L’art. 5 del d.lgs. n. 231 del 2001, nello stabilire il criterio in base ai quali il reato commesso dalla persona fisica può essere attribuito alla persona giuridica, individua il c.d. criterio di imputazione oggettiva, a norma del quale l’ente risponde solo dei reati commessi nel suo “interesse o vantaggio”.
Sul punto la Cassazione ha già ricondotto l’”interesse esclusivo” dell’agente che ha commesso il reato presupposto ai fatti illeciti posti in essere nel suo interesse esclusivo, per un fine personalissimo o di terzi. In sostanza, con condotte estranee alla politica di impresa. A contrario, ed in positivo, si può quindi ritenere che le condotte dell’agente, poste in essere nell’interesse dell’ente, sono quelle che rientrano nella politica societaria ossia tutte quelle condotte che trovano una spiegazione ed una causa nella vita societaria.
Più agevole la definizione del “vantaggio”, che va inteso come la potenziale o effettiva utilità, ancorché non necessariamente di carattere patrimoniale, derivante dalla commissione del reato presupposto, valutabile “ex post”, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito.