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Credito fondiario e strumenti di sostegno alle imprese in crisi

19 Novembre 2024

Carla Pernice, Ricercatrice in diritto privato, Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”

Di cosa si parla in questo articolo

SOMMARIO: L’articolo affronta le due principali problematiche connesse al credito fondiario, vale a dire il superamento della soglia di finanziabilità ed il ripianamento di esposizioni pregresse, alla luce di una rilettura contemporanea dell’istituto, oggi finalizzato ad incentivare esposizioni finanziarie “particolarmente garantite” sì da consentire “anche” il superamento di situazioni di momentanea crisi aziendale.

ABSTRACT: The article examines the two main issues related to land credit, namely the exceeding of the financeability threshold and the settlement of past exposures, in the light of a contemporary interpretation of the institution, now aimed at incentivizing “particularly secured” financial exposures so as to allow “also” the overcoming of situations of momentary corporate crisis.


1. Il credito fondiario: superamento della soglia di finanziabilità e consolidamento di esposizioni pregresse.

L’art. 38 t.u.b. definisce fondiario il credito avente ad «oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili» il cui ammontare non superi una certa percentuale – determinata dalla Banca d’Italia in conformità delle deliberazioni del CICR – del valore dei beni gravati da garanzia. Quattro, quindi, gli elementi caratterizzanti la fattispecie: 1) la concessione di un finanziamento[1] da parte di una Banca[2]; 2) la durata medio-lunga dello stesso[3]; 3) la costituzione di una prelazione ipotecaria di primo grado[4]; 4) il rispetto di un particolare vincolo di proporzione tra capitale erogato e valore della garanzia, che ai sensi della delibera CICR 22 aprile 1995 non può essere superiore all’80%[5].

Al ricorrere dei summenzionati presupposti l’ordinamento ricollega l’applicazione di talune regole di favore derogatorie rispetto alla disciplina generale, sia di rito che di merito, tanto per il finanziato quanto per l’istituto di credito, ribadite dalla recente riforma di cui al d.lg. 12 gennaio 2019, n. 14 (c.d. Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, d’ora in poi CCII).

Il primo ha la possibilità di estinguere anticipatamente il mutuo pagando un compenso omnicomprensivo pattuito al momento della conclusione del contratto (art. 40 t.u.b.); può ottenere la riduzione proporzionale dell’ipoteca laddove abbia estinto la quinta parte del debito originario e la parziale liberazione di uno o piú immobili ipotecati laddove risulti che i beni vincolati costituiscono una garanzia sufficiente ai sensi dell’art. 38 t.u.b. (art. 39, comma 5, t.u.b.); beneficia, avuto riguardo all’inadempimento, di una speciale disciplina di favore, giacché la banca, in deroga ai princípi di diritto comune, «può invocare come causa di risoluzione del contratto il ritardato pagamento quando lo stesso si sia verificato almeno sette volte» (art. 40, comma 2, t.u.b.);infine, sotto il profilo economico, l’operazione per il cliente risulta particolarmente appetibile per via dei tassi d’interesse tendenzialmente agevolati e delle spese notarili ridotte (art. 39, comma 7, t.u.b.).

A vantaggio del secondo è previstala facoltà di eleggere domicilio presso la propria sede ai fini dell’iscrizione ipotecaria (art. 39, comma 1, t.u.b.); la possibilità di iniziare o proseguire l’azione sui beni oggetto di garanzia anche dopo la dichiarazione di fallimento (rectius liquidazione) del debitore senza che sia necessario notificare il titolo contrattuale esecutivo (art. 41 t.u.b.); l’irrevocabilità dei pagamenti effettuati in rimborso dei crediti fondiari e il consolidamento dell’ipoteca in 10 giorni (art. 39, comma 4, t.u.b.).

Una prerogativa, quest’ultima, particolarmente importante, che a dispetto del tenore letterale della disposizione a parere di alcuni si sostanzia in una vera e propria intangibilità assoluta della garanzia. Ció in quanto è inverosimile ipotizzare che il soggetto finanziato possa vedersi dichiarato fallito (rectius, liquidato) con sentenza pubblicata entro i dieci giorni successivi alla iscrizione dell’ipoteca. Cosí come risulta difficile immaginare che la liquidazione del debitore, il cui patrimonio è stato presumibilmente sottoposto ad una accurata due diligence da parte della banca, intervenuta a breve tempo dall’accensione della garanzia, possa assumere aspetti “sconcertanti”. «L’indicazione dei dieci giorni è quindi una mera finzione per evitare di scrivere che l’ipoteca fondiaria è irrevocabile tout court, con pieno superamento della par condicio creditorum proprio nella fattispecie tipicamente concorsuale»[6], vieppiú considerato che nella prassi l’erogazione della provvista in favore delle imprese avviene spesso una volta decorso il termine per il consolidamento della garanzia[7]. Il che, da un lato spiega come mai sovente si contesti il superamento della soglia di finanziabilità e/o l’impiego del credito fondiario per ripianare esposizioni pregresse con l’obiettivo di far venir meno il suddetto beneficio; dall’altro chiarisce perché le questioni che si agitano intorno all’istituto vengano per lo piú sollevate in sede di formazione dello stato passivo. È, infatti, principalmente in sede concorsualeche il nodo dell’ambigua dimensione strutturalee funzionaledell’operazione fondiaria giunge al pettine imponendo agliorgani della procedura di apprezzare l’effettiva validità e tenutadel fenomeno. La sequenza è pressoché costante.

Quanto alla prima censura le banche solitamente provanoad insinuarsi al passivo con un credito ipotecario “rapidamente” consolidato; i curatori si oppongono nel tentativo di “arginare” le passività gravanti sulla massa contestando la validità del titolo, in tal modo riconoscendo alla banca il solo diritto chirografario alla restituzione del capitale; gli istituti di credito resistono in giudizio chiedendo, in subordine, soprattutto quando il giudizio è instaurato a distanza di tempo, la riconsiderazione del negozio quale mutuo ordinario ipotecario, tentando di preservare quanto meno la garanzia[8]. Le Corti, da parte loro, in assenza di precise istruzioni normative sulle conseguenze giuridiche del mancato rispetto del vincolo di proporzione, si ritrovano a dover individuare il rimedio piú adeguato alla fattispecie controversa scegliendo tra le seguenti possibilità: dichiarare la nullità del contratto con contestuale travolgimento della connessa causa di prelazione[9]; qualificarlo come mutuo ordinario ipotecario[10]; far salva l’operazione fondiaria sanzionando l’inosservanza del precetto legislativo a titolo di responsabilità[11]. Le conseguenze applicative dell’adesione all’una o all’altra impostazione sono di non poco momento, non solo in termini di “salvezza” della garanzia ipotecaria ma anche in punto di quantum insinuabile al passivo, perché altro è affermare la validità del negozio e dunque riconoscere alla banca il diritto agli interessi e alle commissioni, altro è negarla con tutto ciò che ne consegue in termini restitutori.

A tale contestazione sovente si aggiunge quella relativa all’impiego delle somme elargite per consolidare esposizioni pregresse nei confronti dello stesso istituto mutuante, con conseguente trasformazione di debiti chirografari in crediti ipotecari (c.d. uso distorto). Soprattutto in passato a fronte di siffatte modalità operative di finanziamento, gli organi fallimentari hanno cercato il modo di impedire che le banche creditrici si avvalessero del regime di irrevocabilità della garanzia, opponendosi all’ammissione al passivo del fondiario in quanto tale o quanto meno in privilegio, eccependo l’esistenza di un titolo variamente elusivo delle norme a tutela dei creditori concorsuali. La giurisprudenza, da parte sua, si è mostrata sensibile a tali istanze, e pur non attestandosi su posizioni omogenee ha fatto ricorso a diversi strumenti interpretativi per neutralizzare operazioni di questo tipo. In alcune occasioni si è affermata la dissimulazione della garanzia per debito pregresso[12]; talvolta la nullità del mutuo di sostituzione per violazione di norme imperative[13], frode alla legge[14], motivo illecito comune[15] o carenza di causa[16]; l’orientamento prevalente ha considerato il consolidamento fondiario un procedimento indiretto volto a costituire forme di pagamento anomale[17]; piú di recente il finanziamento solutorio è stato qualificato alla stregua di mera dilazione di pagamento[18].

E sullo sfondo delle decisioni si agita un quesito comune e costante, che stenta a trovare una soluzione univoca e dalla soluzione del quale i giudici fanno dipendere la risposta agli interrogativi posti: quale sia la ratio della normativa fondiaria.

2. La ratio della disciplina di vantaggio riservata ai contraenti tra storicità e modernità.

Se certamente agli esordi la disciplina fondiaria aveva quale obiettivo risollevare le sorti della proprietà terriera con­sentendo l’accesso al credito a chi poteva offrire quale unica garanzia immobili di proprietà[19], ad oggi non appaiono soste­nibili affermazioni secondo cui la “peculiarità” dell’operazio­ne consiste «nel suo definitorio prescindere», per la coper­tura del rischio di rientro dell’erogato, «da considerazioni di ordine patrimoniale ex art. 2740 c.c. e/o di ordine reddituale sul mutuatario debitore»[20]; ovvero che «il mutuo fondiario è operazione che si connota per concentrare la copertura del rischio di rientro dall’erogato sul solo immobile “mobilizza­to” e contestualmente iscritto in ipoteca di primo grado»[21].

La ratio della speciale disciplina e, conseguentemente, il trattamento giuridico da applicare alle operazioni irregolari, non possono essere colti rievocando il senso originario della normativa secondo quella che è stata l’intenzione storica del legislatore, ma devono essere ricavati attualizzando le fonti alla luce dell’intero ordinamento nel suo complesso, perché il diritto è (sì) storia (ma) rivitalizzato dalla contemporaneità.

In un àmbito qual è quello in esame, innervato da in­teressi ultra-individuali concorrenti e bisognosi di adegua­ta composizione, non è possibile abbandonarsi a soluzioni meccanicistiche e precostituite ricevute dalla tradizione.

Dinnanzi al continuo proliferare di disposizioni legi­slative che nel sistema giuridico odierno, da un lato, hanno precluso la possibilità di erogare credito a chi non possegga determinati requisiti economici e, dall’altro, hanno riforma­to la disciplina della crisi d’impresa facendo smarrire il senso originario del sistema, l’interprete è, piuttosto, chiamato ad una delicata opera di cucito e raccordo, volta a trasfondere, per il tramite dell’interpretazione assiologicamente e siste­maticamente orientata, il testo normativo in viva attualità, al fine di adeguare l’ordinamento vigente alle concrete esigenze della società presente. Il giurista «deve sentirsi coinvolto in un disegno strategico […] in modo da far prevalere le ragioni dell’economia sugli esercizi di pura e semplice classificazione astratta»[22], e «deve comprendere le ragioni di un cosí radicale mutamento», non solo in vista dell’applicazione delle nuove norme, «ma anche nell’interpretazione di quelle vecchie ri­maste in vigore, le quali sono verosimilmente destinate ad ac­quistare un nuovo significato»[23] nel diverso contesto corrente in cui si trovano ad operare.

Il fondiario è (soprattutto oggi) un finanziamento “incentivante” che “premia” i crediti assistiti da prelazione immobiliare in linea con una tendenza abbastanza diffusa nella legislazione moderna: basti pensare all’art. 48 bis t.u.b., al credito immobiliare ai consumatori e al credito al consumo. In tutti questi casi, sia pur con diversi effetti, la garanzia agevola il recupero del credito laddove il debitore diventi inadempiente.

Nel finanziamento fondiario, appunto, il mistero dello statuto “particolare” si cela nelle maglie del rapporto tra cre­dito ed ipoteca, visto, però, non nella sua dimensione stati­ca-oggettiva ma in quella dinamica-funzionale.

Attraverso la normativa fondiaria, ed in particolare la pre­visione di un vincolo di proporzione tra importo del prestito e valore della garanzia in uno con il riconoscimento di peculiari vantaggi disciplinari, soprattutto concorsuali, il legislatore ha voluto perseguire plurime finalità: agevolare l’accesso al credito a vantaggio di chi possa offrire a “sostegno” del proprio merito creditizio una prela­zione immobiliare, sì da consentire “anche” il superamento di situazioni di momentanea crisi aziendale (la prospettiva è, dunque, quella della fase genetica del rapporto banca-debito­re); difendere la stabilità economica dell’istituto di credito e, conseguentemente, il pubblico risparmio, vista la provenienza sociale delle risorse con le quali esso opera (il punto di vista, in questo caso, è quello della fase patologica della relazione, e del rapporto banca-altri creditori); salvaguardare il sistema economico nel suo complesso, in quanto eccessive esposizioni debitorie di numerose importanti banche non adeguatamente garantite possono portare non solo all’insolvenza dei singoli istituti di credito, ma addirittura ad un rischio di fallimento sistemico (l’angolazione è, qui, macroeconomica)[24].Esigenze, queste, che si pongono tra loro in rapporto di complementarità e circolarità, essendo collegate e finanche interdipendenti. L’interesse pubblico al corretto funzionamento del mercato, infatti, «non è un interesse piú importante di quello privato, ma un interesse di tutti o di molti, o un interesse strumentale (o intermedio), che deve essere soddisfatto affinché altri interessi individuali siano, a loro volta soddisfatti»[25]. Il fine ultimo è sempre la tutela della persona, sebbene tale obiettivo, in questo come in altri casi, venga perseguito sovente attraverso la regolazione della sovrastruttura economica in cui si articolano le relazioni intersoggettive. Il motivo appare evidente: il sistema economico si avvale di risorse in ultima analisi riferibili agli individui, la protezione del primo dispiega i propri effetti in favore dei secondi. Ciò è ancor piú vero nel settore bancario la cui attività involge la raccolta e il reimpiego di risparmio tra il pubblico.

Per la realizzazione dei fini che considera preminenti il legislatore interviene ora promuovendo ora limitando l’autonomia privata. La complessità e l’eterogeneità degli interessi di volta in volta emergenti da luogo a risposte che si muovono lungo piani e livelli differenziati. Le vicende dei crediti speciali, in primis il fondiario, testimoniano il tentativo, tanto originale quanto non uniforme, di mediare e connettere le diverse istanze promananti dal sistema produttivo e da quello finanziario, senza procedere ad una necessaria compressione della reciproca autonomia, né ad una sostituzione autoritativa delle valutazioni delle parti in ordine alla rilevanza della destinazione[26]. Al fine di realizzare una piú razionale ed equilibrata allocazione delle risorse, l’ordinamento predispone una forma di tutela “mediata” o indiretta di particolari categorie di debitori e creditori, agevolando l’accesso al mercato dei capitali dei primi e contestualmente proteggendo i secondi[27]. Il principale interesse del sovvenuto preso in considerazione è quello generico di ottenere liquidità; il fondamentale presidio posto a tutela dell’istituto erogante è quello dell’irrevocabilità della garanzia e dei pagamenti.

Non si tratta, dunque, di un prestito caratterizzato dallo scopo, a meno che non si intenda tale definizione nel senso di una “predeterminazione legale del settore finanziabile”, descrittiva cioè di una situazione di fatto che rende verificabile la ricorrenza di una particolare qualità dei destinatari che accedono ad uno specifico canale di finanziamento[28], nel nostro caso i proprietari immobiliari. Il collegamento tra credito e finalità viene affidato alla connessione tra prestito e prelazione ipotecaria. La “garanzia” della funzionalizzazione delle operazioni di credito fondiario alle esigenze di determinati beneficiari non si lega né alla previsione di scopi obbligatori né alla fissazione di particolari requisiti di legittimazione del debitore. L’obiettivo pubblico della destinazione delle risorse si esaurisce nella predisposizione di strumenti preordinati ad un piú agevole afflusso di capitali in favore di chi può offrire a conforto della propria solvibilità una garanzia immobiliare e ad un piú semplice recupero delle somme elargite in caso di loro inadempimento. Il fine è soddisfatto dalla forma tecnica offerta, ossia il credito assistito da ipoteca irrevocabile in uno con la previsione di modelli e contenuti negoziali predeterminati.

Cosí, per tale via, attraverso una efficiente e razionale disciplina dei mercati il legislatore attua simultaneamente molteplici valori costituzionali: la promozione dell’iniziativa economica privata “socialmente utile” (art. 41 cost.) e dell’esercizio del credito “responsabile” nonché la tutela del pubblico risparmio (art. 47 cost.), nell’ottica della massima partecipazione di tutti i cittadini allo sviluppo e all’organizzazione economico-sociale del paese (art. 2 cost.) funzionale al progresso materiale e spirituale della comunità (art. 4 cost.).

La previsione di una soglia di finanziabilità in uno con il riconoscimento di peculiari privilegi fondiari condizionati al rispetto della stessa, incentivando esposizioni finanziarie responsabili, favoriscono lo sviluppo sostenibile consentendo il contestuale soddisfacimento di plurime finalità: rafforzare la sana e prudente gestione dell’istituto erogante ponendolo al riparo da eventuali decrementi del valore dei beni ipotecati e/o dall’inadempimento del soggetto finanziato; incoraggiare l’erogazione del credito anche a vantaggio di soggetti in momentanea difficoltà economica, garantendo il “rientro” nel finanziamento “indipendentemente” dalla situazione finanziaria dell’obbligato; sollecitare il perseguimento di obiettivi economici generali in considerazione della particolare funzione sociale che il sistema bancario assolve ed in ragione delle gravi ripercussioni che il mancato rimborso di tali tipologie di finanziamenti può avere sull’economia nazionale.

Il tutto con pacifico beneficio dell’intero sistema economico nel suo complesso. Dal generale al particolare e viceversa, si potrebbe dire.

Ne deriva, in capo all’interprete, la responsabilità e ne­cessità di individuare il «giusto rimedio», da un lato avendo a mente la summenzionata ratio, dall’altro tenendo (tenden­zialmente) distinti il profilo (statico) del finanziamento ec­cedentario da quello (dinamico) dell’uso distorto. Sebbene, infatti, nelle aule dei Tribunali le censure, sovente, vengono sollevate congiuntamente, e la soluzione della seconda questione sia spesso assorbita dalla prima, i due profili potrebbero non interferire.

Se con E intendiamo “eccedentario”, P “pregresso”, N “non”, potrebbe aversi:

A) un finanziamento (“semplicemente”) eccessivo (cioè non impiegato per ripianare esposizioni pregresse, E+NP);

B) un credito eccessivo ed impiegato per ripianare espo­sizioni pregresse (E+P);

C) un fondiario rispettoso del vincolo di proporzione utilizzato per ripianare una esposizione pregressa (NE+P);

D) un prestito rispettoso del vincolo di proporzione e non impiegato per estinguere un precedente debito (NE+NP).

3. Credito fondiario e strumenti di sostegno alle imprese in crisi.

Si ritiene che il rispetto della soglia di finanziabilità costituisca requisito minimo e (tendenzialmente) indispensabile per accedere alla normativa premiale di cui agli artt. 38 ss. e 166 CCII; ciò, non basta però a sottrarre l’operazione al perimetro di operatività dell’art. 166 CCII.

Più nel dettaglio se è vero che un finanziamento “eccessivo” non beneficia(per lo meno non “per intero”) dei vantaggi disciplinari, non è vero il con­trario, che cioè un finanziamento rispettoso del vincolo di proporzione sia sempre e comunque (soprattutto) immune da revocatoria concorsuale. A tale ultimo riguardo un ruolo essenziale è svolto dal fine perseguito. Il perimetro di ope­ratività dell’esenzione (che chiaramente opera solo se il sov­venuto è imprenditore) va ricavato alla luce dell’ordinamen­to nel suo complesso dinamicamente e storicamente inteso, attraverso un’interpretazione sistematica ed assiologica della disciplina di settore, attenta alle regole di sana e prudente gestione e alle diverse esenzioni che a far data dal 2005 hanno arricchito (prima l’art. 67 l. fall., oggi) l’art. 166, comma 3, CCII. Ciò induce ad affermare, da un lato, che la garanzia ipotecaria non «esaurisca il rischio di rientro dell’erogato», “rafforzando”, piuttosto, la valutazione di solvibilità del cliente, agevolando il recupe­ro in caso di inadempimento; dall’altro che la dispensa ope­ri se e nella misura in cui il finanziamento sia concesso nei confronti di chi versa in uno stato di dissesto reversibile con l’obiettivo di risollevare le sorti dell’impresa. Condizione, questa, che influenza non solo la legittimità dei finanziamenti rispettosi del vincolo di proporzione non impiegati per consolidare debiti scaduti(NE+NP), ma anche l’intangibilità delle operazioni volte al ripianamento di esposizioni pregresse (NE+P), le quali devono consi­derarsi legittime (L) o abusive (A) non a motivo dello schema giuridico impiegato né, tantomeno, in ragione dell’importo elargito o del fatto che soggetto mutuante e destinatario del pagamento coincidano(dunque P=NP), quanto in considerazione del conte­sto nell’àmbito del quale sono compiute, del “fine” in fun­zione del quale il credito è concesso: biasimevole allorquan­do lo scopo sia espropriare gli altri creditori della garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2740 c.c.; meritevole al­lorché il proposito sia restituire al mercato realtà aziendali ancóra recuperabili.

In tale prospettiva il fondiario si pone come uno stru­mento “concorrente” rispetto a quelli tipizzati dal CCII per la risoluzione della crisi e dell’insolvenza, collocandosi in una posizione intermedia tra finanziamenti ordinari ipote­cari e operazioni di credito realizzate all’interno delle pro­cedure previste dal CCII. I primi, se compiuti al di fuori dei meccanismi ivi disciplinati, sono sempre revocabili, bastando per l’esperibilità dell’azione di cui all’art. 166 CCII la consa­pevolezza dello stato di insolvenza, indipendentemente dalla reversibilità o meno della stessa; gli ultimi sono esenti anche da revocatoria ordinaria; il fondiario gode dei privilegi che ad esso la disciplina “particolare” riserva anche in caso di cono­scenza dello stato di dissesto, purché l’impresa non versi in una condizione di decozione irrimediabile e sia funzionale a risollevarne le sorti.

Se è vero, infatti, che il legislatore ha codificato procedure e meccanismi per garantire il carattere non velleitario o fraudolento degli interventi di recupero, ciò non significa che non possano trovare spazi di meritevolezza iniziative compiute al di fuori dei canali istituzionali. L’interprete, piuttosto, deve trarre dalla disciplina delle esenzioni dalla revocatoria concorsuale e dal sistema giuridico nel suo complesso utili indicazioni al tema della distinzione tra finanziamenti leciti ed abusivi[29].

Non è revocabile in dubbio che, secondo il codice civile, il principio della par condicio ammetta deroghe in funzione della meritevolezza di tutela della causa del credito. Similmente, la previsione di esenzioni dalla revocatoria concorsuale, l’eliminazione della dichiarazione di fallimento d’ufficio, nonché la possibilità di accedere a procedure concordate di risoluzione della crisi idonee a procrastinare l’apertura della procedura d’insolvenza con l’effetto di far decorrere i termini per l’impugnazione di una serie di atti, certificano che la parità di trattamento tra i creditori non è un valore perseguito dall’ordinamento in maniera imperativa. Com’è stato efficacemente osservato, la par condicio creditorum non è un “valore-fine”, bensí un “valore-mezzo”[30]; essa «ha un senso etico (solidarietà) […] ed una precisa funzione economica (di ridistribuire le perdite derivanti dall’insolvenza per renderle piú sopportabili […]), se sono uguali o almeno assimilabili le situazioni di partenza, sulle quali si incide per ridurre tutti i crediti allo stesso denominatore […]. Il predetto principio, invece, diviene arbitrario (o comunque poco funzionale rispetto a quegli interessi che intende proteggere), se le situazioni sono diverse o perché […] l’operazione favorisce la conservazione del complesso produttivo, con un’evidente utilità per l’intera massa dei creditori»[31].

Già dalla riforma dell’art. 67 l. fall. inaugurata dal d.l. 14 maggio 2005 n. 35[32], nel delicato bilanciamento tra i contrapposti interessi di protezione dei creditori e di tutela del credito, il legislatore aveva dimostrato di voler privilegiare il secondo obiettivo. Emergeva, infatti, la concezione di una azione sempre piú condizionata da esigenze ulteriori rispetto alla par condicio creditorum, cui faceva da contraltare una diffusa istanza di certezza dei rapporti ed il desiderio di salvaguardare il valore organizzativo dell’azienda[33]. Il procedimento riformatore di cui alla disciplina della crisi d’impresa e dell’insolvenza ha, da ultimo, confermato tale tendenza, non solo mantenendo inalterato il disposto dell’ultimo comma dell’articolo 166 CCII, bensí aggiornando e perfezionando anche il comma 3 di tale ultima disposizione. La ratio che anima le esenzioni di cui all’art. 166 CCII non è «creare un diritto singolare a favore dei soggetti piú forti da punto di vista economico», ma sceverare le condotte ritenute utili al superamento della crisi o alla conservazione dei valori organizzativi da quelle che «perseguono obiettivi puramente egoistici, in frontale contrasto con il bene inteso interesse della massa dei creditori»[34]. Da qui il loro aggancio non, come in passato, alle qualità soggettive del terzo, bensí alle oggettive caratteristiche funzionali d’alcune tipologie di operazioni che non possono essere toccate se compiute in buona fede ed in maniera oggettivamente corretta[35].

Venuta meno la ragione storica dei privilegi fondata sulla natura pubblica degli istituti di credito fondiario e sul sistema delle cartelle, i limiti legali alla revocatoria rispetto alle operazioni di credito fondiario si spiegano, oggi, in ragione della peculiare causa del credito in uno con le caratteristiche oggettive dell’operazione. L’immunità trova fondamento nell’esigenza di non precludere all’impresa la possibilità di procurarsi finanziamenti a basso costo in modo da riacquistare liquidità attraverso la valorizzazione immobiliare. Poiché tali operazioni possono intervenire in una situazione di difficoltà finanziaria, la legge ha inteso assecondarne il compimento garantendo all’istituto di credito erogatore il beneficio di non doversi preoccupare della possibilità che le garanzie acquisite ed i pagamenti ricevuti a fronte dei rimborsi dell’erogazione possano costituire oggetto di impugnativa da parte del curatore; ciò anche in conside­razione della provenienza sociale delle risorse con le quali le banche operano. È dunque la funzione del finanziamento a giustificare la deroga alla disciplina comune, dovendosi questa ritenere legittima nei soli casi in cui si tratti di realizzare interessi meritevoli di tutela protetti a livello costituzionale e di particolare rilevanza sociale[36], nel nostro caso il recupero della continuità aziendale e, per l’effetto, anche la salvaguardia dei lavoratori.

4. Giusto rimedio e qualificazione dell’operazione negoziale.

Sul piano dei rimedi, segnatamente, può affermarsi che uno sforzo interpretativo e qualificatorio correttamente impostato, attento alle modalità con le quali il contegno dei contraenti indirizza la destinazione del negozio, consente di risolvere prima e me­glio una serie di problemi spesso rimessi a soluzioni insensi­bili alla ratio della disciplina violata e agli interessi concreti di tutte le parti coinvolte dall’accordo irregolare.

Nonostante le ritrosie mostrate recentemente dalla giuri­sprudenza di legittimità, la (ri)qualificazione dell’operazione, tanto nell’ipotesi di superamento del vincolo di proporzione, quanto per il caso di abusivo consolidamento di debiti pregressi, salvaguarda l’affidamento di tutte le parti implicate dall’operazione economica e gli interessi sottesi alla disciplina “speciale” in misu­ra sicuramente maggiore rispetto all’espediente dell’invalidi­tà e/o della responsabilità, non soffrendo, tra le altre cose, i limiti tradizionalmente opposti ad altre soluzioni[37],in primis quello della domanda e della corrispondenza tra chiesto e pronunciato[38].

La tesi della riqualificazione per superamento della soglia di finanziabilità si lascia preferire a quella della nullità in quanto si risolve in una soluzione “conservativa” che con­sente un equo e proporzionato bilanciamento di tutti gli in­teressi concorrenti, difatti permette alla banca creditrice di conservare la propria garanzia ipotecaria, seppur ordinaria, nell’àmbito di una ritrovata e legittima par condicio credito­rum; ed al cliente, se ancóra in bonis, di trattenere la somma ricevuta con facoltà di restituzione dilazionata nel tempo del capitale mutuato. La tesi della nullità, invece, oltre a muove­re da un assunto opinabile, vale a dire l’imperatività dell’art. 38 t.u.b.[39], ovvero, secondo alcuni, la sua riconducibilità alle disposizioni previste dall’art. 117 t.u.b.[40], si rivela eccessiva, poiché determina il totale travolgimento dell’intera opera­zione, non solo delle spese e commissioni associate al finan­ziamento e degli ulteriori vantaggi disciplinari (elezione di domicilio, adeguamento automatico del finanziamento, etc.), ma anche della garanzia (ed al di là dei limiti previsti per la revocatoria), con eccessivo giovamento dei terzi creditori. La ratio della disciplina fondiaria, accedendo a tale impo­stazione, ne risulta totalmente compromessa: viene in primis pregiudicato il soggetto finanziato, costretto a restituire im­mediatamente le somme ricevute, con conseguente sacrifico del suo interesse al prestito; ma viene altresí danneggiata la banca, la quale, da un lato perde il diritto al compenso sulle somme elargite, dall’altro vede il proprio credito trasformar­si a pretesa restitutoria da indebito chirografario, trovandosi esposta al rischio di recuperare solo una minima parte della somma concessa, con inevitabili ripercussioni sulla stabili­tà economica dell’istituto erogante, vieppiú considerato che nel frattempo la liquidità potrebbe essere stata investita. L’o­biettivo legislativo di agevolare l’accesso al credito ne risulta complessivamente ostacolato. Nessuna banca nel timore di vedere travolto l’intero contratto per il mero superamento del vincolo di proporzione “azzarderebbe” a stipulare ope­razioni di questo tipo.

La (ri)qualificazione si lascia, altresí, preferire all’orien­tamento che abbina al mancato rispetto della soglia di finan­ziabilità la sola responsabilità, considerando il credito ecce­dentario comunque fondiario, salva la possibilità di ricorrere all’abusiva concessione del credito (figura nata per ovviare al problema della irrevocabilità delle operazioni) e agli stru­menti di public enforcment. L’impostazione, già dal punto di vista sistematico, si rivela contraddittoria poiché demanda ad una norma diversa da sé il cómpito di sanzionare la violazio­ne compiuta. Tale forma di rimedio, poi, si dimostra sostan­zialmente inefficace, ciò in quanto le sanzioni amministrative richiedono un quid pluris rispetto all’inosservanza del vin­colo di proporzione, vale a dire la violazione delle regole sul merito creditizio; la tutela risarcitoria presuppone un pregiu­dizio che, nella misura in cui è ristorato per equivalente, nel caso di sovvenuto consumatore, si dimostra surrogato insuf­ficiente; e soprattutto, ex latere creditoris, laddove il clien­te sia imprenditore ed il rapporto sfoci nella liquidazione, pregiudica l’interesse della massa al corretto riparto concor­suale. Per tal via si finisce con il sovrapporre e confondere vincolo di proporzione – valutazione di “meritevolezza” del cliente; ridurre la prescrittività dell’art. 38 t.u.b. al punto da renderlo «un osso di seppia»[41]; negare alcun rilievo alla soglia di finanziabilità che chiaramente è considerata dal legislato­re elemento caratteristico della fattispecie; riconoscere tutela solo in ipotesi di danno e “relegare in soffitta” l’azione revo­catoria − giusta la permanente qualifica di fondiarietà − che invece ne prescinde. Non ha senso demandare ad un posteri­usciò che prima e meglio la qualificazione può garantire. È irragionevole consolidare il vantaggio e poi farlo restituire. Accedendo alla tesi della responsabilità ne consegue che il fondiario è tale, le sanzioni amministrative sono eventuali, opera la disciplina di vantaggio (incluso il consolidamento), ed il risarcimento è accidentale, configurandosi in ipotesi di dolo/colpa della banca, stato di dissesto irreversibile, danno, nesso causale tra pregiudizio e condotta. A voler considerare il finanziamento un ordinario credito ipotecario ne deriva, invece, che in caso di sovvenuto imprenditore l’operazione è revocabile, il curatore deve dimostrare solo il mancato ri­spetto del vincolo di proporzione, per il resto la disciplina segue le regole dell’art. 166 CCII.

La (ri)qualificazione consente di risolvere meglio e prima, anche il problema dell’uso distorto, argomento che la giuri­sprudenza spesso affronta con rimedi eccessivi, sulla base di ragionamenti formalistici, insensibili alla complessa ratio che anima il settore. Si considera (riqualificando) il ripianamento fondiario un pactum de non petendo, una garanzia per debito preesistente o, ancóra, una forma di pagamento anomalo. Il tutto allo scopo di confutare l’esistenza di un finanziamen­to, la contestualità dell’ipoteca e/o la normalità del procedi­mento solutorio, con conseguente caducazione dei vantag­gi di disciplina. Ma se lo scopo legislativo ha voluto essere proteggere operazioni “particolarmente garantite” “anche” in grado di dar fiato all’impresa in crisi, dato per esistente la sussistenza del primo presupposto, è l’esistenza del secon­do che deve guidare la valutazione di legittimità dell’inizia­tiva. Le nozioni di “finanziamento”, “contestualità” della garanzia e “normalità” del pagamento, devono essere intese in chiave funzionale. Al piú il ripianamento può essere con­siderato indice sintomatico della consapevolezza dello sta­to di assoluta decozione, ma non può esso solo determinare l’inefficacia dell’iniziativa. Se solo il plausibile reinserimen­to di realtà aziendali recuperabili determina un giustificato sacrificio della par condicio creditorum, in una prospettiva assiologicamente e teleologicamente orientata, devono con­siderarsi salve le operazioni idonee a tal fine, abusive quelle che non lo sono, neutralizzando le ipotesi patologiche con la riviviscenza del rimedio tipico che l’ordinamento giuridico offre al riguardo, vale a dire la revocatoria.

Se così è, allora, ci si potrebbe chiedere: quid iuris in caso di mutuo eccedentario impiegato per ripianare esposizioni pregresse ma erogato a chi versi in stato di dissesto reversibile (E+P+L); o di finanziamento esondante non utilizzato per estinguere precedenti passività ma elargito a vantaggio di un imprenditore con l’obiettivo di aiutarne le sorti (E+NP+L)? Può sostenersi, in alternativa alla (ri)qualificazione, la riduzione conservativa dell’accordo non essendo stata tradita la ratio che anima la disciplina di settore?

La traccia è stata segnata. Le variabili sono moltissime, tante quante i possibili casi concreti. All’interprete il cómpito di individuare il rimedio di volta in volta piú adeguato, ragionevole e proporzionato alla luce degli interessi sottesi al singolo, unico ed irripetibile episodio da decidere.

L’auspicio per il futuro è che la spiccata sensibilità della magistratura al concreto porti a sviluppi ulteriori sul tema, in tal modo incentivando sempre piú un mondo bancario coraggioso ma responsabile, disposto a contribuire in modo sano, fattivo e rispettoso anche delle aspettative dei terzi ad operazioni di ristrutturazioni e ripartenze aziendali.

 

[1] Per un’analitica disamina del concetto di «finanziamento» quale utilizzato negli artt. 38 ss. del t.u.b. si veda G. Falcone, Riflessioni sulla nozione di «finanziamento» negli artt. 38 segg. del decreto legi­slativo n. 385 del 1993: il credito fondiario come contratto, in Dir. fall., 1999, 659 ss.; S. Boatto, Sub art. 38, in C. Costa (a cura di), Commento al Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, I, Torino, 2013, 348; M. Rispoli farina, Sub art. 38, in F. Belli, G. Contento, A. Patroni Griffi, M. Porzio e V. Santoro (a cura di), Commento al d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, Bologna, 2003, 583 ss.; A.U. Petraglia, Il credito fondiario dopo il testo unico: profili giuridici, modalità operative e di recupero crediti, in Id. (a cura di), La nuova disciplina del credito fondiario, Roma, 1997, 33 ss. e 72 s.; Id., Mutuo di scopo: identificazione della fattispecie, innovazioni legislative e prospettive concorsuali, in S. Bonfatti e G. Falcone (a cura di), Procedure concorsuali e problemi della prassi, Milano, 1997, 3 ss.; M. Sepe, Sub art. 38, in F. Capriglione (diretto da), Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, I, Milano, 2018, 418; A. Patroni Griffi, La nuova discipli­na del credito fondiario: requisiti e caratteristiche dell’operazione. Tipicità e obbli­gatorietà della disciplina, Riv. dir. impr., 1996, 253. Sul tema sia consentito il rinvio anche a C. Pernice, Credito fondiario, «giusto rimedio» e qualificazione dell’operazione negoziale, Napoli, 292 ss.

[2] Alcuna dottrina ha spiegato la riserva in favore delle banche delle operazioni di credito fondiario, vuoi argomentando da una asserita «maggiore solvibilità» delle stesse rispetto agli altri intermediari finanziari (cosí R. Oriani, L’espropriazione singolare per credito fondiario, in Corr. giur., 1995, 370 ss., e, sia pur con alcune perplessi­tà, G. Bozza, Il credito fondiario nel nuovo t.u. bancario, Padova, 1996, 60 s.), vuoi valorizzando il principio della tutela costituzionale del risparmio di cui all’art. 47 cost. [cosí A.U. Petra­glia,Il credito fondiario dopo il testo unico, cit., 42, e A. Didone, Credito fondiario e fallimento: due privilegi in cerca di “ratio, in Fallimento, 1999, 955]. Contra G. Falcone, Protezione del credito bancario e “particolari operazioni di credito”, Na­poli, 2012, 257 ss., il quale eccepisce che soprattutto tale ultima ricostruzione non pare tenere nel debito conto la circostanza che il rapporto tra banche e intermediari finanziari disciplinati dal t.u.b. non si pone piú nei termini di una distinzione qualitativa, quanto piuttosto in quelli – meramente quantitativi – di una maggiore o minore intensità della soggezione alla Vigilanza: e questo ancor piú a séguito della rifor­ma della disciplina degli “intermediari del titolo V” introdotta dal d.lg. n. 141 del 2010, che ha unificato gli intermediari finanziari non bancari sotto il profi­lo della sottoposizione alla vigilanza della Banca d’Italia, e alla autorizzazione, da parte di quest’ultima della relativa attività, assimilando ancor piú, pertanto, la posizione degli intermediari a quella delle banche. A giudizio dell’a., pertan­to, la attuale interpretazione “aperta” (e non piú “bancocentrica”) dell’art. 47 cost., da un lato, e la recente riforma della disciplina degli intermediari finanziari non bancari intervenuta con il d.lg. n. 141 del 2010, dall’altro, farebbero sí che la riserva a favore delle sole banche della operatività nel credito fondiario abbia definitivamente perduto la possibilità di un “ancoraggio” costituzionale. Critica­mente sull’argomento anche G. Laurini, Note sui contratti di credito fondiario, in A.U. Petraglia (a cura di), La nuova disciplina del credito fondiario, cit., 208 (spec. nota 5) e 213, secondo il quale, sebbene il credito fondiario non si sia mai configurato come credito di scopo, bensí come credito ipotecario di smobi­lizzo, «non può negarsi che esso abbia di fatto costituito lo strumento principe per l’acquisto di case di abitazione. Né va trascurato che il credito fondiario ha svolto una funzione socialmente rilevante anche quando, agli inizi del secolo, rese disponibili per lo sviluppo industriale le risorse di un ceto abbiente legato alla proprietà fondiaria e privo di tradizioni imprenditoriali. Sono questi i motivi che possono ancóra oggi giustificare la conservazione dei vantaggi previsti per il credito fondiario. È tuttavia innegabile che analoghe facilitazioni andrebbero a maggior ragioni riconosciute a tutti i finanziamenti diretti allo sviluppo degli investimenti produttivi». Similmente P. Perlingieri, Ipoteche costituite da ­«aziende di credito», in Id., Il diritto dei contratti fra persona e mercato. Problemi del diritto civile, Napoli, 2003, 553, il quale muovendo dall’assunto che l’art. 38 t.u.b., «sebbene deroghi la par condicio e il princípio di eguaglianza formale, realizza il favor costituzionalmente rilevante della tutela del risparmio e del credito (art. 47)», si mostra favorevole a riconoscere l’esenzione dalla revocatoria a tutte le imprese creditizie che di fatto e di diritto operano nel settore senza possibili discri­minazioni. Sulla scorta di tali argomentazioni, all’indomani della emanazione del d.lg. n. 481 del 1992 e ancor prima che il t.u. venisse alla luce, autorevole dottrina (F. Di Sabato, Operazioni di credito e garanzia ipotecaria: prospettive di esonero dalla revocatoria, in Banca borsa tit. cred., 1993, 555 ss.) aveva segnalato l’impos­sibilità di escludere l’applicabilità dei «privilegi» riservati alle operazioni di credito fondiario (quali, segnatamente, l’esenzione dall’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare) per le operazioni che oggettivamente si connotassero per la durata oltre il breve termine, per la c.d. «stabilità degli effetti» e per la esistenza di una garanzia ipotecaria. Propone l’estensione della disciplina di vantaggio a favore dei soggetti non bancari iscritti nell’elenco di cui al comma 1 dell’art. 107, sulla base del combinato disposto di cui agli artt. 47 e 107, comma 7, t.u.b. (trascurando tuttavia la differenza tra crediti agevolati e crediti speciali su cui ampiamente D. La Rocca, La qualità dei soggetti e i rapporti di credito, Napoli, 1992, passim) anche P. Manes, Credito fondiario, revocatoria fallimentare e “istituti di credito fondiario”: un’in­terpretazione evolutiva, in Contr. impr., 2004, 985.

[3] Sebbene manchi una specifica de­finizione del concetto, è opinione condivisa che la nozione coincida con i crediti di durata superiore ai 18 mesi. Un indice normativo in tal senso lo si rinveniva sia nell’art. 4 della l. n. 175 del 1991, ove era previsto che per i mutui la durata non potesse essere inferiore a cinque anni (lett. a), e per le anticipazioni la durata dovesse essere superiori ai 18 mesi (lett. b); sia nelle Istruzioni della Banca d’Italia (Titolo IV, Cap. VI) ove si definivano «“finanziamenti a medio e lungo termine alle imprese”, il totale dei crediti, compresi i pronti contro termine attivi, in Italia e all’estero, con durata originaria superiore a 18 mesi nei confronti dei settori delle imprese finanziarie e non finanziarie, delle famiglie produttrici, delle amministrazioni locali», nonché (Titolo IV, Cap. VII) «attività a medio termine, il complesso delle attività con durata residua superiore a 18 mesi o inferiore a 5 anni […], attività a lungo terre a cinque anni (lett. mine, il complesso delle attività con durata residua superiore a 5 anni». In parte qua le istruzioni di vigilanza sono state abrogate nel 2006. Ad oggi, un aggancio normativo pare potersi rinvenire nell’art. 15, u.c., del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, che al solo fine di riconoscere l’esenzione dall’imposta di bollo, dalle impo­ste ipotecarie e catastali e dalle tasse sulle concessioni governative alle operazioni relative a finanziamenti a medio e lungo termine effettuati dalle banche, considera a medio e lungo termine le operazioni con durata maggiore a 18 mesi.

[4] Le istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia dispongono a tal proposito che la presenza di precedenti iscrizioni ipotecarie non impedisce la concessione dei finanziamenti, però, «in questo caso, per la determinazione del limite di finanziabilità, all’importo del nuovo finanziamento deve essere aggiunto il capitale residuo del finanziamento». Secondo G. Castaldi, La normativa di vigilanza in materia di credito fondiario, in A.U. Petraglia (a cura di), La nuova disciplina del credito fondiario, cit., 209 e 219, «la nuova normativa riveste carattere fortemente innovativo […], la disciplina dettata dalle autorità creditizie risente del venir meno delle finalità prudenziali un tempo collegate al limite di finanziabilità e della trasformazione di tale limite in semplice condizione per l’applicazione dei vantaggi procedurali e fiscali […]. Ne risulta indirettamente superata la stessa nozione legislativa dettata dall’art. 38, comma 1, T.U.: il credito fondiario, infatti, finisce col non essere piú caratterizzato dalla garanzia ipotecaria di primo grado». Nello stesso senso G. Puhali, Credito Fondiario e superamento della soglia di finanziabilità, in Riv. dir. impr., 2016, 595; P.L. Fausti,Nullità e tramonto del credito fondiario?, in Banca borsa tit. cred., 2020, 416; A. La Spina,Mutuo fondiario eccedentario e necessaria elasticità del rimedio, in Nuova giur. civ. comm., 2023, 388, la quale al riguardo discorre di «inderogabilità relativa o semi-dispositività». In giurisprudenza cfr. Cass., 12 novembre 2014, n. 24038, in expartecreditoris.it, secondo la quale «la natura fondiaria di un credito non è subordinata all’esclusi­vo scopo acquisitivo di un immobile, assistito da garanzia ipotecaria necessaria­mente di primo grado. Infatti la norma de qua non pone tali due elementi come condizioni essenziali per configurare un credito come fondiario»; Trib. Pavia, 3 febbraio 2021, n. 138, in Dejure online, che ha escluso la natura fondiaria del fi­nanziamento (con conseguente qualificazione dell’operazione alla stregua di mu­tuo ordinario ipotecario) essendo lo stesso garantito da ipoteca di secondo grado. ­

[5] La medesima delibera però, riconosce alla banca la possibilità di elevare il limite del finanziamento fino al 100% del valore dell’immobile ipotecato laddove vengano prestate specifiche garanzie integrative. Sul punto si vedano le «Istruzioni di vigilanza» della Banca d’Italia e il comunicato della Banca d’Italia, Garanzie integrative per il credito fondiario, in GU n. 76 del 2 aprile 2005, ove si individuano le garanzie integrative ammesse (fideiussioni bancarie, polizze fideiussorie di compagnie di assicurazione, garanzie rilasciate da fondi pubblici di garanzia o da consorzi e cooperative di garanzia fidi, cessioni di crediti verso lo Stato, cessioni di annualità o di contributi a carico dello Stato o di enti pubblici nonché pegno su titoli di Stato) e si precisano le caratteristiche minime che le stesse devono possedere.

[6] Cosí P.L. Fausti, Nullità e tramonto del credito fondiario?, cit., 411.

[7] Lo osserva M. Sepe, Sub art. 39, in F. Capriglione (diretto da), Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, cit., 435. Il privilegio del consolida­mento, infatti, rispetto al sovvenuto-consumatore è privo di rilievo (ma vedi le considerazioni espresse da P.L. Fausti, Nullità e tramonto del credito fondia­rio?, cit., 418, spec. nota 33, secondo il quale «Un caso pratico di rilevanza, anche se non agevolmente indivi­duabile, potrebbe forse essere quello della concessione di un mutuo ipotecario ad un privato che agisce nello specifico contratto come consumatore, ma che abitualmente svolge un’attività di impresa, in forma individuale o societaria con assunzione di responsabilità illimitata: l’eventuale fallimento coinvolgerebbe infatti l’intero patrimonio del soggetto»). Per tale ragione, soprattutto quando il cliente non è imprenditore, talvolta si procede all’erogazione anticipata del finanziamento rispetto all’iscrizione ipotecaria. Si esprime favorevolmente sul­la compatibilità di tale prassi con la natura fondiaria dell’operazione, per lo meno ogni qualvolta sia pattuita la restituzione del finanziamento «quando la relazione notarile definitiva abbia successivamente ad evidenziare l’esistenza […] di forma­lità pregiudizievoli per la garanzia della banca e, a maggior ragione, se la somma venga lasciata presso la banca stessa in deposito cauzionale: sembra infatti che, per lo meno in tali casi, l’ipoteca conservi ancóra, nell’ambito del finanziamento, quella valenza causale che è caratteristica delle operazioni fondiarie» C. Caccavale, Gli “atti unilaterali di mutuo” nel credito bancario, in Riv. dir. civ., 2001, 347 nota 112.

[8] Rileva P.L. Fausti, Nullità e tramonto del credito fondiario?, cit., 411, che il piú delle volte tali giudizi si instaurano a distanza di tempo dalla data di conclusione del negozio, sicché la revocatoria non operereb­be ugualmente. Piú nel dettaglio: di regola il curatore contesta la fondiarietà per superamento del vincolo di proporzione sub specie di nullità del titolo. La ban­ca resiste eccependo la validità (infatti alcuna giurisprudenza considera il mutuo eccedentario valido) o per lo meno la nullità parziale del contratto. Soprattutto quando il giudizio è instaurato a distanza di tempo dal compimento dell’atto, la banca chiede la conversione in ordinario ipotecario.

[9] La nullità del fondiario eccedentario è stata sostenuta talvolta per contrarietà all’art. 117, comma 8,t.u.b. (nel senso della nullità testuale, cfr. Cass., 1 settembre 1995, n. 9219, in Banca borsa tit. cred., 1997, 243 ss.; Trib. Lodi, 24 aprile 2013, in ilcaso.it), piú frequentemente considerando l’art. 38 t.u.b. norma imperativa (si esprimono a favore della nullità virtuale, ex multis, Cass., 13 luglio 2017, n. 17352, in Contratti, 2018, 169 ss.; Trib. Milano, 30 giugno 2016, in ilcaso.it). Nell’àmbito di tale ultimo indirizzo vi è poi chi opta per la conversione del negozio nullo in ordinario mutuo ipotecario (ex multis, Cass., 14 giugno 2021, n. 16776, in Contratti, 2022, 66 ss.; Cass., 24 settembre 2018, n. 22459, in altalex.it; Cass., 9 maggio 2018, n. 11201, in Banca borsa tit. cred., 2019, 341 ss.) e chi propende per la nullità la nullità parzialedel credito eccessivo e/o la riqualificazione del finanziamento fondiario sovra soglia in mutuo ipotecario ordinario (Cass., 1 settembre 1995, n. 9219, cit.; Trib. Roma, 2 febbraio 1989, in Temi romana, 1989, 80 ss.).

[10] Trib. Monza, 25 ottobre 2017, Trib. Mantova, 27 dicembre 2018, e Trib. Napoli, 9 ottobre 2020, tutte in ilcaso.it. Nella giurisprudenza di legittimità opta per tale soluzione Cass., 8 marzo 2022, n. 7509, in Mass. giust. civ., 2022, 22 ss. (pur avallando la natura imperativa dell’art. 38 t.u.b.). Possibiliste Cass., 28 giugno 2019, n. 17439, e Cass., ord. 9 febbraio 2022, n. 4117, entrambe in Dejure online.

[11] Da ultimo Cass., Sez. un., 16 novembre 2022, n. 33719, in Dir. merc. ass. fin., 2023, 230 ss. (alla quale si sono successivamente allineate Cass., 20 gennaio 2023, n. 1748; Cass., 2 febbraio 2023, n. 3273; Cass., 8 febbraio 2023, n. 3796, tutte in Dejure online) se­condo la quale la violazione del limite di finanziabilità determina la responsabilità della banca verso i creditori del sovvenuto e le autorità di controllo.

[12] Cass., 24 ottobre 1967, n. 2621,in Pluris online; App. Brescia, 21 aprile 2004, Trib. Mantova, 8 febbraio 2001, e Trib. Mantova, 9 ottobre 2003, tutte in ilcaso.it

[13] Cass., 3 novembre 2021, n. 31513, in dirittoegiustizia.it; Cass., 1 dicembre 1999, n. 2126, in Giur. it., 2002, 1259 ss.; Cass., 2 marzo 2004, n. 16688, in Foro it., 2005, 32 ss.

[14] Cass., 4 aprile 1970, n. 909, in Banca borsa tit. cred., 1971, 405; Cass., 27 giugno 1994, n. 6149, in Fallimento, 1995, 252, in motivazione quale obiterdictum.

[15] Trib. Terni n. 150 del 2006 e App. Perugia, n. 258 del 2010, ri­chiamate da Cass., 28 settembre 2016, n. 19196, in Giur. it., 2017, 383. Discorre di motivo illecito co­mune anche Cass., 25 luglio 2018, n. 19746, in Contratti, 2019, 297 ss.

[16] Trib. Latina, 16 dicembre 2009, in ilcaso.it; Trib. Nola, 24 febbraio 2009, in Foro it., 2009, 2244 ss.; Trib. Taranto, 4 marzo 2014, in dirittobancario.it.

[17] Cass., 25 marzo 1999, n. 2801, in Foro it., 2000, 185 ss.; Cass., 7 gennaio 2004, n. 12, in Fallimento, 2004, 934 ss.; Cass., 1 ottobre 2007, n. 20622, in Dir. fall., 2009, 181 ss.(richia­mata da Trib. Treviso, 24 settembre 2014, in ilcaso.it); Cass., 27 novembre 2013, n. 26504, in Dejure online; Cass., 13 aprile 2016, n. 7321, in dirittobancario.it, 2016; Cass., 26 febbraio 2018, n. 4513, in dirittoegiustizia.it; Cass., 10 febbraio 2020, n. 3024, in Contratti, 2020, 546 ss.

[18] Cass., 8 aprile 2020, n. 7740, in Giur. it., 2021, 308 ss. (con riferimento al ripianamento di un debito fondiario ipotecario); Cass., 25 gennaio 2021, n. 1517, in Banca borsa tit. cred., 2021, 808 ss.; Cass., 21 ottobre 2021, n. 37654, in ilcaso.it.

[19] Si consideri che la prima disciplina in materia di credito fondiario risale alla l. 24 giugno 1866, n. 2983, successivamente riorganizzata nel t.u. 16 luglio 1905, n. 646 ed il relativo regolamento di attuazione r.d. 5 maggio 1910, n. 472

[20] Cass., 9 maggio 2018, n. 11201, cit.; G. Presti, Le particolari operazioni di credito nel nuovo ordinamento bancario, in U. Morera e A. Nuzzo (a cura di), La nuova disciplina dell’impresa bancaria, II, Milano, 1996, 89.

[21]Cass., 10 febbraio 2020, n. 3024, cit.

[22] G. Terranova, La nuova disciplina delle revocatorie fallimentari, in Dir. fall., 2012, 253 s.

[23] G. Terranova, Par condicio e danno nelle revocatorie fallimentari, in Dir. fall., 2010, 12.

[24] La crisi economica che ha investito il globo nel 2008 ne dà testimonianza. Nella giurisprudenza di legittimità hanno denunciato le «devastanti con­seguenze negative per l’economia a livello nazionale mondiale delle crisi degli operatori creditizi già dal primo decennio di questo secolo», nonché i «sempre piú frequenti salvataggi di singoli operatori di quel mercato posti a carico dell’e­rario per una pubblicistica valutazione di intollerabilità del negativo impatto de­gli effetti cumulativi delle crisi di quelli, in ultima analisi, sull’economia naziona­le» Cass., 28 giugno 2019, n. 17439, cit., e Cass., ord. 8 marzo 2022, n. 7509, cit. In quella di merito, Trib. Firenze, 30 ottobre 2014, in Banca borsa tit. cred., 2015, 466 ss., ove si afferma che la banca, in qualità di soggetto destinato alla raccolta e alla gestione del risparmio, non può essere considerata «alla stregua di un qualsiasi operatore finanziario», e si sottoli­nea come il mancato adempimento delle obbligazioni gravanti sul mutuatario sia idoneo a creare «un effetto a catena di fallimenti, perdita di posti di lavoro e crisi economica».­

[25] P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il si­stema italo-comunitario delle fonti, 3ª ed., Napoli, 2006, 137.

[26] D. La Rocca, La qualità dei soggetti e i rapporti di credito, cit., 220.

[27] In tal senso R. Costi, L’ordinamento bancario, Bologna, 2012, 456, il quale sot­tolinea che la necessità di ricorrere ad una disciplina speciale nacque dal convin­cimento che gli strumenti di diritto comune (in particolare, il credito ipotecario) non fossero in grado di far affluire ai proprietari di immobili i capitali di cui avevano bisogno.

[28] D. La Rocca, La qualità dei soggetti e i rapporti di credito, cit., 247.

[29] Mette in risalto il collegamento tra l’esenzione prevista per i piani vol­ti al riequilibrio finanziario dell’impresa ed il credito fondiario G. Terranova, La nuova disciplina delle revocatorie fallimentari, cit., 276 ss., il quale osser­va che prima dell’introduzione del comma 3 dell’art. 67, l. fall., le operazioni di ristrutturazione del debito venivano “protette” nei confronti delle revocatorie attraverso l’impiego del fondiario. L’a., segnatamente, rileva che l’introduzione di una precisa previsione normativa per le operazioni di ristrutturazione si rese necessaria a causa degli «atteggiamenti poco lungimiranti di entrambi i protago­nisti della vicenda – le banche, da un lato, i tribunali fallimentari dall’altro – che avevano finito per rendere impraticabile questa strada per il risanamento finan­ziario dell’impresa. Per un verso, infatti, le aziende di credito avevano approfit­tato della breccia aperta nel sistema revocatorio per compiere operazioni, che nulla avevano a che vedere con la erogazione di nuova finanza (volta a favorire il superamento di una crisi aziendale) ma servivano solo a procurare una copertura ipotecaria all’indebitamento pregresso. Per altro verso, la giurisprudenza – una volta preso atto della mancanza di una valida giustificazione economica e sociale del privilegio concesso dalla legge – aveva reagito con eccessiva durezza revocan­do tutti i giroconti interni con i quali la banca aveva utilizzato il netto ricavo del mutuo ipotecario per estinguere i rapporti (in chirografo) già esistenti nei con­fronti del correntista (per non parlare di alcuni atteggiamenti ancóra piú rigorosi, che revocavano anche l’ipoteca sulla base di una supposta frode alla legge, con la conseguenza di duplicare la perdita subita dalla banca). Intendiamoci: sul piano tecnico giuridico l’atteggiamento della giurisprudenza dianzi richiamata (non di quella che duplicava la revocatoria) potrebbe anche essere condiviso dato che il giroconto si configura come un atto estintivo di un debito pregresso in palese violazione della par condicio creditorum. Sul piano di una maggiore attenzione valori in gioco si sarebbe dovuto distinguere, invece, da caso a caso, perché se la banca ha concesso davvero nuova finanza, non ci si può meravigliare che chieda una migliore collocazione dei crediti preesistenti, purché l’intervento sia miratonel complesso a riequilibrare l’esposizione debitoria dell’azienda per farle superarela crisi.In altri termini, si sarebbero dovute distinguere le ipotesi nelle quali si è davvero consumata una frode alla legge (tenendo conto della nuova funzione sociale dell’estensione) dalle ipotesi nelle quali la copertura dei debiti pregressi risponde alla logica di un’operazione di risanamento finanziato concepita in ma­niera unitaria». Lo stesso a., tuttavia, che nell’ultimo passaggio appena citato non chiarisce se occorra o meno l’erogazione di nuova liquidità, evidenzia come l’e­senzione di cui all’art. 67, comma 3, lett. d, inizialmente pensata per le operazioni aventi ad oggetto l’erogazione di nuova finanza abbia finito per ricomprendere “tutti” gli atti previsti dal piano per uscire dalla crisi. In precedenza già G. Pelle­grino, Operazioni Bancarie e revocatoria fallimentare, cit.,15 s., il quale au­spicava che, sulla falsariga della disciplina fondiaria, nel caso di accordi interban­cari adeguatamente formalizzati, il supporto finanziario fornito all’impresa non venisse assoggettato all’azione revocatoria, e ciò a prescindere in maniera assoluta degli importi degli affidamenti concessi e da qualsiasi analisi circa l’effettivo rien­tro di esposizioni. Si interroga sull’ammissibilità di operazioni di rifinanziamento dell’impresa in crisi lecite al di fuori dei piani di sostegno tipizzati fallimento G.B. Nardecchia, Il finanziamento fondiario e le sue patologie, in Fallimento, 2021, 1240. Sul punto anche C. Scarpinello,Revocatoria di ipoteca accesso­ria a credito fondiario per debito preesistente già ipotecario, in Giur. it., 2021, 315, la quale evidenzia che l’impresa che chiede ed ottiene un rifinanziamento potrebbe tro­varsi in una situazione tale da non consentire l’accesso a procedure tipizzate; G. Terranova, Effetti del fallimento sugli atti pregevoli pregiudizievoli ai creditori, in Comm. l. fall. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 2002, 342, il quale fa riferimento ad iniziative volte a permettere all’impresa di conservare la propria operatività “tanto meglio”, ma non necessariamente, pro­grammate all’interno di piani di risanamento. In giurisprudenza, ex multis, Cass., 30 giugno 2021, n. 18610, in dirittodellacrisi.it, 2021, la quale, dopo aver esaminato i principali istituti legislativi volti all’ausilio creditizio dell’impresa in crisi, appurato che «si tratta di norme speciali che introducono meccanismi procedimentalizzati e fondati su precisi presupposti e controlli, idonei a renderli utili, per definizione, allo scopo di un progetto economico-finanziario volto al recupero della continuità azienda­le», ritiene di poter trarre, dal sistema utili indicazioni al tema della distinzione tra finanziamenti leciti ed abusivi. «Infatti, esso vale a chiarire come, e la Corte lo ha già rilevato (cfr. Cass., 5 agosto 2020, n. 16706), gli istituti di ordinario suppor­to ai deficit di liquidità delle imprese in crisi stiano proprio ad indicare il necessa­rio spazio, anche ai sensi dell’art. 41 Cost., di un possibile e lecito finanziamento all’impresa in crisi, non solo nell’àmbito dei negozi connotati da un formalizzato ­progetto di sostegno alle medesime, ma anche al di fuori di essi; sino al limite, tuttavia, in cui tali condotte finiscano per alterare – con colpa o dolo – “la cor­rettezza delle relazioni di mercato e a costituire fattori di disinvolta attitudine cd. predatoria rispetto ad altro soggetto economico in dissesto”. Vero è che, di fronte alla richiesta di una proroga o reiterazione di finanziamento, la scelta del “buon banchiere” si presenta particolarmente complessa: astretto com’è tra il rischio di mancato recupero dell’importo in precedenza finanziato e la compromissione definitiva della situazione economica del debitore, da un lato, e la responsabi­lità da incauta concessione di credito, dall’altro lato. Onde ogni accertamento, ad opera del giudice del merito, dovrà essere rigoroso e tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto, secondo il suo prudente apprezzamento, soprat­tutto ai fini di valutare se il finanziatore abbia (a parte il caso del dolo) agìto con imprudenza, negligenza, violazione di leggi, regolamenti, ordini o discipline, ai sensi dell’art. 43 c.p., o abbia viceversa, pur nella concessione del credito, attuato ogni dovuta cautela, al fine di prevenire l’evento. Tale seconda situazione potrà, ad esempio, verificarsi ove la banca – pur al di fuori di una formale procedura di risoluzione della crisi dell’impresa – abbia operato nell’intento del risanamento aziendale, erogando credito ad impresa suscettibile, secondo una valutazione ex ante, di superamento della crisi o almeno di razionale permanenza sul mercato, sulla base di documenti, dati e notizie acquisite, da cui sia stata in buona fede de­sunta la volontà e la possibilità del soggetto finanziato di utilizzare il credito allo scopo del risanamento aziendale, secondo un progetto oggettivo, ragionevole e fattibile. È peraltro richiesto che, nella formulazione delle proprie valutazioni, la banca proceda secondo lo standard di conoscenze e di capacità, alla stregua della diligenza esigibile da parte dell’operatore professionale qualificato, e ciò sin dall’obbligo ex ante di dotarsi dei metodi, delle procedure e delle compe­tenze necessari alla verifica del merito creditizio. Sarà cómpito del giudice del merito individuare lo spazio ammissibile per il finanziamento lecito, allorché, pur se concesso in presenza di una situazione di difficoltà economico-finanziaria dell’impresa, sussistevano ragionevoli prospettive di risanamento. Quel che rile­va, dunque, non è piú il fatto in sè che l’impresa finanziata sia in istato di crisi o d’insolvenza, pur noto al finanziatore, onde questi abbia cosí cagionato un ritar­do nella dichiarazione di fallimento: quel che rileva è unicamente l’insussistenza di fondate prospettive, in base a ragionevolezza e ad una valutazione ex ante, di superamento di quella crisi. In sostanza, sovente il confine tra finanziamento “meritevole” e finanziamento “abusivo” si fonderà sulla ragionevolezza e fattibi­lità di un piano aziendale. Al riguardo, un criterio di diritto positivo può essere rinvenuto nell’art. 67 L. Fall.: il quale, similmente al d.lg. n. 14 del 2019, artt. 56 e284, menziona il piano “che appaia idoneo a consentire il risanamento della espo­sizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria”. Un utile ausilio, in tal senso, può trarsi altresí dai criteri enunciati dall’art. 69 quinquiesdecies t.u.b., introdotto dal d.lg. 16 novembre 2015, n. 181: norma che, sia pure nell’àmbito del “sostegno finanziario” infragruppo, indica le condizioni in cui esso è lecito, proprio enunciando i criteri in base a cui “si può ragionevolmente prospettare che il sostegno fornito ponga sostanziale rimedio alle difficoltà finanziarie del beneficiario” e “vi è la ragionevole aspettativa […] che sarà pagato un corrispettivo e rimborsato il prestito da parte della società beneficiaria”. L’intrinseca ragionevolezza di tali criteri può, dunque, offrire logici parametri anche per la valutazione del caso in esame. Onde, allorché la banca effettui finanziamenti all’impresa in istato di crisi, vuoi all’interno di una soluzio­ne concordata, vuoi indipendentemente da essa, quello indicato potrà costituire il parametro per valutare la ravvisabilità, oppure no, di una responsabilità per concessione abusiva di credito; dovendosi, peraltro, osservare come, in ipotesi di procedura formalizzata e sottoposta a controlli esterni, i margini di tale responsa­bilità saranno, in concreto, alquanto ristretti».

[30] G. Terranova, Le procedure concorsuali. Problemi di una riforma, Mi­lano, 2004, 51 s.

[31] G. Terranova, La nuova disciplina delle revocatorie fallimentari, cit., 253. Nello stesso senso F. Di Sabato, Operazioni di credito e garanzia ipotecaria, cit., 561 s., secondo la quale la par con­dicio affonda le proprie radici nel principio di uguaglianza che, da un lato, deve essere coordinato con altri valori costituzionali, quali la tutela del lavoro (art. 4 cost.), la difesa del diritto d’impresa (art. 41 cost.), la tutela del risparmio e la di­sciplina del credito (art. 47 cost.), dall’altro «ha un spazio delimitato dal rispetto di due guide-line segnate, rispettivamente, dalla regola di parità delle condizioni di partenza e dal principio di ragionevolezza.

[32]Che ha inserito il comma 3 dell’art. 67 l. fall.

[33] In tal senso C. Scarpinello, Revocatoria di ipoteca accessoria a credito fondiario per debito preesistente già ipotecario, cit., 316, e G. Terranova, Par condicio e danno nelle revocatorie fallimentari, cit., 12 ss., il quale individua plurime ragioni del ridimensionamento della (ex) revocatoria fallimentare: fattori contingenti; risposte a certi atteggiamenti giurisprudenziali considerati troppo rigorosi soprattutto nel campo dei rapporti bancari; trasformazione del sistema economico. In particolare l’a. (p. 15) osserva che il timore nutrito dalle banche di subire gli effetti delle revocatorie costituiva il principale deterrente per le stesse a chiedere il fallimento dei propri clienti «con la paradossale conseguenza di creare una sorta di mano morta, una fascia d’aziende in difficoltà che non fallivano, per­ché i principali creditori non avevano alcun interesse farle fallire, ma nemmeno si risanavano, giacché gli stessi creditori temevano di non poter recuperare quella nuova finanza che avrebbe dovuto essere erogata per dare nuovo slancio all’a­zienda, incrementandone la produttività. Cosí, in tempi di crisi, si creavano delle vere e proprie sacche d’inefficienza, costituite da imprese che continuavano a bi­vacchiare, senza tornare in utile, finché non si estinguevano per consunzione, con danno grave e certo […] per l’economia». Per altro verso (p. 16) con l’avvento dell’impresa industriale e la diffusione di finanziamenti di lungo periodo assistiti da solide garanzie (non necessarie per le operazioni d’importo limitato e a breve termine rispetto alle quali si considerava sufficiente la garanzia patrimoniale ge­nerica) si rese necessario scongiurare il pericolo che una raffica di revocatorie si dirigesse contro alcuni soggetti, tra cui le banche, che avevano rapporti reiterati e continuativi con il fallito. Il problema era non tanto «preservare ad ogni costo la par condicio e di rendere uguale ciò che in natura non è tale (dato che le aspet­tative delle varie classi dei creditori sono profondamente diverse); e […] nem­meno quello di eliminare quanto prima l’impresa ammalata dal mercato; ma era quello di rendere compatibile la disciplina della revocatoria con la conservazione dell’organismo produttivo, nell’intento – o nella speranza non sempre fondata – di trovare una soluzione piú conveniente per tutti. Da tale angolo visuale si com­prende la disciplina delle esenzioni. E si comprende, soprattutto, che il problema è di trovare un limite qualitativo – piú che quantitativo – alla revocabilità degli atti compiuti nel periodo sospetto, in modo da colpire la sola frode, ovunque si annidi, senza per questo sbarrare la strada alle iniziative utili per l’intera massa». Similmente M. Sandulli, Le esenzioni dalla revocatoria per gli istituti di credito speciale, in Dir. fall., 1995, 106 ss., il quale evidenzia come l’esonero da un lato favorisca il terzo garantendogli che il rapporto posto in essere non ricada nell’area di influen­za della revocatoria, dall’altro consenta all’impresa insolvente di continuare ad operare. Secondo l’a. (p. 107) il pregiudizio che la revocatoria intende evitare nonè tanto la disparità di trattamento tra i creditori quanto il pregiudizio all’impresa, inteso come evento che ne influenzi negativamente il suo esercizio: «svolgendo il discorso in positivo si può dire che restano escluse dalla revocatoria quelle operazioni che hanno la funzione di apportare all’impresa flussi finanziari da destinare all’avvio, alla ripresa, alla riorganizzazione dell’impresa anche se attualmente in difficoltà […]. […] tale interpretazione trova una conferma in quelle previsioni delle leggi speciali che consentono la revocatoria se il fallimento viene dichiarato nei dieci giorni dal compimento dell’operazione di finanziamento. Infatti è evi­dente che, in tal caso, il finanziamento, non ha avuto il tempo di arrecare alcun vantaggio all’impresa e comunque è stato il frutto di una errata o gravemente negligente istruttoria della pratica; da ciò la giusta sanzione della revocatoria» (p. 108).

[34] G. Terranova, La nuova disciplina delle revocatorie fallimentari, cit., 253; Id., Effetti del fallimento sugli atti pregevoli pregiudizievoli ai creditori, cit., 341.

[35] G. Terranova, La nuova disciplina delle revocatorie fallimentari, cit., 248 s., anche con specifico riguardo ai crediti speciali.

[36] G. Tucci, Le norme per l’esercizio di particolari operazioni di credito: la nuova disciplina dei privilegi nel finanziamento alle imprese, in Banca impr. soc., 1993, 306. Rileva B. Campagna, Mutuo fondiario: la violazione del limite di finanziabilità non com­porta la nullità del contratto ex art. 38 co. 2 tub, in Riv. dir. banc., 2014, 6, che «nella disciplina del fondiario è tuttora presente qualche elemento che lascia supporre che il mutuo fondiario ha conservato ancóra oggi una certa colorazione causale, soprattutto perché se cosí non fosse, le norme di favore in tema di revocatoria sarebbero del tutto prive di una valida giustificazione».

[37] Ad esempio, rispetto al binomio nullità-conversione, considerato che, secondo l’indirizzo maggioritario, il recupero del negozio nullo presuppone una esplicita istanza di parte. In tal senso, ex multis Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243, in Riv. dir. proc., 2015, 748 ss. Contra, Trib. Ca­sale Monferrato, 30 ottobre 2002, in Nuova giur. civ. comm., 2003, 841 ss., e con specifico riguardo ad una operazione di credito fondiario, Cass., 19 novembre 2013, n. 25903, in Dejure online, che ha confermato il ragionamento della Corte d’Appello la quale, rilevata la nullità di un contratto di mutuo fondiario per assenza dei requisiti tipici sta­biliti dal t.u.b., ne aveva implicitamente (sembra di capire sua sponte, senza previe richieste di parte) riconosciuto la conversione in un mutuo ipotecario, con conseguente validità del titolo esecutivo posto a fondamento dell’azione esecuzione opposta.

[38] Sul ruolo centrale dell’interprete nella qualificazione del negozio P. Per­lingieri, Appunti di “Teoria dell’interpretazione”, Camerino, 1970, 47 ss.; Id., Interpretazione e qualificazione: profili dell’individuazione normativa, in Id., Lezioni, I, Napoli, 2020, 45 ss. In giurisprudenza, da ultimo, v. Cass., 25 luglio 2022, n. 23149, in ilcaso.it, che con specifico riguardo alle operazioni fondiarie destinate a ripianare debiti pregressi, dopo aver con­testato nel merito la tesi della (ri)qualificazione officiosa dell’operazione quale pactum de non petendo, dinnanzi all’eccezione di parte secondo cui il giudice non avrebbe potuto convertire d’ufficio il negozio nullo (cioè il mutuo solutorio) in contratto atipico in assenza di una esplicita domanda, ha replicato che la ricon­siderazione di un finanziamento di consolido in contratto atipico è operazione consentita trattandosi di qualificazione giuridica del negozio. In argomento an­che Cass., 8 aprile 2020, n. 7740, cit. (con riferimento al ripianamento di un debito fon­diario ipotecario); Cass., 25 gennaio 2021, n. 1517, cit., Cass., 21 ottobre 2021, n. 37654, cit. Queste sentenze, con specifico riguardo alle operazioni fondiarie desti­nate a ripianare debiti pregressi, hanno optato per la (ri)qualificazione officiosa dell’operazione quale pactum de non petendo. Trib. Pavia, 3 febbraio 2021, n. 138, cit., che ha escluso la natura fondiaria del finanziamento (con conseguente qualificazione dell’operazione alla stregua di mutuo ordinario ipotecario); Cass., 6 giugno 2012, n. 10617, in Mass. giust. civ., 2012, 844, secondo la quale «[i]l giudice […] può conferire al rap­porto in contestazione una qualificazione giuridica diversa da quella […] delle parti, avendo egli il potere-dovere di inquadrare nell’esatta disciplina giuridica gli atti e i fatti che formano oggetto della controversia, anche in mancanza di una specifica impugnazione e indipendentemente dalle argomentazioni delle parti». In generale, ritiene che l’intitolazione di una operazione economica da parte dei contraenti non vin­cola il giudice, costituendo al piú un indizio dal quale procedere per la qualifica­zione, Cass., 12 aprile 1996, n. 3444, in Guida dir., 1996, 26, 49 ss., ove si legge che la determinazione della natura di un contratto «non dipende dal nomen iuris attribuitogli dall’una o dall’altra parte, ma dalla reale volontà negoziale, che va desunta dall’esame del contenuto del contratto in relazione agli scopi pratici per­seguiti dagli interessati». Contra Cass., 27 novembre 1984, n. 6168, in Mass. Foro it., 1984, 1218, secondo la quale il giudice può prescindere dal nomen iuris dato dalle parti al contratto soltanto quando quest’ultimo manchi di chiarezza, univocità e pre­cisione; Cass., Sez. un., 16 novembre 2022, n. 33719, cit., e F. OnnisCugia, Le operazioni “particolari” di finanziamento con garanzia immobiliare, Napoli, 2022, 169 nota 590, il quale richiama in proposito il pensiero di V. Roppo, Il contratto, Milano, 2011, 408, secondo il quale il giudice può disattendere la falsa qualificazione operata dalle parti solo laddove la denominazione adottata non corrisponda alla sostanza dell’operazione da loro voluta. Ma se le parti qualificano un contratto con il deliberato proposito di regolare il rapporto secondo la disciplina di quel tipo il giudice non può disattendere la loro qualificazione in pro di un’altra: sarebbe un’arbitraria invasione del territorio dell’autonomia privata.

[39] L’asserita imperatività dell’art. 38 t.u.b. è con­traddetta dalla circostanza che nel nostro ordi­namento non esiste alcuna regola che obblighi le banche a non concedere credito se non a fronte di adeguate (rectius predeterminate) garanzie immobiliari. Gli Istituti di credito sono liberi di erogare finanziamenti e finanche privi di tutele specifiche (chirografari), salvo il merito creditizio del clien­te – che si lega ma ben può prescindere dal valore di eventuali garanzie. Sul punto sia consentito il rinvio a C. Pernice, Credito fondiario, cit., 323 ss., spec. note 124, 171 e 415.

[40] Sulla inconferenza dell’art. 117 t.u.b. può osservarsi, da un punto di vista testuale, che l’art. 38 del t.u.b. conferisce alla Banca d’Italia non già il potere di stabilire una certa clausola del contratto di mutuo fondiario bensí solo quello di determinare la percentuale massima del finanziamento che costituisce l’oggetto del contratto e che è quindi un elemento di per sé già tipizzato e costituente una clausola necessaria. La “prescrizione” inerente al vincolo di proporzione promana dalla stessa norma primaria (vale a dire dal secondo comma dell’art. 38 t.u.b.), che attribuisce alla Banca d’Italia non il cómpito di “prevederlo”, ma quello di fissarne l’estensione. Infatti l’organo di vigilanza, nel caso che occupa, diversamente da quanto previsto dall’art. 117 t.u.b., è obbligato sia riguardo all’an (dovendo necessariamente intervenire), sia in merito al quomodo, giacché non ha libertà valutativa né sulla scelta del tipo di contratto sul quale intervenire, né su quale tipologia di clausola inserire. Viceversa l’art. 117 t.u.b. assegna alla Banca d’Italia l’incarico “conformativo” o “tipizzatorio” di prescrivere quali caratteristiche un determinato negozio debba presentare affinché possa essere indicato con un certo nomen iuris. Da un punto di vista funzionale, può mettersi in evidenza che le rationes sottese alle due norme appaiono del tutto diverse: l’art. 117, comma 8, t.u.b. è previsione rivolta alla tutela del contraente debole, essendo posta a presidio dell’interesse all’informativa e al consapevole consenso del cliente (in questo senso depone per altro la sua collocazione sistematica); l’art. 38 t.u.b., invece, è disposizione preordinata (anche) alla sana e prudente gestione della banca, intendendo assicurare una sicura copertura in caso di insolvenza del mutuatario e, di conseguenza, un piú agevole recupero del credito. Per approfondimenti sul punto sia consentito il rinvio a C. Pernice, Credito fondiario, cit., 89 ss.

[41] S. Pagliantini, Mutuo fondiario e limite di finanziabilità: a passo di gambero, in Nuova giur. civ. comm., 2023, 409.

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