L’art. 18 1.f., nel testo novellato dai d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, e 12 settembre 2007, n. 169, laddove impone la notifica del reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento “al curatore e alle altre parti”, si giustifica con la diversa configurazione oggi assunta da tale mezzo di impugnazione, costituente non più l’atto introduttivo di un giudizio di primo grado, bensì un gravame introduttivo di un giudizio di secondo grado in cui “le parti” non possono essere altre che quelle che hanno partecipato al giudizio medesimo conclusosi con la menzionata sentenza, da ciò conseguendo che il curatore fallimentare è legittimato ad impugnare la sentenza di revoca del fallimento del debitore.
Nel caso in esame, la società fallita, richiamando la pronuncia della Sezioni Unite n. 9934/2015, ha eccepito la carenza di interesse e di legittimazione del Fallimento a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello con la quale è stata revocata la sentenza dichiarativa di fallimento della società debitrice. Secondo la società fallita, infatti, il Fallimento non potrebbe avere la legittimazione ad agire in quanto non potrebbe ritenersi “qualunque interessato” di cui all’art. 18 l.fall., né potrebbe avere interesse nel procedimento di revoca del fallimento. La Suprema Corte, affermando che la pronuncia delle Sezioni Unite n. 9934/2015 richiamata dalla società fallita si è limitata a ribadire il principio secondo il quale l’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. deve valutarsi alla stregua della prospettazione operata dalla parte, ha confermato la legittimazione del curatore fallimentare ad impugnare la sentenza di revoca del fallimento del debitore essendo questi parte necessaria del procedimento di reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento e, conseguentemente, legittimata ad agire ex art. 100 c.p.c. ai fini dell’impugnazione della sentenza conclusiva del medesimo procedimento di reclamo.