A seguito della pubblicazione del decreto legge 8 aprile 2020 n. 23 (di seguito “Decreto Liquidità” o “Decreto”), importanti esponenti del mondo bancario e finanziario, unitamente a giuristi (tra i quali autorevoli componenti della magistratura) e Autorità di Vigilanza, hanno evidenziato preoccupazioni e perplessità circa taluni aspetti del Decreto, così come formulato, riguardanti, tra l’altro, il rischio che i finanziamenti e la sostanziale “iniezione di liquidità” nel mercato delle imprese prevista nel provvedimento, se non opportunamente regolamentati e controllati mediante un rafforzamento dei sistemi esistenti, nonché secondo misure e strumenti ad hoc, possano essere utilizzati illecitamente e, in particolare, a scopo di riciclaggio, favorendo indebite erogazioni o illecite accumulazioni patrimoniali tipiche nella casistica del crimine organizzato, sia italiano, sia estero.
Tale rischio è senz’altro, in una certa misura, fisiologico ogniqualvolta si manifestano eventi eccezionali, quale il coronavirus, ai quali conseguono improvvise situazioni di emergenza economica e tensione finanziaria e sono conseguentemente erogati fondi dei quali il crimine organizzato, approfittando delle risorse poste a disposizione e della situazione emergenziale, si appropria rapidamente e senza troppa fatica. In tali casi, infatti, gli strumenti di controllo “ordinari” delle infiltrazioni criminali nel sistema economico si rivelano spesso inadeguati a scongiurare l’accentuata aggressività degli attacchi del crimine organizzato.
D’altra parte, nel caso del Decreto Liquidità, è stato evidenziato da molti che l’impianto normativo del provvedimento – a prescindere dagli aspetti applicativi e di effettività delle misure adottate – sembra avere trascurato, nella fase di prima stesura, taluni importanti aspetti utili – se non essenziali – alla mitigazione del rischio d’infiltrazioni criminali nell’utilizzo dei benefici previsti e che sia, pertanto, necessario “aggiustare il tiro” dal punto di vista normativo prima che sia troppo tardi (ovvero, nella fase di applicazione delle misure).
In particolare, alla luce delle carenze e lacune rilevate, sono emerse, inter alia, le seguenti proposte di modifica e integrazione del Decreto Liquidità: i) l’introduzione di misure che impongano una verifica, anche tramite autocertificazione, dei precedenti penali dei soggetti che occupano ruoli rilevanti nelle imprese che accedono ai finanziamenti ed escludendo coloro che risultano condannati – o, secondo taluni, anche indagati – per gravi reati quali ad esempio criminalità organizzata, corruzione, truffa ai danni dello Stato e frode fiscale; ii) l’introduzione di un’attestazione d’inesistenza di liquidità personali che, naturalmente, in tal caso sarebbe opportuno utilizzare per capitalizzare l’impresa in crisi, nonché di specifiche misure volte a verificare che i finanziamenti non siano utilizzati per la ristrutturazione di esposizioni pendenti; iii) l’introduzione di misure di prevenzione dell’evasione fiscale che contemplino il raffronto tra l’entità del beneficio percepito e il fatturato dichiarato nell’esercizio precedente; iv) l’utilizzo di conti correnti dedicati, che consentano la tracciabilità dei benefici percepiti al fine di avere cognizione circa la compatibilità dell’utilizzo dei finanziamenti con l’intento del legislatore (e la necessità di un obbligo di rendicontazione da parte dell’organo amministrativo, in uno con un correlato dovere di verifica degli organi di controllo); v) l’introduzione di provvedimenti volti a potenziare le Amministrazioni periferiche dello Stato e le Agenzie di Controllo affinché possano monitorare la destinazione dei finanziamenti.
In tal senso, il Premier Giuseppe Conte, unitamente al Ministro della Giustizia Bonafede e al Ministro dell’Interno Lamorgese, si sono già attivati per vagliare ed eventualmente attuare, con la gradualità e le modalità più opportune, le modifiche proposte.
Pur ragionando in un’ottica di emergenza, non devono inoltre sottovalutarsi gli strumenti di contrasto e di tecnica operativa già esistenti ossia, tra l’altro: i) la riforma delle misure di prevenzione del 2017 e 2019 che consentono di neutralizzare mafiosi, truffatori dello Stato, corrotti, corruttori e istigatori; ii) le Autorità Anticorruzione e Antitrust che hanno ampi poteri di intervento nei limiti delle rispettive competenze; iii) l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza che attraverso i propri sistemi, sia tradizionali, sia informatizzati, possono acquisire praticamente in modo istantaneo qualsivoglia informazione circa l’esistenza fiscale e le operazioni compiute da ciascuna tipologia di ente riconosciuto e non riconosciuto; iv) gli strumenti di controllo delle banche e di Sace, che provvederanno tempestivamente a segnalare eventuali operazioni sospette.
Occorre tuttavia mettere in conto che l’attuazione del Decreto Liquidità, ancorché integrato con le misure di miglioramento sopra descritte, comporterà – almeno nel primo periodo – complessità di carattere applicativo e interpretativo e che quindi è ragionevole (anzi, forse, scontato) prevedere una fase di “warm-up”. In tal senso, un utilizzo eccessivo, sproporzionato, poco equilibrato e, conseguentemente, non adeguatamente controllato degli strumenti previsti dal Decreto Liquidità potrebbe comunque creare un incremento del rischio criminalità, nonché una possibile congestione e malfunzionamento del sistema, nonostante l’efficacia ed effettività dei presidi di controllo (di natura civile e penale) allo stato esistenti.
Alcuni degli inconvenienti e pericoli sopra richiamati dipendono dal fatto che, sul piano finanziario, la scelta del Decreto è caduta, in termini generici, sulla fattispecie di “finanziamenti di durata non superiore a 6 anni, con la possibilità per le imprese di avvalersi di un preammortamento di durata fino a 24 mesi” (art. 1, comma 2, lettera a) del Decreto), con i soli vincoli di destinazione (in verità piuttosto generici e comunque di fatto “autocertificati” dal beneficiario) di cui alla lettera n) del comma 2 dell’art. 1 del Decreto, che di fatto costituisce un’iniezione di liquidità (una sorta di bridge financing), che rischia di esaurire in poco tempo la propria forza propulsiva in direzione della ripresa dell’attività produttiva, cogliendo l’importante, ma che non può certo essere l’unico, obiettivo di trasformare in posizioni con garanzia pubblica le preesistenti esposizioni, presumibilmente non garantite, delle imprese beneficiarie nei confronti delle banche, ad un tasso certamente contenuto, che per queste ultime è comunque interessante in relazione al basso rischio.
Il ricorso a forme di finanziamento esplicitamente finalizzato (asset based lending), specie sul fronte del capitale circolante, può ridurre le criticità connesse ad una più generica immissione di liquidità, da molti richiamate, anche perché i rischi di frodi, operazioni sospette, distrazioni e misallocation di fondi sono decisamente più contenuti. Il factoring, nelle sue varie forme e tipologie anche fintech, comprese quelle di supporto alla supply chain finance, accompagna inoltre l’impresa in modo equilibrato, in via proporzionale rispetto ai crediti di fornitura, ed evita i rischi di sovraindebitamento. È facilmente dimostrabile, utilizzando gli strumenti della finanza aziendale, anziché (solo) quelli della politica economica (lo ha fatto in modo molto efficace Fabio Bolognini in un articolo recentemente diffuso sui social), che può essere più utile per l’equilibrio finanziario di un’impresa godere di una linea di credito continuativa garantita per coprire i crediti di fornitura (le fatture emesse), che non disporre di un finanziamento generico a medio termine, come quello attualmente delineato nel Decreto. Sul piano generale, ciò consentirebbe anche di privilegiare le imprese che effettivamente “ripartono”, con benefici per l’occupazione e la produzione, evitando destinazioni del credito “sfocate”.
Il ricorso al factoring, pro soluto e pro solvendo, in tutte le sue forme, incluse quelle proprie della supply chain finance, e la possibilità di concedere al debitore ceduto dilazioni di pagamento, supportato da una garanzia statale, cosi come già previsto in risposta alla crisi in altri paesi comunitari, rappresenta un’altra efficace e immediata soluzione alle criticità poste per le imprese dall’attuale situazione di emergenza. Essa assicura la “tenuta” dei flussi finanziari all’interno della filiera ed il consolidamento della struttura finanziaria di PMI e imprese corporate.
In particolare, ispirandosi a quanto già attuato per la riduzione del debito pregresso della PA con la Piattaforma per la Certificazione dei Crediti, si possono prevedere interventi, supportati da garanzia statale, di concessione di dilazioni di pagamento a imprese debitrici non inferiori a 6 mesi nell’ambito di operazioni di cessione dei crediti di impresa di cui alla Legge 21 febbraio 1991, n. 52. Questa misura sostiene anche le imprese creditrici perché facilita lo smobilizzo delle fatture già emesse e in scadenza o che saranno emesse alla ripresa delle attività e le imprese debitrici con termini maggiori di pagamento di quelli originariamente previsti dalla transazione commerciale e/o concedibili dall’impresa fornitrice.
La presenza della garanzia statale può assicurare un ulteriore “effetto leva” sulle filiere produttive: il pagamento anticipato da parte del factor all’impresa fornitrice consente infatti a quest’ultima di avere liquidità aggiuntiva con la quale adempiere, a sua volta, alle proprie obbligazioni commerciali verso i suoi fornitori, attivando un flusso finanziario virtuoso che risale l’intera filiera produttiva. La contemporanea dilazione del pagamento verso il debitore ceduto consente a quest’ultimo di ottenere sollievo dalle inevitabili tensioni finanziarie nei prossimi mesi, assicurandogli inoltre il mantenimento dello status creditizio ed evitando classificazioni delle relative esposizioni meno favorevoli, ai sensi della disciplina prudenziale.
Un’azione davvero organica su tutta la catena del valore che percorre l’intervento delle società di factoring a favore del capitale circolante delle imprese dovrebbe anche prevedere, fin da ora, qualche intervento a favore dell’assicurazione del credito, a favore dei riassicuratori privati, che svolgono oggi una funzione importante nel mantenimento del delicato equilibrio tra i rischi e i costi da parte dell’industria del factoring, che è storicamente riuscita a conciliare, almeno nel nostro paese, volumi molto importanti di risorse a disposizione delle imprese, a costi accettabili per la clientela e con rischi davvero contenuti per sé e per i propri azionisti.
È possibile infine immaginare ulteriori misure di supporto al capitale circolante delle imprese proposte, che hanno l’obiettivo di “depotenziare”, almeno nel periodo dell’emergenza economica, seppure siano valide e auspicabilmente attuabili anche per il futuro a regime ordinario, i vincoli burocratici di determinate tipologie di cessione e le norme che impediscono o rallentano il ricorso alle medesime. Fra le prime rientrano il superamento della necessità dell’atto pubblico e della notifica a mezzo ufficiale giudiziario per le cessioni di crediti vantati verso la PA; fra le seconde rientrano l’abolizione o limitazione delle clausole di incedibilità dei crediti commerciali e l’eliminazione del rischio di revocatoria.