Così come i contratti di intermediazione finanziaria, anche i contratti bancari non esigono ai fini della valida stipulazione la sottoscrizione del documento contrattuale da parte della banca, il cui consenso si può desumere alla stregua di atti o comportamenti alla stessa riconducibili.
Consolidando un suo recente orientamento in materia (Cass. n.14243/18), la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso con cui si denunziava la violazione o falsa applicazione degli artt. 1418, 1325, 2697 c.c., 117 e 127 TUB, 16 del d.lgs. n.415 del 1996 e 23 del TUF per non aver la Corte d’Appello rilevato la nullità per difetto di forma scritta di alcuni contratti di credito e di altri relativi alla negoziazione, sottoscrizione, collocamento e raccolta degli ordini concernenti valori mobiliari. Difetto consistito, appunto, nella mancata sottoscrizione da parte dell’intermediario.
Con tale pronuncia, pertanto, si conferma la cittadinanza anche in ambito di contratti bancari soggetti alla disciplina di cui all’art. 117 TUB del principio posto dalle SS.UU. in tema di intermediazione finanziaria, per cui il requisito della forma scritta del contratto-quadro, posto a pena di nullità (azionabile solo dal cliente) dall’art. 23 del TUF, va inteso non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell’investitore assunta dalla norma. Sicché, tale requisito deve ritenersi rispettato ove il contrato sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente che vi sia la sottoscrizione di quest’ultimo, e non anche quella dell’intermediario, il cui consenso ben può desumersi alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti (Cass. SS. UU. n.898/18).