[*] La pandemia da Covid – 19 non rappresenta certamente il primo episodio nella storia di evento imprevedibile che altera profondamente i flussi economici. Anche guardando soltanto al secolo passato, possiamo citare l’iperinflazione degli Anni Venti nella Germania di Weimar, la chiusura del canale di Suez a seguito della guerra dell’Inghilterra e della Francia con l’Egitto di Nasser, la crisi energetica del 1973 dopo la guerra del Kippur. In tutti questi casi fu necessario adeguare i contratti alla situazione derogando al principio pacta sunt servanda..
Il nostro legislatore si è dimostrato consapevole della necessità di un intervento di riadeguamento della disciplina contrattuale con l’art. 91 del decreto-legge 18/2020 (cura Italia), convertito in legge 24 aprile 2020, n. 27. La norma dispone che “Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 del codice civile, della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.
L’art. 91 va visto insieme ad altre disposizioni che sono state emanate dal legislatore. Gli artt. 88 e 88 bis del medesimo d.l. 18/2020 convertito nella l. 27/2020, hanno stabilito che, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1463 c.c., ricorre la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovutain relazione ai contratti di acquisto di titoli di accesso per spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, e di biglietti di ingresso ai musei e agli altri luoghi della cultura e in relazione ai contratti di trasporto aereo, ferroviario, marittimo, nelle acque interne o terrestre, ai contratti di soggiorno e ai contratti di pacchetto turistico. In parziale deroga alla disciplina generale dettata dal codice civile il legislatore ha previsto il diritto dell’altro contraente ad ottenere il rimborso del biglietto, nelle ipotesi disciplinate dall’art. 88 soltanto sotto forma di voucher di pari importo del titolo di acquisto da utilizzare entro un anno dall’emissione. Ed ancora l’art. 216, comma 3 e 4, d.l. 34/2020 ha previsto in caso di locazione di palestre, piscine, impianti sportivi da parte di privati, che la sospensione delle attività sportive, disposta con le misure di lockdown, è sempre valutata, ai sensi degli artt. 1256, 1464, 1467 e 1468 c.c. quale fattore di sopravvenuto squilibriodell’assetto di interessi pattuito con il contratto di locazione. Il conduttore ha quindi diritto, limitatamente alle cinque mensilità da marzo 2020 a luglio 2020, ad una corrispondente riduzione del canone locatizio che, salva la prova di un diverso ammontare a cura della parte interessata, si presume pari al cinquanta per cento del canone contrattualmente stabilito.
Il legislatore ha utilizzato in questi casi il parametro dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione, ma si è discostato dal codice civile che si riferisce all’impossibilità ex latere debitoris, mentre in questo caso l’impossibilità va vista ex latere creditoris, perché la messa a disposizione ad esempio dei locali oggetto del contratto di locazione è possibile, ma in essi in ragione delle misure di contingentamento sociale non può essere svolta l’attività che costituisce la ragione del contratto[1].
Al di là degli specifici interventi del legislatore occorre far riferimento al generale principio dettato dall’art. 1467 c.c. in tema di contratti ad esecuzione continuata o periodica o ad esecuzione differita, dove se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari ed imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto. L’ultimo comma dell’art. 1467 dispone che la parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto. È questa la norma che a giudizio di molti meglio si presta a rispondere alle situazioni frequentissime in cui l’inadempimento è divenuto impossibile per causa del Covid. E quando se non impossibile esso sia divenuto notevolmente più oneroso per l’onerato, l’altra parte può evitare la risoluzione dichiarandosi disponibile a ricondurlo ad equità[2].
Da tempo la dottrina civilistica ha rivalutato il principio di buona fede che deve guidare le parti non soltanto nella stipulazione, ma anche nell’interpretazione e nell’esecuzione del contratto, giungendo ad affermare secondo un orientamento che il richiamo alla buona fede comporta per la parte creditrice della prestazione non adempiuta, nelle situazioni di eccessiva onerosità sopravvenuta per eventi imprevedibili, l’onere di addivenire alla rinegoziazione elaborando risposte coerenti con la necessità di addivenire ad un nuovo assetto contrattuale, tali da non poter sortire l’effetto del rifiuto[3].
Una lettura più completa della disciplina dell’emergenza Covid può fornire alcuni ulteriori spunti interpretativi, che vanno nella direzione ora indicata. L’art. 54 del decreto legge Cura Italia stabilisce al primo comma che “Ai fini del presente articolo l’epidemia da COVID-19 è formalmente riconosciuta come evento eccezionale e di grave turbamento dell’economia, ai sensi dell’articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea”. Il principio è affermato per legittimare le misure di sostegno finanziario alle micro, piccole e medie imprese colpite dall’epidemia di COVID-19 considerate nel medesimo articolo, in deroga al divieto di aiuti di Stato stabilito dalla normativa UE. Ancora l’art. 1, comma 2, lett. n bis, del d.l. 8 aprile 2020, n. 23 convertito in legge 5 giugno 2020, n. 40 ( decreto liquidità), nel regolare la possibilità che i finanziamenti alle imprese erogati con la garanzia SACE siano destinati a copertura di esposizioni bancarie pregresse, stabilisce che deve trattarsi di “rate di finanziamenti, scadute o in scadenza nel periodo emergenziale ovvero dal 1° marzo 2020 al 31 dicembre 2020, per le quali il rimborso sia reso oggettivamente impossibile in conseguenza della diffusione dell’epidemia di COVID-19 o delle misure dirette alla prevenzione e al contenimento della stessa”.
L’oggettiva impossibilità del rimborso delle rate di mutuo è considerata in questo caso dal legislatore come un’ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione in conseguenza della diffusione dell’epidemia o delle misure di prevenzione e contenimento. Poiché è estremamente improbabile che il legislatore pensasse alla impossibilità fisica di effettuare i pagamenti per il mancato funzionamento degli uffici dell’impresa come conseguenza della pandemia o delle misure di contenimento, deve ritenersi che la nozione di impossibilità sopravvenuta sia stata estesa alla generale situazione di crisi di liquidità derivante dalla forzata cessazione dell’attività. Ciò apre la strada a ritenere che, indipendentemente dalla maggiore o minore portata dell’art. 91 prima citato, il rispetto delle misure di contenimento e lo stato di illiquidità si configurino come ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione che può legittimare la risoluzione del contratto e, in alternativa, la revisione della disciplina contrattuale.
Nel caso del rispetto delle misure di contenimento con tutte le conseguenze che ne derivano (ad esempio mancato pagamento del canone di locazione in conseguenza delle chiusure necessitate dell’attività) lo stesso legislatore prevede un meccanismo di riequilibrio contrattuale, rendendo irrilevante l’inadempimento. Più in generale le norme che abbiamo considerato possono forse essere considerate un principio fondamentale della legislazione d’emergenza[4] al quale le parti possono ispirarsi per addivenire ad una rinegoziazione del rapporto, nella consapevolezza che in alternativa il contraente inadempiente potrà rivolgersi al giudice ordinario in via di azione od eccezione, chiedendo di accertare che non sussiste inadempimento colpevole. E l’obbligo di rinegoziazione del contratto ove si verifichino situazioni che incidono sull’equilibrio contrattuale può ritenersi espressione del generale principio di buona fede, secondo conclusioni cui la dottrina civilistica, è da tempo pervenuta[5].
Per molte imprese l’unica alternativa concreta alla cessazione dell’attività è la rinegoziazione dei contratti stipulati prima della crisi pandemica. Tali contratti debbono infatti essere riportati a condizioni compatibili con il mutato quadro economico. Ciò è nell’interesse di entrambe le parti: chi è creditore della prestazione non ha alternative concrete alla revisione del sinallagma contrattuale se intende ottenere un risultato positivo in tempi ragionevolmente brevi; chi è debitore ha necessità da un lato di proseguire l’attività, almeno per i contratti strategici per l’impresa, ma non può farlo senza una revisione delle obbligazioni dedotte in contratto.
Se è lecito formulare un’analogia, la rinegoziazione svolge la medesima funzione in ragione della crisi, del potere accordato al debitore che acceda alla procedura di concordato preventivo in continuità di sciogliersi dai contratti pendenti non più utili a garantire la continuità aziendale e il riassetto dell’equilibrio economico – finanziario. Va sottolineato che la rinegoziazione non è conseguenza diretta dell’insolvenza, quanto piuttosto dell’impossibilità o irrazionalità dell’esecuzione del contratto nel mutato contesto economico-finanziario, che può portare all’insolvenza, ma che in primo luogo rende impossibile la realizzazione della causa del contratto, intesa come causa in concreto.
[*] Il presente contributo è in corso di pubblicazione, in una versione più ampia, nel volume Crisi d’impresa ed emergenza sanitaria, curato da Stefano Ambrosini e Stefania Pacchi (Zanichelli Editore).
[1] Siamo debitori per questi rilievi a I. Pagni, La moratoria che non c’è. Il debito ai tempi del Covid, Relazione tenuta al Webinar L’emergenza covid-19: riflessi sul diritto della crisi” del 10 giugno 2020, organizzato da I. Pagni e L. Stanghellini, in corso di pubblicazione. Nel senso che l’impossibilità della prestazione ex latere creditoris può essere ricondotta al parametro codicistico cfr. Cass. civ., sez. III, 20 dicembre 2007, n. 26958.
[2] Cfr. A. Monteverde, L’incursione del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 in tema di obbligazioni non adempiute e responsabilità del debitore, in Il diritto dell’emergenza: profili societari, concorsuali, bancari e contrattuali a cura di M. Irrera, Torino, 2020, 150-151, e già in Ilcaso.it, 2020.
[3] In proposito, sia pur nella sintesi imposta dalle finalità di questo scritto, vanno segnalati i forti contrasti che hanno caratterizzato la dottrina italiana sul punto. A coloro che ritengono che sia configurabile un obbligo legale di rinegoziare il contratto di durata in presenza del mutamento di circostanze esterne che alterino l’equilibrio tra le prestazioni ed indicano la buona fede come parametro in base al quale verificare l’esigenza dell’adeguamento, giungendo ad un’interpretazione evolutiva della regola contenuta nell’art. 1467 c.c., anche in nome di un principio di efficienza economica (F. Macario, Regole e prassi della rinegoziazione al tempo della crisi, in Giust.civile, 2014, 825; Roppo, Il contratto, Milano, 2011, 1046; V.M. Cesaro, Clausole di rinegoziazione e conservazione dell’equilibrio contrattuale, Napoli, 2000, 165 e ss.) si è replicato che il fatto che il contratto sia o possa essere divenuto incompleto perché non contiene una previsione delle sopravvenienze, significa semplicemente che il rischio grava sul soggetto così individuato per la semplice ragione che ha stipulato quel contratto e che il rischio non è stato traslato sulla controparte: Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, III, Milano, 1959, 689. Si è affermata l’estraneità al nostro ordinamento di poteri di intervento del giudice nel caso del mutamento delle circostanze nella fase esecutiva del contratto: Rescigno, L’adeguamento del contratto nel diritto italiano, in AA.VV, Inadempimento, adattamento, arbitrato. Patologie dei contratti e rimedi, Milano, 1992, 304. Si è negata la ragionevolezza del richiamo alle esigenze di efficienza economica perché sarebbe proprio l’economia a chiedere al diritto quale debba essere la regola da applicare al conflitto tra soggetti: N. Irti, L’ordine giuridico del mercato, Bari, 2004, 11 e ss. ( e Id., Diritto e mercato, in AA.VV., Confini attuali dell’autonomia privata, a cura di Belvedere-Granelli, Padova, 2001, 161 e ss.).
Altra ed ulteriore questione è se, una volta ammessa l’esistenza di un obbligo di rinegoziazione esso possa comportare un dovere di riportare il contratto all’equilibrio originario, con conseguenti limiti all’autonomia negoziale e la possibilità che, in difetto di accordo, il contenuto originario del negozio possa essere integrato dal giudice. In tal senso V.M.Cesaro, op.cit., 57; R. Sacco, Il contratto.
[4] Si veda in proposito Trib. Venezia, 20 maggio 2020, in Rivistadirittobancario.it, 2020.
[5] F. Macario, Regole e prassi della rinegoziazione al tempo della crisi, in Giust.civile, 2014, 825, che proprio in ragione del principio di buona fede e, per suo tramite, degli obblighi di cooperazione fra le parti nella fase dell’esecuzione del contratto, osserva che l’adeguamento (eventualmente) conseguente all’obbligo di rinegoziare non contraddice l’autonomia privata, poiché, al contrario e proprio nel segno della valorizzazione di quest’ultima, ha la funzione di agevolare il compimento del risultato contrattuale, allineando il regolamento d’interessi alle mutate circostanze. La violazione dell’obbligo a trattare comporta conseguenze sul piano risarcitorio. Sul tema cfr. anche N. Lipari, Per una revisione della disciplina sull’interpretazione e sull’integrazione del contratto?, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, p.736. In giurisprudenza sul tema si vedano: Cass. 18 settembre 2009, n. 20106; Cass. 19 marzo 2013, n. 6773; Cass. 14 maggio 2014, n. 10428.
Va ricordato che nell’ambito del commercio internazionale, all’interno degli accordi transfrontalieri vengono inserite clausole dirette a disciplinare la rinegoziazione del contratto nel caso di particolari sopravvenienze, spesso individuate dalle parti al momento del perfezionamento del negozio. Si vedano anche i principi Unidroit in materia di hardship: Istituto internazionale per l’unificazione del diritto privato, Principi UNIDROIT dei contratti commerciali internazionali, 2016, in www.unidroit.org; nonché la clausola di forza maggiore suggerita dalla Camera di Commercio Internazionale Camera di Commercio Internazionale per aiutare le imprese nella redazione di piccoli e grandi contratti e rispondere efficacemente a eventi imprevisti come l’epidemia in corso e modificata nel 2020, reperibile sul sito https://www.iccitalia.org/wp-content/uploads/2020/05/icc-forcemajeure-hardship-clauses-march2020.pdf