Il contributo critica la posizione assunta dal Collegio di Coordinamento dell’ABF, che ha avallato la prassi degli intermediari di prevedere generiche commissioni di estinzione anticipata pari a date percentuali del debito residuo e ritenuto che l’onere di provarne l’eventuale mancata giustificazione sul piano causale della relativa clausola gravi sul cliente. Contro questa lettura depongono diversi princìpi quali (per il primo punto, oltre che per la lettera dell’art. 125-sexies, 4 comme tub che impone «equità e oggettiva giustificazione») quello di determinatezza contrattuale (art. 1346 c.c.), la regola di interpretatio contra proferentem (art. 1370 c.c.), nonché (per il secondo) punto quello di vicinanza della prova.
The essay criticizes the position taken by the ABF, which has approved the practice of the banks to adopt generic early repayment commissions and considers that the burden of proof of any lack of justification of the relative clause on a causal level is on the client. Against this interpretation there are various principles such as (for the first point, as well as the letter of art. 125-sexies, 4 comme tub that imposes “equity and objective justification”) that of contractual determinateness (art. 1346 Civil Code), the rule of interpretatio contra proferentem (art. 1370 Civil Code), as well as (for the second) the point of the proximity of the proof.
Sommario(*): 1. Le “clausole 1%” – 2. La posizione dell’ABF: liceità delle clausole 1%, possibile diritto alla ripetizione ed onere della prova – 3. Gli argomenti – 4. Critica: in merito alla liceità delle clausole 1% – 5. Segue: in merito all’onere probatorio sui presupposti dell’indennizzo.
1. Le “clausole 1%”
Trainate dalle richieste di rimborso degli oneri pagati alla stipula e non dovuti in ragione dell’estinzione anticipata del credito al consumo[1], pervengono agli enti creditizi anche richieste di rimborso delle “penali” per estinzione anticipata contrattualmente previste.
Respinte le richieste, queste si tramutano in ricorsi all’Arbitro Bancario e Finanziario.
Le clausole che prevedono indennizzi a favore degli enti creditizi in ragione dell’estinzione anticipata e che sono sottoposte al vaglio dell’ABF sono di varia fattura.
Ve ne sono che fissano la misura dell’indennizzo nell’1% ovvero nello 0,5% del debito residuo a seconda che la durata residua del finanziamento sia, rispettivamente, maggiore ovvero inferiore all’anno: le chiamo “clausola 1% prima variante”. Tra queste clausole, alcune dichiarano che l’indennizzo è dovuto a copertura dei costi direttamente collegati all’estinzione anticipata.
Altre clausole prevedono un indennizzo e che questo non è superiore all’1% ovvero allo 0,5% a seconda che la durata residua del finanziamento sia, rispettivamente, maggiore ovvero inferiore all’anno: le chiamo “clausole 1% seconda variante”. Anche tra questo genere di clausole alcune dichiarano che l’indennizzo è dovuto a copertura dei costi direttamente collegati all’estinzione anticipata.
La questione della legittimità di tal genere di clausole non è ancora stata affrontata dalla giurisprudenza: così come non sono state affrontate quella dei presupposti tutti del diritto all’indennizzo e della distribuzione dell’onere della prova al proposito.
Sono state invece affrontate dall’ABF e, un poco, in dottrina. Cenni rilevanti, sia pure incidenter tantum, si trovano altresì nella sentenza resa dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel caso Lexitor[2].
2. La posizione dell’ABF: liceità delle clausole 1%, possibile diritto alla ripetizione ed onere della prova
Al Collegio di Coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario è stata sottoposta la questione «se il diritto dell’intermediario a percepire un indennizzo equo e oggettivamente giustificato ai sensi dell’art. 125 sexies, commi 2 e 3, del TUB, e che sia stato contrattualmente quantificato entro le soglie di legge, sia o meno subordinato alla dimostrazione, da parte dell’intermediario medesimo, dei costi effettivamente sostenuti e direttamente collegati al rimborso anticipato del credito»: così è riassunta la questione dal Collegio di Coordinamento che se ne è occupato[3].
Risposta: «il Collegio reputa in definitiva che l’equo indennizzo debba considerarsi giustificato laddove si attesti in una percentuale pari o inferiore a quella massima indicata dalla legge»: «non è l’intermediario a dovere dimostrare di avere effettivamente sostenuto costi direttamente collegati al rimborso anticipato del finanziamento, e del loro preciso ammontare, una volta che l’indennizzo si collochi nella percentuale massima stabilita dalla legge»: «è, invece, il ricorrente che, impugnando la efficacia della clausola contrattuale che contempla la misura dell’indennizzo entro le soglie di legge, alla quale si è vincolato, è tenuto ai sensi dell’art. 2697, comma 1, c.c. ad allegare e dimostrare che, nel caso specifico, tale indennizzo […] non sia causalmente giustificato»[4].
Dunque, secondo il Coordinamento, le clausole 1%, di per sé, sono lecite ed efficaci: anche perché, se così non fosse, il Coordinamento avrebbe dovuto dichiarare che quanto pagato dal cliente per l’indennizzo avrebbe dovuto essere senz’altro restituito. Il cliente può ripeterlo, invece, se prova che quanto pagato non è «nel caso specifico […] causalmente giustificato».
Onere improbo, ovviamente, del diavolo. È come se, dunque, o quasi come se, non fosse cambiato nulla rispetto alla versione della norma ante 2010, nonostante la dottrina avesse rimarcato che la disciplina portata dall’articolo 16, § 2, della direttiva n. 2008/48/CE[5] ed introdotta nell’ordinamento italiano dal d.lgs. n. 141/2010[6], fosse sensibilmente diversa, più tutelante del cliente[7]).
Né è chiarito dal Coordinamento come si coordinino le due proposizioni di cui si compone la tesi: le clausole 1% -sia della prima variante sia della seconda – sarebbero per sé lecite ed efficaci, ma il cliente potrebbe avere diritto di ripetere quanto pagato sulla base delle stesse (provando che nondimeno l’indennizzo non è causalmente giustificato). Non voglio dire che le due proposizioni non siano conciliabili in alcun caso: certo il Coordinamento non precisa come andrebbero conciliate.
Andiamo avanti nella comprensione della tesi: il cliente, secondo la pronuncia, potrebbe ripetere quanto pagato per indennizzo se questo non è causalmente giustificato (provandolo): quando non sarebbe «causalmente giustificato» secondo il Coordinamento? Anche questo non è precisato esattamente dal Collegio. Si può fare una congettura osservando uno degli argomenti forniti a sostegno della tesi.
3. Gli argomenti
Due sono gli argomenti forniti dal Coordinamento a sostegno della propria tesi.
Il primo: vi è «una testuale e precisa indicazione percentuale contenuta nel testo del TUB»: «vale a dire che l’indennità, così forfettariamente determinata dal legislatore interno, deve essere valutata come oggettivamente equa perché conforme a una norma di legge»[8].
Il secondo: «la sua legittimità [intendi: dell’indennizzo determinato entro le soglie di legge] si basa sull’id quod plerumque accidit: l’estinzione anticipata del contratto di credito genera, di regola, delle passività per il creditore (costi e perdite [corsivi aggiunti]), il cui ammontare si può presumere corrispondente all’importo definito in via forfetaria dal contratto, purché nei limiti di legge»[9].
Postulato implicito di questo argomento è che l’indennizzo si giustifichi causalmente per coprire non solo i costi direttamente collegati alla estinzione anticipata ma pure le perdite che ne derivano al finanziatore: così, ove il tasso d’interesse di mercato al tempo dell’estinzione anticipata sia inferiore a quello in corso al momento in cui il finanziamento si è perfezionato, la differenza tra gli interessi non maturati al tasso stabilito al tempo del perfezionamento del finanziamento e quelli che matureranno reinvestendo il denaro rimborsato ante diem al minor tasso corrente.
Però cave: non si può dire con certezza che questo postulato sia accolto dal Collegio di Coordinamento, per quanto anche altri passaggi della motivazione potrebbero orientare a pensarlo.
Si riguardi infatti, per esempio, ai termini in cui la pronuncia sintetizza il quesito affrontato: «se il diritto dell’intermediario a percepire un indennizzo […] ai sensi dell’art. 125 sexies, commi 2 e 3, del TUB, e che sia stato contrattualmente quantificato entro le soglie di legge, sia o meno subordinato alla dimostrazione, da parte dell’intermediario medesimo, dei costi effettivamente sostenuti e direttamente collegati al rimborso anticipato del credito»[10] (enfasi, ora, aggiunta); qui il Collegio pare ancorare l’indennizzo unicamente ai costi diretti del rimborso anticipato, non anche alle possibili perdite.
O ancora: il Collegio ricorda il passo della sentenza Lexitor secondo cui «l’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2008/48 […] prevede […] il diritto all’indennizzo per gli eventuali costi direttamente collegati al rimborso anticipato del credito [e] offre agli Stati membri una possibilità supplementare di provvedere affinché l’indennizzo sia adeguato alle condizioni del credito e del mercato al fine di tutelare gli interessi del mutuante»: possibilità supplementare, quest’ultima, rispetto ad un indennizzo che, per sé, dev’essere commisurato, secondo la Corte, ai costi diretti del rimborso[11].
4. Critica: in merito alla liceità delle clausole 1%
Gli argomenti forniti dal Coordinamento non persuadono: non convincono sulla liceità delle clausole 1% e non convincono che l’onere probatorio della «giustificatezza causale» dell’indennizzo sia a carico del cliente.
Non il primo argomento, quello testuale, perché taglia il testo dell’articolo 125-sexies, comma 4, T.U.B.[12]: questo subordina la liceità della clausola che preveda un indennizzo non solo ad una soglia quantitativa, ma ad un requisito qualitativo: che l’indennizzo sia «equo ed oggettivamente giustificato per eventuali costi direttamente collegati al rimborso anticipato».
Si perdoni la pedanteria della deduzione: non è quindi sufficiente che la clausola contenga l’indennizzo nella duplice alternativa soglia quantitativa (1% o 0,5%): è necessario che rispetti altresì il doppio limite della «equità» e della inerenza ai «costi diretti» per l’estinzione anticipata.
Dal che, anzitutto, deriva un’altra osservazione: le clausole che “senza se” e “senza ma” e “senza meno”, senz’altro fissano la misura dell’indennizzo nell’1% ovvero nello 0,5% secundum eventum -le clausole 1% prima variante -sono in contrasto con la norma imperativa dell’articolo 125-sexies, comma 4, T.U.B.: non si vede proprio come potrebbe essere altrimenti.
Certo, potrebbe pensarsi di salvarle dalla nullità ex art. 1367 c.c. interpretandole nel senso che la misura fissata è una misura massima, da verificarsi nel caso concreto e, all’occorrenza, ridursi sulla base della misura dei costi effettivamente collegati, in via diretta, all’estinzione anticipata e sulla base dell’equità. Ma tale conservazione della clausola pare già bloccata dalla norma, speciale, dell’articolo 1370 c.c.: trattandosi di condizioni generali di contratto prevale la regola, sanzionatoria, della interpretatio contra profirentem sul canone generale dell’articolo 1367 c.c.[13]: ché, altrimenti, al predisponente converrebbe sempre tentare l’inserimento di una clausola illecita, opportunamente opacizzata, tanto poi varrebbe la clausola intesa in conformità alla legge. E la necessaria prevalenza del canone dell’articolo 1370 su quello dell’articolo 1367 vale tanto più in un settore, quello dei contratti bancari, sottoposto ad una rigorosissima (alle volte, non poche, eccessiva) disciplina di trasparenza.
Il che viene ad introdurre ad un altro ordine di osservazioni con riferimento anche alle clausole 1% seconda variante.
La clausola che introduce un indennizzo a favore del finanziatore non può limitarsi a prevedere una soglia massima né limitarsi ad indicare, ancora genericamente, che l’indennizzo è dovuto in ragione dei costi direttamente collegati all’estinzione anticipata e della equità.
Il primo assunto – insufficienza dell’indicazione di una soglia massima – è già sufficientemente supportato dal principio di determinatezza del negozio (art. 1346 c.c.) in uno con quello del clare loqui (artt. 1341, co. 1, e 1370 c.c.).
La seconda asserzione – non è sufficiente che la clausola preveda che l’indennizzo sarà misurato sui costi e sull’equità -se anche non si ritenessero bastevoli a sua prova le due regole appena richiamate, troverebbe sicuro fondamento nel principio di rigorosa trasparenza proprio del settore bancario e di quello dei contratti del consumatore.
D’altro canto, la necessità che siano indicati i costi che l’indennizzo va a coprire e il modo di calcolo dell’indennizzo in rapporto a quei costi è anche l’interpretazione del dettato normativo conforme alla mens del legislatore europeo e alla ratio legis. Da un lato, infatti, il considerando n. 39 della direttiva n. 2008/48/CE richiede che «il calcolo dell’indennizzo […] dovrebbe essere trasparente e comprensibile per i consumatori già nella fase precontrattuale e in ogni caso durante l’esecuzione del contratto». Dall’altro, l’esigenza di tutela del cliente e di stimolo della concorrenza – che costituisce lo scopo di fondo della disciplina dell’estinzione anticipata del credito al consumo[14] – richiede il grado di trasparenza in discorso.
Tutti tali ordini di rilievi vengono a superare anche il secondo argomento addotto dal Collegio di Coordinamento: argomento, del resto, intrinsecamente non coerente e non idoneo a convincere neppure della dimostrazione dell’onere probatorio sui presupposti dell’indennizzo: tema che si pone una volta che si sia riscontrata una clausola lecita, rispettosa dei requisiti che si sono sin qui tratteggiati e che vanno ancora un po’ a sbozzarsi oltre.
5. Segue: in merito all’onere probatorio sui presupposti dell’indennizzo
Già, perché affermare – come fa il Coordinamento con il suo secondo argomento – che la clausola che contiene l’indennizzo nelle soglie quantitative di legge è per ciò solo lecita – ovvero può presumersi tale – in quanto, secondo l’id quod plerumque, costi e perdite per il finanziatore conseguenti al rimborso anticipato sono maggiori delle soglie di legge non solo è affermazione indimostrata, ma viene a tradire l’idea che la ripartizione dell’onere della prova in materia non sia quella indicata dal Collegio.
E ciò a prescindere da quale sia il perimetro esatto dei presupposti del diritto all’indennizzo. Mi spiego.
Anzitutto, dovrebbe ormai essere chiaro, elemento costitutivo primo del diritto all’indennizzo è l’esistenza di una clausola valida ed efficace, che lo introduca, rispettando i limiti di legge.
Ora, tra i limiti di legge, v’è quello – o quelli, se si preferisce, in prima battuta -che l’indennizzo sia «equo e oggettivamente giustificato per eventuali costi direttamente collegati al rimborso anticipato». Forse, secondo il Collegio di Coordinamento, l’indennizzo potrebbe essere parametrato anche alle perdite oltre che ai costi direttamente collegati all’estinzione anticipata: sul punto la pronuncia dell’Arbitro non è chiara, non lo è a me almeno, come ho detto (§ 3).
Il punto è di grande rilievo e non è per nulla certo che tra i presupposti dell’indennizzo vi possano essere anche le perdite: di avviso contrario, la Corte di Giustizia, pare, e qualche autore[15]. Ma qui consentiamo per ipotesi.
Ebbene, come può affermarsi che, secondo l’id quod plerumque, costi e perdite sono maggiori dell’1/0,5% del capitale residuo? Sarà pur vero nel momento presente, ma non risulta una rilevazione di qualche oggettività e affidabilità. Non sono indicati gli elementi di fatto da cui è tratta l’inferenza. Si sono considerati i risparmi dei costi (di monitoraggio, per esempio, di segnalazione, ancora per esempio) per il finanziatore? E se i tassi di mercato fossero costanti o addirittura ascendenti in un dato periodo?
Cioè, il Coordinamento introduce una presunzione a favore dell’intermediario senza indicare i fatti a base dell’inferenza. Ma perché il bisogno d’introdurre tale presunzione?
A questo punto dovrebbe essere manifesto: è l’intermediario che dovrebbe fornire la prova in materia, come accennato.
Elementi costitutivi dell’indennizzo sono una clausola efficace e dunque il rispetto dei limiti di liceità della clausola e quindi la corrispondenza dell’indennizzo ai costi alla cui ricorrenza la legge lo ammette: ne segue, ex articolo 2697 c.c., che è onere del finanziatore la prova dell’insieme tutto di tali fatti. Se il cliente contesta la liceità della clausola, la ricorrenza nel caso concreto dei costi, la correttezza del calcolo, è l’intermediario che deve provare il contrario: analogamente che per la commissione d’istruttoria veloce[16].
Del resto, se l’ente creditizio ha fatto le cose per bene, procedendo ad una rilevazione dei costi mediamente sostenuti per il rimborso anticipato secondo il tipo di finanziamento, com’è già suo onere per una sana e prudente gestione dell’impresa, la prova è pronta, liquida: tanto più liquida, poi, se vi è stata anche una verifica della Vigilanza in materia. Anche per questo, se si vuole, è l’intermediario che deve fornire la dimostrazione della corrispondenza dell’indennizzo al costo: per il principio di vicinanza della prova[17].
[*] Le opinioni qui contenute sono espresse solo a nome mio; non sono espresse a nome dell’Arbitro Bancario Finanziario e non lo impegnano in alcun modo.
[1] Nel senso che la norma dell’art. 11-octies del d.l. 25 maggio 2021, n. 73, convertito in legge con l. 23 luglio 2021, n. 106, sia da intendere in conformità alla sentenza Lexitor (C. Giust. UE, 11 settembre 2019, C 383-18) v. Trib. Savona, 15 settembre 2021.
L’interpretazione è da condividere. Infatti, se la norma in questione dovesse essere letta come se permettesse agli enti creditizi, per i contratti «sottoscritti» prima del provvedimento di Banca d’Italia del 4 dicembre 2019 (in materia di «Credito ai consumatori. Rimborso anticipato»), di trattenere i costi up front in caso di rimborso anticipato, la norma dovrebbe essere giudicata costituzionalmente illegittima (non disapplicata, come ritiene la decisione del Tribunale di Savona: cfr. C. Cost., 24 giugno 2010, n. 227) perché violerebbe le disposizioni degli artt. 11 e 117 Cost. in quanto contrasterebbe con una norma europea, l’art. 16 della Direttiva 2008/48/CE del 23 aprile 2008 «relativa ai contratti di credito ai consumatori», così come interpretata, in termini vincolanti, dalla CGUE.
Ma la norma transitoria interna può ben essere intesa in armonia con la norma comunitaria e così dunque va intesa. Ché gli «Orientamenti di vigilanza» emanati da Banca d’Italia nel 2018 (sulle «Operazioni di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio o della pensione») a rigore non autorizzano gli intermediari a trattenere «costi up front», ma impongono loro di rendere edotti i clienti di quali «costi» verranno restituiti e di quali saranno trattenuti sul presupposto, per il caso in cui sia possibile trattenere dei costi. Sopravvenuta la sentenza Lexitor e accertatosi dunque che neppure i costi up front possono essere trattenuti, gli Orientamenti devono intendersi nel senso che raccomandano agli intermediari che non adottano il «tutto TAN» di rendere edotti i clienti che tutte le spese e i corrispettivi accessori saranno proporzionalmente rimborsati.
[2] Cit. innota 1.
[3] ABF, Coordinamento, 31 marzo 2020, n. 5909, pag. 3.
[4] ABF, Coordinamento, 5909/2020, pag. 10.
[5] Cit. in nota 1.
[6] D. lgs. 13 agosto 2010, n. 141, «Attuazione della direttiva 2008/48/CE».
[7] R. Vigo, sub art. 125-sexies, in Commento al Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, C. Costa (a cura di), II, Torino, 2013, 1466.
[8] ABF, Coordinamento, 5909/2020, pag. 10.
[9] ABF, Coordinamento, 5909/2020, pag. 10.
[10] ABF, Coordinamento, 31 marzo 2020, n. 5909, pag. 3.
[11] Riguardo al pensiero sul punto della decisione del Collegio di Coordinamento v. anche in nota 15.
[12] Già comma 2 dell’articolo 125-sexies, prima delle modifiche apportate dall’articolo 11-octiies del d.l. n. 73/2021, cit. in nota 1.
[13] G. Mucciarone, L’anatocismo bancario tra usi, interventi governativi e clausola NUB, in Banca borsa tit. cred., 2001, I, 20.
[14] G. Mucciarone, La trasparenza bancaria, in Trattato dei contratti, V. Roppo (a cura di), V, Milano, 2014, 670 e 694 ss.
[15] C. Giust. UE, 11 settembre 2019, C-381-18: nel passo ricordato nel § 3; G. Mucciarone, La trasparenza bancaria, cit., 685: la «equità» pure si riferisce ai costi diretti per il rimborso, fissando a questi un diverso calmiere, rispetto a quello dell’1/0,5%: i costi, comunque, devono essere in linea col mercato tempo per tempo concretamente esistente.
A favore della limitazione dell’indennizzo ai costi diretti del rimborso (sotto l’1/0,5% ed equi), la storia: è emersa, tra le bozze della norma europea, l’idea di correlare l’indennizzo alla perdita, ma poi è si è smarrita: si veda il resoconto dei lavori preparatori, che fa ABF, Coordinamento, 5909/2021, pag. 4 ss.
Il considerando 39 della direttiva parla drasticamente di «indennizzo per i costi direttamente collegati al rimborso» e tende a stringere, non ad allargare, la misura, prospettando altresì che detti costi siano decurtati dei risparmi di spese che pure all’intermediario derivano dalla cessazione del rapporto.
La norma indica la natura del debito in un «indennizzo», per fatto lecito, l’esercizio del diritto di recesso, non in un risarcimento del danno: se l’indennizzo si estendesse alle perdite, saremmo in questa seconda area.
Nel dubbio, comunque, ancora una volta deve far premio la ratio legis.
Preciso: per costi diretti del rimborso non intendo costi sostenuti volta a volta, singolo rapporto per singolo rapporto, ma costi mediamente sostenuti per tipologia di rapporti, come ogni procedura interna per una sana e prudente gestione dovrebbe essere capace di rilevare: la prima alternativa sarebbe impossibile a praticarsi.
[16] G. Mucciarone, La trasparenza bancaria, cit., 677 e, ivi, nota 45.
[17] Su cui A.A. Dolmetta e U. Malvagna, Vicinanza della prova e prodotti d’impresa del comparto finanziario, in Banca borsa tit. cred., 2014, I, 659 ss.