La Corte di Giustizia UE, con sentenza resa nella causa C-472/23, interpretando la direttiva sul credito ai consumatori, si è espressa sull’inosservanza degli obblighi informativi in capo alla banca nei confronti di un consumatore, relativamente al TAEG ed alle spese contenute in un contratto di credito, concesso per l’appunto ad un consumatore.
In estrema sintesi, la Corte ha affermato che in caso di violazione di un obbligo informativo che incida sulla capacità del consumatore di valutare la portata del suo impegno, la banca può perdere il diritto agli interessi e alle spese, ed il consumatore avrà diritto al rimborso delle relative somme.
Questi i principi di diritto espressi:
- L’articolo 10, paragrafo 2, lettera g), della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE del Consiglio, deve essere interpretato nel senso che il fatto che in un contratto di credito figuri un tasso annuo effettivo globale che si riveli sovrastimato poiché talune clausole di tale contratto vengono successivamente ritenute abusive, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, e, pertanto, non vincolanti per il consumatore, non costituisce, di per sé, una violazione dell’obbligo di informazione enunciato in tale disposizione della direttiva 2008/48
- L’articolo 10, paragrafo 2, lettera k), della direttiva 2008/48 deve essere interpretato nel senso che il fatto che un contratto di credito elenchi un certo numero di circostanze che giustificano un aumento delle spese connesse all’esecuzione del contratto, senza tuttavia che un consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto sia in grado di verificare la loro insorgenza e la loro incidenza su tali spese, costituisce una violazione dell’obbligo di informazione enunciato nella citata disposizione, a condizione che detta indicazione sia idonea a compromettere la possibilità di tale consumatore di valutare la portata del suo impegno
- L’articolo 23 della direttiva 2008/48, letto alla luce del considerando 47 della stessa, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che prevede, in caso di violazione dell’obbligo di informazione imposto al creditore ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 2, di tale direttiva, una sanzione uniforme, consistente nel privare il creditore del suo diritto agli interessi e alle spese, indipendentemente dal livello di gravità individuale di una simile violazione, a condizione che tale violazione sia idonea a compromettere la possibilità del consumatore di valutare la portata del suo impegno.
La Corte, a sostegno della sua decisione, ricorda che nel contratto di credito deve figurare, in modo chiaro e conciso, il TAEG calcolato al momento della sua conclusione.
Tuttavia, tale calcolo presuppone che il contratto resti valido per il periodo di tempo convenuto nel contratto, ai sensi dell’art. 19, par. 3, Direttiva 2008/48: pertanto, il fatto che in un contratto di credito figuri un TAEG che si rivela solo in seguito sovrastimato, poiché talune clausole di tale contratto vengono successivamente ritenute abusive, non costituisce, di per sé, una violazione degli obblighi informativi verso i consumatori.
Per la Corte, in sostanza l’obbligo di indicare il TAEG, previsto all’art. 10, par. 2, lett. g), della direttiva, è soddisfatto se il TAEG corrisponde a quello calcolato sulla base del costo totale del credito per il consumatore, ai sensi dell’art. 3, lett. g), che comprende i costi che il consumatore è tenuto a pagare in applicazione delle clausole di tale contratto, comprese quelle che, successivamente, risultano abusive e non vincolano il consumatore.
Il contratto di credito deve però descrivere, in modo trasparente e comprensibile, le condizioni in cui può intervenire una modifica di spese connesse alla sua esecuzione: qualora il contratto si basi su indicatori difficilmente verificabili dal consumatore, ciò può violare agli obblighi di informazione in capo alla banca.
Se, infatti, riflette la Corte, un consumatore medio ragionevolmente avveduto non può verificare né il sopravvenire delle circostanze che giustificano tale modifica né la loro incidenza su tali spese, non può comprendere la portata effettiva del suo impegno.
Infine, in caso di violazione degli obblighi informativi verso i consumatori nei termini sopra precisati, la banca può quindi essere privata del diritto agli interessi e alle spese, da parte della normativa nazionale del singolo Stato membro, non ostando a tale normativa il diritto dell’Unione.
La Corte richiama la propria precedente giurisprudenza sul punto, per cui le conseguenze della violazione degli obblighi di informazione relativi a un contratto di credito possono variare considerevolmente a seconda dell’elemento di informazione specifico omesso, poiché la gravità di tale violazione dipende inoltre, nella prassi, dal numero e dall’importanza degli elementi mancanti in tale contratto di credito: tali violazioni possono rendere difficile, per il consumatore, l’esercizio dei diritti derivanti dal contratto di credito.