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Crediti e Pubblica Amministrazione (di eccezioni che anticipano le regole)

29 Agosto 2012

Aldo Laudonio, ricercatore in Diritto Commerciale, Università Magna Graecia di Catanzaro

Sommario11. L’eccezione che anticipa la regola. 2. Ruolo e responsabilità del notaio: acquisizioni dell’elaborazione giurisprudenziale. 3. Gli interventi settoriali nell’ambito degli appalti pubblici: eccezioni, contraddizioni e lacune. 4. La certificazione dei crediti ed il legislatore prigioniero nel labirinto normativo. 5. Considerazioni conclusive.

 

1. È a tutti noto che dal tronco della cessione dei crediti civilistica sono gemmate plurime forme contrattuali (factoring, cartolarizzazioni…) e molteplici sono state le sue applicazioni – per più versi speciali – in diversi settori del nostro ordinamento (fallimentare, bancario…), a riprova della grande vitalità che l’istituto, così flessibile e duttile, ha dimostrato nel corso del tempo, divenendo il perno intorno a cui ruotano operazioni complesse e dalle più varie finalità.

Tuttavia, facendo un passo indietro rispetto all’inizio di una storia di indiscutibile successo, oltre che di accese dispute e controversie, se ci si spinge fino ad un momento appena anteriore all’entrata in vigore del codice civile del 1865 e delle disposizioni (artt. 1538 ss.) che in esso costituiscono il diretto antecedente dell’attuale sistemazione normativa, ci si imbatterà in una posizione di privilegio che era già stata ricavata – preventivamente, verrebbe quasi da dire – nel sistema del trasferimento dei diritti di credito. Una vera e propria singolarità che assieme a due solidi “guardaspalle” comparsi più tardi avrebbe accompagnato lo sviluppo delle relazioni economiche del nostro paese condizionandole significativamente.

L’allusione è all’art. 9, all. E, l. 2248/1865, il cui testo prevedeva – e prevede ancora2 – che “sul prezzo dei contratti in corso non potrà avere effetto alcun sequestro, né convenirsi cessione, se non vi aderisca l’amministrazione interessata”. Ad esso, come segnalato, si sono aggiunte altre due disposizioni che hanno contribuito a rendere l’amministrazione nel suo complesso il debitore ceduto “più uguale” di ogni altro: ci si riferisce agli artt. 69, commi 1, 2 e 3, e 70 r.d. 1923/24403.

Il risultato della combinata operatività di queste norme, in estrema sintesi, e salve le precisazioni che si effettueranno di seguito, è quello, da un lato, di limitare la cedibilità dei crediti derivanti da contratti in corso (ed in particolare di somministrazioni, forniture ed appalti) di cui fosse parte l’amministrazione in caso di sua mancata “adesione”, mentre, dall’altro, più in generale si impone sul piano della forma dell’atto di cessione il ricorso all’atto pubblico o alla scrittura privata autenticata, nonché il rispetto di una serie di prescrizioni contenutistiche (indicazione del titolo e dell’oggetto del credito) e sostanziali (se si è titolari di crediti verso amministrazioni diverse, sono necessari atti di cessione separati: ogni singolo atto di cessione, cioè, necessita di essere autonomamente e distintamente documentato).

Il fondamento della prima deroga è stato tradizionalmente individuato nell’interesse pubblico al perfetto adempimento dell’obbligazione (specie nell’ambito dei rapporti di durata, quali naturalmente sono gli appalti e le somministrazioni) gravante sulla parte privata, preservando (forzosamente) nel patrimonio di questa il credito vantato nei confronti dell’amministrazione, alla cui discrezionalità era in sostanza rimessa la possibilità di determinare l’inefficacia a sé di eventuali cessioni. Secondo tale logica, la parte privata avrebbe così potuto sempre contare sulla risorsa finanziaria rappresentata dal credito e non rendersi vulnerabile, in caso di sua cessione, a difficoltà che avrebbero potuto compromettere l’adempimento4.

Per quanto riguarda l’insieme delle seconde, invece, si è sostenuto che, analogamente a quanto avviene con la notificazione ex art. 1264 c.c., esse siano finalizzate esclusivamente a garantire la conoscibilità del trasferimento da parte della P.A. interessata, in modo da consentirle di effettuare tempestivamente le appropriate variazioni negli ordini di pagamento. Gli specifici oneri formali secondo la prevalente opinione dottrinaria e giurisprudenziale, poi, si rendevano necessari solo per assicurare la maggior certezza possibile all’amministrazione, affinché essa non fosse costretta a compiere indagini sulla riferibilità alle parti del negozio di cessione in un’epoca in cui certamente non erano a sua disposizione gli attuali strumenti informatici.

A prescindere dalla fondatezza e ragionevolezza di tali giustificazioni, delle quali si dirà più oltre, l’immediata ripercussione della gravosa eccentricità di questi privilegi è stata quella di innescare nel tempo una mole di contenzioso elevata e costante, come pure la fitta elaborazione di generazioni di studiosi: in entrambi i casi l’obiettivo è stato quello di ricomprendere l’eccezione nel sistema, limandone gli spigoli più pronunciati, ed in entrambi i casi lo sforzo era destinato a parziale frustrazione. Né pare che gli interventi normativi realizzati negli ultimi anni al dichiarato scopo di agevolare la smobilizzazione dei crediti verso le amministrazioni pubbliche (e gli enti ad esse equiparati) riescano a corrispondere alle pressanti sollecitazioni provenienti dal tessuto imprenditoriale e sociale duramente provato dall’attuale fase di crisi economica, ma a quest’ultimo argomento sarà prestata la dovuta attenzione in seguito, essendo l’intera situazione frutto, per così dire, del peccato originale qui preliminarmente segnalato.

2. Prima di giungere all’analisi dei più recenti provvedimenti in materia, si rende quindi opportuno inventariare alcune delle questioni più rilevanti che hanno impegnato gli interpreti, con particolare attenzione ai risvolti di interesse notarile, dal momento che, per effetto delle norme prima richiamate, tale categoria si è sempre trovata a svolgere un non facile compito di mediazione tra le legittime istanze dei privati e la peculiare posizione della P.A. in queste vicende traslative.

In proposito è degno di particolare attenzione il principio affermato dalla S.C. nella sentenza n. 14450/20065, con la quale ha avuto occasione di individuare in capo al notaio uno specifico dovere di consulenza. Tale dovere non sarebbe stato osservato proprio in relazione alla stipulazione di atto di cessione di credito verso un’amministrazione locale e ciò nell’argomentazione della Cassazione ha fondato l’obbligazione risarcitoria del notaio nei confronti del cessionario. In particolare, l’“obbligo specifico del notaio sarebbe stato quello non di limitarsi a trattare «solo i rapporti interni tra le parti», bensì di indicare espressamente ed inequivocamente i caratteri morfologici (a lui ben noti, diversamente che alle parti), affatto peculiari, delle cessioni di un credito da appalto che l’impresa cedente vanti nei confronti di un ente pubblico6”.

Risalta quindi la necessità per il notaio di prestare particolare attenzione sia alla vicenda negoziale da cui è scaturito il credito oggetto di cessione, sia al momento temporale in cui si verifica la cessione stessa; si rende peraltro indispensabile non solo un’accurata conoscenza delle previsioni normative, ma anche delle ricadute della sedimentazione interpretativa di una copiosa giurisprudenza, la quale, spesso senza che la dottrina le dedicasse il dovuto interesse, ha senz’altro inciso sulla concreta applicazione di quei remoti precetti. Così, con riguardo a casi verificatisi prima che subentrassero le nuove disposizioni cui si è fatto cenno, è stato stabilito che: 1) sul versante della delimitazione soggettiva dell’ambito d’applicazione delle norme speciali degli artt. 9, all. E, l. 1865/2248, nonché 69 e 70 r.d. 1923/2440, al termine “Stato” va attribuita la più ampia latitudine semantica possibile, in modo da ricomprendervi ogni altro ente pubblico (regioni, province, comuni, istituti scolastici, aziende autonome, USL…)7; 2) l’autentica notarile si rende necessaria con riguardo a tutte le parti del contratto e non per il solo cedente8; 3) il mancato rispetto della forma prevista dall’art. 69, comma 3, r.d. 1923/2440, a dispetto della sua formulazione perentoria, non provoca la nullità della cessione del credito, bensì la sua inefficacia (anche solo temporanea9: v. il numero successivo) nei confronti dell’amministrazione interessata10; 4) per quanto riguarda i rapporti di durata, la necessità dell’adesione della P.A.11 ai fini dell’efficacia della cessione opera soltanto nella fase esecutiva del contratto, poiché successivamente verrebbe meno la ricordata esigenza di garantire alla parte privata i mezzi finanziari per l’adempimento della prestazione12 (sorgendo allora l’ulteriore problema di individuare il momento conclusivo del rapporto contrattuale, il che dipenderà caso per caso dalla normativa di riferimento, dal tipo di contratto e dalle previsioni concretamente elaborate in proposito)13; 5) non è richiesto il ricorso ad alcuna forma specifica per la notificazione, che potrà quindi avvenire con qualsiasi mezzo, fermo restando che solo con il ricorso a strumenti che attestino l’avvenuta ricezione della comunicazione in una data certa è possibile precostituire la prova di tale evento14.

3. Tale quadro, immutato per decenni, sarebbe stato ritoccato soltanto negli anni ’90 del XX secolo, attraverso l’art. 26, comma 5, l. 109/199415, il quale prevedeva che “le disposizioni della l. 21 febbraio 1991 n. 52, sono estese ai crediti verso le pubbliche amministrazioni derivanti da contratti di appalto di lavori pubblici, di concessione di lavori pubblici e da contratti di progettazione nell’ambito della realizzazione di lavori pubblici”, e dalla regolamentazione di dettaglio recata dall’art. 115 d.p.r. 554/199916.

Dopo un breve, ma intenso, periodo di polemiche sull’applicabilità della legge sulla cessione dei crediti d’impresa anche alle amministrazioni pubbliche, il legislatore ha così inteso sciogliere le perplessità ed aprire una prima breccia nella monolitica configurazione normativa prima descritta, e, sia pure con scarso coordinamento e tramite modalità tecniche che lasciavano adito a notevoli dubbi17, ne ha settorialmente capovolto la logica inaugurando la stagione delle più recenti riforme: requisiti di forma e modalità della notifica restavano infatti invariati, ma non si parlava più un’adesione della P.A. di carattere preventivo, bensì un diniego successivo, ed era altresì onere dell’amministrazione pronunciarsi entro un termine brevissimo dalla notifica (15 giorni), perfezionandosi altrimenti una fattispecie di silenzio-assenso di carattere privatistico.

Avendo maturato consapevolezza dei numerosi problemi causati dal frazionamento in due testi di differente rango e dalle incongruenze della disciplina citata, con l’occasione dell’introduzione del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 163/2006) si è nuovamente intervenuti sulla materia razionalizzandola ed innovandola.

Ancora una volta, sotto l’arcigno sguardo delle venerande norme di privilegio per la P.A. è stato compiuto un timido tentativo di reintrodurre una maggiore parità di trattamento dei soggetti pubblici almeno nei rapporti con le imprese private. L’art. 117 d.lgs. 163/200618 ha in particolare il merito d’aver stabilmente esteso l’applicazione della legge sulla cessione dei crediti d’impresa a tutti i contratti regolati dal Codice dei contratti pubblici, oltre a quello d’aver espressamente ampliato il novero degli enti cui sono applicabili. Tuttavia, su quest’ultimo punto la disposizione sconta un’eterogeneità di definizioni nei suoi vari commi: il primo menziona le stazioni appaltanti tout court (artt. 3, commi 25, 26 e 33, e 32 d.lgs. 163/2006), il secondo ed il terzo si riferiscono solo a quelle che sono anche amministrazioni pubbliche, nel quarto, più laconicamente, sono nominate soltanto le “amministrazioni pubbliche”, ed infine il quinto si limita a designare ellitticamente l’“amministrazione19 cui è stata notificata la cessione”.

Non potendosi ignorare questa significativa diversità terminologica ed in presenza di precise definizioni del Codice (art. 3), deve concludersi che solo la norma di cui al primo comma dell’articolo qui analizzato abbia portata generale, mentre negli altri è sostanzialmente preservata la posizione di privilegio per le pubbliche amministrazioni. Di conseguenza, nel vasto ambito dei contratti regolati dal d.lgs. 163/2006 (“ivi compresi i concorsi di progettazione e gli incarichi di progettazione”), gli imprenditori aggiudicatari possono liberamente cedere il proprio credito nei confronti di stazioni appaltanti (non pubbliche) avvalendosi della disciplina speciale recata dalla l. 52/1991, a condizione che i cessionari siano banche o intermediari finanziari il cui oggetto sociale preveda lo svolgimento dell’attività d’acquisto di crediti d’impresa. Se però la stazione appaltante è una pubblica amministrazione, si registra un’altra criticità, perché il fatto che il cessionario non rientri in quest’insieme di soggetti specificamente abilitati non solo sottrae il contratto di cessione di crediti derivanti da contratti di appalto pubblici all’applicazione dell’art. 117 d.lgs. 163/200620, ma fa sì che esso sia nuovamente assoggettato alla disciplina della cessione dei crediti verso la P.A.: la conseguenza sarà che in mancanza dell’adesione dell’amministrazione il contratto resterà relativamente inefficace, come già rilevato in precedenza21.

Della l. 52/1991, ad ogni modo, non si crede che nei confronti della P.A. ceduta possa trovare applicazione il controverso criterio di opponibilità enunciato nell’art. 5, comma 1, ed avente il suo fulcro nel pagamento di data certa del corrispettivo della cessione: in primo luogo, per l’art. 117, commi 2 e 4 d.lgs. 163/2006 resta sempre necessaria la notificazione o la preventiva accettazione, e, in secondo luogo, l’adempimento dell’obbligazione pecuniaria rimane di per sé un fatto assolutamente ignoto all’amministrazione ceduta.

Proseguendo nell’analisi, va osservato che seppure la ripresentazione nell’art. 117, comma 3, d.lgs. 163/2006 del meccanismo di silenzio-assenso (sempre di natura privatistica) per quanto riguarda le sole stazioni appaltanti che contestualmente rivestano la qualifica di pubbliche amministrazioni costituisca per le imprese interessate una parziale agevolazione rispetto alle previsioni degli artt. 69 e 70 r.d. 1923/2440, ciò non assicura comunque l’immediata efficacia della cessione, che resta sospensivamente condizionata alla manifestazione del rifiuto o dell’adesione22, o, comunque, al decorso dei 45 giorni di tempo a partire dalla notifica23.

Degno di nota è anche che sia non si sia approfittato per porre rimedio ad un passaggio poco chiaro già presente nell’art. 115, comma 3, d.p.r. 554/1999, laddove nell’allestimento della ricordata fattispecie di silenzio-assenso continua a leggersi un parallelo riferimento a opponibilità ed efficacia della cessione. Il dubbio al riguardo, comunque, sembra da sciogliersi ricollegando logicamente i due termini ai relativi referenti, costituiti, rispettivamente, dal ricevimento della notificazione e dal rifiuto dell’ente ceduto, secondo gli indici normativi ricavabili dalla generale disciplina codicistica e da quella speciale della P.A.. Questa conclusione è del resto confortata dallo stesso comma secondo dell’art. 117 d.lgs. 163/2006, nel quale ragionevolmente si raccorda l’opponibilità all’obbligo di notifica, ed anche dal quarto comma, a norma del quale l’amministrazione può anche accettare preventivamente “la cessione da parte dell’esecutore di tutti o di parte dei crediti che devono venire a maturazione”: ciò dispenserà gli interessati dall’onere di effettuare la notificazione per rendere opponibile la cessione, ma non precluderà alla P.A. di manifestare il proprio rifiuto in seguito, qualora ricorressero le ragioni che lo consentono.

Complessivamente, quindi, la deroga ricavata con l’art. 117 d.lgs. 163/2006 all’interno della più vasta eccezione rappresentata dall’ordinamento speciale posto dagli artt. 69 e 70 r.d. 1923/2440, non è di così ampia portata, come a taluno può essere apparso, né sono perseguite finalità differenti rispetto a quelle originarie di preservazione del contraente privato della P.A. dal rischio di depauperamento nella fase d’esecuzione del contratto. Quest’ultimo dato è deducibile dal fatto che le agevolazioni restino comunque collegate, come già visto, alla natura dei cessionari ed alle peculiarità della l. 52/1991, la quale a sua volta presuppone (ma non prescrive) che la cessione del credito avvenga vendendi causa. L’intento, chiaramente, sarebbe quello di garantire che alla fuoriuscita dal patrimonio dell’imprenditore del diritto di credito verso l’amministrazione facesse fronte l’ingresso di un congruo corrispettivo pecuniario proveniente da soggetti sottoposti a vigilanza prudenziale e quindi di più sicura solvibilità.

La pur commendevole volontà si basa tuttavia su assunzioni piuttosto fragili e facilmente smentibili, se solo ci si limita a considerare che: 1) non è detto che la cessione avvenga sempre a causa di vendita; 2) non è detto che il corrispettivo sia sempre anticipato dal cessionario rispetto al momento di riscossione del credito; 3) non è detto che il corrispettivo sia congruo rispetto all’importo del credito acquistato; 4) non è detto che la cessione avvenga sempre pro soluto, con il risultato che il rischio dell’inadempimento dell’amministrazione potrebbe in ogni momento riverberarsi sull’impresa cedente, senza che questa abbia già incassato il corrispettivo per il trasferimento del suo diritto.

A ciò si aggiunga, infine, che sulla scorta della lettera dell’art. 117, commi 1, 2 e 3, d.lgs 163/2006 non si crede che alle stazioni appaltanti che non siano pubbliche amministrazioni competa la facoltà di aderire o rifiutare la cessione del credito e questo comporta una vistosa ed ingiustificata difformità di trattamento pur in presenza di finalità chiaramente identiche per gli uni e gli altri soggetti.

4. Più di recente, al labirintico edificio normativo sin qui esplorato sono stati addossati nuovi viluppi, ancora una volta, paradossalmente, con un dichiarato scopo agevolativo e di riduzione dei ritardi dei pagamenti delle amministrazioni pubbliche, ma in realtà sono ben lungi dal procurare il risultato desiderato, come si vedrà.

Inizialmente in maniera provvisoria, poi accedendo – come molte altre misure di carattere contingente degli ultimi anni – alla sfera di una tormentata definitività, l’art. 9, commi 3-bis e 3-ter, d.l. 185/200824 ha introdotto nel settore degli appalti pubblici l’istituto della certificazione dei crediti25. Il nucleo della norma risiede, appunto, nella possibilità per i privati di richiedere a certe amministrazioni debitrici una certificazione che il proprio credito verso di loro sia certo, liquido, esigibile e non prescritto. Non è fissato comunque alcun obbligo di ottenimento della certificazione, né essa rappresenta un elemento imprescindibile ai fini della validità ed efficacia della cessione, prestandosi soltanto eventualmente a favorirla, in virtù delle informazioni che reca.

Sebbene numerosi problemi riscontrabili nelle prime redazioni di tale norma siano stati rimossi (vigenza temporalmente limitata, facoltatività del rilascio della certificazione, collegamento dell’efficacia della cessione alla data della certificazione…), molti altri di notevole momento rimangono.

Incominciando dall’ambito soggettivo di applicazione dell’art. 9, comma 3-bis, d.l. 185/2008, colpisce che esso non sia quanto meno sovrapponibile a quello dell’art. 117 d.lgs. 163/2006, considerata l’identità di materia. Invero, gli unici soggetti testualmente menzionati nella prima disposizione erano fino a poco tempo fa le regioni e gli enti locali, per la cui più esatta individuazione può farsi ricorso all’art. 2, comma 1, d.lgs. 267/200026; a porre rimedio a questa vistosa asimmetria si è provveduto solo recentemente attraverso un rinvio presente nell’art. 12, comma 11-quinquies, d.l. 16/2012, grazie al quale la disciplina dell’art.9, comma 3-bis, d.l. 185/2008 è estesa anche alle amministrazioni statali ed agli enti pubblici nazionali27. Ciononostante, questo fenomeno di smembramento e dispersione del contenuto precettivo delle norme ne accresce la difficoltà di reperimento, comprensione ed applicazione: nulla, infatti, impediva di innestare immediatamente tali modifiche nel corpo dell’art. 9, comma 3-bis, d.l. 185/2008, ed anzi una simile soluzione sarebbe stata certamente preferibile nell’ottica di una più chiara formulazione normativa. La difficoltà di coordinamento è peraltro tale che neanche il legislatore sembra essersi accorto del recente ampliamento dell’ambito d’efficacia: è difatti accaduto che nel novero degli enti “certificanti” sono stati nuovamente (ed a questo punto inutilmente) inclusi anche gli enti del servizio sanitario nazionale (art. 13-bis del d.l. 52/2012)28. Al riguardo nondimeno è fin troppo facile prevedere che una simile maniera di legiferare creerà nuovi problemi di definizione del perimetro applicativo della disciplina, sia per quanto espressamente prevede, sia, soprattutto, per quanto tace.

Si deve avvertire a questo punto che nei confronti delle regioni e degli enti locali sussistono comunque un vincolo e due divieti29. Il primo consiste nell’imporre il rispetto delle norme in materia di patto di stabilità interno30; gli altri due concernono gli enti locali commissariati (art. 9, comma 3-ter, lett. a), d.l. 185/2008) e le regioni sottoposte ai piani di rientro dai deficit sanitari (art. 9, comma 3-ter, lett. b), d.l. cit., ove sono previste alcune minime eccezioni). In entrambi i casi, la violazione è sanzionata con la nullità della certificazione rilasciata, ma se si può apprezzare i profili di opportunità e fondatezza della prima ipotesi (sebbene non con riguardo ai crediti rientranti nella gestione commissariale), non altrettanto può dirsi per la seconda, che si inserisce in un quadro di acuita difficoltà per gli imprenditori operanti nel settore sanitario, a cui in quest’ultimo periodo hanno recato ulteriore detrimento altre previsioni temporanee sul divieto di avvio o prosecuzione di azioni esecutive nei confronti di ASL ed ospedali e sull’impignorabilità delle rimesse finanziarie ad essi destinate31.

A dire il vero, si dubita anche che la nullità possa essere configurata come vizio della certificazione emessa dagli enti che versano nelle situazioni descritte.

Per spiegare tale conclusione, è tuttavia necessario addentrarsi nell’esame della natura e della funzione svolta dalla certificazione di cui parla l’art. 9, comma 3-bis, d.l. cit.. Invero, sembra da escludersi che la dichiarazione resa dall’amministrazione sia frutto dell’esercizio di un qualsivoglia potere autoritativo, come anche il fatto che essa possa alterare in qualche modo la situazione giuridica facente capo alla parte privata o il rapporto con essa. Una volta verificato che il credito vantato è certo, liquido, esigibile e non prescritto dietro istanza dell’interessato32 (utilizzando le procedure di verifica prescritte dall’art. 48-bis d.p.r. 602/197333 sull’effettuazione di pagamenti da parte della P.A., se l’importo del credito è superiore a 10.000 €34), l’amministrazione non può fare altro che attestarlo. Viceversa, se manchi uno di tali presupposti, se ne deve segnalare le cause di insussistenza o di inesigibilità (art. 2, comma 2, primo periodo, d.m. 22 maggio 2012 ed all. n. 2 e 2-bis; art. 3, comma 2, d.m. 25 giugno 2012 ed all. n. 2 e 2-bis). In queste due situazioni, comunque, l’attività dichiarativa dell’ente certificante è necessitata e si riduce ad una mera conferma dell’esistente, debitamente incorporata in un documento che potrà essere usato dall’imprenditore secondo le sue intenzioni. Cosicché, qualora il credito sia attestato come certo, liquido, esigibile e non prescritto, sembra preferibile ritenere che la certificazione, anche alla luce della predefinizione dei suoi contenuti (cfr. all. n. 2 e 2-bis del d.m. 22 maggio 2012; all. n. 2 e 2-bis del d.m. certificazione), debba essere qualificata alla stregua di una confessione stragiudiziale (art. 2730 c.c.), con tutti gli effetti che ne derivano sul piano probatorio35. Allorché, invece, tale attestazione non vi sia, quella resa dall’amministrazione con la sua comunicazione di contenuto negativo è una mera dichiarazione di scienza.

A questi contenuti della certificazione se ne accompagna un altro, non imposto dalla legge, bensì dal d.m. 22 maggio 2012 (all. n. 2 e 2-bis), e consistente nell’indicazione del periodo temporale entro il quale si procederà al pagamento (comunque non oltre 12 mesi dalla data dell’istanza di certificazione)36. Considerato, peraltro, che nel certificato è sempre presente una descrizione del rapporto da cui trae origine il diritto di credito, pare ragionevole concludere che l’impegno così assunto dall’amministrazione sia da qualificare come una promessa di pagamento titolata37 (art. 1988 c.c.).

Ove si condividesse quanto sin qui sostenuto, risulterebbe pertanto chiaro come sia inappropriato parlare di nullità in relazione a queste particolari certificazioni nei casi in cui è fatto divieto di rilasciarle, dovendosene tutt’al più predicare l’inefficacia. Si è del parere, inoltre, che l’inefficacia colpisca inoltre anche quelle certificazioni rese senza che siano osservate le norme sul patto di stabilità.

Oltre a questi due possibili esiti dell’accertamento da parte dell’amministrazione, ve n’è un terzo, che può provocare l’estinzione (totale o parziale) delle ragioni del creditore richiedente. Essa si verifica quando, a seguito dell’adozione delle procedure di cui all’art. 48-bis d.p.r. 602/1973, risulti che il privato è inadempiente all’obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento di importo complessivamente pari ad almeno 10.000 € verso l’amministrazione certificante; in tal caso, l’ente è legittimato ad effettuare una compensazione ed a rilasciare una certificazione soltanto per l’importo pari all’eccedenza tra crediti e debiti favorevole al creditore privato38 (art. 2, comma 5, d.m. 22 maggio 2012; art. 3, comma 6, d.m. certificazione). Similmente alle ipotesi sopra descritte, la certificazione produce effetti esclusivamente privatistici, con la conseguenza che ogni possibile vizio dell’atto potrà essere impugnato solo di fronte all’autorità giudiziaria ordinaria.

Al di là degli effetti che qui si è cercato di ascrivere alle eterogenee fattispecie costrette nell’angusta ed impropria denominazione di certificazione, non si crede possibile ricondurvi altresì quelli propri dell’adesione ex art. 70, comma 3, r.d. 2440/1923, né quelli dell’accettazione ex art. 1264, comma 1, c.c. (nonostante quanto inspiegabilmente prevedono l’art. 6 d.m. 22 maggio 2012 ed i relativi all. n. 2 e 2-bis, nonché l’art. 7 d.m. certificazione ed i relativi all. n. 2 e 2-bis)39. Infatti, non solo lo scopo per cui la certificazione è richiesta dal creditore è ignoto e comunque indifferente per l’amministrazione che dovrà rilasciarla, ma che il suo ottenimento costituisca un tassello di una più articolata operazione di cessione dei crediti è solo una delle eventualità che potrebbero verificarsi, come si può dedurre dal fatto che nella legge sia consapevolmente adoperata la locuzione “anche al fine di consentire la cessione” (art. 9, comma 3-bis, primo periodo, d.l. cit.)40. Resta così anche irrilevante che la cessione si realizzi a favore di “banche ed intermediari finanziari riconosciuti dalla legislazione vigente”41 pro soluto o pro solvendo42, mentre nel testo originario il solo riferimento alla cessione pro soluto risultava effettivamente limitante per gli imprenditori privati ed in altra sede se ne era rilevata l’incompletezza.

In ogni caso, per la cessione dei crediti assistiti da certificazione è comunque prescritto il rispetto dell’art. 117 d.lgs. 163/2006 (art. 9, comma 3-bis, terzo periodo, d.l. cit.), il che vale ad escludere definitivamente che la certificazione possa prendere il posto di un’eventuale dichiarazione di adesione, o che – contrariamente a quanto illegittimamente previsto dal d.m. 22 maggio 2012 e dal d.m. certificazione – possa contenere un’accettazione preventiva della cessione, non presentando peraltro né la forma, né i contenuti di tali atti.

Viene a questo punto spontaneo chiedersi perché un imprenditore non dovrebbe puramente e semplicemente rinunciare alla certificazione ed avvalersi soltanto del silenzio-assenso di cui all’art. 117, comma 3, d.lgs. 163/2006, il quale è per giunta di più spedita ed agevole realizzazione. Infatti, mentre quest’ultimo si può perfezionare in 45 giorni rendendo la cessione dei crediti efficace verso l’amministrazione interessata, la certificazione, nonostante debba43 essere resa entro il termine di 30 giorni44, fornisce al privato soltanto un’attestazione circa il suo diritto di credito, senza che si producano altri effetti per gli enti coinvolti oltre a quelli prima descritti.

Non solo, al fine di presidiare l’effettività dell’obbligo di rilasciare la certificazione (e quasi a voler rafforzare l’impressione che essa abbia una qualche utilità), il legislatore ha predisposto un particolare procedimento suscettibile di allungare ulteriormente i tempi ed a sua volta non privo di criticità. L’art. 9, comma 3-bis, secondo periodo, d.l. cit. prevede in effetti che decorsi inutilmente i 60 giorni, “su nuova istanza del creditore, provvede la Ragioneria territoriale dello Stato competente per territorio, che, ove necessario, nomina un commissario ad acta con oneri a carico dell’ente territoriale”45. In proposito, sono stati già adombrati dubbi circa il rispetto delle norme di cui all’art. 120, commi 2 e 3, Cost. di questo particolare procedimento: a prescindere dalla sua facoltatività, le modalità dell’esercizio del potere sostitutivo da parte della Ragioneria territoriale, infatti, non sembrano rispettare le garanzie procedimentali da assicurarsi all’ente sostituito, al quale dovrebbe essere previamente rivolta una diffida all’adempimento degli atti del proprio ufficio con la fissazione di un termine apposito. Solo il vano spirare del termine legittimerebbe allora la nomina del commissario ad acta46, ma nulla di tutto ciò è previsto, né sono esplicitate le ragioni giustificative (art. 120, comma 2, Cost.) di un intervento del genere47, né tantomeno sembrano essere rispettati i principi di sussidiarietà e proporzionalità.

Conclusivamente, merita ogni censura l’ultimo periodo dell’art. 9, comma 3-bis, d.l. cit., che riesce ad essere al contempo ridondante e confuso; ciò in quanto, per un verso, la norma richiama delle specifiche disposizioni della legge sulla cessione dei crediti d’impresa, le quali sarebbero di per sé già applicabili in base al rinvio all’art. 117 d.lgs. 163/2006 effettuato nel periodo precedente48, mentre, per l’altro, non si riesce a fornire una plausibile spiegazione dell’inciso iniziale concernente l’efficacia liberatoria dei pagamenti effettuati dal debitore ceduto. Se si tentasse di chiarirne il senso interpretandolo congiuntamente ai richiami alla l. 52/1991, non si migliorerebbe la situazione, poiché i pagamenti considerati negli articoli citati sono quelli effettuati dal factor-cessionario in favore dell’imprenditore cedente, e non di sicuro quelli realizzati dal debitore ceduto. Se viceversa si volesse riconoscere in questo passaggio un’eccezione ai principi degli artt. 1188 e 1189 c.c., si giungerebbe all’abnorme ed inaccettabile conclusione che amministrazioni statali, enti pubblici nazionali, enti del servizio sanitario nazionale, regioni ed enti locali possono eseguire pagamenti al cedente o al cessionario sempre assistiti da efficacia liberatoria.

5. L’accidentato percorso che si è sin qui seguito purtroppo conduce a delle riflessioni tutt’altro che rassicuranti sullo stato in cui versa la qualità della tecnica legislativa di interventi normativi anche di notevole importanza per la nostra società e la nostra economia, per non parlare della (ir)ragionevolezza di quella anomalia sempre più opinabile ed infondata costituita dall’ormai ponderosa disciplina speciale della cessione dei crediti verso la P.A.. Gli sforzi interpretativi volti a ricondurre a sistema quei privilegi così risalenti da essere quasi atavici hanno potuto conseguire qualche risultato finché l’assetto normativo circostante ha conservato una relativa stabilità, ma ora il rapporto tra regola e deroghe è in procinto di sfumare sull’orlo di una pericolosa terra di nessuno in cui il legislatore si avventura frequentemente per esibire al suo ritorno creature sempre più strane e deformi, impossibili da classificare prima ancora che da valutare.

Ogni spedizione è stata accompagnata da enfatici proclami ed annunci di rimedi alla situazione di favore sempre più intollerabile di cui godono lo stato e le sue amministrazioni, ma sembra che sia davvero impossibile scalzare quelle eccezioni che avevano affondato le loro radici nell’ordinamento prima ancora del nostro primo codice civile unitario e che, anziché ritrarsi, crescono col passare del tempo. Ogni nuova riforma “epocale” non ha fatto altro che alzare un po’ di più l’asticella da superare per poter trasferire il proprio diritto di credito49. Eppure, è ormai così remoto il periodo in cui era possibile confidare nell’idea di una P.A. solerte, efficiente e, soprattutto, solvibile, che risulta davvero difficile condividere l’inveterata giustificazione fornita per il suo privilegio.

Se un rischio di depauperamento può provenire al creditore della pubblica amministrazione, è proprio quest’ultima ad esserne oggi la fonte principale, sia per la crescente farraginosità e disorganizzazione del suo operare, sia per la sua ormai estrema illiquidità, sia per una non infrequente miscela di disinteresse e corruttele. Non si può certo imputare miriadi di opere incompiute o di servizi che repentinamente cessano di essere erogati all’iniziativa di imprenditori che hanno tentato di convertire crediti di realizzazione sempre più incerta in disponibilità attuali, o che hanno almeno cercato di razionalizzare l’imprevedibile flusso di reddito in entrata rispetto a quello certo e costante in uscita attraverso le varie operazioni finanziarie concepite per questi scopi.

Tutti i vincoli che continuano ad inibire l’autonomia negoziale e le potenzialità gestionali degli imprenditori, dei liberi professionisti e di molti altri soggetti risultano assurdamente anacronistici nello specchio dell’odierna crisi economica e finanziaria50. Se proprio non si riuscisse ad imporre una regolarizzazione ed una significativa accelerazione dei pagamenti da parte dell’amministrazione (come pure è stato fatto in altri stati europei), l’obiettivo minimo – ed invero di facile realizzazione – dovrebbe essere quello di rimuovere ogni ostacolo alla cedibilità dei crediti, consegnando agli interessati la valutazione sulle modalità di finanziamento della propria attività.

Se, infine, ritenere che la scelta consapevole degli operatori economici possa sempre realizzare la migliore allocazione possibile delle risorse è forse un atteggiamento che rasenta il fideismo, lasciare che questo potere decisionale continui ad essere interamente rimesso alle paternalistiche mani pubbliche sarebbe un errore certo ancor più pericoloso.

Indicazioni bibliografiche minime: Bosetti(a cura di), Le modificazioni soggettive del rapporto obbligatorio, in Nuova giur. dir. civ. comm. Bigiavi, Torino, 2010, p. 85 ss., 249 s., 252 ss.; Bussani, I contratti moderni, in Tratt. Sacco, IV, Torino, 2004, p. 138 ss.; Id., Infantino, Cessione del credito e factoring, Milano, 2006, p. 397 ss.; Cianflone, Giovannini, L’appalto di opere pubbliche12, Milano, p. 1732 ss.; Dapas, Commento all’art. 117 d.lgs. 163/2006, in Codice degli appalti pubblici4, a cura di Garofoli e Ferrari, Roma, p. 1220 ss.; Dolmetta, Cessione dei crediti, in Dig. disc. priv., sez. civ., II, Torino, 1987, p. 311 ss.; Id., Portale, Cessione del credito e cessione in garanzia nell’ordinamento italiano, in Banca, borsa, tit. cred., I, 1999, p. 80, 91 94; Fino, Commento all’art. 117 d.lgs. 163/2006, in Commentario breve alla legislazione sugli appalti pubblici e privati2, a cura di Carullo e Iudica, Padova, 2012, p. 905 ss.; Fischione, La cessione del corrispettivo di appalto di lavori pubblici: quadro normativo e considerazioni sull’adesione alla cessione da parte dell’amministrazione, in Arch. giur. oo. pp., 2001, p. 1823 ss.; Id., Note sull’art. 115 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 in materia di cessione del corrispettivo di appalto di lavori pubblici, ivi, 2002, p. 1037 ss.; Id., Primi spunti sulla certificazione dei crediti verso enti pubblici alla luce del decreto ministeriale 19 maggio 2009, 2009, consultabile sul sito www.giustamm.it; Frignani, Factoring, leasing, franchising, venture capital, leveraged buy-out, hardship clause, countertrade, cash and carry, merchandising, know-how, securitization6, Torino, 1996, p. 91 ss.; Frignani, G. Rossi, Il factoring, in Tratt. Rescigno, 11, III, 2a ed., Torino, 2000, p. 109 ss.; Leo, La cessione dei crediti nei confronti della p.a. dopo la legge n. 549/1995, in Contr., 1996, p. 190 ss.; Linguiti, L’esecuzione del contratto. Disposizioni generali del contratto, in Commentario al codice dei contratti pubblici, a cura di Clarich, Torino, 2010, p. 598 ss.; Manzi, La cessione dei crediti derivanti dal contratto, in Tratt. contr. pubbl., V, I settori speciali. L’esecuzione, a cura di M.A.Sandulli, De Nictolis, Garofoli, Milano, 2008, p. 3457 ss.; Marullo di Condojanni, Cessione di credito e pubblica amministrazione, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2005, p. 1285 ss.; Passalacqua, La legge di stabilità, in Giorn. dir. amm., 2012, p. 121 ss.; Perlingieri, Della cessione dei crediti (artt. 1260-1267), in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1982, p. 64 ss.; Id., Le cessioni dei crediti ordinari e “d’impresa”. Nozioni, orientamenti giurisprudenziali e documenti, Napoli, 1993, p. 40 ss.; Sciumè, Commento all’art. 117 d.lgs. 163/2006, in Codice dei contratti pubblici, Milano, 2007, p. 1125 ss.; Vernile, La cessione dei crediti verso le pubbliche amministrazioni e il sistema delle certificazioni nell’ottica degli interventi anticrisi, 2009, disponibile sul sito www.giustamm.it.

1 Il presente articolo costituisce una rielaborazione aggiornata e corredata di una nota bibliografica della relazione presentata al Convegno “Modi di estinzione delle obbligazioni pecuniarie nell’attività notarile”, organizzato dal Comitato Regionale Notarile della Calabria e svoltosi a Santa Trada di Cannitello il 22 ed il 23 giugno 2012.

2 Si segnala che la vigenza di tale norma è stata oggetto di sollecita cura da parte del legislatore, il quale si è zelantemente premurato di conservarla in vigore con il d.lgs. 179/2009 – all. 1, parte 1…senza, peraltro, averla mai abrogata. Viceversa, essendo stato abrogato dall’art. 231 d.p.r. 554/1999, è venuto completamente meno l’art. 339, all. F, l. 2248/1865, il quale sostanzialmente estendeva all’ambito delle opere pubbliche quanto disposto dall’art. 9, all. E, stabilendo che “è vietata qualunque cessione di credito e qualunque procura, le quali non siano riconosciute” (si ricorda che il primo periodo di tale norma – sul divieto di cedere o subappaltare l’opera assunta senza l’autorizzazione dell’autorità competente – era già stato soppresso per sostituzione ad opera dell’art. 22, comma 2-ter, d.l. 152/1991).

3 Per comodità del lettore, si riportano di seguito i testi delle disposizioni citate: a) “1. Le cessioni, le delegazioni, le costituzioni di pegno, i pignoramenti, i sequestri e le opposizioni relative a somme dovute dallo Stato, nei casi in cui sono ammesse dalle leggi, debbono essere notificate all’amministrazione centrale ovvero all’ente, ufficio o funzionario cui spetta ordinare il pagamento. 2. La notifica rimane priva di effetto riguardo agli ordini di pagamento che risultino già emessi. Potrà, per altro, il creditore fare tale notificazione all’ufficiale, tesoriere o agente incaricato di eseguire il pagamento degli ordini o di effettuare la consegna degli assegni di cui all’art. 54, lettera a). 3. Le cessioni, le delegazioni, le costituzioni di pegno e gli atti di revoca, rinuncia o modificazione di vincoli devono risultare da atto pubblico o da scrittura privata, autenticata da notaio” (art. 69, commi 1, 2, 3); b) “1. Gli atti considerati nel precedente articolo 69, debbono indicare il titolo e l’oggetto del credito verso lo Stato, che si intende colpire, cedere o delegare. 2. Con un solo atto non si possono colpire, cedere o delegare crediti verso amministrazioni diverse. 3. Per le somme dovute dallo Stato per somministrazioni, forniture ed appalti, devono essere osservate le disposizioni dell’art. 9, allegato E, della legge 20 marzo 1865, n. 2248, e degli articoli 351 e 355, allegato F, della legge medesima” (deve evidenziarsi che il rinvio a questi ultimi due articoli sia da ritenersi implicitamente venuto meno, in quanto essi sono stati abrogati dall’art. 256, comma 1, d.lgs. 12.4.2006, n. 163).

4 L’enunciazione di questa ratio in giurisprudenza è ormai tralatizia, potendosene riscontrare una prima occorrenza già in Cass. 439/1946, in Foro it., 1947, I, c. 481 ss., secondo la quale l’amministrazione “può autorizzare la cessione quando con potere discrezionale riconosca che nessun nocumento sia per derivare all’andamento perfetto dell’opera o che la cessione sia fatta per facilitare i pagamenti da farsi dall’appaltatore per l’esecuzione dell’opera”.

5 Pubblicata in Corr. giur., 2007, 378 ss., con nota di S. Morelli.

6 Merita comunque d’essere riportato il testo di altra decisione (Cass. 4556/1998, in CED Cassazione) nell’ambito della quale è stato escluso un simile obbligo in capo al notaio in una fattispecie analoga: “L’affermazione di questa Corte, secondo la quale l’incarico al professionista comprende lo svolgimento da parte sua delle attività accessorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti, va intesa, allorché si tratti di attività successive all’atto da redigere, nel senso che queste debbano concernere le condizioni di validità e perfezione dell’atto: e cioè le condizioni necessarie perché l’atto possa realizzare il suo scopo tipico.

L’incarico pertanto, se può estendersi fino a comprendere attività che attengano all’efficacia dell’atto erga omnes la quale sia ottenibile mediante strumenti specifici e predeterminati legislativamente quali la trascrizione o la iscrizione in pubblici registri – e ciò perché tali strumenti sono necessari perché l’atto raggiunga appieno il suo scopo tipico – non può estendersi fino a comprendere l’efficacia dell’atto nei confronti di un determinato soggetto, a meno che questa non concreti l’unico scopo cui l’atto è destinato e che lo strumento per ottenerla non costituisca l’unico possibile.

Queste ipotesi non ricorrono nella specie: a) perché scopo tipico della cessione è il trasferimento del credito, laddove la notifica della stessa ha lo scopo – ulteriore a quello ora indicato – di rendere il ceduto responsabile del pagamento nei confronti del cessionario: ne costituisce riprova il fatto che il pagamento al cedente anteriormente alla notifica non libera il ceduto se il cessionario prova che esso (ceduto) era a conoscenza della cessione (art. 1264 secondo comma, c.c.) b) perché la notifica può essere: richiesta dal cedente anche personalmente realizzata da costui anche non tramite ufficiale giudiziario; sostituita dall’accettazione da parte del ceduto.

Consegue che, conferito al notaio l’incarico di redigere un atto di cessione, la notifica della stessa al debitore ceduto non può considerarsi attività doverosa, il cui mancato espletamento fondi la responsabilità per colpa lieve ai sensi dell’art. 1176, secondo comma c.c..[…]

Non sussiste violazione dell’art. 1176 c.c. perché la mancanza, per le ragioni indicate nell’esame del precedente motivo, di obbligo di provvedere alla notifica non può non importare la mancanza di obbligo di informare della necessità della stessa il cliente”.

7 In questo senso si è pronunciata la giurisprudenza nettamente preponderante: Cass. 18610/2005, in Foro amm. CDS, 2006, p. 757 ss., ove anche per un accurato excursus storico sulla produzione normativa ed ampia argomentazione in merito alla portata generale delle norme citate nel testo; Cass. 13481/2002, in CED Cassazione; Cass. 981/2002, in CED Cassazione; Cass. 15153/2000, in Foro it., 2001, I, c. 2291 ss.; Cass. 13261/2000, in Urb. e appalti, 2001, p. 389 ss., con nota di G. De Marzo; Cass. 13075/2000, in CED Cassazione; Cass. 7020/1997, in CED Cassazione; Cass. 11041/1996, in CED Cassazione; Cass. 9789/1994, in Rass. avv. st., 1994, I, 3, p. 483 ss., con nota redazionale. Contra, Cass. 17496/2008, in CED Cassazione.

8 Sul punto, v. Cass. 7020/1997, cit..

9 Cfr. in particolare Cass. 9789/1994, cit., per la quale “l’inefficacia della cessione (priva della adesione dell’amministrazione interessata) sussiste sino a quando il contratto è «in corso», onde cessa con la conclusione del rapporto contrattuale. A tal proposito si è parlato, in dottrina, di «inefficacia provvisoria» della cessione”.

10 Già con la meditata sent. 3887/1975, in Giur. it., 1977, I, 1, 126 ss., la Cassazione aveva compiutamente analizzato la funzione dell’art. 69, comma 3, r.d. 1923/2440 sostenendo che “il testo letterale della norma in questione, non soltanto non commina espressamente la nullità dell’atto, ma pone l’accento sulla necessità che la cessione risulti da atti aventi una determinata forma, non che siano fatti in un determinato modo (secondo l’espressione usata, invece, dall’art. 1314 del vecchio c.c. per gli atti che devono essere rivestiti ad substantiam di una determinata forma), sembrando così dare più rilievo alla possibilità di provare l’atto medesimo nei confronti della P.A., che non alla validità del rapporto sostanziale posto in essere tra privati” (corsivo aggiunto). Analogamente, anche in tempi più remoti, v. Cass. 362/1963, in Gius. civ., 1963, I, p. 1911 ss.; Cass. 439/1946, cit.. Più recentemente, il percorso argomentativo iniziato con la sentenza prima ricordata è stato chiuso da Cass. 15153/2000, cit., la quale ha ritenuto che l’intervenuta accettazione della P.A. consentisse lo spiegarsi dell’efficacia anche ad una cessione stipulata senza ottemperare agli oneri formali dell’art. 69, comma 3, r.d. cit. ed ha affermato: “Ove si consideri, allora, che i requisiti di forma di cui discute servono a «provare l’atto medesimo nei confronti della pubblica amministrazione» ceduta e che – com’è assolutamente prevalente opinione anche della dottrina – l’accettazione della cessione del credito di cui all’art. 1264, comma 1, c.c. ha natura ricognitiva della sussistenza del debito, si coglie come la conclusione che si avversa finisce col far leva su un’esigenza probatoria ormai superata dall’accettazione e si pone anche in contrasto con le conseguenze che l’art. 1988 c.c. ricollega, proprio sul piano probatorio, alla ricognizione di debito, dispensando colui a favore del quale è fatta dall’onere di provare il rapporto fondamentale”.

11 L’atto con il quale l’ente interessato concede o rifiuta l’adesione riveste natura prettamente privatistica e non amministrativa: TAR Lazio, Roma, 22 maggio 2002, n. 4566, reperibile sul sito http://www.giustizia-amministrativa.it. Deve così ritenersi che il rifiuto non possa essere arbitrario ed immotivato, ma debbano essere giustificate le esigenze che escludono l’efficacia della cessione o in ragione di vicende concernenti l’esistenza e l’ammontare del diritto di credito, o in funzione della realizzazione dell’opera o della continuità della somministrazione. Se l’amministrazione si sottraesse a tali obblighi derivanti dai principi espressi dagli artt. 1175 e 1375 c.c., deve ritenersi che sia responsabile dei danni da ciò derivanti.

12 Così: Cass. 2665/2008, in Guida dir., 2008, n. 19, p. 55 ss.; Cass. 2541/2007, in CED Cassazione; Cass. 2209/2007, in Foro amm. CDS, 2007, p. 1363 ss.; Cass. 18610/2005, cit.; Cass. 15153/2000, cit.; Cass. 13075/2000, cit.; Trib. Milano, 10 giugno 1996, in Gius., 1997, p. 646.

13 In proposito, vale la pena ricordare che per l’appalto d’opere pubbliche tale momento coincide con la approvazione del collaudo o con la scadenza del termine per effettuarla (in caso di inerzia dell’amministrazione committente). Il principio della postnumerazione del corrispettivo (art. 1665, comma 5, c.c.) è comunque puramente dispositivo ed è derogato sia nelle leggi speciali (v. gli artt. 141 ss. d.p.r. 207/2010), che da previsioni contrattuali, una delle più ricorrenti delle quali consiste nel fatto che se l’opera è suscettibile di esecuzione frazionata, l’avvenuto collaudo delle singole parti rende esigibile il relativo credito (per un caso, v. Cass. 13768/2007, in CED Cassazione, a cui si rinvia anche per una rassegna ragionata di altre pronunce e per un’approfondita analisi della funzione del collaudo). Viceversa, la previsione del pagamento di acconti legati a determinati stati d’avanzamento di lavori senza che vi sia alcuna verifica o collaudo non rappresenta in alcun modo un’implicita accettazione dell’opera e quindi l’amministrazione può legittimamente rifiutarsi di aderire all’eventuale cessione. In argomento, v. Cass. 11475/2008, in Foro amm. CDS, 2008, p. 1390 ss.; Cass. 268/2006, in Guida dir., 2006, n. 13, p. 86 ss.; Cass. 2541/2007, cit.; Cass. 2209/2007, cit.; Cass. 18610/2005, cit.; Cass. 13223/2003, in Foro amm. CDS, 2003, p. 2518 ss.; Cass. 13261/2000, cit.; Cass. 13075/2000, cit..

In presenza di una diversa fattispecie, giunge conseguentemente ad altra conclusione Cass. 981/2002, cit., secondo cui “il divieto di cessione senza l’‘adesione’ della p.a. si applica, in definitiva, solo ai rapporti di durata come l’appalto e la somministrazione (o fornitura), solo rispetto ai quali il legislatore ha ravvisato, in deroga al principio generale della cedibilità dei crediti anche senza il consenso del debitore (art. 1260 c.c.), l’esigenza di garantire con questo mezzo la regolare esecuzione, evitando che, durante la medesima, possano venir meno le risorse finanziarie al soggetto obbligato e così possa essere compromessa l’ulteriore, regolare prosecuzione del rapporto […]; e non pure a un contratto, non di durata ma ad esecuzione istantanea, come quello di cui si discute, che è un’ordinaria compravendita.

La cessione di credito di cui si controverte, pertanto, non richiede il requisito dell’‘adesione’ della p.a. (atto equipollente al ‘riconoscimento’ di cui all’art. 339 della legge sui lavori pubblici, costruito dalla giurisprudenza come un requisito estrinseco alla cessione, come un’autorizzazione che rende la cessione, già perfetta tra le parti, efficace nei confronti della p.a.; e dunque come un atto negoziale, una manifestazione di volontà, frutto di un apprezzamento discrezionale, come tale di competenza degli organi deliberanti dell’Ente); ma soggiace, in tutto e per tutto (salvo che per la forma prevista dall’art. 69, 3° comma del R.D. n. 2440 del 1923, che nella specie non è in contestazione), all’ordinaria disciplina codicistica” (corsivi aggiunti). V. anche TAR Lazio, Roma, 15 gennaio 2001, n. 170, disponibile sul sito http://www.giustizia-amministrativa.it; Trib. Roma, 18 aprile 1988, in Foro it., 1988, I, c. 2704.

14 Valga sul punto l’argomentazione di portata generale di cui si è avvalsa Cass. 4774/1998, in Contr., 1999, p. 559 ss., con nota di C. Leo: la S.C., osservando che “l’identico termine usato dal legislatore non può essere interpretato come «comunicato in qualunque modo» ai fini dell’art. 1264 c.c. e come «notificato per ufficiale giudiziario» ai fini degli artt. 1265 e 2914, n. 2 c.c.”, ha significativamente statuito che “l’elemento essenziale considerato da queste due ultime norme […] è costituito dal fatto che risultino da atto avente data certa anteriore al pignoramento la comunicazione della cessione al debitore ceduto o l’accettazione della stessa da parte di quest’ultimo ovvero anche il pagamento del credito dal debitore al cessionario, senza che occorra necessariamente la notificazione di un atto a mezzo di ufficiale giudiziario”.Già a partire da Cass., 362/1963, cit., ha preso piede l’orientamento secondo cui la notificazione può concretarsi in qualsivoglia atto idoneo a porre il debitore nella consapevolezza della mutata titolarità attiva del rapporto obbligatorio.

15 In questa sede è il caso di ricordare che nella medesima stagione sono entrati in vigore anche gli artt. 43-bis e 43-ter d.p.r. 602/1973 (inseriti con l. 549/1995) in materia di cessione di crediti d’imposta e di cessione delle eccedenze nell’ambito del gruppo. La libera cedibilità dei crediti fiscali, in precedenza vivacemente dibattuta, aveva trovato il suo iniziale appiglio normativo nell’art. 5, comma 4-ter, d.l. 70/1988, convertito con modifiche con la l. 154/1988, con una norma espressamente concernente i soli crediti IVA, ma di seguito estesa interpretativamente a tutti crediti tributari, anche in considerazione della mancanza di un generale divieto di cessioni di crediti verso la P.A..

Con le due disposizioni prima citate giunge la definitiva consacrazione normativa. Nella prima, si sancisce l’applicazione degli artt. 69 e 70 r.d. 1923/2440 in materia, si introduce un’ipotesi di incedibilità a carico del cessionario, viene instaurato un vincolo di solidarietà tra cessionario e contribuente cedente e, da ultimo, sono descritte le modalità della notificazione all’amministrazione. Nella seconda, invece, senza alcuna plausibile giustificazione (se non forse quella di incentivare l’accentramento del servizio di tesoreria nei gruppi di società), l’osservanza degli artt. 69 e 70 r.d. 1923/2440 è espressamente esclusa, considerandosi sufficiente ai fini dell’efficacia della cessione delle eccedenze nei confronti dell’amministrazione finanziaria che l’ente o società cedente indichi nella dichiarazione gli estremi dei soggetti cessionari e gli importi ceduti a ciascuno di essi. Nel d.m. 384/1997 di attuazione sono dettate ulteriori prescrizioni, quali, ad esempio, per le fattispecie ex art. 43-bis, l’inscindibilità del credito oggetto di cessione (art. 1, commi 2 e 3), mentre per le fattispecie ex art. 43-ter sono rigidamente definite le modalità d’impiego delle eccedenze cedute.

16 Questo era il testo della disposizione citata: “1. Ai sensi dell’articolo 26, comma 5, della Legge [il riferimento era alla l. 109/1994, n.d.a.], le cessioni di crediti vantati nei confronti delle amministrazioni pubbliche a titolo di corrispettivo di appalto possono essere effettuate dagli appaltatori a banche o intermediari finanziari disciplinati dalle leggi in materia bancaria e creditizia, il cui oggetto sociale preveda l’esercizio dell’attività di acquisto di crediti di impresa. 2. La cessione deve essere stipulata mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata e deve essere notificata all’amministrazione debitrice. 3. La cessione del credito da corrispettivo di appalto è efficace ed opponibile alla pubblica amministrazione qualora questa non la rifiuti con comunicazione da notificarsi al cedente ed al cessionario entro quindici giorni dalla notifica di cui al comma 2. 4. L’amministrazione pubblica, al momento della stipula del contratto o contestualmente, può preventivamente riconoscere la cessione da parte dell’appaltatore di tutti o di parte dei crediti che devono venire a maturazione. 5. In ogni caso, l’amministrazione ceduta può opporre al cessionario tutte le eccezioni opponibili al cedente in base al contratto di appalto”.

17 Limitandoci solo ad evocare tale problematica ormai superata, veniva in considerazione la restrizione della portata applicativa della l. 109/1994 (“crediti verso le pubbliche amministrazioni derivanti da contratti di appalto di lavori pubblici, di concessione di lavori pubblici e da contratti di progettazione nell’ambito della realizzazione di lavori pubblici”) operata nell’art. 115, comma 1, d.p.r. 554/1999 (“crediti vantati nei confronti delle amministrazioni pubbliche a titolo di corrispettivo di appalto”) senza che la potestà regolamentare rimessa al governo dall’art. 3, comma 1, l. 109/1994 contemplasse la possibilità di un simile intervento limitativo. Inoltre, il testo regolamentare prevedeva una fattispecie di silenzio-assenso non contemplata nella legge di riferimento e comunque in contrasto sia con la disciplina sulla cessione dei crediti d’impresa, sia con quella speciale sulla cessione dei crediti verso pubbliche amministrazioni.

18 Sempre allo scopo di una migliore comprensione dei rilievi formulati di seguito, si riporta il testo vigente dell’articolo citato: “1.Le disposizioni di cui alla legge 21 febbraio 1991, n. 52, sono estese ai crediti verso le stazioni appaltanti derivanti da contratti di servizi, forniture e lavori di cui al presente codice, ivi compresi i concorsi di progettazione e gli incarichi di progettazione. Le cessioni di crediti possono essere effettuate a banche o intermediari finanziari disciplinati dalle leggi in materia bancaria e creditizia, il cui oggetto sociale preveda l’esercizio dell’attività di acquisto di crediti di impresa. 2.Ai fini dell’opponibilità alle stazioni appaltanti che sono amministrazioni pubbliche, le cessioni di crediti devono  essere stipulate mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata e devono essere notificate alle amministrazioni debitrici. 3. Le cessioni di crediti da corrispettivo di appalto, concessione, concorso di progettazione, sono efficaci e opponibili alle stazioni appaltanti che sono amministrazioni pubbliche qualora queste non le rifiutino con comunicazione da notificarsi al cedente e al cessionario entro quarantacinque giorni dalla notifica della cessione [il termine è stato così prolungato dai 15 giorni del testo originario, n.d.a.]. 4.Le amministrazioni pubbliche, nel contratto stipulato o in atto separato contestuale, possono preventivamente accettare la cessione da parte dell’esecutore di tutti o di parte dei crediti che devono venire a maturazione. 5. In ogni caso l’amministrazione cui è stata notificata la cessione può opporre al cessionario tutte le eccezioni opponibili al cedente in base al contratto relativo a lavori, servizi, forniture, progettazione, con questo stipulato”.

19 Apparentemente tale termine dovrebbe essere interpretato in base ai criteri dell’art. 12 disp. prel. c.c. in logica e testuale connessione con quanto si desume dai commi 2, 3 e 4 e ad essi assimilato, se non che ciò provoca l’aberrante risultato di consentire solo alle stazioni appaltanti facenti capo alla P.A. di sollevare tutte le eccezioni opponibili al cedente. Pertanto, non può che concludersi che l’art. 117, comma 5, d.lgs. 163/2006 non faccia altro che esprimere sia pure in maniera letteralmente scorretta un principio di carattere assolutamente generale ed in quanto tale applicabile a tutte le stazioni appaltanti, a prescindere da quale sia la loro natura.

20 Anche se stipulato nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata, come invariabilmente rispetto al passato richiede l’art. 117, comma 2, d.lgs. cit..

21 In questo senso, Cass. 2007/19571, in Foro it., 2009, I, c. 896 ss., la cui massima ufficiale – ben sintetizzando i contenuti della sentenza – recita: “L’art. 26, comma 5, della legge n. 109 del 1994, abrogato dall’art. 256 d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, ma applicabile ratione temporis, che estendeva ai crediti verso le pubbliche amministrazioni derivanti da contratti di appalto di lavori pubblici le previsioni della legge n. 52 del 1991, derogatorie rispetto alla disciplina comune prevista dal codice civile ed applicabili a condizione che il cessionario fosse una banca od un intermediario finanziario, non ha inteso procedere – laddove questa condizione non sussistesse – all’abrogazione delle norme speciali che regolavano in precedenza la cessione dei crediti nei confronti della P.A. e, quindi, rendere applicabile, ex art. 1, comma 2, legge n. 52 cit., la comune disciplina codicistica in tema di cessione di crediti, continuando ad essere applicabile la normativa speciale di cui all’art. 9 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, All. E, nonché, trattandosi di contratto della P.A., quella di cui agli artt. 69 e 70 r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 (la S.C. è pervenuta a tali conclusioni anche sulla base dell’art. 117 d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, Codice dei contratti pubblici, il quale confermando la cedibilità dei crediti nei confronti della P.A. derivanti dall’esecuzione di appalti per lavori pubblici, ribadisce la necessità che il cessionario sia un’impresa qualificata e, per l’eventualità che il cessionario non sia in possesso dei prescritti requisiti, non prevede l’applicabilità delle norme generali del codice civile)”. V. anche Trib. Savona, 8 giugno 2009, consultabile sul sito http://dejure.giuffre.it, che però conclude per la sussistenza della sola inopponibilità se non siano stati rispettati i prescritti requisiti formali.

22 Da comunicare, si ritiene, in forma scritta almeno al cedente.

23 Con l’ulteriore conseguenza che il pagamento effettuato in tale lasso di tempo a favore dell’imprenditore cedente potrebbe essere liberatorio (art. 1188 c.c.).

24 Le disposizioni richiamate prevedono al momento che: “3-bis. Su istanza del creditore di somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti, le regioni e gli enti locali nonché gli enti del Servizio sanitario nazionale certificano, nel rispetto delle disposizioni normative vigenti in materia di patto di stabilità interno, entro il termine di sessanta giorni dalla data di ricezione dell’istanza, se il relativo credito sia certo, liquido ed esigibile, anche al fine di consentire al creditore la cessione pro soluto o pro solvendo a favore di banche o intermediari finanziari riconosciuti dalla legislazione vigente. Scaduto il predetto termine, su nuova istanza del creditore, è nominato un Commissario ad acta, con oneri a carico dell’ente debitore. Detta nomina è effettuata dall’Ufficio centrale del bilancio competente per le certificazioni di pertinenza delle Amministrazioni statali centrali e degli enti pubblici nazionali, o dalla Ragioneria territoriale dello Stato competente per territorio per le certificazioni di pertinenza delle Amministrazioni statali periferiche, delle Regioni, degli enti locali e degli enti del Servizio sanitario nazionale. Ferma restando l’efficacia liberatoria dei pagamenti eseguiti dal debitore ceduto, si applicano gli articoli 5, comma 1, e 7, comma 1, della legge 21 febbraio 1991, n. 52. 3-ter. La certificazione di cui al comma 3-bis non può essere rilasciata, a pena di nullità: a) dagli enti locali commissariati ai sensi dell’articolo 143 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Cessato il commissariamento, la certificazione non può comunque essere rilasciata in relazione a crediti sorti prima del commissariamento stesso. Nel caso di gestione commissariale, la certificazione non può comunque essere rilasciata in relazione a crediti rientranti nella gestione commissariale; b) dagli enti del servizio sanitario nazionale delle regioni sottoposte a piano di rientro dai disavanzi sanitari, ovvero a programmi operativi di prosecuzione degli stessi, qualora nell’ambito di detti piani o programmi siano state previste operazioni relative al debito. Sono in ogni caso fatte salve le certificazioni rilasciate ai sensi dell’articolo 11, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, nonché le certificazioni rilasciate nell’ambito di operazioni di gestione del debito sanitario, in attuazione dei predetti piani o programmi operativi”.

A tali norme si accompagnava il regolamento d’attuazione contenuto nel d.m. 19 maggio 2009, il quale ha cessato di produrre effetti ai sensi dell’art. 13, comma 2, d.l. 185/2008. Questa norma affidava ad un nuovo decreto il compito di attuare le disposizioni recate dall’art. 9, commi 3-bis e 3-ter, d.l. cit., attuazione realizzata con il d.m. 25 giugno 2012 (pubblicato in G.U. il 2 luglio 2012), intitolato “Modalità di certificazione del credito, anche in forma telematica, di somme dovute per somministrazione, forniture e appalti, da parte delle regioni, degli enti locali e degli enti del servizio sanitario nazionale, di cui all’articolo 9, commi 3-bis e 3-ter del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2 e successive modificazioni e integrazioni” (d’ora in avanti, “d.m. certificazione”).

25 Nelle pagine che seguono i termini “certificazione”, “certificato” e “attestazione” sono adoperati fungibilmente, anche se in realtà rappresentano tre diversi concetti nell’ambito del linguaggio proprio del diritto amministrativo: non sembra, infatti, che la certificazione qui trattata sia da considerarsi tale nell’accezione tecnica propria di quella disciplina, come si spiegherà poco oltre.

Si coglie inoltre l’occasione per notare che l’applicazione della certificazione sarebbe stata poi estesa anche all’ambito tributario, con l’introduzione ad opera del d.l. 78/2010 dell’art. 28-quater d.p.r. 602/1973 in materia di compensazione di crediti dei privati con somme da loro dovute a seguito di iscrizione a ruolo. Si veda anche il regolamento attuativo di tale disposizione, ovvero il d.m. 10 febbraio 2011, a cui si è recentemente aggiunto il d.m. 25 giugno 2012 (“Modalità con le quali i crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, maturati nei confronti delle regioni, degli entilocali e degli enti del servizio sanitario nazionale per somministrazione, forniture e appalti, possono essere compensati, con le somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo, ai sensi dell’articolo 31, comma 1-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010 n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122”, d’ora in avanti “d.m. compensazione”).

26 Sembra che siano da escludere i consorzi di enti locali che non svolgono “attività aventi rilevanza economica ed imprenditoriale” ed anche quelli per la gestione dei servizi sociali di cui al secondo comma dell’articolo citato sia perché non partecipano a pieno titolo all’insieme disegnato dal primo comma, ma conoscono soltanto un rinvio all’applicazione della relativa disciplina, sia perché si crede di dover fornire un’interpretazione tendenzialmente restrittiva della disciplina di carattere speciale introdotta con il comma in questione.

27 Questa norma è stata attuata con il d.m. 22 maggio 2012 (pubblicato in G.U. il 21 giugno 2012) in materia di “Modalità di certificazione del credito, anche in forma telematica, di somme dovute per somministrazione, forniture e appalti da parte delle amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici nazionali”, peraltro pressoché sovrapponibile al d.m. certificazione.

28 Tali enti erano stati già inseriti nell’articolo esaminato dall’art. 31, comma 1-ter, d.l. 78/2010, ma soltanto per gli anni 2009 e 2010. La più esatta definizione degli enti che rientrano in tale ambito è fornita dal solo d.m. compensazione, secondo cui “si intendono le aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici, anche se trasformati in fondazioni, le aziende ospedaliere universitarie integrate con il servizio sanitario nazionale, gli istituti zooprofilattici di cui al decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 270” (art. 3, comma 2).

29 Nella normativa secondaria è stato poi aggiunto un ulteriore limite, costituito dalla pendenza di procedimenti giurisdizionali per la medesima ragione di credito (art. 2, comma 3, d.m. 22 maggio 2012, concernente le amministrazioni dello stato e gli enti pubblici nazionali; art. 3, comma 3, d.m. certificazione, riguardante regioni, enti locali ed enti del servizio sanitario nazionale), ma non è specificato quale sia la sanzione in caso di sua violazione. Non solo, dal momento che la sua introduzione non era in alcun modo prevista dal d.l. 185/2008, si crede che sia stata realizzata eccedendo dai poteri conferiti con la delega regolamentare e sia perciò illegittima.

30 Ciò potrebbe comportare un ulteriore ritardo nell’effettuazione dei pagamenti dalle amministrazioni territoriali, proprio per scongiurare il rischio di eccedere i limiti del patto di stabilità, le cui sanzioni al momento risultano più severe e dissuasive rispetto a quelle poste dall’attuale disciplina sui ritardi dei pagamenti.

31 Si vedano a titolo di esempio l’art. 11, comma 2, secondo periodo, d.l. 78/2010 e l’art. 1, comma 51, l. 220/2010. Si può comunque notare che la precedente enunciazione di questo divieto (in cui si faceva un mero riferimento alle regioni sottoposte ai piani di rientro dai deficit sanitari) è stata corretta – anche se non sensibilmente mitigata – in sede della già ricordata conversione del d.l. 52/2012, ove la lett. b) dell’art. 9, comma 3-ter, cit., è stata sostituita con l’attuale.

32 Nella disciplina attuativa e nella relativa modulistica (d.m. 22 maggio 2012, all. n. 1 e 1-bis; d.m. certificazione, all. n. 1 e 1-bis) si incontra, poi, un’altra dichiarazione, resa in questo caso nell’istanza del richiedente, mediante la quale egli si impegna a non cedere a terzi i crediti oggetto di certificazione nelle more del suo rilascio ed “a non attivare procedimenti in sede giurisdizionale con riferimento ai crediti” da certificare “fino alla data che sarà indicata per il pagamento o, nel caso in cui questa non venga indicata, nei 12 mesi successivi alla data di certificazione”. A questa serie di rinunce unilaterali non si fa cenno in alcuna norma di legge:non solo risultano particolarmente gravose per la platea dei potenziali richiedenti, i quali si trovano sostanzialmente “immobilizzati” in attesa della risposta dell’amministrazione, ma si pongono anche in aperta contraddizione con gli stessi obiettivi (dichiaratamente) agevolativi della disciplina sulla certificazione. È pertanto da augurarsi che queste dichiarazioni negoziali siano presto rimosse dagli schemi-tipo di istanza e deve comunque ritenersi medio tempore che l’ottenimento della certificazione non possa essere in alcun modo condizionato a fattori ulteriori rispetto alla certezza, liquidità ed esigibilità del credito.

33 Il testo attualmente vigente di quest’articolo recita: “1. A decorrere dalla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 2, le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e le società a prevalente partecipazione pubblica, prima di effettuare, a qualunque titolo, il pagamento di un importo superiore a diecimila euro, verificano, anche in via telematica, se il beneficiario è inadempiente all’obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento per un ammontare complessivo pari almeno a tale importo e, in caso affermativo, non procedono al pagamento e segnalano la circostanza all’agente della riscossione competente per territorio, ai fini dell’esercizio dell’attività di riscossione delle somme iscritte a ruolo. La presente disposizione non si applica alle aziende o società per le quali sia stato disposto il sequestro o la confisca ai sensi dell’articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, ovvero della legge 31 maggio 1965, n. 575. 2. Con regolamento del Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono stabilite le modalità di attuazione delle disposizioni di cui al comma 1. 2-bis. Con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze, l’importo di cui al comma 1 può essere aumentato, in misura comunque non superiore al doppio, ovvero diminuito”.

Nonostante le sue varie modifiche, l’art. 48-bis ed il relativo regolamento d’attuazione (d.m. 40/2008) hanno creato notevoli problemi alle amministrazioni ed ai concessionari del servizio di riscossione, tanto che si sono resi necessari diversi e corposi interventi esplicativi (circ. MEF, 29 luglio 2008, n. 22; circ. MEF, 8 ottobre 2009, n. 29; circ. MEF, 23 settembre 2011, n. 27), i quali talvolta hanno ulteriormente contribuito ad intensificare le criticità, specie con riguardo alla questione del soggetto nei cui confronti devono essere effettuati gli accertamenti.

34

Deve avvertirsi che tale procedura troverà applicazione anche ogniqualvolta sarà notificata all’amministrazione una cessione del credito ex art. 117 d.lgs. 163/2006 per importi ovviamente superiori alla soglia legale, senza che ciò pregiudichi comunque l’eventuale realizzazione della fattispecie di silenzio-assenso ivi disciplinata.

35 Pertanto essa fa piena prova dei fatti asseverati (artt. 2733, comma 2, e 2735, comma 1, c.c.), a meno che non sia fornita la prova di un errore di fatto determinante o di violenza (art. 2732 c.c.).

36 Per vero, questa indicazione può anche mancare se debitrice è una regione, un ente locale o un ente del s.s.n., con possibile aggravio dei ritardi nell’adempimento delle obbligazioni: “Ai fini del rispetto del patto di stabilità interno il certificato può essere emesso senza data, selezionando l’opzione nell’apposito modello di cui all’allegato 2” (art. 2, comma 2, d.m. certificazione).

37 Ciò, come noto, comporta sul piano probatorio che sia l’ente debitore ad essere gravato dell’onere di provare l’inesistenza, l’estinzione, l’inesigibilità (ecc.) del credito.

38 Diversamente accade nel caso in cui vi sia una situazione di inadempienza da parte del privato rispetto all’obbligo di versamento derivante dalla notifica di almeno una cartella di pagamento da parte di una diversa amministrazione creditrice: in questo caso l’amministrazione certificante ne dà atto nell’attestazione, che viene resa “al lordo delle somme ancora dovute, il cui importo viene comunque indicato nella certificazione medesima” (arg. ex art. 2, commi 4 e 5, d.m. 22 maggio 2012, e art. 3, commi 4 e 6, d.m. 25 giugno 2012).

39 Negli articoli citati si stabilisce che “con la certificazione di cui agli articoli precedenti, l’amministrazione o ente debitore accetta preventivamente la possibilità che il credito venga ceduto a banche o intermediari finanziari abilitati ai sensi della legislazione vigente”. Nei moduli allegati ai decreti sono anche presenti formule relative all’accettazione. Il problema di questa previsione è che l’accettazione di un’ipotetica futura cessione non è richiesta da parte del creditore, né dalla legge, ed anzi la cessione potrebbe anche non verificarsi affatto. V. inoltre infra, nel testo.

40 La certificazione, per limitarsi ad un solo esempio, può anche essere utilizzata per ottenere la compensazione dei crediti verso una certa amministrazione con i propri debiti erariali: art. 28-quater d.p.r. 602/1973.

41 Questa dizione risulta peraltro una versione negligentemente sincopata di quanto più precisamente previsto dall’art. 117 d.lgs. 163/2006, con puntuale riferimento a “banche o intermediari finanziari disciplinati dalle leggi in materia bancaria e creditizia, il cui oggetto sociale preveda l’esercizio dell’attività di acquisto di crediti di impresa”.

42 O anche a mezzo di anticipazioni bancarie, cui si riferiscono, da un lato, l’art. 2, comma 5, l’art. 3, comma 5, e l’art. 7 d.m. 22 maggio 2012 e, dall’altro, l’art. 3, comma 6, l’art. 4, comma 5, e l’art. 8, comma 1, d.m. certificazione, senza che vi sia traccia di menzioni di tali contratti nella normativa primaria.

43 Come già ricordato, nell’obbligatorietà del rilascio del certificato risiede una delle opportune correzioni apportate all’originario testo dell’art. 9, comma 3-bis, d.l. cit., per il quale l’attività di enti locali e regioni era puramente facoltativa.

44 Questo termine, originariamente fissato in 20 giorni e poi aumentato a 60, è stato riportato a 30 giorni con la legge di conversione del d.l. 52/2012. In merito a questa variazione, si crede opportuno riportare quanto affermato nel dossier n. 653 del 12 giugno 2012 realizzato dal Servizio studi della camera dei deputati: “la riduzione del termine a trenta giorni corrisponde a quanto indicato nella nuova Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2011/7/UE del 16 febbraio 2011 – che interviene sulla materia dei ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, il cui termine di recepimento nel diritto interno degli Stati membri è fissato al 16 marzo 2013 – che, all’articolo 3, fissa i termini di pagamento per le transazioni commerciali in cui la parte debitrice è una pubblica amministrazione in trenta giorni, a meno che un diverso termine sia espressamente concordato tra le parti e giustificato dalla particolare natura del contratto” (corsivo aggiunto). L’equivoco, in realtà non potrebbe essere più grossolano, dal momento che il termine entro cui dev’essere rilasciata la certificazione non ha nulla a che vedere con il termine entro cui dev’essere effettuato il pagamento da parte delle pubbliche amministrazioni a norma della dir. 2011/7/UE e ci si augura che non si intenda considerare che con tale intervento i precetti della normativa europea sul punto siano stati adeguatamente trasposti.

45 Sul punto nessuna disciplina più specifica è stata dettata negli artt. 4 e 5 d.m. 22 maggio 2012, né negli artt. 5 e 6 d.m. certificazione, né nell’identico all. n. 3 di tali provvedimenti, i quali si espongono quindi nel loro complesso ai medesimi sospetti manifestati in relazione alla norma di cui costituiscono attuazione.

46 Si veda il passaggio argomentativo in cui, con ampia indicazione di sue precedenti pronunce, si è affermato in Corte cost., 43/2004, che “la legge deve, infine, apprestare congrue garanzie procedimentali per l’esercizio del potere sostitutivo, in conformità al principio di leale collaborazione (cfr. ancora sentenza n. 177 del 1988), non a caso espressamente richiamato anche dall’articolo 120, secondo comma, ultimo periodo,della Costituzione a proposito del potere sostitutivo «straordinario» del Governo, ma operante più in generale nei rapporti fra enti dotati di autonomia costituzionalmente garantita. Dovrà dunque prevedersi un procedimento nel quale l’ente sostituito sia comunque messo in grado di evitare la sostituzione attraverso l’autonomo adempimento, e di interloquire nello stesso procedimento (cfr. sentenze n. 153 del 1986, n. 416 del 1995; ordinanza n. 53 del 2003)”.

Ancora più articolatamente in Corte cost. 71/2004 è stato statuito che “in primo luogo […] le ipotesi di esercizio di poteri sostitutivi devono essere previste e disciplinate dalla legge (sentenza n. 338 del 1989), che deve altresì definirne i presupposti sostanziali e procedurali; in secondo luogo, la sostituzione può essere prevista solo per il compimento di atti o attività «prive di discrezionalità nell’an (anche se non necessariamente nel quid o nel quomodo)» (sentenza n. 177 del 1988), la cui obbligatorietà sia il riflesso degli interessi di livello superiore alla cui salvaguardia provvede l’intervento sostitutivo; ancora, il potere sostitutivo deve essere esercitato da un organo di governo della Regione o sulla base di una decisione di questo, a causa dell’attitudine dell’intervento ad incidere sull’autonomia costituzionale dell’ente sostituito (sentenze n. 460 del 1989 e n.313 del 2003); da ultimo, è necessario che la legge predisponga congrue garanzie procedimentali per l’esercizio del potere sostitutivo, in conformità al principio di leale collaborazione: dovrà dunque essere previsto un procedimento nel quale l’ente sostituito sia messo in grado di interloquire e di evitare la sostituzione attraverso l’autonomo adempimento (sentenza n. 416 del 1995 e ordinanza n. 53 del 2003)”. È anche importante l’accento che in tale sentenza viene posto sul principio di leale collaborazione (art. 120, comma 3, Cost.), il quale “dovrà essere rispettato anche nel concreto esercizio dei poteri sostitutivi, dovendo quindi guidare la valutazione di congruità del termine assegnato […] all’ente inadempiente. E nel caso in cui – alla luce del principio di leale collaborazione – il termine assegnato appaia in concreto inadeguato, in quanto troppo breve, potranno naturalmente essere attivati da parte dell’ente diffidato i rimedi previsti dall’ordinamento”.

Sul punto si può dire comunque che la giurisprudenza costituzionale sia ormai ampiamente consolidata nell’affermazione di questi principi: Corte cost. 121/2012, Corte cost. 165/2011, Corte cost. 2/2010, Corte cost. 383/2005, Corte cost. 240/2004, Corte cost. 172/2004, Corte cost. 112/2004, Corte cost. 73/2004, 72/2004, Corte cost. 71/2004, Corte cost. 70/2004, Corte cost. 69/2004 (tutti i testi delle sentenze sono leggibili sul sito http://www.cortecostituzionale.it).

47 Anche la modifica derivata dalla conversione in legge del d.l. 52/2012 non sembra rimediare in alcun modo alle problematiche qui evidenziate, ed anzi le aggrava, come si può desumere dal nuovo testo dell’art. 9, comma 3-bis, secondo periodo, d.l. 185/2008, il quale recita ora: “Scaduto il predetto termine, su nuova istanza del creditore, è nominato un Commissario ad acta, con oneri a carico dell’ente debitore. Detta nomina è effettuata dall’Ufficio centrale del bilancio competente per le certificazioni di pertinenza delle Amministrazioni statali centrali e degli enti pubblici nazionali, o dalla Ragioneria territoriale dello Stato competente per territorio per le certificazioni di pertinenza delle Amministrazioni statali periferiche, delle Regioni, degli enti locali e degli enti del Servizio sanitario nazionale”.

48 Un simile rinvio mirato potrebbe anche indurre l’interprete meno accorto ad argomentare a contrario che le rimanenti disposizioni non esplicitamente richiamate non trovino applicazione, trovandosi però così a dover giustificare le ragioni – invero imperscrutabili – di una simile selezione.

49 Né miglior giudizio si può riservare alle norme che “al fine di accelerare il pagamento dei crediti commerciali esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto connessi a transazioni commerciali per l’acquisizione di servizi e forniture, certi, liquidi ed esigibili […] i crediti di cui al presente comma maturati alla data del 31 dicembre 2011, su richiesta dei soggetti creditori, possono essere estinti, in luogo del pagamento disposto con le risorse finanziarie di cui alla lettera a), anche mediante assegnazione di titoli di Stato nel limite massimo di 2.000 milioni di euro” (art. 35, comma 1, lett. b), d.l. 1/2012; d.m. 22 maggio 2012, intitolato “Pagamento dei crediti commerciali connessi a transazioni commerciali per l’acquisizione di servizi e forniture, certi, liquidi ed esigibili, corrispondenti a residui passivi di bilancio, ai sensi dell’articolo 35, comma 1, lettera b), del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27”). Al di là della sciatteria del linguaggio adoperato, non vi è chi non veda come questa datio in solutum tradisca manifestamente lo scopo della norma; non è poi forse del tutto vano ricordare che ricorrendo ad altri tipi di contratti con banche ed intermediari finanziari si possano conseguire risultati ben più vantaggiosi ed immediati per l’impresa interessata.

Del tutto inutile è poi la regola dell’art. 35, comma 3-bis, d.l. 1/2012, la quale consente alla P.A. di fare ciò che le sarebbe comunque già permesso, ossia “comporre bonariamente con i propri creditori le rispettive ragioni di credito e debito attraverso gli istituti della compensazione, della cessione di crediti in pagamento, ovvero anche mediante specifiche transazioni condizionate alla rinuncia ad interessi e rivalutazione monetaria”.

50 Forse un barlume di consapevolezza si è fugacemente affacciato alla mente del legislatore, considerato che nell’art. 50 d.l. 83/2012 si prevede che il c.d. tax credit digitale (art. 1, comma 327, lett. c), n. 1, l. 244/2007) “è cedibile dal beneficiario, nel rispetto delle disposizioni di cui agli artt. 1260 e seguenti del codice civile e previa adeguata dimostrazione dell’effettività del diritto al credito medesimo, a intermediari bancari, finanziari e assicurativi, ovvero alla società fornitrice dell’impianto di digitalizzazione […]”. Una previsione di questo genere, però, non fa che esacerbare le perplessità e le critiche verso tutto il resto della disciplina della cessione di crediti verso la P.A., poiché non si spiegherebbe la ragione di una scelta liberalizzatrice di portata così limitata in un ambito altrimenti governato da principi diametralmente opposti.

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