Con ordinanza n. 9054 del 21 marzo 2022, la Suprema Corte ha riaffrontato il tema dei contratti conclusi in conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato sottoscritti da un amministratore di società per azioni, in assenza di apposita delibera dell’organo gestorio collegiale.
Confermando il proprio consolidato orientamento, la Corte di Cassazione ha affermato che, in tali fattispecie, trova applicazione solo la disciplina generale di cui all’art. 1394 c.c., che regola l’esercizio del potere rappresentativo.
Non sono invece applicabili le norme sul conflitto di interessi e gli interessi degli amministratori di cui agli artt. 2373 e 2391 c.c., che regolano il momento dell’esercizio del potere deliberativo (Cass. n. 23089/2013). Infatti “l’art. 2391 c.c., riferendosi al conflitto che emerge in sede deliberativa, concerne l’esercizio del potere di gestione, che si colloca in un momento anteriore a quello in cui l’atto viene posto in essere, in nome della società, nei confronti del terzo”. Ne consegue che, qualora sia mancato del tutto – come nel caso di specie – il momento deliberativo nell’ambito delle determinazioni di un organo collegiale, “la riconduzione del conflitto di interessi alla disciplina dettata dall’art. 1394 c.c. è l’unica possibile.”
La Suprema Corte ha inoltre ricordato che, ai fini dell’identificazione della disciplina applicabile, è irrilevante il fatto che a sottoscrivere il contratto in conflitto di interessi sia stato un membro del consiglio di amministrazione munito del potere di rappresentanza, anziché un amministratore unico che concentri in sé il potere di gestione e il potere di rappresentanza.
Infatti, l’applicabilità della disciplina generale di cui all’art. 1394 c.c. è determinata dal fatto che il divieto di agire in conflitto di interessi con la società rappresentata costituisce un limite derivante da una norma di legge.
Pertanto, la sua rilevanza esterna non può essere subordinata ai presupposti stabiliti dell’art. 2384 c.c., comma 2, il cui ambito di applicazione è riferito alle limitazioni del potere di rappresentanza derivanti dall’atto costitutivo o dallo statuto (Cass. n. 1525/2006, Cass. n. 1089/1992, Cass. n. 18792/2005).
Con riferimento poi alla possibile convalida tacita degli atti posti in essere dall’amministratore in conflitto ai sensi dell’art. 1444 c.c., la Corte ha ricordato che, a tal fine, deve risultare accertata univocamente la volontà specifica della società rappresentata di far proprio l’atto sottoscritto dal rappresentante (Cass. n. 21517/2016), accompagnata dall’effettiva conoscenza della causa di annullamento.
Tali circostanze non possono essere dedotte dall’adempimento da parte dell’amministratore delegato degli obblighi legali di informazione al consiglio, né dalla mera approvazione di atti gestori.
La Corte ha altresì ribadito che, ai fini dell’art. 1394 c.c., non è necessario provare che l’atto sia effettivamente vantaggioso o svantaggioso per la parte, in quanto la norma ha riguardo alla potenzialità del pregiudizio per la parte rappresentata (Cass. n. 3836 del 25/06/1985; Cass. n. 15981/2007; Cass. n. 18792/2005; Cass. n. 4505/2000).
A tal proposito, la Corte ha ricordato il principio per cui “il conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato costituisce causa di annullabilità del contratto concluso dal rappresentante quando quest’ultimo, anziché tendere alla tutela degli interessi del rappresentato, persegua interessi propri, suoi personali, o anche di terzi, inconciliabili con quelli del rappresentato, di modo che all’utilità conseguita o conseguibile dal rappresentante, per sé medesimo o per il terzo, segua o possa seguire il danno del rappresentato” (Cass. n. 3836 del 25/06/1985; Cass. n. 15981/2007; Cass. n. 18792/2005; Cass. n. 4505/2000).
Infine, rispetto ai mezzi di prova, la Corte ha confermato la possibilità per il giudice di merito di “argomentare l’esistenza di un tale conflitto e la sua conoscenza o conoscibilità da parte del terzo da elementi indiziari, quali il divario fra il valore di mercato del bene venduto dal rappresentante e il prezzo pagato dall’acquirente e la comunanza di interessi fra rappresentante e terzo” (Cass. n. 7698/1996).