Con sentenza del 07 settembre 2012 il Tribunale di Padova, previa dichiarazione della nullità del contratto quadro per vizio di forma scritta ex art. 23 TUF, ha condannato la banca a rimborsare gli investitori delle somme versate per le operazione regolate dal contratto nullo.
In particolare, nel caso di specie, il Tribunale ha escluso che il contratto prodotto in giudizio dalla banca potesse integrare un “contratto quadro” ai sensi dell’art. 23 TUF, posto che tale documento, che peraltro veniva identificato nell’intestazione con la denominazione di “richiesta di apertura rapporti”, recava la firma degli investitori, ma era privo di qualsiasi sottoscrizione per accettazione da parte del destinatario della “richiesta”.
Il documento, quindi, poteva rilevare unicamente quale proposta contrattuale, cui non era seguita alcuna accettazione da parte della banca.
Tale vizio non poteva dirsi in alcun modo sanato dal fatto che, nello stesso documento, gli investitori conferivano l’incarico di raccogliere e negoziare gli ordini relativi agli investimenti finanziari.
Accertata l’assenza di un contratto ex art. 23 TUF, giacché alla proposta contrattuale non risultava essere seguita alcuna accettazione, doveva infatti escludersi qualsiasi forma di convalida del rapporto negoziale per effetto della sua esecuzione, posto che, come ricordato dal Tribunale di Padova, il contratto privo della forma scritta è nullo ed insuscettibile di qualsiasi forma di sanatoria, dovendosi escludere l’attribuzione di rilevanza ad eventuali convalide o ratifiche successive, nonché a manifestazioni di volontà implicita o desumibile da comportamenti puramente attuativi.