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Attualità

Correzione contabile di crediti inesistenti

Brevi riflessioni sulla risposta n. 3/2023 dell’Agenzia delle Entrate

20 Gennaio 2023

Giosuè Manguso, AndPartners Tax and Law Firm

Blasco Monteforte Specchi, AndPartners Tax and Law Firm

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza il tema della qualificazione fiscale come perdita su crediti dell’onere derivante dalla correzione contabile di crediti inesistenti alla luce dei principi espressi dalla risposta n. 3/2023 dell’Agenzia delle entrate.


La correzione contabile finalizzata alla riduzione di un credito commerciale, rilevato per un ammontare maggiore rispetto a quello corretto, non potrebbe essere qualificato ai fini fiscali come una sopravvenienza passiva, rappresentando, invece, una perdita su crediti. È questa la conclusione, che sembrerebbe non priva di elementi di criticità, cui l’Agenzia delle entrate – dopo aver analizzato l’articolata fattispecie rappresentata da un’impresa che gestisce servizi idrici integrati – è giunta nella recente risposta n. 3/2023.

Descrizione della fattispecie

L’interpellante è un soggetto “Oic-adopter”, concessionario del servizio idrico integrato, i cui ricavi per i servizi resi agli utenti sono determinati mediante tariffe fissate dall’Autorità di Regolazione per l’Energia Reti ed Ambiente (“Arera”). Tali ricavi sono iscritti in bilancio in base al “Vrg” (Vincolo dei Ricavi del gestore). In fase di aggiornamento del programma gestionale operativo è stato riscontrato un errore nelle precedenti elaborazioni informatiche relative alla determinazione della stima del valore delle fatture da emettere per i consumi non ancora fatturati al 31 dicembre del 2019. Conseguentemente, il valore del credito “fatture da emettere” esistente al 31 dicembre 2019 è risultato errato, avendo contabilizzato un ammontare di fatture da emettere maggiore di quello corretto.

L’errore commesso nella contabilizzazione dei ricavi è stato qualificato dall’interpellante come “errore rilevante” (OIC 29, par. 46), e, dunque, nel bilancio dell’esercizio chiuso al 31 dicembre 2020 si è proceduto a rettificare in diminuzione il valore del credito utilizzando in contropartita una riduzione della Riserva di utili (il c.d. “restatement”, OIC 29, par. 48) presente nello stato patrimoniale alla data del 1° gennaio 2020. Poiché al 31 dicembre 2020 non si erano concluse le attività di verifica degli effetti di maggiori ricavi contabilizzati per via di tale errore, nel bilancio relativo all’esercizio successivo, la Società ha rilevato un ulteriore onere, il quale, significativamente inferiore a quello dell’anno precedente (quindi “non rilevante”), è stato imputato a conto economico utilizzando il fondo svalutazione crediti.

Ciò premesso, la società ha presentato interpello per chiedere conferma che l’onere in questione, derivante dalla correzione contabile del credito per fatture da emettere, rappresentasse ai fini fiscali una sopravvenienza passiva ex art. 101, c. 4, del TUIR, e chiedendo di stabilire se il periodo di competenza del relativo riconoscimento fiscale fosse il 2020 o il 2021 in quanto soltanto in quest’ultimo periodo si era manifestata con certezza l’ammontare della insussistenza del credito.

Le sopravvenienze passive, gli errori di imputazione temporale e i rimedi previsti

All’epoca dei fatti rappresentati nell’interpello la contabilizzazione di un onere/ricavo in un esercizio diverso da quello di competenza esponeva il contribuente ad una doppia imposizione nel momento in cui si fosse proceduto alla relativa correzione contabile. Infatti, per effetto del mancato riconoscimento fiscale delle poste correttive si poteva determinare una duplice non deduzione di un onere (nell’esercizio in cui è stata omessa la competenza fiscale e in quello di iscrizione della posta correttiva) ovvero una duplice imposizione di un ricavo (nell’esercizio di erronea imputazione e in quello di iscrizione della posta correttiva).

L’Agenzia delle entrate, tuttavia, oltre a presidiare l’inderogabilità della competenza fiscale, ha storicamente riconosciuto al contribuente strumenti utili ad evitare il suddetto maleficio fiscale (comunque vietato dall’art. 163 del Tuir) [1].

Con la circolare n. 31/2013, poi, è stata fornita, in via interpretativa, una rilevanza alla correzione dell’errore contabile, sempre, però, “mediata” dall’onere delle dichiarazioni rettificative. Infatti, con questa circolare è come se si fosse istituzionalizzata la correzione anche fiscale degli errori contabili, consentendo ai contribuenti che avessero corretto in bilancio gli errori di competenza, la possibilità di attribuire “ora per allora” i componenti reddituali nel periodo d’imposta di corretta competenza. Per effetto di questo intervento di prassi, dunque, la correzione contabile, pur continuando a rimanere priva di rilevanza fiscale, diventava condizione necessaria per attivare il rimedio ai fenomeni di doppia imposizione [2].

In seguito, poi, alle modifiche introdotte dall’art. 5 del decreto legge n. 193/2016 alla emendabilità delle dichiarazioni dei redditi, la procedura prevista dalla circolare n. 31/2013 è stata superata (Agenzia delle entrate, circolare n. 8/2017).

Pertanto, nel regime fiscale vigente all’epoca della correzione contabile dei crediti inesistenti effettuata dall’interpellante i componenti di reddito generati da tale correzione, non concorrono alla formazione delle basi imponibili Ires e Irap in assenza della presentazione di una dichiarazione integrativa relativa al periodo d’imposta interessato dall’errore contabile. L’effetto combinato della imputazione a stato patrimoniale/conto economico garantita dalla correzione contabile e la presentazione della dichiarazione integrativa relativa al periodo in cui tali componenti avrebbero dovuti essere imputati in bilancio, dunque, rappresentavano la condizione necessaria e sufficiente per procedere al riconoscimento fiscale di tali componenti per il periodo oggetto di integrativa e non per il periodo d’imposta in cui viene effettuata la correzione.

Ciò premesso, con l’art. 8 del decreto legge 21 giugno 2022, n. 73 [3], si introduce il riconoscimento fiscale delle poste iscritte in bilancio per la correzione di errori contabili, i quali devono essere corretti intervenendo sul bilancio dell’esercizio in cui si procede alla correzione e non sul bilancio relativo all’esercizio cui si riferisce l’errore contabile. Il tipo di correzione varia cioè in base all’entità dell’errore commesso, ma in ogni caso si tratta di poste contabili che influenzano il risultato del conto economico o le risultanze del patrimonio netto dell’esercizio in cui avviene la correzione. Per effetto di questo intervento legislativo, avente natura semplificatoria (Relazione illustrativa al decreto legge n. 73/2022), la sola correzione contabile diventa anche condizione sufficiente per rimediare ai citati fenomeni di doppia imposizione che l’Agenzia delle entrate ha storicamente evitato unitamente al rigido rispetto del principio di competenza, senza più ottemperare all’obbligo di presentare una dichiarazione integrativa relativa al periodo di imposta in cui è stato commesso l’errore oggetto di correzione.

La soluzione proposta dall’interpellante per la correzione contabile dei crediti inesistenti e la posizione dell’Agenzia delle entrate

A seguito della correzione contabile dell’errore, la società interpellante avrebbe dovuto rilevare un minor credito verso gli utenti per riduzione del “bollettato” di competenza e, per lo stesso ammontare, un maggior credito per conguaglio, facendo emergere una situazione in cui gli errori di contabilizzazione delle fatture da emettere danno luogo ad un effetto pari a zero, in quanto l’effetto positivo/negativo registrato sulle fatture da emettere verso gli utenti è compensato da un effetto di segno opposto registrato sulle fatture per conguagli verso Arera.

Invece, il maggior credito per conguagli non è stato contabilizzato perché la correzione contabile dei crediti inesistenti è avvenuta oltre al termine entro il quale il conguaglio poteva essere richiesto. Conseguentemente, è stata rilevata soltanto la riduzione del credito per fattura da emettere.

L’interpellante ritiene che l’onere derivante dalla correzione contabile di crediti inesistenti sia, in analogia a quanto chiarito dall’Amministrazione finanziaria nella risposta n. 407/2019, una sopravvenienza passiva da cancellazione di crediti inesistenti (art. 101, comma 4, del Tuir), e non di un errore di identificazione del periodo di imputazione temporale di un componente di reddito certo ed esistente [4], e che possa essere dedotta – mediante presentazione di una dichiarazione “integrativa” ex art. 2, comma 8, d.P.R. n. 322/1998 – nel periodo di imposta in cui sono stati contabilizzati i maggiori ricavi oggetto di correzione contabile.

L’Agenzia delle entrate, invece, ritiene che il minor valore dei crediti corretto in seguito al “Restatement” del 2020 e all’aggiornamento della correzione contabile appostato nel bilancio 2021, sia qualificabile come perdita su crediti. Per l’effetto, essa è ammessa in deduzione soltanto in presenza dei requisiti di cui all’art. 101, comma 5, del Tuir. A tal proposito, l’Agenzia, richiamando un parere legale allegato all’istanza che considera di difficile esazione detti crediti, ritiene che la perdita non dovrebbe essere deducibile ai fini Ires. Ai fini Irap, poi, l’Agenzia delle entrate prosegue ricordando che le perdite su crediti non sono ammesse in deduzione per i soggetti che applicano la disciplina prevista dall’art. 5 del d.lgs. n. 446/1997.

Conclusioni sulla correzione contabile dei crediti inesistenti analizzata dall’Agenzia delle Entrate

L’analisi della risposta, in particolare dei fatti esposti dall’interpellante, pone qualche dubbio sulla possibilità di condividere la posizione dell’Agenzia delle entrate perché le criticità che si intravedono non risiedono tanto nell’interpretazione della disposizione normativa applicabile (sopravvenienza passiva o perdita su crediti) quanto dei fatti rappresentati.

In primo luogo, una criticità sarebbe ravvisabile quando l’Agenzia delle entrate ritiene che l’utilizzo del fondo svalutazione crediti per la copertura dei mancati incassi possa giustificare la natura di perdita su crediti dell’onere derivante dalla correzione contabile di crediti inesistenti. Su questo punto, l’interpellante ha illustrato i motivi che lo hanno indotto a non utilizzare la procedura di correzione di errore contabile anche per l’”aggiornamento” al 2021 del minor valore dei crediti per fatture da emettere, ossia l’importo notevolmente più basso rispetto alla rettifica operata nel bilancio dell’esercizio 2020 e la presenza di un fondo svalutazione crediti capiente (pagina 9) [5].

Inoltre, l’errore contabile oggetto di correzione non sarebbe “a saldo contabile zero”, come sostenuto dall’Amministrazione finanziaria. Infatti, i crediti che l’Agenzia delle entrate ritiene non incassati (quelli, vale a dire, oggetto di parere legale) non sono stati mai contabilizzati, come affermato dall’interpellante [6]; il parere legale è stato richiesto non già per il recupero di crediti esistenti ma per ottenere il riconoscimento della titolarità dei crediti stessi a titolo di conguaglio.

Infine, forse i maggiori dubbi sulla posizione dell’Agenzia delle entrate sorgono quando la stessa è dell’avviso che avendo l’interpellante contabilizzato un livello di ricavi pari al VRG in contropartita ai crediti riferiti al bollettato ed ai complementari conguagli “l’errata alimentazione del credito per fatture da emettere ha avuto incidenza unicamente a livello finanziario (determinando un’errata composizione dei corrispondenti crediti iscritti in contropartita alla rilevazione dei ricavi)”; in altre parole, per l’Amministrazione finanziaria, l’onere cui sarebbe incorsa la società riguarderebbe una parte del credito per conguagli richiedibili all’Arera.

Se ciò fosse vero, vale a dire che l’errore avesse determinato soltanto un effetto finanziario (in termini di una differente composizione dei crediti verso clienti, riducendo i crediti per fatture da emettere e aumentando i crediti per conguagli) vorrebbe dire che il saldo algebrico degli errori è nullo, e quindi il minor “bollettato da fatture emettere” avrebbe importo pari a quello dei maggiori conguagli richiedibili ad Arera. Circostanza che, come visto, è stata smentita dall’esigenza di far ricorso alla procedura di “Restatement” patrimoniale, disciplinata dal principio contabile OIC 29, adottata dall’interpellante.

 

[1] Con la circolare n. 23/2010, per gli accertamenti divenuti definitivi, l’Amministrazione finanziaria ha riconosciuto il diritto del contribuente a poter far concorrere l’onere contestato e definitivamente accertato, per il mancato rispetto del principio di competenza, alla formazione del reddito dell’esercizio in cui esso avrebbe dovuto trovare corretta imputazione e chiedere il rimborso della maggiore imposta versata, entro due anni dalla definitività dell’accertamento, avvalendosi della procedura residuale di cui all’articolo 21, comma. 2, del d.lgs. n. 546/1992. Proseguendo su questa linea, il rimborso della maggiore imposta versata nell’esercizio in cui il componente negativo avrebbe dovuto essere imputato è stato riconosciuto sia nelle ipotesi in cui la corretta imputazione dell’onere avrebbe generato una maggiore perdita riportabile, anziché una minore imposta dovuta. (risoluzione n. 87/2013), che in quelle in cui l’errore di competenza abbia riguardato un ricavo anziché un costo, consentendo, in quest’ultimo caso, il rimborso della maggiore imposta versata nel periodo in cui il componente positivo è stato erroneamente imputato a conto economico (circolare n. 35/2012).

[2] Nel 2013 non era consentito rettificare “a favore del contribuente” le dichiarazioni dei redditi di tutti i periodi di imposta suscettibili di accertamento ex attuale art. 43 del d.P.R. n. 600/1973. Infatti, ciascuna dichiarazione dei redditi e dell’Irap potevano essere rettificate non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, mentre le dichiarazioni dei redditi e dell’Irap potevano essere rettificate entro i termini del citato articolo 43 laddove fosse emerso un maggior reddito, una minore perdita o un minor credito dichiarato. Pertanto, con la procedura illustrata nella circolare n. 31/2013, il contribuente procedeva ad autoliquidare le minori imposte dei periodi non “rettificabili” in modo da indicare nella dichiarazione integrativa “a favore” il credito derivante da maggiori imposte versate per tutti i precedenti periodi riliquidati.

[3] Decreto legge 21 giugno 2022 n. 73 convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2022, n. 122 e pubblicato in Gazzetta ufficiale – Serie generale n. 193 del 19 agosto 2022. Inoltre, la disciplina introdotta dall’art. 8, commi 1 e 1-bis (comma aggiunto durante i lavori di conversione in legge affinchè le poste contabilizzate per effetto della correzione contabile fossero riconosciute anche ai fini Irap), del d.l. n. 73/2022 è stata modificata dall’art. 1, commi 273-274, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (c.d. “legge di bilancio 2023”) per limitare l’utilizzo di questa disciplina soltanto alle imprese i cui bilanci sono sottoposti a revisione legale.

[4] La qualificazione di sopravvenienza passiva (e non di perdita su crediti) per inesistenza dei crediti è stata riconosciuta dall’Agenzia delle entrate già dal 2013 (circolare n. 26/2013), in presenza di transazioni finalizzate alla riduzione di un credito e motivate da una lite sulla fornitura che ha dato origine al credito. Questo onere deve essere qualificato ai fini fiscali come sopravvenienza passiva e non come perdita su crediti.

[5] “L’errore sul 2021 non pare configurare un autonomo errore bensì una rettifica della stima del rateo fatturazione effettuata in contropartita al restatement del 2020. Considerando che la differenza non rilevata nello storno del credito per fatture da emettere attraverso il restatement effettuato nell’anno 2020 (pari a euro …) era di importo molto inferiore rispetto a quella rilevata nel 2020 con il restatement e, soprattutto, che l’importo dell’ulteriore sopravvenienza passiva sui crediti trovava capienza nel Fondo Svalutazioni Crediti presente in bilancio a fine 2020 ritenuto esuberante rispetto alle altre necessità sul bilancio, si è quindi valutato che non ricorressero le condizioni per procedere ad un ulteriore restatement. La rettifica del credito per fatture da emettere derivante dalla relativa insussistenza ha trovato contro partita in conto economico in una voce di costo classificato in B 14 Oneri diversi di gestione”.

[6] Infatti, a pagina 10 della risposta n. 3/2023, nella soluzione prospettata dall’interpellante, si afferma che “Se fosse adesso possibile che la normativa ARERA riconoscesse l’errore e il maggior ‘‘conguaglio straordinario’’, non richiesto a suo tempo a causa dell’errore (ora per allora), oggi la Società potrebbe correggere l’errore contabilizzando un minor Rateo Bollettazione e un maggior Rateo ARERA, senza impatto alcuno sul conto economico né a livello fiscale. In realtà la possibilità di richiedere successivamente il maggior Conguaglio ad ARERA soggiace a precisi limiti temporali per cui sugli errori effettuati sul rateo fatture da emettere fino al 2018 (tassati) non vi è la possibilità di rimediare e di richiedere parzialmente il maggior Conguaglio in relazione all’anno 2019. In questo contesto, una volta determinato l’errore e scoperto che non esistono metodi di recupero dello stesso attraverso i meccanismi dei Conguagli ARERA, alla Società non è rimasto che rettificare in diminuzione il solo importo del Rateo Bollettazione, per la parte insussistente quale sopravvenienza passiva” (sottolineatura nostra).

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