La misura unilaterale prevista dalla legislazione italiana per eliminare la doppia imposizione internazionale è il credito di imposta, disciplinato all’art. 165 TUIR. Questa disposizione, in concorso con le Convenzioni internazionali, consente ai contribuenti residenti in Italia di eliminare o ridurre il duplice prelievo tributario sui redditi prodotti all’estero. Al verificarsi di una serie di condizioni e nel rispetto di certi limiti quantitativi e temporali, la norma consente lo scomputo del tributo subito all’estero sui quei redditi assoggettati a prelievo fiscale anche in Italia.
Una delle principali difficoltà in cui incorrono i contribuenti italiani per beneficiare del credito concerne le modalità di certificazione delle ritenute subite all’estero e, quindi, la tipologia di documentazione da fornire all’autorità fiscale italiana per dimostrare la definitività del prelievo.
Al riguardo l’Agenzia delle entrate nella risoluzione n. 104 del 2001 ha riconosciuto l’equipollenza tra la certificazione dell’amministrazione finanziaria estera e quella rilasciata da un intermediario autorizzato, dalla quale risulti che l’imposta sia stata pagata in via definitiva. L’Amministrazione ha, così, ritenuto sufficiente l’attestazione di un intermediario, in assenza di documenti ufficiali. Queste precisazioni sono state, inoltre, ripetute anche nelle Istruzioni della dichiarazione dei redditi, dove l’Agenzia ha chiarito che la stessa documentazione “non ufficiale” in questione possa essere utilizzata anche dai soggetti non residenti che abbiano percepito redditi di fonte italiana assoggettati a ritenuta alla fonte e che chiedano nel proprio Stato di residenza il credito di imposta.
Sul punto, con l’approfondimento 1/2012, Assonime evidenzia che se l’Agenzia delle entrate considera idonea la dichiarazione del sostituto italiano per i non residenti (liberando, così, i propri uffici dall’onere di rilasciare le relative certificazioni), a condizioni di reciprocità non può non valere anche il caso contrario, cioè quando la richiesta del credito provenga da un soggetto residente in Italia. Quest’ultimo, infatti, dovrebbe poter produrre analoghe attestazioni rilasciate da intermediari o emittenti esteri per documentare le ritenute subite all’estero.
Secondo Assonime queste conclusioni potrebbero ulteriormente trarsi dai principi contenuti nella risoluzione n. 68 del 2009. In quella sede, l’Agenzia delle entrate ha riconosciuto la possibilità di sostituire la certificazione rilasciata dal sostituto ai fini dello scomputo delle ritenute italiane subite sui redditi di lavoro autonomo o di impresa con altri documenti corredati da un’autocertificazione.
Il problema, pertanto, verte sulla qualità e la verificabilità della prova. Tali requisiti sarebbero ravvisabili non soltanto in presenza di una specifica attestazione della competente autorità fiscale estera, ma anche ogniqualvolta il contribuente sia in grado di reperire altri documenti (come contratti firmati, fatture emesse, contabili di accreditamenti bancari e simili) che consentano di risalire all’ammontare lordo del reddito prodotto all’estero e di collegare tale importo con gli specifici compensi netti corrisposti dal cliente tramite banche e intermediari, rafforzandone il valore probatorio con un’autocertificazione di cui al D.P.R. 445/2000. A parere di Assonime, questi documenti sono sempre sufficienti a provare il prelievo estero subito, soprattutto in presenza di redditi prodotti in Stati dell’Unione europea o in Stati con cui è attuabile lo scambio di informazioni.