La tesi della Procura, infatti, ruotava essenzialmente intorno al fatto che stante la sua pretesa mancanza di esperienza e competenza in materia finanziaria la Regione avrebbe fatto affidamento sulle indicazioni pervenute dalle banche.

Secondo la Corte questa era, tuttavia, una mera petizione di principio, mancando evidenza alcuna che i rapporti tra le parti avessero assunto tali caratteristiche. Anzi, a ben vedere, la documentazione in atti evidenziava come la Regione non avesse agito quale mero recettore delle iniziative delle banche, avendo, tra l’altro, manifestato, già prima di avviare alcun contatto con queste ultime, l’intenzione di ricorrere all’utilizzo di strumenti finanziari derivati, dotandosi di un’apposita legislazione regionale in merito.

Né potevano giovare alla tesi accusatoria le contestazioni riguardanti le presunte violazioni che le banche avrebbero posto in essere omettendo di fornire alla Regione determinate informazioni riguardanti i costi dei contratti derivati o strutturandoli, asseritamente, secondo termini e condizioni inidonei a perseguire l’interesse della Regione.

Proprio come rilevato nel caso dei derivati della Repubblica, deve infatti ritenersi che sotto tale profilo la domanda risarcitoria esuli dalla giurisdizione contabile, riguardando la presunta inosservanza di norme privatistiche che poteva essere addebitata alle banche nella qualità di controparti contrattuali della Regione e non certo quali parti di un rapporto di servizio.

L’assoluzione dei funzionari regionali

Oltre a dichiarare il proprio difetto di giurisdizione nei confronti delle banche, la Corte dei Conti ha anche escluso qualsiasi profilo di responsabilità da parte dei funzionari regionali convenuti in giudizio.

Sotto tale profilo, la Corte dei Conti ha ricordato che le scelte discrezionali dell’amministrazione, pur non essendo sindacabili nel merito, restano soggette al vaglio del giudice contabile, ove siano ravvisabili profili di manifesta irrazionalità, abnormità, illogicità, incoerenza o incongruenza. Tanto premesso, sempre a parere della Corte, non poteva considerarsi questo il caso.

E ciò sia perché gli atti di causa evidenziavano come i convenuti, prima di sottoscrivere i contratti derivati in questione, avessero adottato diverse “cautele”, tra cui la richiesta di pareri al Ministero dell’Economia e delle Finanze ed all’Avvocatura dello Stato. Sia perché, come dimostrato anche dalla relazione tecnica del consulente della Regione, i derivati conclusi tra le parti non potevano considerarsi né irragionevoli, né diseconomici, se esaminati in una prospettiva ex ante – l’unica rilevante per l’accertamento giudiziale richiesto – e, dunque, tenendo conto dello scenario fattuale esistente al momento della loro stipula nel 2006.

Era, infatti, indubbio che, all’epoca dei fatti la Regione si trovasse esposta al rischio di incremento dei tassi di interesse dovuti in relazione al mutuo a tasso variabile da essa sottoscritto e che, a partire dal 2005, tali tassi erano effettivamente in salita. La scelta di sterilizzare un simile rischio era, dunque, razionale ed era effettivamente idonea ad essere perseguita dai contratti in discussione. D’altra parte, il tasso di interesse “fisso” posto in carico alla Regione dai medesimi contratti risultava sostanzialmente in linea con le condizioni di mercato.

In questo senso, sempre secondo la Corte, i differenziali negativi che la Regione si è trovata a corrispondere ai sensi dei medesimi contratti dovevano considerarsi ascrivibili all’imprevedibile discesa dei tassi di interessi provocata dalle crisi finanziarie del 2008 e del 2011 e non ad una irrazionalità e diseconomicità ex ante dei contratti, come di contro prospettato dalla Procura.

Conclusioni

Come detto, la sentenza in commento si pone in perfetta linea di continuità con le sentenze del giudice contabile e della corte dei conti sul caso dei contratti derivati conclusi dalla Repubblica.

D’altra parte, a parere di chi scrive, è significativo che il giudice contabile abbia ritenuto che i suddetti principi dovessero considerarsi de plano estensibili anche agli enti locali e territoriali. In alcuni (ormai datati) precedenti[7], il giudice contabile aveva, infatti, seguito un approccio, a nostro modo di vedere, più superficiale, ritenendo che la complessità degli strumenti finanziari derivati e l’inesperienza in merito degli enti locali sarebbe bastata a determinare l’instaurazione di un rapporto di servizio tra le parti e, conseguentemente, a radicare la giurisdizione della Corte dei Conti.

La sentenza in commento, nel solco tracciato dai precedenti di cui si è detto, sembra rimettere la questione nei giusti binari, rammentando che la responsabilità erariale richiede la ricorrenza di determinati presupposti, non potendo costituire un mero succedaneo dell’azione civile laddove l’amministrazione interessata non intenda esercitarla.

Il rapporto di servizio deve, infatti, considerarsi l’eccezione e non la regola dell’atteggiarsi dei rapporti tra privato o amministrazione, in caso contrario, come opportunamente rilevato dal giudice contabile, sempre nel caso dei contratti derivati della Repubblica, “in tutti i casi di contratti conclusi con la P.A. nei quali la proposta venga dalla controparte privata questa verrebbe automaticamente inclusa nell’apparato funzionale pubblico e tale conclusione è evidentemente inammissibile”[8].

L’auspicio è che i lucidi principi affermati dalla Corte dei Conti nel caso de quo pongano un freno alle iniziative di analogo tenore di diverse procure erariali che, a seguito della ben nota sentenza della Corte di Cassazione sul caso dei contratti derivati del Comune di Cattolica hanno visto una brusca e – a parere di chi scrive – immotivata, stante la sua sostanziale estraneità rispetto ai principi che regolano l’azione contabile, crescita.

Significative anche le statuizioni rese dal giudice contabile, a corollario dell’assoluzione dei funzionari amministrativi, rispetto agli strumenti finanziari derivati, statuizioni che non si allineano alla demonizzazione di tali strumenti[9] attualmente in corso, riconoscendo di contro l’utilità della funzione di copertura svolta da tali strumenti e la loro perfetta coerenza con una gestione prudente da parte dell’amministrazione del proprio indebitamento.

 

[1] Cfr. Cass. SSUU nn. 19086/20, 7640/20, 21871/19, 486/19, 10324/16, 19891/14.

[2] Cfr. Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Regione Lazio, 15 giugno 2018, n. 346.

[3] Cfr. Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Centrale d’Appello, 7 marzo 2019, n. 50.

[4] Cfr. Cass. SS.UU., 1 febbraio 2021, n. 2157. Come ben noto, le sentenze della Corte dei Conti sono impugnabili in cassazione esclusivamente per questioni di giurisdizione.

[5] Cfr. Cass. SS.UU., 1 febbraio 2021, n. 2157.

[6] La Corte di Cassazione ha anche evidenziato come i casi in cui la sussistenza di un rapporto di consulenza possa determinare l’instaurazione di un rapporto di servizio appaiono ben lontani dalle ipotesi di consulenza finanziaria cui faceva riferimento la Procura. Un tipico caso di rapporto di servizio legato allo svolgimento di attività di consulenza è infatti per esempio quello del professionista nominato consulente del pubblico ministero ai sensi dell’articolo 359 c.p.p., che si sia reso responsabile della commissione di reati nello svolgimento di tale ruolo. Ed infatti, in tal caso può dirsi configurato un rapporto di servizio “atteso che tale consulente è abilitato a svolgere un’attività del P.M., che questi potrebbe compiere direttamente se avesse le specifiche competenze necessarie e, pertanto, pur se nei limiti posti dalla norma che ne prevede la nomina, il consulente del P.M. concorre oggettivamente all’esercizio della funzione giudiziaria nella fase delle indagini preliminari

[7] Cfr. Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale Centrale d’Appello, 16 dicembre 2015, n. 609.

[8] Cfr. Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Centrale d’Appello, 7 marzo 2019, n. 50.

[9] La stessa sentenza evidenzia come il pubblico ministero avesse descritto “con acribia” il meccanismo dei derivati.

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