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Criteri e “Rating ESG” nel quadro del principio di sostenibilità e della correlata transizione energetica

21 Giugno 2023

Marcello Condemi, Professore Straordinario di Diritto dell’Economia, Università di Roma – G.Marconi

Di cosa si parla in questo articolo
ESG

SOMMARIO: Una delle tematiche più attenzionate del periodo storico contemporaneo, tanto da parte del mondo istituzionale, quanto anche dalla società civile, specialmente a seguito dei tragici eventi geopolitici ed anche naturali, risulta essere quella della transizione energetica. Quanto fin qui accaduto ed elaborato in sede normativa ed istituzionale, tuttavia, non può (e non deve) ritenersi un definitivo approdo, e men che meno una “moda” passeggera, quanto piuttosto solo una delle insopprimibili tappe di un lungo percorso che dovrà accompagnarci per l’avvenire, volto a perseguire, attraverso complessi ed articolati interventi in costante evoluzione, l’auspicato, quanto difficile, obiettivo di assicurare condizioni di “sostenibilità” pienamente compatibili con il soddisfacimento delle necessità del presente, senza, in ragione di ciò, compromettere il soddisfacimento delle medesime in capo alle generazioni future; complessi ed articolati interventi, questi, principalmente ed originariamente di carattere normativo ed istituzionale, che tuttavia abbisognano della necessaria ed efficace compresenza di un sentire comune da coniugarsi con una sana azione imprenditoriale, spiccatamente improntata ai temi afferenti alla “sostenibilità”, declinata cioè non solo nella più comunemente nota accezione ambientale, quanto anche con riferimento al rispetto dell’ampia gamma di profili afferenti i diritti umani e le best practice a livello di governance, tutti elementi riassumibili nell’acronimo ESG (Enviormental, Social, Governance). In questa prospettiva, il presente contributo, oltre a tener conto delle più recenti e rilevanti iniziative, in particolare legislative ed istituzionali in materia di “sostenibilità”, anche riconoscendo l’enorme sforzo fin qui compiuto specie in chiave europea e, a cascata, sul piano nazionale,  focalizza l’attenzione – in quanto fondamentale strumento di verifica e misurazione, a dispetto delle diffusissime pratiche di greenwashing, della fedele e veritiera applicazione della congerie di regole emanate e delle indicazioni istituzionali – sulle modalità e sistemi (cc.dd. framework di rating), attraverso cui è possibile misurare oggettivamente, attraverso parametri e criteri condivisi, il livello di “sostenibilità” (nel senso sopra precisato) raggiunto dai soggetti destinatari della disciplina, ad evidente beneficio di operatori, autorità, soggetti a vario titolo interessati e, per tale via, dell’effettiva crescita ESG del complessivo sistema.

ABSTRACT: One of the most closely watched issues of the contemporary historical period, both by the institutional world and also by civil society, especially in the wake of tragic geopolitical and also natural events, turns out to be that of energy transition. What has happened so far and has been elaborated in regulatory and institutional settings, however, cannot (and should not) be considered a definitive landing place, and even less a passing “fashion,” but rather only one of the irrepressible stages of a long path that will have to accompany us for the future, aimed at pursuing, through complex and articulated interventions in constant evolution, the desired, as difficult as they are, objective of ensuring conditions of “sustainability” fully compatible with the satisfaction of the needs of the present, without, by reason of this, compromising the satisfaction of the same in the hands of future generations; These are complex and articulated interventions, mainly and originally of a regulatory and institutional nature, which, however, require the necessary and effective coexistence of a common feeling to be combined with a healthy entrepreneurial action, markedly marked by issues related to “sustainability,” that is, declined not only in the most commonly known environmental meaning, but also with reference to respect for the wide range of profiles related to human rights and best practices at the level of governance, all elements summarized in the acronym ESG (Environmental, Social, Governance). In this perspective, this contribution, in addition to taking into account the most recent and relevant initiatives, in particular legislative and institutional initiatives on the subject of “sustainability,” also recognizing the enormous effort made so far especially from a European perspective and, in cascade, at the national level, focuses attention – as a fundamental verification and measurement tool, in spite of the widespread practices of greenwashing, the faithful and truthful application of the congeries of rules issued and institutional indications – on the methods and systems (cc. dd. rating frameworks), through which it is possible to objectively measure, through shared parameters and criteria, the level of “sustainability” (in the sense specified above) achieved by the subjects addressed by the rules, to the obvious benefit of operators, authorities, stakeholders in various capacities and, in this way, of the effective ESG growth of the overall system.


1. Nozione e ragioni di una ordinata transizione energetica

Con la locuzione “transizione energetica” – ormai, per più ragioni, al centro del dibattito economico e politico – s’intende, molto sinteticamente, il passaggio da una struttura produttiva basata sulle fonti energetiche non rinnovabili, derivanti, in particolar modo, da fonti combustibili fossili come gas naturale, petrolio e carbone, ad una struttura produttiva basata su fonti rinnovabili, vale a dire da fonti energetiche quali l’energia solare[1], l’energia eolica[2], l’energia idroelettrica[3], l’energia mareomotrice[4]; fonti, queste ultime, non soggette ad esaurimento, poiché oggetto, ancorché utilizzate, di naturale reintegrazione in un arco temporale relativamente breve.

La transizione energetica, sebbene riguardi in generale le nazioni dell’intero globo, è tuttavia tematica di particolare interesse da parte dei paesi sviluppati, e segnatamente, per intuibili ragioni legate ai propri assetti produttivi, delle più grandi economie del mondo: l’Italia è tra queste, attestandosi su scala mondiale, con i suoi 2.228,2 miliardi di euro di PIL, all’ottavo posto.

Le molteplici ragioni che spingono gli Stati verso le “energie rinnovabili” sono di ordine ambientale, economico e geopolitico.

Da un punto di vista ambientale l’inquinamento, attraverso l’uso delle energie non rinnovabili, si estrinseca, non solo con il ben noto (e dannoso) contributo all’effetto serra e ai conseguenti fenomeni, derivanti da tale uso, di climate change, ma anche attraverso casistiche di eventi particolarmente dannosi per l’ambiente, quali, ex multis, i casi di sversamento in ambienti naturali marittimi – accidentali o, in alcuni casi, anche volontari – di petrolio ed altre sostanze altamente inquinanti.

Ragioni economiche, poi, inducono a considerare l’ineluttabile futuro esaurimento delle fonti non rinnovabili, quali i giacimenti petroliferi, carboniferi e di gas naturale, oggetto di elevato e rapido consumo, tale da non poterne garantire il rapido ripristino, essendo la formazione di tali fonti il frutto di centinaia di milioni di anni di evoluzione del nostro pianeta.

Infine, bisogna considerare, quale fattore di rilievo dell’attuale contesto storico-politico, l’incerto scacchiere mondiale, aggravato, da ultimo, dalla perdurante guerra Russo-Ucraina, che, oltre a prospettare il rischio di un possibile ridisegno degli equilibri planetari, impone, in presenza dell’avvenuta impennata dei prezzi delle materie energetiche, un’accelerazione verso la transizione energetica, oltre che il ricorso a fornitori alternativi rispetto a quelli a cui fino ad ora si è fatto ricorso.

Non è in tale quadro, infatti, peregrino intravvedere un uso politico di gas e petrolio da parte della Federazione Russa (e, sebbene in un diverso contesto, anche da parte di altri Paesi), al fine, da un lato, di dissuadere il mondo occidentale dal proseguire nell’adozione di misure sanzionatorie, dall’altra, di garantire un afflusso di risorse economiche necessarie, non solo a garantire la propria sopravvivenza, ma anche per proseguire lo sforzo bellico[5].

In aggiunta alle complessità appena rappresentate, occorre evidenziare come l’abbandono della Federazione Russa, quale partner principale nell’importazione di materie prime connesse alle esigenze energetiche e la conseguente, necessaria ricerca, in sostituzione di quest’ultima, di altri fornitori, potrebbero non essere pienamente risolutive delle summenzionate problematiche geopolitiche. Non può sfuggire, difatti, come la maggioranza dei player commerciali nel settore dell’approvvigionamento di fonti energetiche fossili non siano, in larga parte, minimamente in linea con i valori che permeano gli ordinamenti europei, in termini, ex multis, di rispetto dei diritti umani, in particolar modo delle minoranze. Basti citare, esemplificativamente, quali sono i paesi che occupano le posizioni apicali della classifica, stilata dall’IEA (International Energy Agency), per il 2020, con maggiore peso, a livello di esportazione di gas naturale, su scala mondiale, per imbatterci in paesi nazioni quali l’Algeria (8° posto con 47 miliardi di metri cubi), il Turkmenistan (6° posto con 56 miliardi di metri cubi), il Qatar (2° posto con 127 miliardi di metri cubi) e la Russia che svetta con i suoi 230 miliardi di metri cubi di gas naturale esportato.

Il quadro di criticità appena rappresentato non diverge significativamente anche con riguardo alle esportazioni di petrolio. Ed infatti, in base ad un diverso rapporto dell’IEA del 2020, tra i maggiori esportatori di petrolio al mondo si annoverano il Kazakistan (8° posto con 70 milioni di tonnellate), il Kuwait (6° posto con 102 milioni di tonnellate), gli Emirati Arabi Uniti (5° posto con 148 milioni di tonnellate), l’Iraq (3° posto con 195 milioni di tonnellate), la Russia (2° posto con 269 milioni di tonnellate) e, altresì, l’Arabia Saudita, che svetta con i suoi 352 milioni di tonnellate esportate.

Appare, dunque, evidente come le maggiori fette di mercato in materia di fonti energetiche combustibili siano detenute da nazioni che, all’interno della comunità internazionale, sono note per non essere integerrime sul fronte della tutela dei diritti umani, né tantomeno possono dirsi paesi con una radicata e stabile organizzazione statale democratica, trattandosi invero, in alcuni casi, di nazioni rette da regimi dittatoriali che sopprimono il dissenso con la violenza, in altri casi, di Stati connotati da una rilevante instabilità politica, in altri casi ancora, di Stati che militano in entrambe le casistiche summenzionate. Di qui l’elevato rischio di ritrovarsi, in conseguenza del totale affidamento delle proprie sorti energetiche a nazioni di tal guisa, in circostanze geopolitiche analoghe a quelle già affrontate nel presente periodo storico.

Nonostante tutto ciò, le fonti combustili fossili, ancora oggi, continuano a costituire oltre l’80% della base energetica per i consumi globali, e questo in quanto l’alternativa, vale a dire la strada delle fonti rinnovabili, risulta ancora poco battuta, per differenti motivazioni, legate sia a retaggi culturali, che vedono nelle fonti non rinnovabili le uniche vere fonti di energia, sia agli aspetti connessi all’aleatorietà delle fonti di energia rinnovabile, inscindibilmente collegati alla disponibilità geografica della fonte (si pensi, solo con riguardo all’energia mareomotrice, ad un’area territoriale priva di sbocchi sul mare o bacini idrici, oltre che alle problematiche di limitata capacità di stoccaggio di dette fonti energetiche). Non è da ignorare, infine, l’imponente dispendio economico legato al completamento di siti idonei a carpire sufficiente energia da giustificare la rilevante spesa di base ed anche il significativo impatto ambientale: esempi, a tale proposito, sono rappresentati dall’installazione di pale eoliche, le quali possono variare le proprie dimensioni dai 20 ai 200 metri di altezza, ovvero dalla costruzione di impianti subacquei che sfruttano l’energia mareomotrice.

1.1. Segue: Le iniziative legislative a supporto della transizione energetica

Nonostante le molte difficoltà, la strada della transizione energetica appare, ormai, ineluttabile, al fine di garantire uno sviluppo sostenibile, anche in termini di conformità con i criteri ESG (di cui, amplius, infra). A tal riguardo l’Italia si è dimostrata in prima linea, compiendo una pluralità di scelte, ampiamente dimostrative dell’impegno assunto in questa direzione. E’ meritevole di menzione, prima tra tutte, la nuova formulazione, come riscritta dalla legge costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1 (recante “Modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente”), degli art. 9, comma 3, e 41, comma 2, Cost., con cui si prevede, rispettivamente e significativamente, che la Repubblica «(t)utela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni», e che l’iniziativa economica privata «(n)on può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana».

In tale contesto di particolare attenzione alle tematiche energetiche ed ambientali, risulta altresì degna di nota la costituzione del Ministero per la Transizione Ecologica (già Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare) ed oggi Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica) a seguito dell’emanazione dell’art. 2, comma 1, del d.l. 1 marzo 2021, n. 22, convertito con modificazioni nella L. 22 aprile 2021, n. 55, recante “Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni dei Ministeri”, tra le cui principali attribuzioni si annoverano, ai sensi dell’art. 35, comma 2, lett. b) e c), del d.lgs, 30 luglio 1999, n. 300, così come modificato dal d.l. n. 22 del 2021, in particolare: a) la definizione degli obiettivi e delle linee di politica energetica e mineraria nazionale; b) l’autorizzazione di impianti di produzione di energia di competenza statale, compresi quelli da fonti rinnovabili, anche se ubicati in mare; c) i piani e le misure in materia di combustibili alternativi e delle relative reti e strutture di distribuzione per la ricarica dei veicoli elettrici; d) le politiche per il contrasto dei cambiamenti climatici e per la finanza climatica e sostenibile e il risparmio ambientale anche attraverso tecnologie per la riduzione delle emissioni dei gas ad effetto serra.

Le politiche che questo ministero è chiamato a perseguire risultano essere, tra l’altro, strettamente funzionali al raggiungimento dei traguardi fissati dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), e segnatamente dalla “Missione 2”, vale a dire dalla missione inerente alla “Rivoluzione Verde e la transizione ecologica[6].

1.2. Segue: Il ruolo dell’Europa nel quadro delle politiche energetiche

L’Unione Europea è indubbiamente la protagonista assoluta nel quadro della transizione energetica: essa infatti, non solo è stata la promotrice degli Accordi di Parigi sul clima del 2016 (di cui si dirà, più dettagliatamente, infra), ma ne è anche, nel novero dei soggetti firmatari, la più ligia e rispettosa[7]. Essa, inoltre, si è anche distinta per la particolare attenzione dedicata a tale importante tematica, già a partire dal 2009, con l’adozione della Direttiva 2009/28/CE del 23 aprile 2009, “sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE”. Tale direttiva, nota anche come RED I (Renewable Energy Directive), assegna agli Stati l’obiettivo di assicurare entro il 2020, da un lato, che una quota del 20% del consumo energetico abbia ad oggetto fonti rinnovabili, dall’altro, che il 10% del carburante utilizzato per i trasporti derivi da fonti rinnovabili. La direttiva, inoltre, ha anche stabilito i requisiti relativi alle metodologie che gli Stati membri avrebbero dovuto applicare per il raggiungimento dei propri obiettivi.
Alla RED I ha fatto seguito, nel 2018, la Direttiva UE 2018/2001 “sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili”, c.d. RED II, con la quale le quote target sopra citate sono state innalzate, rispettivamente, al 32 % e al 14% entro il 2030, per poi essere riviste ulteriormente al rialzo nel luglio 2021[8], portandole, sempre entro il 20230, rispettivamente, al 40% ed al 22%.

L’Unione Europea, d’altra parte, ricopre un ruolo di prim’ordine non solo nell’ambito della politica energetica eurounitaria, ma anche nel quadro delle politiche nazionali attraverso la previsione di importanti incentivi finalizzati al potenziamento della filiera di produzione delle energie rinnovabili nazionali, tra i quali sono da annoverare i fondi stanziati nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

Nonostante tali pregevoli iniziative, l’UE, tuttavia, sconta l’assenza di una politica comune relativa alle energie rinnovabili più longeva e meno frammentata, vale a dire vincolante per tutti gli Sati membri, per via dell’inevitabile disomogeneità derivante dal recepimento delle direttive da parte dei singoli aderenti, circostanza che pone l’Unione in una posizione di non indipendenza dal punto di vista energetico, non solo dal lato delle energie rinnovabili, ma anche dal lato delle fonti da combustibili fossili. La dipendenza dell’UE dalle importazioni di Gas da parte della Federazione Russa, si attestava, nel 2022, attorno al 45%[9]. In considerazione di ciò, appare, dunque, improrogabile che si acceleri sul fronte della transizione energetica affinché l’UE non debba dipendere, oltre che così massicciamente, da paesi che non rispettano i valori fondanti dell’Unione, la cui obliterazione viene per di più resa possibile dalle risorse finanziarie che la stessa Unione fa confluire attraverso l’acquisto delle risorse combustibili fossili. Sintomo di questa urgente necessità è che l’UE non si stia muovendo esclusivamente dal punto di vista legislativo, ma anche sul fronte commerciale e segnatamente della fissazione di un price cap (dinamico e temporaneo) al prezzo del gas[10], ponendo così un freno alle speculazioni che si sono verificate presso la Borsa di Amsterdam, che, come già sopra segnalato, hanno più che decuplicato il prezzo del gas nell’arco di pochi mesi. Va salutata, quindi, con favore l’adottata strategia dell’Unione a questo rilevantissimo tema, oltre che con i richiamati interventi, anche in un’ottica di destinazione di bilancio, avendo la Commissione dichiarato di voler destinare il 20% del proprio bilancio al clima[11].

1.3. Segue: Il ruolo delle PMI nel quadro della transizione energetica

La transizione energetica, sul piano nazionale, non può prescindere dal ruolo centrale che in tale contesto deve riconoscersi alle PMI, le quali rappresentano, secondo il rapporto ISTAT 2019, il 99,9% del totale delle imprese operanti nel nostro paese, generando oltre il 70% del fatturato ed impiegando oltre l’81% dei lavoratori, all’interno del sistema produttivo italiano. Di qui la necessità di sollecitare, cosa non facile, il mondo delle PMI affinché esse si adeguino alle necessità nazionali, considerando che, secondo quanto riferito dal report di AGI sull’impronta ecologica delle PMI[12], circa il 70% dell’inquinamento complessivo è prodotto da queste ultime.

Per la identificazione delle PMI è necessario fare riferimento alla definizione fornita (in conformità con l’art. 2 della raccomandazione della Commissione europea 2003/361/CE del 6 maggio 2003), dall’art. 2, commi 1-3, del DM 18 aprile del 2005 del MISE, secondo cui «La categoria delle microimprese, delle piccole imprese e delle medie imprese (complessivamente definita PMI) è costituita da imprese che: a) hanno meno di 250 occupati, e b) hanno un fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro, oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 43 milioni di euro. 2. Nell’ambito della categoria delle PMI, si definisce piccola impresa l’impresa che: a) ha meno di 50 occupati, e b) ha un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 10 milioni di euro. 3. Nell’ambito della categoria delle PMI, si definisce microimpresa l’impresa che: a) ha meno di 10 occupati, e b) ha un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 2 milioni di euro».
Il ricorso a fonti energetiche rinnovabili comporta un notevole impegno economico, da affrontare, per di più, in un contesto energetico in cui la fonte combustibile fossile rappresenta ancora l’archetipo di normalità; di qui la ragione per le microimprese – che, sempre secondo il menzionato rapporto ISTAT 2019, risultano essere il 95,2% delle imprese attive – di ritenere l’investimento in fonti energetiche rinnovabili un obiettivo economicamente insostenibile, specie in un contesto economico competitivo e contrassegnato da fattori di instabilità di vario genere, e, sotto altro profilo, la scarsa rilevanza dell’apporto economico (ed incentivante) fornito dal citato DM del 10 febbraio 2022, relativo alla sostenibilità ed alla “svolta green” delle PMI, posto che, in base a quanto sancito dell’art. 3, comma 1, del DM medesimo, relativamente ai 677 milioni di euro stanziati ai fini dell’adeguamento di tali realtà ai criteri di sostenibilità, non solo almeno il 25% è riservato alle piccole e microimprese, ma il 63% circa dell’intero stanziamento (pari a 427 milioni di euro) riguarda le entità presenti nel territorio del mezzogiorno, florido, stando a quanto affermato dal summenzionato rapporto ISTAT, in prevalenza, rispetto alle medie imprese, di piccole imprese e microimprese.

Con riguardo, in particolare, alla tematica della transizione energetica risulta essere di fondamentale importanza l’art. 7, comma 1, lettere a) e c), del DM in questione, secondo cui, tra le spese ammissibili, sono ricomprese quelle, rispettivamente, per «macchinari, impianti e attrezzature» e «programmi informatici e licenze correlati all’utilizzo dei beni materiali di cui alla lettera a)». I finanziamenti inoltre, nell’incentivare l’istallazione di impianti funzionali alla produzione di energia rinnovabile, ammettono che tra essi, ai sensi del punto 4 dell’allegato 3 al DM, si annoverino gli impianti di produzione di energia termica o elettrica da fonte rinnovabile.

Sempre nell’ottica di un pieno e rigoroso rispetto delle normative ambientali e con l’obiettivo di favorire, senz’alcuna distorsione, la transizione energetica, l’art 12 del DM sancisce che «(i)n ogni fase del procedimento il Ministero può effettuare, anche per il tramite del soggetto gestore, controlli e ispezioni, anche a campione, sulle iniziative agevolate, al fine di verificare le condizioni per la fruizione e il mantenimento delle agevolazioni, nonché l’attuazione degli interventi finanziati».

2. Sostenibilità e criteri ESG nel quadro della ragionevole preminenza (rispetto agli altri) del profilo di “governance”

La tematica della transizione energetica è intrinsecamente connessa allo sviluppo sostenibile, il quale, secondo una definizione riscontrabile all’interno del Rapporto Brundtland, della “World Commission on Environment and Development” (WCED), 1987, altro non è se non lo sviluppo che «ensure that it meets the needs of the present without compromising the ability of future generations to meet their own needs».

Seguendo questo tracciato, si assiste oggi all’affermazione di un modello di CSR (Corporate Social Responsability) che trova le sue fondamenta nel modello del “Triple Bottom Line” – anche denominato “sistema delle 3P” (People, Planet, Profit) – elaborato negli anni ’90 da John Elkington, ad avviso del quale è opportuno incoraggiare le imprese ad includere, all’interno della propria rendicontazione contabile, non solo le performance di natura economica, ma anche quelle sociali e ambientali.

Sintomo, in particolare, della grande attenzione della comunità internazionale sono gli SDG (Sustainable Development Goals), ratificati nel 2015 da tutti i 193 membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite in quanto obiettivi comuni agli stessi, i quali – come definiti dalle Nazioni Unite – si articolano in 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, a loro volta articolati in 169 traguardi specifici, da raggiungere entro il 2030[13].

Sul tema della sostenibilità sono di prioritario interesse tanto gli Accordi di Parigi del 2015 quanto l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile: entrambi i documenti, infatti, mirano a ricercare il perfetto connubio tra sostenibilità, pianeta ed economia: l’accordo firmato a Parigi nel dicembre 2015 da 195 paesi, costituisce, in particolare, il primo accordo universale sul clima mondiale per adattare e rafforzare la resilienza ai cambiamenti climatici e per contenere il riscaldamento climatico a un valore ben inferiore a 2 gradi centigradi.

La sostenibilità e la transizione verso un’economia a basso contenuto di carbonio, più efficiente in termini di risorse e circolare sono elementi fondamentali per garantire la competitività a lungo termine dell’economia dell’UE. Per tale ragione, da molto tempo il tema della sostenibilità si trova al centro del progetto dell’Unione Europea e i suoi trattati ne riconoscono le dimensioni sociale e ambientale, così da favorire, garantendo la crescita economica, uno sviluppo che soddisfi le esigenze delle generazioni presenti e future e la creazione nel contempo nuove opportunità di occupazione e investimento.

Ed è appunto in una prospettiva di sviluppo sostenibile che vanno ad incasellarsi i criteri ESG e lo studio della stessa tematica “ESG”, il quale impone, secondo una logica giuridico-regolamentare, di definire tanto il significato dell’acronimo, quanto l’esatta perimetrazione del contenuto delle singole aree che compongono la menzionata tematica, avendo tuttavia presente che, in una ipotetica ordinazione delle tre diverse aree tematiche, la Governance (rectius: il profilo riguardante la lettera “G”) dovrebbe essere collocata quale prima lettera dell’acronimo, nel presupposto che, per comune esperienza generale e perciò anche con riguardo alla tematica di che trattasi, non vi è valutazione e scelta gestionale, accurata o meno che sia, che non transiti da determinazioni imputabili alla persona fisica preposta a ricoprire posizioni organiche.

Con riguardo al primo profilo, la risposta è che l’acronimo “ESG” sta per “environmental, social and governance”[14], mentre, con riguardo al secondo profilo, vale a dire all’esatta perimetrazione dell’ampia materia, utili indicazioni si ricavano dalla pagina web della Commissione Europea dedicata alla “Finanza sostenibile” e segnatamente: «Sustainable finance refers to the process of taking environmental, social and governance (ESG) considerations into account when making investment decisions in the financial sector, leading to more long-term investments in sustainable economic activities and projects. Environmental considerations might include climate change mitigation and adaptation, as well as the environment more broadly, for instance the preservation of biodiversity, pollution prevention and the circular economy. Social considerations could refer to issues of inequality, inclusiveness, labour relations, investment in human capital and communities, as well as human rights issues. The governance of public and private institutions – including management structures, employee relations and executive remuneration – plays a fundamental role in ensuring the inclusion of social and environmental considerations in the decision-making process»]. Da qui l’idea, ai fini del presente contributo, di attribuire all’acronimo “ESG” due accezioni, tra loro complementari: a) quale obiettivo a cui deve tendere l’agere pubblico, imprenditoriale e dei cittadini (goal oriented approach); b) quale set di criteri a cui parametrare detto agere, al fine, da un lato, di incentivarlo, dall’altro, di contrastare, anche attraverso forme di incentivazione, comportamenti e pratiche incompatibili con il raggiungimento di detto obiettivo.

3. Cenni sulla dimensione economico-finanziaria della sostenibilità.

L’attenzione che le istituzioni, i mass media e financo la società civile[15] rivolgono alla tematica della sostenibilità, possiede oggi un peso considerevole; non deve pertanto stupire che, sempre più imprese, al fine di garantirsi un vantaggio competitivo, fanno, almeno formalmente[16], della tematica della sostenibilità un proprio vessillo[17], allo scopo di ottenere incentivi statali[18] e, anche, di acquisire nuove quote di mercato[19].

L’orientamento in questione non riguarda, tuttavia, esclusivamente le imprese produttrici di beni fisici, bensì, ed in maniera rilevante, anche i soggetti che operano nel campo della finanza mobiliare.

In relazione a tale ultimo profilo, giova considerare come l’Unione Europea, in proposito, abbia adottato – nella piena consapevolezza che sono le imprese a tracciare, nella realtà quotidiana, la strada verso l’obiettivo di un contesto propriamente sostenibile – plurimi atti normativi.

Rileva, in particolare, la seguente regolamentazione:

  • Regolamento (UE) 2019/2088 “relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari” (c.d. SFDR);
  • Regolamento Delegato (UE) 2021/1253 “che modifica il Regolamento Delegato (UE) 2017/565 per quanto riguarda l’integrazione dei fattori, dei rischi e delle preferenze di sostenibilità in taluni requisiti organizzativi e condizioni di esercizio delle attività delle imprese di investimento”.

Il Reg. 2019/2088, a cui si deve, tra l’altro, il merito di aver fornito una definizione normativa di ”investimento sostenibile” attraverso l’art. 2, paragrafo 17[20], si pone l’obiettivo, sancito all’art. 1 del medesimo, di armonizzare la normativa in tema di «trasparenza per i partecipanti ai mercati finanziari e i consulenti finanziari per quanto riguarda l’integrazione dei rischi di sostenibilità e la considerazione degli effetti negativi per la sostenibilità nei loro processi e nella comunicazione delle informazioni connesse alla sostenibilità relative ai prodotti finanziari» attraverso la creazione di standard comuni per la rendicontazione e la divulgazione di informazioni, sì da orientare, in tale quadro, gli investitori verso una scelta più informata e consapevole della tipologia di prodotto finanziario oggetto della propria attenzione.

In ragione di tali obiettivi, vengono stabiliti appositi obblighi di trasparenza tanto a livello di soggetto operante (c.d. entity level), quanto di prodotto finanziario (c.d. product level), con particolare riferimento ai possibili profili negativi in danno della sostenibilità[21].

Il regolamento “SFDR” prevede, inoltre, la classificazione dei prodotti finanziari in due categorie a seconda del livello di considerazione dei fattori di sostenibilità, specificati ai sensi degli artt. 8, paragrafo 1, e 9, paragrafi 1-3, i quali precisano rispettivamente:

  • «Se un prodotto finanziario promuove, tra le altre caratteristiche, caratteristiche ambientali o sociali, o una combinazione di tali caratteristiche, a condizione che le imprese in cui gli investimenti sono effettuati rispettino prassi di buona governance, le informazioni da comunicare a norma dell’articolo 6, paragrafi 1 e 3, includono quanto segue: a) informazioni su come tali caratteristiche sono rispettate; b) qualora sia stato designato un indice come indice di riferimento, informazioni che indichino se e in che modo tale indice è coerente con tali caratteristiche»;
  • «Se un prodotto finanziario ha come obiettivo investimenti sostenibili ed è stato designato un indice come indice di riferimento, le informazioni da comunicare a norma dell’articolo 6, paragrafi 1 e 3, sono accompagnate: a) da informazioni che indicano in che modo l’indice designato è in linea con detto obiettivo; b) da una spiegazione che indica perché ed in che modo l’indice designato in linea con detto obiettivo differisce da un indice generale di mercato Se un prodotto finanziario ha come obiettivo investimenti sostenibili e non è stato designato alcun indice come indice di riferimento, le informazioni da comunicare a norma dell’articolo 6, paragrafi 1 e 3, includono la spiegazione del modo in cui è raggiunto tale obiettivo. 3. Se un prodotto finanziario ha come obiettivo la riduzione delle emissioni di carbonio, le informazioni da comunicare a norma dell’articolo 6, paragrafi 1 e 3, includono l’obiettivo di un’esposizione a basse emissioni di carbonio in vista del conseguimento degli obiettivi a lungo termine in materia di lotta al riscaldamento globale previsti dall’accordo di Parigi».

Già da una prima lettura, è possibile scorgere come gli strumenti di cui all’art. 8, paragrafo 1 – nonostante presentino necessariamente profili di connessione ed attenzione alle tematiche climatico-ambientali e/o sociali oltre che al rispetto delle buone pratiche di governance – non vengano qualificati, diversamente da quanto accade con riferimento agli strumenti di cui all’art 9, paragrafi 1-3, come prodotti di investimento sostenibile, attesa la mancata integrale rispondenza di tali strumenti al dettato di cui all’art. 2, paragrafo 17: per i prodotti di cui all’art. 8, paragrafo 1, non è, infatti, necessaria una totale adesione ai profili ESG, risultando per essi sufficiente una mera attenzione alle suddette tematiche; e ciò diversamente da quanto previsto ai sensi dell’art. 9, paragrafi 1-3, che, facendo espresso riferimento alla nozione di investimento sostenibile, richiama automaticamente l’omologa definizione sopra menzionata. Di qui la ragione, legata al differente grado di pervasività delle tematiche ESG, della distinzione tra strumenti di cui all’art. 8, paragrafo 1, denominati “light green”, e strumenti di cui all’art. 9, paragrafi 1-3, definiti “dark green”.

Da un primo esame delle evidenze di mercato[22], sembrerebbe emergere, allo stato, un adeguamento tattico, da parte degli operatori, ai requisiti normativi ESG: segnatamente, la maggioranza dei player operanti nel mercato italiano sembrerebbe avere inserito i rischi di sostenibilità nei propri processi decisionali attraverso l’adozione di soluzioni di rating provider terzi in ambito ESG e/o di policy di esclusione di settori qualificabili come “controversi”. Con riferimento, in particolare, alle citate classificazioni di cui agli artt. 8 e 9, sembrerebbero al momento presenti sul mercato diverse tipologie di strumenti, prevalentemente light green, ma con una tendenza graduale verso gli strumenti dark green[23].

Il Reg. 2021/1253, invece, integra la normativa di riferimento in materia di servizi di investimento, di cui alle disposizioni contenute nel Reg. 2017/565, considerando le tematiche di sostenibilità, con l’obiettivo di aggiornare i processi di consulenza e di tutela degli investitori, soprattutto attraverso l’aggiornamento del processo di produzione e di gestione dei prodotti (c.d. Product Governance).

Per i prestatori di servizi di consulenza in materia di investimenti le principali modifiche si traducono nell’esigenza di:

  • raccogliere le preferenze di sostenibilità dei propri clienti, procedendo contestualmente all’integrazione, con apposite domande a tema ESG, dei questionari di profilatura MiFID;
  • aggiornare i modelli di adeguatezza tramite la previsione di controlli aggiuntivi, atti a verificare la corrispondenza tra le preferenze di sostenibilità raccolte e i prodotti raccomandati;
  • estendere il catalogo prodotti con particolare focus sui prodotti con caratteristiche ESG.

Infine, ad ulteriore conferma del ruolo di primaria rilevanza della normativa UE (anche) nel settore di che trattasi, va menzionata la recente proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio “relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità e che modifica la direttiva (UE) 2019/1937” del 23.2.2022, meglio conosciuta con il nome di Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDD).

Essa mira alla promozione, da parte delle imprese attive nel mercato europeo, di pratiche finalizzate alla contribuzione dello sviluppo sostenibile nonché della transizione economica e sociale attraverso la tutela dei diritti umani e dell’ambiente; e ciò non solo da parte delle imprese con riferimento all’attività da essa svolta, bensì anche con riguardo alle attività svolte dalle proprie controllate, fino a risalire a tutta la value chain di cui sono parte, individuando, quali destinatarie, società inquadrabili all’interno di due macro-categorie:

  • grandi[24] e medie imprese[25] europee;
  • imprese extra-UE con un fatturato netto generato in UE superiore a Euro 150.000.000 nell’ultimo esercizio, ovvero, congiuntamente che (i) abbiano generato un fatturato netto in UE superiore ad Euro 40.000.000, ma non superiore a Euro 150.000.000, di cui almeno il 50% generato in UE in uno o più settori ad elevato impatto.

La Direttiva prevederebbe, tra l’altro:

  • l’integrazione di obblighi di diligenza nelle proprie politiche di gestione;
  • la prevenzione o mitigazione di possibili impatti negativi futuri;
  • l’eliminazione o, quantomeno, la marginalizzazione degli attuali impatti negativi;
  • la pubblicazione delle informazioni relative agli obblighi di diligenza.

Sul testo della proposta, in data 25.4.2023, si è espressa favorevolmente la Commissione giuridica del Parlamento Europeo (c.d. JURI), incentrando la propria attenzione, in particolare, sul profilo sanzionatorio e precisando, come riportato sul sito dell’Europarlamento, «Non-compliant companies should be liable for damages and EU governments would establish supervisory authorities with the power to impose sanctions. MEPs want fines to be at least 5% of the net worldwide turnover and to ban non-compliant third-country companies from public procurement». La proposta di Direttiva ha poi, da ultimo, visto avanzare il proprio iter procedimentale in direzione dell’emanazione, in data 1° giugno 2023, di un documento (consultabile sul portale web del Parlamento UE), approvato dal Parlamento Europeo medesimo in seduta plenaria, con il quale questo, prendendo posizione relativamente al testo della proposta di Direttiva, conferma quanto già in proposito espresso dalla Commissione giuridica, affermando che «…le aziende saranno tenute a identificare e, se necessario, prevenire, porre fine o mitigare, l’impatto negativo che le loro attività hanno su diritti umani e ambiente, come il lavoro minorile, la schiavitù, lo sfruttamento del lavoro, l’inquinamento, il degrado ambientale e la perdita di biodiversità. Inoltre, dovranno monitorare e valutare l’impatto sui diritti umani e sull’ambiente dei loro partner della catena del valore, compresi i fornitori, la vendita, la distribuzione, il trasporto, lo stoccaggio, la gestione dei rifiuti e altre aree. (…) Le nuove norme prevedono anche che le imprese collaborino e sostengano le persone colpite dalle loro azioni, compresi gli attivisti per i diritti umani e l’ambiente, introducano un meccanismo di reclamo e controllino regolarmente l’efficacia della loro politica di diligenza dovuta. Per facilitare l’accesso degli investitori, le informazioni sulla politica della diligenza dovuta di una società dovrebbero essere disponibili anche sul “Punto unico d’accesso europeo” (ESAP). (…)».

4. L’assoluta rilevanza del “Rating” quale strumento di misurazione degli adempimenti ESG

Al fine di fornire ai criteri ESG effettiva rilevanza, è avvertita la necessità di sviluppare specifici framework di rating relativi all’ambito in esame. Dall’analisi dei principali rating ESG disponibili, è stato possibile formulare quanto segue:

  • l’emersione di considerazioni non strettamente finanziarie in ordine alla valutazione aziendale è legata a un processo c.d. investor-driven: in tale quadro, i rating ESG, pur nella loro disomogeneità, hanno svolto un ruolo cruciale nel favorire la diffusione di valutazioni di sostenibilità;
  • il mercato dei framework di rating ESG è, attualmente, molto competitivo; di qui lo stimolo, da parte di molte agenzie di rating, a sviluppare, con le evidenti difficoltà in termini di disomogeneità del servizio offerto, il proprio specifico modello di valutazione (nel 2018 si potevano contare più di 600 modelli di rating ESG a livello globale);
  • allo scopo di consolidare e rendere più trasparenti ed attendibili le valutazioni ESG, è di fondamentale importanza sviluppare standard quanto più oggettivi possibile, al fine di guidare le società nella rendicontazione, sì da permettere loro di fornire una trasparente e reale disclosure in merito alle proprie performance ESG[26].

Emerge quindi, la necessità di assicurare una corretta valutazione del grado di allineamento ai criteri ESG, derivando da tale circostanza la possibilità, tra l’altro, di:

  • collegare gli obiettivi aziendali in tema ESG a parametri oggettivi, quantificabili e misurabili, evitando fenomeni di greenwashing;
  • valutare le performance di sostenibilità in termini realmente oggettivi a cui collegare le remunerazioni dei vertici aziendali;
  • comparare le performance e gli impatti ESG di società diverse;
  • migliorare la disclosure delle informazioni ESG agli stakeholders di riferimento[27];
  • individuare i rischi collegati ai fattori ESG attraverso la loro corretta misurazione e rendicontazione;
  • agevolare la rendicontazione delle performance ESG delle società target e di quelle in portafoglio.

Tra gli standard di rendicontazione utilizzati per la costruzione di questionari e sistemi di valutazione (id est: di rating) su scala internazionale è possibile individuare:

  • il sistema GRI (Global Reporting Initiative): lo standard maggiormente utilizzato dalle imprese italiane nella rendicontazione non finanziaria; si tratta di un sistema con cui le imprese, attraverso un’analisi di materialità, individuano i fattori centrali per la propria performance e i propri impatti ESG sulla base di un concetto di double materiality, obbligando le imprese a rendicontare non solo i fattori ESG che influenzano i risultati aziendali (financial materiality), ma anche gli impatti dell’azienda stessa sulla società e sull’ambiente (outward materiality);
  • il sistema CDP (Carbon Disclosure Project): si tratta di un sistema sector-based globale che permette alle imprese di gestire le informazioni riguardanti quattro aspetti del cambiamento climatico [id est: (i) emissioni di GHG (Green House Gas: misura che esprime in CO2 equivalente il totale delle emissioni di gas ad effetto serra associate direttamente o indirettamente ad un prodotto, ad un’organizzazione o ad un servizio), (ii) consumi energetici, rischio idrico esistente e futuro, (iii) valutazione delle attività e delle materie prime legate alla deforestazione e (iv) valutazione della catena produttiva];
  • il sistema CDSB (Climate Disclosure Standards Board): si tratta di un framework di rendicontazione internazionale utilizzabile da soggetti profit e non profit per il collegamento e l’integrazione delle informazioni ambientali nella performance aziendale; tale sistema – che viene principalmente utilizzato nel Regno Unito, in Giappone, in Sud Africa, in USA e Corea del Sud – si concentra su dieci aree di rilievo (sicurezza del consumatore, energia, finance, salute, industria, tecnologia, materiali, servizi di telecomunicazione, servizi e prodotti);
  • il sistema IR (Integrating Reporting): quale reporting integrato che, attraverso l’esame di sei forme di capitale (capitale finanziario, capitale produttivo, capitale intellettuale, capitale umano, capitale sociale e relazionale e capitale naturale), ha l’obiettivo di dimostrare ai fornitori di capitale finanziario la capacità di un’organizzazione a creare valore nel tempo;
  • il sistema SASB (Sustainability Accounting Standards Board): attraverso tale sistema l’accounting sostenibile – che si compone di cinque profili fondamentali (Environment, Social Capital, Human Capital, Business Model & Innovation e Leadership & Governance) – riflette la capacità di gestione degli impatti sociali e ambientali di un’organizzazione.

Il quadro appena rappresentato è, all’evidenza, alquanto complesso ed articolato: allo scopo di superare le citate difficoltà derivanti dall’utilizzo di un sistema fortemente frammentato, le grandi standard-setter a livello globale, hanno manifestato, nel settembre 2020, la necessità di collaborare al fine di definire standard di rendicontazione ESG comuni, proponendosi l’obiettivo di soddisfare le seguenti due fondamentali priorità:

  • stabilire framework di reporting minimi, standardizzati e sector-agnostic, ovvero contenenti un set di fattori comuni a tutte le società, che permettano una comparazione trasversale delle performance ESG;
  • definire un concetto di “materialità” idoneo ad integrare le diverse finalità sottese ai cinque standard facendo ricorso al concetto di dynamic materiality, che riflette la natura dei fattori di sostenibilità, il cui grado di interesse (per utenti e stakeholders) e la cui influenza (sulle performance aziendali) cambia nel tempo.

Tale sforzo viene manifestamente riconosciuto ed apprezzato dalla International Organization of Securities Commissions (IOSCO), la quale, all’interno del Report on International Work to Develop a Global Assurance Framework for Sustainability-related Corporate Reporting” dichiara che «IOSCO is encouraged by the trend towards issuers’ submitting their sustainability-related disclosures for independent assurance. IOSCO welcomes the standard setters’ work towards professionagnostic assurance and ethics (including independence) standards that build on the requirements and principles of existing standards, and that can apply across all reporting frameworks. The further development of a global assurance framework will provide insight to issuers and assurance providers as they prepare for assurance engagements and support consistent, comparable, and reliable assurance over sustainability-related information. (…) IOSCO encourages early engagement with the standard setters’ initiatives across the sustainability reporting ecosystem to support readiness to apply the final assurance and ethics (including independence) standards soon after they have been finalised in late 2024, including on a voluntary basis. (…) IOSCO encourages the standard setters to continue work to develop high-quality standards in a timely manner and in accordance with robust due process, engaging with stakeholders to help develop standards that are fit for purpose and meet the public interest».

L’UE, il cui ruolo di leader nel settore si è già avuto modo di esplicitare, dopo aver introdotto, con il Reg. UE 2020/852, un sistema di classificazione delle attività sostenibili (c.d. “Tassonomia”[28]), nel 2021 ha proposto l’adozione di nuova Direttiva, denominata anche CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive), approvata dal Consiglio dell’Unione Europea in data 28 novembre 2022 e trasposta nella Dir. (UE) 2022/2464 “che modifica il regolamento (UE) n. 537/2014, la direttiva 2004/109/CE, la direttiva 2006/43/CE e la direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda l’informativa sulla sostenibilità delle imprese”.

La citata direttiva – che riguarda gli obblighi informativi in materia di sostenibilità e che, tra l’altro, modifica la precedente Direttiva UE 2014/95 nota anche come Direttiva NFRD (Non-Financial Reporting Directive) – estende la portata degli obblighi informativi a tutte le imprese di grandi dimensioni e alle imprese quotate, imponendo, altresì, sia l’obbligo di certificazione delle informazioni sulla sostenibilità sia uno specifico cronoprogramma per l’adempimento di tali obblighi, che, in particolare, si applicheranno:

  • dal 1° gennaio 2024 alle società già soggette alla direttiva sulla rendicontazione non finanziaria;
  • dal 1° gennaio 2025 alle grandi società che non sono attualmente soggette alla direttiva sulla rendicontazione non finanziaria;
  • dal 1° gennaio 2026 alle PMI quotate[29], agli istituti di credito di piccole dimensioni (e non complessi) e alle imprese di assicurazione “captive”.

La Direttiva, inoltre, prevede la standardizzazione del reporting non finanziario, tramite l’adozione, a partire da ottobre 2022, di parametri di misurazione ESG comuni a livello europeo, i quali – tenuto conto anche della definitiva approvazione nel dicembre 2022, da parte dell’EFRAG (European Financial Reporting Advisory Group)[30] degli ESRS (European Sustainability Reporting Standard)[31] – si inquadrano in tre livelli:

  • indicatori sector-agnostic, vale a dire indicatori comuni e obbligatori per tutte le imprese, indipendentemente dal loro settore di appartenenza, che permettono la comparazione in termini di sostenibilità, tra imprese e settori diversi[32];
  • indicatori sector-specific, cioè indicatori specifici per i diversi settori, necessari per esaltare la rilevanza di quanto riportato[33];
  • indicatori entity-specific, idonei a riflettere la realtà del segnalante, posto che ogni ente soggetto a reporting è il risultato di una combinazione di fattori differenti da ogni altro soggetto, con rischi e opportunità specifici[34].

Va segnalata, infine, la individuazione, da parte dell’ESG European Institute, di 22 fattori[35] ricorrenti all’interno dei framework più utilizzati, con l’obiettivo di proporne l’inserimento all’interno del livello sector-agonistic.

4.1. Segue: Il ruolo delle Autorità Nazionali ed Europee

Non sfugge, dunque, la rilevanza della tematica dei rischi ambientali e in particolare, del rating ESG, con riguardo, in via generale, a qualunque settore di applicazione e, a fortiori, nel quadro delle attività bancarie e finanziarie. Ne sono una dimostrazione le molteplici dichiarazioni rese, in tale ultimo ambito, dalle principali autorità di vigilanza di settore, sia nazionali, sia europee (BCE, EBA, ESAMA e BANCA D’ITALIA). La BCE, per di più, ha inserito il rischio ambientale tra le priorità di vigilanza per il triennio 2022/2024, segnalando «la visione della BCE in merito a una gestione sicura e prudente dei rischi climatici e ambientali nell’ambito del quadro prudenziale vigente, (e) descrivendo le sue aspettative riguardo a come gli enti dovrebbero tenere conto di tali rischi (quali fattori determinanti per le categorie di rischi preesistenti) nella formulazione e attuazione delle strategie aziendali e dei sistemi di governance e di gestione dei rischi»[36]; la stessa sottolinea, inoltre, che «gli enti dovrebbero accrescere la propria trasparenza rafforzando l’informativa sugli aspetti climatici e ambientali»[37]. In tale contesto s’inserisce il Documento BCE pubblicato in data 23 gennaio 2023[38] e denominato “Verso indicatori statistici legati al clima” destinato «a supportare l’analisi delle questioni legate al clima per il settore finanziario» e, anche, a «facilitare un dibattito pubblico e di consentire un aperto scambio di opinioni (anche sugli aspetti metodologici) con la comunità dei ricercatori e gli altri stakeholder su come ottenere ulteriori progressi verso la derivazione di indicatori statistici».

La BCE in tale Documento individua, in particolare, tre macrocategorie di indicatori:

  • indicatori sperimentali di finanza sostenibile;
  • indicatori analitici sulle emissioni di carbonio;
  • indicatori analitici sui rischi fisici.

Per quanto concerne i primi (indicatori di finanza sostenibile), essi «forniscono una panoramica dell’emissione e della detenzione di strumenti di debito con caratteristiche di sostenibilità da parte dei residenti nell’area dell’euro. Questi indicatori forniscono informazioni sui proventi raccolti per finanziare progetti sostenibili e quindi la transizione verso un’economia a zero emissioni. Questi dati dovrebbero portare trasparenza al mercato e sono rilevanti per l’inclusione delle considerazioni sul cambiamento climatico nella progettazione e nell’attuazione della politica monetaria della BCE, nonché nell’analisi della stabilità economica e finanziaria. Questo set di dati è già piuttosto completo ed è pubblicato in via sperimentale. I limiti rimanenti sono dovuti principalmente alla mancanza di definizioni armonizzate e accettate a livello internazionale di alcuni concetti».

Tali indicatori concernono:

  • le emissioni di titoli di debito sostenibili, i quali, a mente del Documento, «sono rilasciati per area di emittenti al valore nominale e di mercato. La ripartizione per classificazione di sostenibilità (verde, sociale, di sostenibilità e legata alla sostenibilità) è disponibile solo per l’area dell’euro e l’UE nel suo complesso. La ripartizione per settore di emissione e per singolo Paese dell’area dell’euro è disponibile solo per i green bond; lo stesso vale per le emissioni nette (transazioni finanziarie), che sono disponibili solo per l’area dell’euro. I titoli sono considerati conformi ai criteri di sostenibilità se etichettati come tali dall’emittente (cioè si accetta un livello di garanzia debole). I nuovi aggregati sono disponibili con frequenza mensile circa dieci giorni lavorativi dopo la fine del periodo di riferimento (t+10)»;
  • la detenzione di titoli di debito sostenibili, i quali, sempre a mente del Documento, «comprendono una ripartizione per classificazione di sostenibilità per l’aggregato dell’area dell’euro (al valore nominale e di mercato), compresa una ripartizione per area della controparte emittente (area dell’euro, UE, resto del mondo). Le disaggregazioni per settore di detenzione e per singolo Paese dell’area dell’euro sono disponibili solo per i green bond; lo stesso vale per le transazioni finanziarie, che sono disponibili solo per l’area dell’euro. In linea con gli indicatori sulle emissioni, si accetta un livello di garanzia I nuovi aggregati saranno diffusi con frequenza trimestrale a circa t+2 mesi».

Relativamente agli indicatori analitici sulle emissioni di carbonio, la BCE precisa che essi «forniscono informazioni sull’intensità di carbonio dei portafogli titoli e prestiti di tali istituzioni finanziarie e contribuiscono quindi a valutare il ruolo del settore nel finanziamento della transizione verso un’economia a zero emissioni e i rischi correlati. Gli indicatori forniscono informazioni sull’esposizione delle banche nei confronti di controparti con un’elevata dipendenza da modelli di business ad alta intensità di emissioni di carbonio. Queste informazioni sono importanti per valutare i rischi di transizione nel contesto della politica monetaria, della stabilità finanziaria e della vigilanza bancaria. Tuttavia, il set di dati sottostante presenta notevoli limiti, soprattutto in termini di copertura, poiché è stato compilato utilizzando informazioni relative solo a un sottoinsieme delle esposizioni totali in prestiti e titoli nell’area dell’euro. Inoltre, i dati soffrono di incoerenze intertemporali, poiché i tassi di copertura, e quindi la composizione del campione, variano nel tempo e i valori nominali non sono corretti per gli effetti dei prezzi e dei tassi di cambio. Di conseguenza, gli indicatori devono essere interpretati con cautela e considerati come un lavoro in corso e di natura analitica».

Tali indicatori si suddividono in:

  • indicatori sul finanziamento delle attività ad alta intensità di carbonio, i quali «mirano a fornire informazioni sul modo in cui il settore finanziario contribuisce al finanziamento delle attività economiche ad alta emissione. A tal fine, si esamina la quantità (quota) delle emissioni totali di carbonio delle imprese non finanziarie che possono essere collegate alle istituzioni finanziarie in base all’insieme di titoli e portafogli di prestiti identificabili. I seguenti indicatori sul finanziamento delle attività ad alta intensità di carbonio possono essere utilizzati per valutare l’evoluzione delle emissioni dei debitori/emittenti nel tempo prima (e in preparazione) della transizione verso un’economia a zero emissioni»;
  • indicatori sull’esposizione ai rischi di transizione, i quali sono «derivanti dall’esposizione dei portafogli di prestiti e titoli ad attività economiche con rischi elevati (emissioni). Va notato che, in questa fase, tutti gli indicatori rilevano solo le attività ad alta intensità di emissioni dei debitori/emittenti stessi e non rilevano i rischi derivanti da modelli di business basati su prodotti intermedi ad alta intensità di emissioni (cioè le emissioni generate lungo la catena del valore). L’esposizione viene valutata cogliendo l’importo relativo del finanziamento delle attività economiche che potrebbero essere interessate dalla transizione a zero A differenza degli indicatori relativi al finanziamento di attività ad alta intensità di carbonio, questi indicatori utilizzano il valore del portafoglio dei creditori come variabile di standardizzazione, ossia assumono la prospettiva dell’investitore. Pertanto, sebbene le metriche non possano essere intese come misure di rischio di per sé, servono come metriche di esposizione che possono informare le valutazioni del rischio».

Infine, per quanto concerne gli indicatori analitici sui rischi fisici, essi sono «utilizzati per quantificare i rischi fisici dovrebbero coprire il maggior numero possibile di rischi naturali acuti. Il presente rapporto si concentra su un sottoinsieme di rischi selezionati sulla base (i) dell’importanza storica dei rischi in Europa (ad esempio, dal 1980 al 2020 circa il 77% di tutti i costi dei danni nell’UE28 sono stati causati da eventi meteorologici e idrologici) o delle previsioni future (ad esempio, si prevede che i danni da stress idrico e da incendi selvaggi aumenteranno nei prossimi decenni), e (ii) della qualità di base dei dati su tali pericoli. Alcuni rischi, come le ondate di calore, che hanno un effetto più indiretto sulla salute umana, non sono ancora inclusi in questa serie di indicatori».

Tali indicatori concernono:

  • la «(e)sposizione normalizzata al rischio (NEAR): la percentuale del portafoglio a rischio dove l’esposizione di ciascun debitore/emittente è ponderata per un indice di rischio finanziario. Questo rapporto mette in relazione le perdite annue attese (EAL) con misure di performance finanziaria (ricavi) o di dimensione aziendale (totale attivo). L’EAL fornisce una stima del rischio che si basa esplicitamente su danni monetari e consente aggregazioni tra i rischi, cosa che non avviene per gli indicatori di punteggio. Allo stato attuale, la qualità e la disponibilità dei dati sottostanti non sono sempre sufficienti per calcolare indicatori basati sull’EAL per tutti i pericoli. Tuttavia, sono disponibili indicatori basati sull’EAL per le inondazioni costiere, le inondazioni fluviali e le tempeste di vento»;
  • la «(e)sposizione potenziale al rischio (PEAR): la percentuale del portafoglio esposta ai rischi fisici, basata sull’esposizione finanziaria totale per tutte le entità che hanno un punteggio di rischio superiore a zero (si veda il punto 3 per la scala di rischio). Il PEAR offre un valore potenziale (“massimo”) a integrazione del valore specifico fornito da NEAR. Gli indicatori basati sulle esposizioni totali sono facili da interpretare e meno impegnativi da calcolare, in quanto per il loro calcolo non sono necessari i dati di vulnerabilità (analogamente ai punteggi di rischio riportati di seguito»;
  • i «Punteggi di rischio (RS): integrano il PEAR suddividendo le esposizioni in categorie di livello di rischio e indicano la percentuale del portafoglio associata a una specifica classe di rischio da 0 (nessun rischio) a 5 (rischio molto elevato). I punteggi a livello di capogruppo (quando più entità appartengono allo stesso gruppo) sono calcolati utilizzando medie semplici».

L’Autorità Bancaria Europea (EBA), dal canto suo, afferma che «The EBA has received several mandates to assess how to include Environmental, Social and Governance (ESG) risks into the three pillars of the banking prudential framework. This report assesses their potential inclusion in Pillar 2 by providing common definitions of ESG risks, elaborating on the arrangements, processes, mechanisms and strategies to be implemented by credit institutions and investment firms (institutions) to identify, assess and manage ESG risks, and recommending how ESG risks should be included in the supervisory review and evaluation performed by competent authorities. The report focuses on the resilience of institutions to the potential financial impact of ESG risks across different time horizons, which needs to be carefully assessed and ensured by institutions and supervisors by taking a comprehensive and forward- looking view, as well as early, proactive actions»[39]; e questo in quanto «ESG risks to institutions are defined as risks that stem from the current or prospective impacts of ESG factors on their counterparties or invested assets, i.e. the risks arising from the core activities of institutions. ESG risks materialise through the traditional categories of financial risks (credit risk, market risk, operational and reputational risks, liquidity and funding risks). Various methods for the assessment of ESG risks exist in the market and these are rapidly evolving. The EBA has identified three different approaches: (i) portfolio alignment method, (ii) risk framework method (including scenario analysis) and (iii) exposure method. These approaches s erve the objectives of assessing the alignment of institutions’ portfolios with global or regional sustainability goals or of offering insights into the risk caused by exposures to (including investments in) certain activities. The EBA does not prescribe the use of one particular approach and sees merit in the application of a combination of approaches»[40].

Sul mercato esistono vari metodi, in rapida evoluzione, per la valutazione dei rischi ESG. L’EBA, al riguardo, ha individuato tre diversi approcci:

  • metodo di allineamento del portafoglio;
  • metodo del quadro di rischio (compresa l’analisi di scenario);
  • metodo di esposizione.

I predetti approcci perseguono, tutti, l’obiettivo di valutare l’allineamento dei portafogli delle istituzioni con gli obiettivi di sostenibilità globali o regionali o di offrire informazioni sul rischio causato dalle esposizioni (inclusi gli investimenti) in determinate attività. L’EBA non prescrive l’uso di un approccio particolare, preferendo segnalare l’opportunità che si applichino una combinazione di approcci.

Oltre a ciò, è interessante osservare anche quanto indicato dall’EBA negli “Orientamenti in materia di concessione e monitoraggio dei prestiti – EBA/GL/2020/06”, adottati il 29 maggio 2020, e cioè che «(g)li enti dovrebbero incorporare i fattori ESG e i rischi ad essi associati nella loro propensione al rischio di credito, nelle politiche di gestione dei rischi e nelle politiche e procedure relative al rischio di credito, adottando un approccio olistico. Gli enti dovrebbero tenere conto dei rischi associati ai fattori ESG per le condizioni finanziarie dei mutuatari, e in particolare del potenziale impatto dei fattori ambientali e del cambiamento climatico, nella loro propensione al rischio di credito e nelle politiche e procedure ad esso relative. I rischi del cambiamento climatico per le performance finanziarie dei clienti possono materializzarsi principalmente sotto forma di rischi fisici, come quelli che derivano dagli effetti tangibili del cambiamento climatico, compresi i rischi di responsabilità civile per aver contribuito al cambiamento climatico stesso, o i rischi di transizione, ad esempio quelli che derivano dalla transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio e resistente ai cambiamenti climatici. Inoltre, possono verificarsi altri rischi, quali cambiamenti delle preferenze del mercato e dei consumatori e rischi legali, che potrebbero influire sull’andamento delle attività sottostanti».

Occorre altresì sottolineare che l’EBA ha, nel mese di dicembre 2022, pubblicato la propria road map, con la quale, nel delineare gli obiettivi e il calendario per l’esecuzione dei mandati e dei compiti rientranti nel perimetro ESG, illustra i programmi della propria attività nei tre anni a venire, con l’obiettivo di integrare le tematiche sui rischi ESG nel quadro bancario e sostenere gli sforzi dell’UE per la realizzazione della transizione verso un’economia più sostenibile. La road map, nel quadro di taluni obbiettivi[41], prevede, nell’arco temporale 2023-2025 e secondo un definito cronoprogramma[42], l’emanazione di diversi provvedimenti.

Proseguendo, in ambito UE, va segnalata la lettera ESMA 30-379-423, datata 28 gennaio 2021, dell’allora suo Presidente alla Commissione Europea in cui si precisa quanto segue. «I would like to address the unregulated and unsupervised nature of the market for “ESG” ratings and ESG assessment tools and the need to match the growth in demand for these products with appropriate regulatory requirements to ensure their quality and reliability. (…) In many ways, the increased relevance of ESG ratings has arisen as a result of positive developments in other areas of legislative attention, particularly the requirement for market participants to take more systematically ESG factors into account in their investment decisions and risk management processes. (…) Compared with credit ratings, ESG ratings display very low levels of correlation across providers, leading to issues down the investment value chain. ESMA’s forthcoming analysis shows indeed that this is problematic in the context of ESG benchmark construction, with the choice of ESG rating provider significantly impacting the constituents of those indices. Considering current growth trends in Europe in sustainable investing and passive investment products such as ETFs, measures aiming to reduce the risk of capital misallocation will become crucial to facilitate the transition to a more sustainable financial system. Similarly, the fact that companies in highly polluting industries can obtain high environmental scores from some ESG rating providers can lead to investor confusion and highlights the need for greater transparency and the development of standardised definitions».

Nel solco di tali orientamenti si è mossa anche la Banca d’Italia, la quale, in data 8 aprile 2022, ha pubblicato il Documento recante “Aspettative di vigilanza sui rischi climatici e ambientali” (nel prosieguo anche il “Documento”), nel quale sono contenute, in sintesi, indicazioni, per gli intermediari bancari e finanziari vigilati, relativamente all’integrazione dei rischi climatici e ambientali nei sistemi di governo e controllo, nel modello di business, nella strategia aziendale, nel sistema organizzativo e nei processi operativi, nel sistema di gestione dei rischi e nell’informativa al mercato.

L’Organo di Vigilanza – dopo aver preliminarmente osservato che «(u)n modello di crescita sostenibile si basa sulla piena integrazione dei fattori ambientali, sociali e di governance (Environment, Social e Governance – ESG)” e che «(q)uesta innovazione del paradigma della crescita economica tradizionale, oramai al centro dell’agenda politica internazionale, può favorire un progresso di lungo termine, resiliente agli shock esterni, ed è dunque essenziale per poter gestire le trasformazioni che la società e il sistema economico si troveranno a fronteggiare nei prossimi anni: gli effetti del cambiamento climatico e delle politiche di decarbonizzazione; il degrado degli ecosistemi e la perdita di biodiversità; la precarietà e la carenza di sicurezza sul mercato del lavoro; i rischi legati a una bassa inclusione sociale e a una crescita delle disuguaglianze» – afferma che «(l)a trasformazione in atto presenta dunque nuove opportunità, così come nuovi rischi, per il settore finanziario»; di qui, proseguendo, rileva che è «(…) importante che gli operatori predispongano idonei presidi e sviluppino adeguate prassi per identificare, misurare, monitorare e mitigare tali rischi (enfasi nostra), continuando a garantire il necessario accesso al credito e assistendo le aziende impegnate nel lungo e complesso processo di transizione con nuova finanza e adeguati servizi di consulenza (…)»; «(…) (a)ltrettanto importante è la capacità di comunicare adeguatamente l’integrazione dei rischi climatici e ambientali nel proprio modello strategico e operativo»[43].

Infine, volendo ribadire nuovamente la strettissima connessione esistente tra il perseguimento dei criteri ESG (e, per loro tramite, della sostenibilità) da un lato, e l’armonizzazione dei sistemi di rating in materia ESG dall’altro, è importante evidenziare quanto dichiarato dalla Commissione Europea in sede di adozione del già menzionato “Sustainable Finance Package” (cfr., supra, sub nota 28), latore di innovazioni non solo in ragione delle previste modifiche al Reg. UE 2020/852, bensì anche per via della predisposizione del “Proposal for a Regulation of the European Parliament and of the Council on the Transparency and Integrity of Environmental, Social and Governance (ESG) rating activities”, avente ad oggetto una proposta di Regolamento Europeo in materia di attività connesse al rating ESG. Segnatamente, sul sito web della Commissione Europea, è possibile apprendere – in linea con quanto fin qui sostenuto e cioè che il rating rappresenta un imprescindibile veicolo di corretto sviluppo dei fattori ESG – che «ESG ratings play an important role in the EU sustainable finance market as they provide information to investors and financial institutions regarding, for example, investment strategies and risk management on ESG factors. Today, the ESG ratings market currently suffers from a lack of transparency and the Commission is proposing a Regulation to improve the reliability and transparency of ESG ratings activities. New organisational principles and clear rules on the prevention of conflicts of interest will increase the integrity of the operations of ESG rating providers. These new rules will enable investors to make better informed decisions regarding sustainable investments. Moreover, the proposal will require that ESG rating providers offering services to investors and companies in the EU be authorised and supervised by the European Securities and Markets Authority (ESMA). This will also ensure the quality and reliability of their services to protect investors and ensure market integrity».

5. La tematica, del tutto trasversale, della primazìa del diritto dell’Unione sul diritto nazionale

Il ruolo trainante ed insostituibile dell’Unione Europea nelle materie qui in esame (transizione energetica e, più in generale, fattori e criteri ESG), è legato all’indiscutibile, sebbene non formalizzato nei Trattati europei, principio del primato del diritto europeo sulle leggi nazionali (c.d. “Primauté”); principio, questo, che tuttavia non deve essere ritenuto totalizzante e, per ciò stesso, idoneo a scardinare i principi ordinamentali degli Stati membri. A tale riguardo occorre richiamare la c.d. “teoria dei controlimiti”, la quale postula una vera e propria intangibilità, financo ad opera della normativa sostanzialmente “costituzionale”[44] eurounitaria, dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale di uno Stato membro; teoria, questa, che trova giustificazione nella indiscutibile necessità di garantire la più ferrea salvaguardia di quei diritti e valori identificativi dell’ordinamento costituzionale nazionale[45].

Relativamente alla teoria suesposta è possibile riscontrare, da un lato, una frequente affermazione in linea generale ed astratta ad opera delle Corti Costituzionali degli Stati membri, dall’altro, una rarissima applicazione della stessa: ad oggi si è assistito a sole due contestazioni del diritto eurounitario, e sono i casi rappresentati dalla sentenza della Corte Costituzionale Polacca del 7 ottobre 2021[46] e dalla sentenza della Corte Costituzionale Tedesca del 5 maggio 2020[47] in merito alla legittimità del Piano di acquisti di titoli di debito pubblico (PSPP) da parte della Bce.

Una possibile applicazione della teoria dei controlimiti in ambito italiano si è paventata, recentemente, a causa della vicenda “Taricco”[48], la quale, tuttavia, si è conclusa, evitando dannose posizioni di contrasto, con un costruttivo dialogo tra la Consulta e la CGUE.

Ad affermare il principio cardine della “Primauté è stata la Corte di Giustizia con la nota sentenza del 15 luglio 1964 – Flaminia Costa contro E.N.E.L [Sentenza della Corte del 15 luglio 1964, Flaminio Costa contro E.N.E.L., Causa 6-64 (edizione speciale inglese: 1964 00585)], in cui:

  • l’allora Corte di giustizia europea (attualmente Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) ebbe a confermare il primato del diritto della Comunità economica europea (CEE) [ora Unione europea (Unione)] rispetto alle leggi nazionali degli Stati membri dell’Unione;
  • venne stabilito un principio generale del diritto della Comunità (ora Unione), secondo cui il primato, chiamato anche “preminenza” o “supremazia” del diritto dell’Unione, garantisce la propria superiorità rispetto alle leggi nazionali degli Stati membri;
  • si affermò, infine, che il principio del primato è garanzia di protezione uniforme dei cittadini in tutta l’Unione.

Nel corso di una pronuncia pregiudiziale relativa al trattato CEE [(ora Trattato sull’Unione europea e Trattato sul funzionamento dell’Unione europea del 13 dicembre 2007 — versione consolidata (GU C 202 del 7.6.2016, pag. 47)], la Corte ebbe ad affermare quanto segue:

  • in opposizione ai trattati internazionali ordinari, il trattato CEE ha istituito un sistema giudiziario europeo che costituisce parte integrante dei sistemi giudiziari degli Stati membri e che li vincola;
  • con l’istituzione della CEE, gli Stati membri hanno trasferito i diritti e gli obblighi derivanti dal trattato dal loro ordinamento giuridico nazionale a quello della CEE, limitando la loro sovranità e creando un corpus normativo vincolante perse stessi e i loro cittadini;
  • conseguentemente, gli Stati membri non possono adottare leggi nazionali in contrasto con il diritto dell’Unione senza rimettere in discussione la base giuridica dell’Unione stessa; il diritto dell’Unione prevale sulle leggi nazionali.

Unitamente alla sentenza in parola, sono da segnalare sentenze a questa precedenti e successive.

Nel 1963, con sentenza del 5 febbraio, relativa alla causa C-26/62 (c.d. Sentenza Van Gend & Loos la Corte di giustizia aveva già stabilito un principio generale parimenti importante e integrativo del diritto dell’Unione, ovvero il principio dell’efficacia diretta.

La Corte chiarì, in seguito, l’ambito di applicazione del principio del primato nella propria giurisprudenza,

  • applicandosi essa a tutti gli atti dell’Unione in modo giuridicamente vincolante, laddove si tratti di diritto primario (quali, i Trattati), di diritto derivato (direttive, regolamenti, decisioni, ecc.) o di giurisprudenza della CGUE.
  • Condiziona tutti gli atti nazionali:
    • a prescindere dalla loro natura (atti, regolamenti, decisioni, ordinanze, circolari, ecc.) o se sono emanati dai poteri esecutivi o legislativi di uno Stato membro;
    • persino se la loro adozione sia avvenuta dopo l’atto dell’Unione in questione [(Amministrazione delle Finanze contro Simmenthal SpA, 1978) Sentenza della Corte del 9 marzo 1978, Amministrazione delle Finanze dello Stato contro Simmenthal SpA. Domanda di pronuncia pregiudiziale: Pretura di Susa — Italia. Disapplicazione da parte del giudice nazionale di una legge in contrasto col diritto comunitario. Causa 106/77 (raccolta della giurisprudenza 1978 00629)];
    • comprese le disposizioni di una costituzione nazionale in contraddizione con il diritto dell’Unione [(Internationale Handelsgesellschaft mbH contro Einfuhr- und Vorratsstelle für Getreide und Futtermittel, 1970 e Wünsche Handelsgesellschaft contro la Germania, 1984, note rispettivamente come le sentenze Solange I e Solange II) Sentenza della Corte del 17 dicembre 1970, Internationale Handelsgesellschaft mbH contro Einfuhr- und Vorratsstelle für Getreide und Futtermittel. Domanda di pronuncia pregiudiziale: Verwaltungsgericht Frankfurt am Main — Germania. Causa 11-70 (raccolta della giurisprudenza 1970 01125)].

Sul tema si riscontra, in ambito italiano, una florida giurisprudenza da parte della Consulta.

Il primo caso in cui la Corte Costituzionale viene in contatto con il tema in esame si ha con la sent. 24 febbraio 1964, n. 14, con la quale si contesta la primazia del diritto comunitario su quello nazionale.

Tale orientamento muta già con le sentenze 18 dicembre 1973, n. 183 e 22 ottobre 1975, n. 232, con le quali, non solo si afferma la c.d. “Primauté” della norma comunitaria (attestando così quella “Diretta applicabilità” che tanto è cara al diritto europeo), ma si censura direttamente la disciplina interna incompatibile con la illegittimità costituzionale.

Tuttavia, la pietra miliare per la conquista, da parte del diritto comunitario, del ruolo centrale che riveste oggi, è rappresentata dalla sent. 5 giugno 1984 n. 170, per mezzo della quale viene concepita l’automatica “disapplicazione della norma interna contrastante” ad opera del giudice comune, vale a dire che, in presenza di un atto normativo europeo dotato di diretta applicabilità, la disciplina nazionale non viene né annullata né tantomeno abrogata, bensì solo relegata ad uno stato limbico in cui non produce effetti giuridici nel caso di specie, potendoli però esprimere in altri contesti, rimanendo a tutti gli effetti una norma valida: condizione essenziale affinché ciò possa verificarsi è che sussista una « impossibilità di pervenire, da parte del giudice nazionale, a un’interpretazione delle disposizioni interne che sia conforme alle prescrizioni del diritto dell’Unione» .

Una precisazione terminologica a tale orientamento viene poi apportata dalla sentenza dell’8 aprile 1991, n. 168, nella quale si afferma come sia preferibile parlare di “non applicazione” piuttosto che di “disapplicazione”.

Nonostante la presenza di plurime altre decisioni della Consulta sul tema, si ritiene utile concludere questo rapido excursus storico con la sentenza del 2 aprile 2012, n. 86, con la quale viene riconosciuto un ruolo fondamentale al nuovo art. 117, comma 1, Cost. (così come riscritto dalla c.d. “Riforma del Titolo V”), quale parametro normativo da utilizzare laddove si debbano censurare, ritenendole illegittime, le norme interne contrastanti con gli atti eurounitari privi di diretta applicabilità (tra cui, è bene ricordare, rientrano anche i Trattati Istitutivi).

Occorre, in ultima istanza, effettuare una precisazione: nonostante la strada maestra percorsa nei confronti della normativa interna contrastante con gli atti eurounitari direttamente applicabili sia la “non applicazione”, nulla vieta che la Consulta possa espungere la norma interna dall’ordinamento, ritenendola in violazione del parametro costituzionale rappresentato dagli artt. 11 e 117, comma 1, Cost.

In una dichiarazione relativa al primato – allegata all’atto finale della Conferenza intergovernativa che ha adottato il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea [Conferenza intergovernativa che ha adottato il trattato di Lisbona firmato il 13 dicembre 2007; A. Dichiarazioni relative a disposizioni dei trattati; 17. Dichiarazione relativa al primato (GU C 115 del 9.5.2008, pag. 344)] – la Conferenza:

  • ribadisce il principio del primato del diritto dell’Unione rispetto al diritto nazionale;
  • evidenzia il suo essere una pietra miliare del diritto dell’UE indipendentemente dal fatto che non sia incluso nel trattato.

6. Conclusioni

Alla luce di quanto fin qui illustrato ed argomentato, è, anzitutto, evidente che la tematica ESG e la correlata transizione energetica – già oggi all’attenzione della comunità internazionale – riguardando il futuro del pianeta, continueranno ad accompagnarci anche negli anni a venire; per l’indiscutibile loro centralità, in quanto tematiche aventi impatto su un ampio ventaglio di potenziali aree di interesse applicativo, condizioneranno inevitabilmente, ancorché con un diverso grado di intensità, l’agire pubblico, commerciale e personale della comunità globale.

Le questioni e le iniziative trattate in queste brevi riflessioni, d’altro canto, evidenziano l’assoluta centralità di dette tematiche, tale da richiedere, come già ampiamente accaduto (e continuerà ad accadere), un ampio spiegamento di mezzi, specie normativi, sia europei sia nazionali. Ne sono testimonianza: con riguardo alle iniziative poste in essere in ambito nazionale, la significativa modifica degli art. 9, comma 3, e 41, comma 2, della Carta Costituzionale e la stessa previsione, quale principale strumento organizzativo-funzionale di sviluppo in ambito ESG, del Ministero per la Transizione Ecologica (già “Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare” ed oggi “Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica”); e, con riguardo al quadro sovranazionale, le rilevanti, molteplici iniziative legislative da parte dell’Unione Europea, a cui deve riconoscersi il merito di avere svolto – anche in ragione della primazìa del diritto dell’Unione sul diritto nazionale – un ruolo determinante nel quadro ESG e della correlata transizione energetica, intesa, quest’ultima, quale obiettivo strumentale al raggiungimento della piena sostenibilità [si ricordi, a tale ultimo proposito, quanto sancito (tra le altre) dalle importanti direttive 2009/28/CE (RED I) e 2018/2001 (RED II) e si ricordino, anche, le numerose iniziative e attività, poste in essere dall’UE, finalizzate al potenziamento della filiera di produzione energetica rinnovabile, tra le quali sono da annoverare le disponibilità finanziarie stanziate a sostegno del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)].

Di qui la rilevanza, quale indiscutibile obiettivo, del principio di sostenibilità, capace di orientare tanto le scelte di carattere economico-politico-normativo, nazionali e sovranazionali (volendo rimanere ancorati al solo contesto europeo), quanto le scelte di carattere commerciale e finanziario, oltre che scientifiche e della società civile.

Ed è in tale contesto di pervasività del principio di sostenibilità che s’inquadrano, con l’obiettivo di garantire la più rapida ed efficace applicazione di ogni pratica virtuosa, le diverse intese internazionali sottoscritte, quali, in particolare, gli Accordi di Parigi del 2015, l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile e le numerose normative sovranazionali e nazionali in argomento, così come, a seguire, i ricordati, notevoli sforzi profusi dall’Unione Europea, quale punto di riferimento istituzionale nello scacchiere internazionale, nella costante emanazione delle plurime normative di cui si è dato conto nel corso della presente, breve trattazione; in tale quadro va segnalata, in particolare, la rilevanza, per il suo forte impatto in termini di trasparenza, che assume, tra le altre, l’informativa in materia di sostenibilità – al cui adempimento sono tenute le imprese nei confronti dei consumatori/investitori – da ritenere un fattore, oltre che di tutela dello stesso consumatore/investitore, anche di sollecitazione, nei riguardi delle imprese più recalcitranti, ai fini del adeguamento delle stesse ai principi e criteri in materia di sostenibilità.

La tematica ESG, ad ulteriore conferma del suo multiforme e rilevante impatto in molte e svariate aree di interesse privato e collettivo, trova, altresì, spazio nell’imponente attività svolta dalle principali Autorità bancarie e finanziarie, tanto a livello nazionale (BANCA D’ITALIA, CONSOB e IVASS), quanto a livello europeo (EBA, EIOPA, ESMA e BCE); e ciò a testimonianza della sempre maggiore attenzione all’immagine “green” da parte, non solo delle imprese che operano nel settore della compravendita di prodotti fisici, ma anche delle imprese impegnate nella prestazione di sevizi bancari e finanziari.

Gli sforzi fin qui profusi rischiano, tuttavia, di perdere la loro efficacia ove non si ponga, molto rapidamente, la necessaria attenzione, al pari di quanto accaduto sul fronte delle innumerevoli iniziative e della copiosa elaborazione normativa, alle metodologie di misurazione della sostenibilità, attesa, all’evidenza, la stretta interrelazione, diretta e/o indiretta, tra gli argomenti affrontati nelle presenti considerazioni, tutti legati da un comune fil rouge, e la tematica, anch’essa centrale, dell’istituto del “rating”, assolutamente indispensabile, come si è già sopra ripetutamente precisato, per fornire, in applicazione dell’articolata disciplina (vigente e/o in divenire), un idoneo strumento di misurazione dell’effettivo livello di conformità ai fattori e criteri ESG da parte, in primo luogo, degli obbligati; effettivo livello di conformità, questo, testimoniabile solo attraverso modelli di rating che, in termini oggettivi, siano in grado di fornire indispensabili riferimenti informativi e valutativi, per un verso, in ordine al livello di compliance ESG, per altro verso, relativamente alla reale collocazione ESG, intesa quale risultante dalla comparazione, non solo tra coloro che ne abbiano fatto uso, ma anche tra coloro che siano stati oggetto, da parte di diversi operatori, di più framework di rating.

Di qui la necessità, da un lato, (i) di individuare criteri uniformi per l’assegnazione del rating ESG ed anche, trattandosi di attività delicatissima, di attentamente selezionare coloro che, sul mercato, già operano o si accingono ad operare in tale specialistico segmento di attività; dall’altro, la (ii) insostenibilità, a fini di chiarezza informativa, dell’attuale contesto di mercato in cui coesiste un elevato numero di framework di rating ESG che, non solo introducono elementi di confusione in ordine all’effettivo status del soggetto obbligato, ma finiscono anche per favorire, attese le difficoltà legate alla loro comparazione, coloro che, strumentalmente, ricorrono a dannose pratiche di greenwashing.

Per tali ragioni va scientificamente ed istituzionalmente sostenuto il lodevole intento, condotto, come segnalato, dalle maggiori standard-setter a livello globale, di definire standard di rendicontazione ESG comuni, al fine di giungere, nel rispetto degli elementari principi di trasparenza e correttezza ed a vantaggio dell’ordinato svolgimento delle attività economiche, ad una maggiore (purché soddisfacente) armonizzazione dei framework di rating ESG, sì da favorire puntuali e corrette informazioni sull’effettivo livello di sostenibilità.

Una migliore e soddisfacente armonizzazione degli standard di rendicontazione ESG avrebbe, tuttavia, un benefico impatto anche in capo agli emittenti, trovandosi essi, allo stato, nella scomoda posizione, da un lato, di doversi districare nella difficile interpretazione della (talvolta non chiara), copiosa e ininterrotta messe di disposizioni in materia, dall’altro, di dover apprestare ogni opportuna cautela che li ripari da contestazioni potenzialmente provenienti sia dagli investitori sia dalle Autorità.

L’oggettiva difficoltà di misurazione del corretto allineamento da parte dei soggetti obbligati ai fattori ESG, sotto altro profilo, è tematica di interesse anche delle Autorità, trovandosi esse investite del difficile (e delicato) compito di presidiare, istituzionalmente ed a beneficio dell’ordinato svolgimento delle attività economiche, il puntuale rispetto, ai vari livelli, del complessivo (ed articolato) quadro normativo in materia ESG; compito di presidio, questo, che richiede improrogabilmente, anche per le Autorità, che si disponga di idonee (ed oggettive) formule di misurazione delle performance ESG.

La preoccupazione qui manifestata, in ordine alla necessità di intervenire presto e normativamente sulla tematica del rating, ha recentemente trovato conforto nelle considerazioni espresse dalla Commissione Europea, sopra richiamate (cfr., in particolare, supra sub nota 28 e sub paragrafo 4.1.), che accompagnano la pubblicazione, datata 13 giugno 2023, da parte del predetto Organo, del “Proposal for a Regulation of the European Parliament and of the Council on the Transparency and Integrity of Environmental, Social and Governance (ESG) rating activities”, avente ad oggetto una proposta di Regolamento Europeo in materia di attività connesse al rating ESG.

 

[1] Si parla, comunemente, di energia solare con riguardo all’energia proveniente dal Sole, che, normalmente, viene carpita da pannelli fotovoltaici in silicio, i quali, attraverso il calore ottenuto dal recepimento dei raggi solari, producono energia elettrica. Le principali normative di riferimento di tale fonte energetica sono il d.lgs 30 maggio 2008, n.115, il d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28, il DM 19 maggio 2015 del MISE ed il d.l. 31 maggio 2021, n. 77.

[2] Si parla, comunemente, di energia eolica con riguardo, invece, all’energia che si ottiene tramite l’azionamento di dinamo ad opera di generatori che vengono movimentati dall’energia meccanica di pale, a loro volta messe in movimento dall’energia del vento. Le principali normative di riferimento di tale fonte energetica sono la l. 6 Aprile 2016, n. 56 il d.l. 6 Maggio 2021, n. 59 ed il d.l. 27 Gennaio 2022, n. 4.

[3]  Si parla, comunemente, di energia idroelettrica con riguardo all’energia prodotta con meccanismi similari a quelli utilizzati per la produzione di energia eolica; l’energia meccanica è, però, generata dall’acqua che viene costretta a scorrere in angusti passaggi dalle dighe, producendo in tal modo un’imponente pressione idonea a mettere in funzione delle turbine. Le principali normative di riferimento di tale fonte energetica sono il d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, il d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 ed il d.l. 22 giugno 2012, n. 83.

[4] Si parla, infine, di energia mareomotrice relativamente a quell’energia prodotta con meccanismi simili a quelli utilizzati per la produzione di energia eolica o idroelettrica; il generatore dinamo, per tali fonti, viene caricato da generatori a loro volta caricati dall’energia meccanica delle pale di turbine poste sul fondale marino ed azionate dalla forza delle maree. Le principali normative di riferimento di tale fonte energetica è il d.lgs 8 novembre 2021, n. 199.

[5] Cfr., ex multis, il Rapporto del CREA (Centre for Research on Energy and Clean Air) “Financing Putin’s war: Fossil fuel imports from Russia in the first 100 days of the invasion” del 12.6.2022, secondo cui gli introiti da parte della Federazione Russa, derivanti dall’esportazione di combustibili fossili tra il 24 febbraio ed il 24 agosto del 2022 ammonterebbero a circa 158 miliardi di euro, eguagliando così in sei mesi il fatturato annuo, relativo al 2021, della società russa Gazprom. E ciò grazie soprattutto alle fluttuazioni speculative del prezzo del gas verificatesi presso il Dutch Ttf di Amsterdam (per un’idea delle speculazioni che è stato possibile registrare basta allegare le quotazioni mensili medie degli ultimi 24 mesi di detti combustibili: TTF aprile 2021 20,50 €/MWh; TTF maggio 2021 25,21 €/MWh; TTF giugno 2021 29,12 €/MWh; TTF luglio 2021 36,23 €/MWh; TTF agosto 2021 44,12 €/MWh; TTF settembre 2021 63,45 €/MWh; TTF ottobre 2021 87,47 €/MWh; TTF novembre 2021 81,70 €/MWh; TTF dicembre 2021 110,12 €/MWh; TTF gennaio 2022 83,63 €/MWh; TTF febbraio 2022 83,07 €/MWh; TTF marzo 2022 125,42 €/MWh; TTF aprile 2022 92,80 €/MWh; TTF maggio 2022 89,34 €/MWh; TTF giugno 2022 103,92 €/MWh; TTF luglio 2022 171,68 €/MWh; TTF agosto 2022 222,33 €/MWh; TTF settembre 2022 188,69 €/MWh; TTF ottobre 2022 79,44 €/MWh; TTF novembre 2022 91,18 €/MWh; TTF dicembre 2022118,55 €/MWh.; TTF gennaio 2023 63,55 MWh; TTF febbraio 2023 53,82 €/MWh; TTF marzo 2023 44,67 €/MWh; TTF aprile 2023 42,89 €/MWh. È possibile notare come già a partire dal mese di gennaio, mese di entrata in vigore del Reg. 2578/2022 (di cui infra), le quotazioni siano scese in maniera significativa, salvo poi diminuire ancor più rilevantemente, a partire dal mese di febbraio 2023, a seguito dell’attivazione del meccanismo di cui al medesimo Regolamento.

[6] Il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica – MASE – svolge, secondo quanto è dato ricavare dal proprio sito internet, “un ruolo chiave nell’attività del Governo finalizzata alla tutela dell’ambiente. L’azione del MASE è rivolta alla salvaguardia del territorio e della risorsa idrica, degli ecosistemi terrestri e marini, delle specie animali e vegetali a rischio, alla bonifica delle aree e dei corsi d’acqua, alla riduzione delle fonti di inquinamento e delle emissioni dei gas climalteranti, nel contesto della sfida del riscaldamento globale. Il Ministero garantisce la sicurezza delle infrastrutture e dei sistemi energetici e geominerari, l’approvvigionamento, l’efficienza e la competitività, la promozione delle energie rinnovabili. Promuove le buone pratiche e l’educazione ambientale, l’economia circolare, la mobilità sostenibile e la rigenerazione urbana. Il Ministero esercita il controllo analogo congiunto (con il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture) su Sogesid S.p.a.; svolge, inoltre, un ruolo di indirizzo e di vigilanza sulle attività dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA), del Gestore Servizi Energetici (GSE), di SOGIN (Società Gestione Impianti Nucleari); esercita la vigilanza sul patrimonio naturalistico nazionale in ambito terrestre e marino (parchi nazionali, aree marine protette, autorità di bacino, consorzi ambientali e di regolazione dei grandi laghi)”.

[7] Il riferimento viene effettuato in un’ottica di lode dell’UE, rispetto ad un altro firmatario di primaria importanza, gli USA, i quali, a causa di vicende politiche altalenanti dopo aver sottoscritto gli Accordi di Parigi, sono ufficialmente usciti dal trattato il 4 novembre 2020 nel corso della presidenza Trump, per poi rientrarvi il 19 febbraio 2021 sotto la presidenza Biden.

[8] Con un pacchetto normativo denominato “Fit for 55 package”.

[9] Cfr. ex multis, B. ROMANO, Gas ecco il piano UE per tagliare di due terzi l’import dalla Russia entro un anno, in IlSole24Ore, 8/03/2022.

[10] L’accordo è stato raggiunto in seno al Consiglio dell’Unione Europea in data 19.12.2022 attraverso l’adozione della “Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un meccanismo di correzione del mercato per proteggere i cittadini e l’economia da rincari eccessivi”, tradottasi nel successivo Reg. UE 2022/2578 del 22 dicembre 2022. Ai sensi dell’art. 4, paragrafo 1, del Reg., il meccanismo di correzione, entrato in vigore a partire dal 15.02.2023, si attiverà «quando si verifica un evento di correzione del mercato. Un evento di correzione del mercato è ritenuto verificatosi quando il prezzo di regolamento dei derivati TTF front month, pubblicato da ICE Endex B.V. (Paesi Bassi): a) supera 180 EUR/MWh per tre giorni lavorativi; e b) è superiore di 35 EUR al prezzo di riferimento nel periodo di cui alla lettera a)».  Il meccanismo introdotto è del tipo “dinamico e temporaneo”, in quanto, ai sensi dello stesso art. 4, paragrafo 5, «A decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione di un avviso di correzione del mercato, i gestori dei mercati non accettano e i partecipanti al mercato dei derivati TTF non presentano ordini di derivati TTF che giungono a scadenza nel periodo compreso tra la data di scadenza del derivato TTF front month e la data di scadenza del derivato TTF front year con prezzi superiori a 35 EUR/MWh rispetto al prezzo di riferimento pubblicato dall’ACER il giorno precedente («limite dinamico di offerta»). Se il prezzo di riferimento è inferiore a 145 EUR/MWh, il limite dinamico di offerta rimane pari alla somma di 145 EUR e 35 EUR».», ed in base al successivo paragrafo 7 del medesimo articolo «Una volta attivato dall’ACER, il limite dinamico di offerta si applica per un minimo di [20 giorni lavorativi], a meno che non sia sospeso dalla Commissione in conformità dell’articolo 6 o disattivato in conformità dell’articolo 5, paragrafo 1».». Nelle parti in cui si fa menzione del “prezzo di riferimento”, quest’ultimo è quello del Gnl (gas naturale liquido), che risulta essere molto meno volatile e meno soggetto a speculazioni, poiché non esportato dalla Federazione Russa.

[11] Cfr. www.commission.europa.eu

[12] Cfr. A. NISI, Le PMI pesano per il 70% sull’inquinamento industriale, in AGI.it, 22 aprile 2022

[13] 1) No Poverty; 2) Zero Hunger; 3) Good Health and Well-being; 4) Quality Education; 5) Gender Equality; 6) Clean water and Sanitation; 7) Affordable and Clean Energy; 8) Decent Work and Economic Growth; 9) Industries, Innovation and Infrastructure; 10) Reduced Inequalities; 11) Sustainable Cities and Communities; 12) Responsible Consumption and Production; 13) Climate Action; 14) Life below Water; 15) Life on Land;16) Peace, Justice and strong Institutions; 17) Partnership for the Goals.

[14] In altre parole, gli aspetti che vengono considerati centrali nel contesto ESG, sono basilarmente fattori di tutela ambientale, rispetto dei diritti umani e sostenibilità ambientale ed economica delle imprese.

[15] Ciò è particolarmente vero per quanto concerne l’accezione ambientale della sostenibilità; nonostante già da tempo la comunità scientifica fosse allarmata dagli eventi connessi al climate change ed invocasse il ricorso a politiche ambientali e di consumo più responsabili da parte delle autorità nazionali dell’intero pianeta, è possibile osservare una lenta e graduale, maggiore attenzione, da parte della società civile, alle tematiche, ex multis, della sostenibilità, della riduzione dell’emissione di Co2 (c.d. impronta ambientale) e dell’inquinamento, già a partire dal 2006, data di uscita del celebre documentario “An Inconvenient Truth”, diretto dal regista  Davis Guggenheim, relativo alla campagna di divulgazione sui rischi del riscaldamento globale condotta dall’ex Vice Presidente degli USA Albert Arnold Gore Jr. ( meglio conosciuto come “Al Gore”), tendenza poi esplosa a seguito, da un lato, della celebrità assunta dall’attivista Greta Tintin Eleonora Ernman Thunberg, la quale, a partire dal 2018, ha iniziato a non frequentare la scuola il venerdì di ogni settimana, dando vita a quel fenomeno sociale, a cui nel corso dei mesi successivi hanno preso parte milioni di giovani in tutto il mondo, noto come “Friday for Future”, dall’altro, dai tragici fenomeni naturali che hanno funestato il continente australiano dal giugno 2019 al marzo 2020, che hanno provocato la distruzione di circa  16.800.000 ettari di aree boschive  e, in base al rapporto del WWF, la morte di quasi 1 miliardo di animali.

[16] Si fa riferimento, segnatamente, al fenomeno del c.d. Greenwashing, vale a dire della pratica sostanziantesi nell’ingenerare nel pubblico un’immagine di sé, sotto il profilo dell’impatto ambientale e dell’impronta ecologica, non rispondente a verità. A tale riguardo, nel 2021, la Commissione Europea, coadiuvata dalle autorità nazionali di tutela dei consumatori congiuntamente ad altre autorità internazionali, sotto il coordinamento della Ipcen (Consumer Protection and Enforcement Network) ha condotto un’indagine finalizzata a portare alla luce le verità celate sotto il Greenwashing, addivenendo a conclusioni preoccupanti. Nello specifico è emerso che, in oltre la metà dei casi, le imprese non avevano fornito ai consumatori informazioni sufficienti per determinare la veridicità o meno delle proprie affermazioni. Inoltre, nel 37% dei casi, i claim contenevano formulazioni vaghe e generiche, quali “cosciente”, “rispettoso dell’ambiente”, “sostenibile” e nel 59% dei casi non venivano fornite prove a sostegno di tali affermazioni. Complessivamente nel 42% dei casi le autorità hanno ritenuto ingannevoli e non veritieri i green claim, sottolineando la possibilità di considerare tali dichiarazioni come pratiche commerciali sleali. Sempre relativamente alla tematica del greenwashing, si ritiene rilevante evidenziare che, in data 31.5.2023, le Autorità di vigilanza Europee (EBA, ESMA ed EIOPA) hanno pubblicato, in risposta ad uno specifico quesito in argomento posto loro dalla Commissione Europea, i rispettivi Progress Report on Greenwashing”, a mezzo dei quali viene fornita, seppure in via temporanea, una mappatura precisa del fenomeno del greenwashing all’interno dei settori bancario, finanziario ed assicurativo, posto che la versione definitiva dei citati Report è attesa per il mese di maggio 2024.

[17] Per quanto concerne, a titolo d’esempio, il mercato italiano, in base al tredicesimo rapporto GreenItaly, realizzato da Fondazione Symbola e Unioncamere, con la collaborazione del Centro Studi Tagliacarne e con la partecipazione, tra gli altri, di Conai, Novamont ed Ecopneus, nel 2021, il numero di imprese che hanno avviato il proprio percorso in direzione di un adeguamento al sistema della green economy, è cresciuto del 2,9%, passando così dal 21,4% del 2020 al 24,3%. Interessante la circostanza che i cambiamenti in oggetto riguardino, allo stato, il 40,6% delle imprese attive nel campo industriale ed il 42,5% di quelle che operano nel settore manifatturiero.

[18] A fini esemplificativi, è possibile citare, ex multis, gli incentivi messi a disposizione dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy al fine di sostenere, con agevolazioni finanziarie, la realizzazione di progetti di ricerca, sviluppo e innovazione in materia di transizione ecologica e circolare e, per le PMI, di industrializzazione dei risultati della ricerca e sviluppo. Tale quadro di incentivi, di complessivi 750 milioni di euro, realizzato nell’ambito del Fondo per la crescita sostenibile (FCS) e disciplinato dal decreto 1° dicembre 2021 del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, è destinato a centri di ricerca ed imprese, di qualsiasi dimensione, che – attive nel campo delle attività industriali, agroindustriali, artigiane, dei servizi all’industria – presentino progetti (singolarmente o in forma congiunta) che abbiano, quale obiettivo: 1) la decarbonizzazione dell’economia; 2) l’economia circolare; 3) la riduzione dell’uso della plastica e sostituzione della plastica con materiali alternativi; 4) rigenerazione urbana; 5) il turismo sostenibile; 6) l’adattamento e la mitigazione dei rischi sul territorio derivanti dal cambiamento climatico.

[19] In base al già menzionato tredicesimo rapporto GreenItaly, si prevede che le imprese che hanno avviato un percorso della eco-sostenibilità giovino di un aumento nelle esportazioni stimato, nel 2022, di oltre il 35%, contro un più ridotto 26% di quante siano rimaste legate al precedente business model. Il rapporto evidenzia, inoltre, la previsione di rilevanti aumenti del fatturato (+49% contro +39%) e delle assunzioni (+23% rispetto a +16%). Sempre con riguardo specifico al tema dell’opportunità di commercializzare prodotti che siano in linea con il rispetto dei criteri ESG, risulta interessante citare quanto constatato dalla Banca d’Italia in sede di “Rapporto sulla Stabilità Finanziaria” (n. 1/2023), all’interno del quale si rappresenta che «La raccolta netta dei fondi comuni italiani è diventata negativa nel primo trimestre del 2023; è stata comunque caratterizzata da afflussi verso i fondi azionari e obbligazionari, con una preferenza per quelli che investono rispettando criteri di sostenibilità sotto i profili ambientale, sociale e di governo societario (ESG). (…) Nel quarto trimestre del 2022 i fondi che rispettano criteri di sostenibilità sotto i profili ambientale, sociale e di governo societario (environmental, social and governance, ESG) hanno continuato a registrare una raccolta netta positiva (5,2 miliardi)».

[20] L’articolo in questione definisce “investimento sostenibile” un «investimento in un’attività economica che contribuisce a un obiettivo ambientale, misurato, ad esempio, mediante indicatori chiave (enfasi aggiunta) di efficienza delle risorse concernenti l’impiego di energia, l’impiego di energie rinnovabili, l’utilizzo di materie prime e di risorse idriche e l’uso del suolo, la produzione di rifiuti, le emissioni di gas a effetto serra nonché l’impatto sulla biodiversità e l’economia circolare o un investimento in un’attività economica che contribuisce a un obiettivo sociale, in particolare un investimento che contribuisce alla lotta contro la disuguaglianza, o che promuove la coesione sociale, l’integrazione sociale e le relazioni industriali, o un investimento in capitale umano o in comunità economicamente o socialmente svantaggiate a condizione che tali investimenti non arrechino un danno significativo a nessuno di tali obiettivi e che le imprese che beneficiano di tali investimenti rispettino prassi di buona governance, in particolare per quanto riguarda strutture di gestione solide, relazioni con il personale, remunerazione del personale e rispetto degli obblighi fiscali».

[21] Il riferimento è agli artt. 4 e 7 del regolamento in oggetto, i quali sanciscono, rispettivamente, che «1. I partecipanti ai mercati finanziari pubblicano e aggiornano sui propri siti web: a) ove prendano in considerazione i principali effetti negativi delle decisioni di investimento sui fattori di sostenibilità, una dichiarazione concernente le politiche di dovuta diligenza per quanto riguarda tali effetti, tenendo debitamente conto delle loro dimensioni, della natura e dell’ampiezza delle loro attività e della tipologia dei prodotti finanziari che rendono disponibili; oppure b) ove non prendano in considerazione gli effetti negativi delle decisioni di investimento sui fattori di sostenibilità, una chiara motivazione di tale mancata considerazione comprese, se del caso, informazioni concernenti se e quando intendono prendere in considerazione tali effetti negativi. 2. I partecipanti ai mercati finanziari includono nelle informazioni fornite conformemente al paragrafo 1, lettera a), almeno quanto segue: a) informazioni sulle loro politiche relative all’individuazione e alla prioritizzazione dei principali effetti negativi per la sostenibilità e relativi indicatori; b) una descrizione dei principali effetti negativi per la sostenibilità e di qualsiasi azione adottata in relazione a ciò o, se del caso, programmata; c) brevi sintesi delle politiche di impegno ai sensi dell’articolo 3 octies della direttiva 2007/36/CE, ove applicabile; d) un riferimento alla loro osservanza dei codici di condotta d’impresa responsabile e delle norme riconosciute a livello internazionale in materia di dovuta diligenza e di reportistica e, se del caso, al grado della loro conformità agli obiettivi previsti dall’accordo di Parigi. 3. In deroga al paragrafo 1, a decorrere dal 30 giugno 2021, i partecipanti ai mercati finanziari che alla data di chiusura del bilancio hanno superato il criterio del numero medio di 500 dipendenti nel corso dell’esercizio finanziario pubblicano e aggiornano sui propri siti web una dichiarazione relativa alle loro politiche in materia di dovuta diligenza per quanto riguarda i principali effetti negativi delle decisioni di investimento sui fattori di sostenibilità. Tale dichiarazione comprende almeno le informazioni di cui al paragrafo 2. 4. In deroga al paragrafo 1 del presente articolo, a decorrere dal 30 giugno 2021, i partecipanti ai mercati finanziari che sono imprese madri di un grande gruppo ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 7, della direttiva 2013/34/UE che alla data di chiusura del bilancio del gruppo ha superato, su base consolidata, il criterio del numero medio di 500 dipendenti nel corso dell’esercizio finanziario pubblicano e aggiornano sui propri siti web una dichiarazione relativa alle loro politiche in materia di dovuta diligenza per quanto riguarda i principali effetti negativi delle decisioni di investimento sui fattori di sostenibilità. Tale dichiarazione comprende almeno le informazioni di cui al paragrafo 2. 9.12.2019 IT Gazzetta ufficiale dell’Unione europea L 317/9 5. I consulenti finanziari pubblicano e aggiornano sui propri siti web: a) informazioni indicanti se, tenendo debitamente conto delle loro dimensioni, della natura e dell’ampiezza delle loro attività e della tipologia dei prodotti finanziari in merito ai quali forniscono consulenza, nella loro consulenza in materia di investimenti o di assicurazioni prendono in considerazione i principali effetti negativi sui fattori di sostenibilità; oppure b) informazioni sui motivi per cui non prendono in considerazione, nella loro consulenza in materia di investimenti o di assicurazioni, gli effetti negativi delle decisioni di investimento sui fattori di sostenibilità e, se del caso, informazioni concernenti se e quando intendono prendere in considerazione tali effetti negativi. 6. Entro il 30 dicembre 2020, le AEV elaborano, tramite il comitato congiunto, progetti di norme tecniche di regolamentazione conformemente agli articoli da 10 a 14 dei regolamenti (UE) n. 1093/2010, (UE) n. 1094/2010 e (UE) n. 1095/2010, concernenti il contenuto, le metodologie e la presentazione delle informazioni di cui ai paragrafi da 1 a 5 del presente articolo circa gli indicatori di sostenibilità in materia di effetti negativi sul clima e altri effetti negativi connessi all’ambiente. Le AEV chiedono, ove pertinente, il contributo dell’Agenzia europea dell’ambiente e del Centro comune di ricerca della Commissione europea. Alla Commissione è delegato il potere di integrare il presente regolamento adottando le norme tecniche di regolamentazione di cui al primo comma conformemente agli articoli da 10 a 14 del regolamento (UE) n. 1093/2010, del regolamento (UE) n. 1094/2010 e (UE) n. 1095/2010. 7. Entro il 30 dicembre 2021, le AEV elaborano, tramite il comitato congiunto, progetti di norme tecniche di regolamentazione conformemente agli articoli da 10 a 14 dei regolamenti (UE) n. 1093/2010, (UE) n. 1094/2010 e (UE) n. 1095/2010, concernenti il contenuto, le metodologie e la presentazione delle informazioni di cui ai paragrafi da 1 a 5 del presente articolo, per quanto concerne gli indicatori di sostenibilità in materia di effetti negativi connessi alle problematiche sociali e concernenti il personale, il rispetto dei diritti umani e le questioni relative alla lotta alla corruzione attiva e passiva. Alla Commissione è delegato il potere di integrare il presente regolamento adottando le norme tecniche di regolamentazione di cui al primo comma conformemente agli articoli da 10 a 14 del regolamento (UE) n. 1093/2010, del regolamento (UE) n. 1094/2010 e (UE) n. 1095/2010»

e che «Entro il 30 dicembre 2022, per ciascun prodotto finanziario, qualora un partecipante ai mercati finanziari applichi l’articolo 4, paragrafo 1, lettera a) o l’articolo 4, paragrafo 3 o 4, l’informativa di cui all’articolo 6, paragrafo 3, include quanto segue: a) una spiegazione chiara e motivata che indichi se e, in caso affermativo, in che modo un prodotto finanziario prende in considerazione i principali effetti negativi sui fattori di sostenibilità; b) una dichiarazione attestante che le informazioni relative ai principali effetti negativi sui fattori di sostenibilità sono disponibili tra le informazioni da comunicare a norma dell’articolo 11, paragrafo 2. Se le informazioni di cui all’articolo 11, paragrafo 2, includono quantificazioni dei principali effetti negativi sui fattori di sostenibilità, tali informazioni possono basarsi sulle disposizioni delle norme tecniche di regolamentazione adottate ai sensi dell’articolo 4, paragrafi 6 e 7. 2. Qualora un partecipante ai mercati finanziari applichi l’articolo 4 paragrafo 1, lettera b), l’informativa di cui all’articolo 6, paragrafo 3, include per ciascun prodotto finanziario una dichiarazione attestante che il partecipante ai mercati finanziari non prende in considerazione gli effetti negativi delle decisioni di investimento sui fattori di sostenibilità e una spiegazione motivata al riguardo».

[22] Cfr. L. GALLI, A. LAPOMARDA, S. SMERALDI, “La sostenibilità dei servizi di investimento”, in www.dirittobancario.it, 20.4.2022.

[23] Ibidem.

[24] Sono considerate tali le imprese che nel corso dell’ultimo esercizio abbiano avuto (i) una media di 500 dipendenti o maggiore e (ii) fatturato netto, a livello mondiale, superiore a Euro 150.000.000. Differentemente da quanto si dirà con riferimento alle medie imprese, in questo caso il settore di attività non rileva, in quanto le grandi imprese sarebbero assoggettate alla CSDD indipendentemente da quest’ultimo.

[25] Sono considerate tali le imprese che, operando all’interno di settori ad elevato impatto (pe. settore tessile, agricoltura, estrazione di risorse minerali), abbiano avuto, nel corso dell’ultimo esercizio (i) una media di almeno 250 dipendenti (salvo il raggiungimento dei 500), (ii) un fatturato netto superiore a Euro 40.000.000, di cui almeno il 50% sia stato generato in uno o più settori ad elevato impatto.

[26] In mancanza di uno standard condiviso, il crescente numero di standard di rendicontazione ESG, tra loro diversi, ha reso sempre meno informativo (ed attendibile) il confronto delle informazioni sulla sostenibilità degli emittenti. È evidente, dunque, la rilevanza assunta dai framework di rating ESG allo scopo di assicurare una effettiva valutazione delle perfomance in generale, specie in relazione a una o più imprese, tra loro in competizione, sulle quali gli stakeholder hanno intenzione di investire.

[27] Il tema relativo alla chiara informazione agli investitori è quanto mai rilevante ed attuale: prova ne è il provvedimento sanzionatorio irrogato dalla Securities and Exchange Commission statunitense (SEC), ai danni di Goldman Sachs Asset Management, vale a dire la divisione di gestione patrimoniale che fa riferimento a Goldman Sachs, segnatamente per carenze nelle politiche e procedure riguardanti due fondi comuni di investimento e un conto gestito, commercializzati come investimenti ESG. Dalla lettura del comunicato stampa emesso in data 22.11.2022 dalla SEC si evince che a guidare l’irrogazione sanzionatoria sarebbe stata la politica di falsa qualificazione di un determinato investimento come rispondente a criteri ESG. La SEC sottolinea al riguardo che « the policies and procedures stated that GSAM FE would use a proprietary ESG questionnaire in connection with its research of select securities for inclusion into the ESG Investment Products. GSAM described the questionnaire and a related tool—a materiality matrix—as part of its ESG investment process for the ESG Investment Products in materials provided to intermediaries, including registered investment advisers and broker-dealers, and to the Goldman Sachs Trust (“GST”) board of trustees (“GST Board”), among others. However, prior to February 2020 GSAM FE investment teams did not routinely follow the policies and procedures and description of its ESG investment process provided to third parties and the GST Board. Instead, GSAM FE relied on previously conducted ESG research for the issuers held in the ESG Investment Products, which research it had conducted in many instances in a different manner, and only completed the newly developed ESG questionnaires for all positions after securities were already selected for inclusion in the products’ portfolios. In addition, GSAM FE failed during the Relevant Period to maintain the ESG questionnaires in a central location, as required by its policies and procedures, which also delayed GSAM in producing relevant documents during the course of the Commission’s investigation». Una tale condizione ha mistificato la posizione di GSAM come soggetto investitore in portafogli rispettosi dei criteri ESG, e ciò ha condotto ad un’irrogazione sanzionatoria di $ 4.000.000,00, peraltro non contestata da GSAM, la quale si è limitata ad affermare la non veridicità delle accuse, adottando, tuttavia, comportamenti concludenti).

[28] A titolo esemplificativo è possibile citare l’art. 1 del Regolamento, il quale recita «Il presente regolamento stabilisce i criteri per determinare se un’attività economica possa considerarsi ecosostenibile, al fine di individuare il grado di ecosostenibilità di un investimento. Il presente regolamento si applica: a) alle misure adottate dagli Stati membri o dall’Unione che stabiliscono obblighi per i partecipanti ai mercati finanziari o gli emittenti in relazione a prodotti finanziari o obbligazioni societarie resi disponibili come ecosostenibili; b) ai partecipanti ai mercati finanziari che mettono a disposizione prodotti finanziari; c) alle imprese soggette all’obbligo di pubblicare una dichiarazione di carattere non finanziario o una dichiarazione consolidata di carattere non finanziario ai sensi, rispettivamente, dell’articolo 19 bis o dell’articolo 29 bis della direttiva 2013/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio» e, anche, l’art. 3, ai sensi del quale «Al fine di stabilire il grado di ecosostenibilità di un investimento, un’attività economica è considerata ecosostenibile se: a) contribuisce in modo sostanziale al raggiungimento di uno o più degli obiettivi ambientali di cui all’articolo 9, in conformità degli articoli da 10 a 16; b) non arreca un danno significativo a nessuno degli obiettivi ambientali di cui all’articolo 9, in conformità dell’articolo 17; c) è svolta nel rispetto delle garanzie minime di salvaguardia previste all’articolo 18; e d) è conforme ai criteri di vaglio tecnico fissati dalla Commissione ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 3, dell’articolo 11, paragrafo 3, dell’articolo 12, paragrafo 2, dell’articolo 13, paragrafo 2, dell’articolo 14, paragrafo 2, o dell’articolo 15, paragrafo 2». In una prospettiva di ulteriore completezza e di piena realizzazione degli obiettivi del Regolamento, ai sensi degli artt. 13, paragrafi 5, 14, paragrafi 5 e 15, paragrafo 5 dello stesso, a partire dal 1° gennaio 2023 è vigente l’obbligo, per le imprese non finanziarie, di comunicare, all’interno della Dnf (Dichiarazione non finanziaria), vari indicatori definiti KPI (Key Performance Indicator) [quali: a) quota di fatturato proveniente da prodotti o servizi associati alle attività economiche ecosostenibili; b) quota di spese in conto capitale degli attivi o dei processi associati alle attività economiche ecosostenibili (CapEx); c) quota di spese operative degli attivi o dei processi associati alle attività economiche ecosostenibili (OpEx), i quali misurano il grado di sostenibilità ambientale delle attività di dette imprese. Segnatamente, ciò che caratterizza tale segnalazione risiede nella circostanza che le attività debbano essere allineate con le finalità esposte nell’art. 8 del Regolamento, e la verifica relativa all’allineamento risulta essere decisamente più invasiva rispetto a quella concernente la mera ammissibilità nell’alveo di applicazione dell’art. 8: non a caso, relativamente all’ammissibilità, si richiede esclusivamente la menzione dell’attività all’interno dell’elenco predisposto dalla tassonomia e la verifica inerente l’allineamento sottopone ad indagine tutti i profili di sostenibilità, in maniera molto rigorosa e puntuale. Si segnala che, in data 13 giugno 2023, la Commissione Europea ha pubblicato il “Sustainable Finance Package”, un nuovo (sostanzioso) pacchetto di misure in materia di finanza sostenibile, all’interno del quale sono presenti anche modifiche integrative alla c.d. “Tassonomia”. Sul sito web della Commissione Europea è possible leggere, al riguardo, che «The Commission has today approved in principle a new set of EU Taxonomy criteria for economic activities making a substantial contribution to one or more of the non-climate environmental objectives, namely: a) sustainable use and protection of water and marine resources; b) transition to a circular economy; c) pollution prevention and control; d) protection and restoration of biodiversity and ecosystems. To complement this, the Commission has adopted targeted amendments to the EU Taxonomy Climate Delegated Act, which expand on economic activities contributing to climate change mitigation and adaptation not included so far – in particular in the manufacturing and transport sectors. The inclusion of more economic activities covering all six environmental objectives, and consequently more economic sectors and companies, will increase the usability and the potential of the EU Taxonomy in scaling up sustainable investments in the EU. The criteria are informed to a very large extent by the recommendations of the Platform on Sustainable Finance, published in March and November 2022. The Commission has also adopted amendments to the EU Taxonomy Disclosures Delegated Act, to clarify the disclosure obligations for the additional activities».

[29] La circostanza che destinatarie di detta normativa siano anche le PMI, sebbene quotate, non deve stupire:la rilevanza della disclosure delle attività delle PMI, infatti, può giustificarsi non solo in ragione dell’enorme impatto ambientale che, ut supra riportato, risulta essere ad esse riconducibile, bensì anche in ragione della frequente disattenzione da parte delle stesse in relazione al previsto adeguamento ai criteri minimi sanciti da molteplici framework usati nel contesto dell’attività di rating ESG; disattenzione questa legata, in gran parte, alla scarsa comprensione della necessità (e, anche, dell’utilità) del rispetto di detti criteri. (cfr., sul punto, l’ampia ed esaustiva Relazione, contenente rilevanti spunti di ordine applicativo della disciplina ESG, di G. ZACCHI, Responsabile ESG Strategy – BPER Banca tenuta nel corso dell’evento “Sadibaquarantasei Seminario su: La quiete dopo le tempeste? Quali scenari per il sistema bancario e finanziario”, svoltosi presso il Palazzo di Varignana (BO) in data 23-24-25 marzo 2023, in www.assbb.it. Nell’appena citata Relazione viene sottolineato che, molto spesso, viene ignorato come, e attraverso quali canali, i rischi climatici ed ambientali possano tradursi in rischi finanziari stricto sensu: la Relatrice, a tale riguardo, individua tanto i rischi microeconomici relativi alle imprese ed ai privati, quanto i rischi macroeconomici. Per quanto concerne i primi, si fa espressa menzione di «Danni alla proprietà e interruzione dell’attività a causa di condizioni meteorologiche avverse • Stranded assets e investimenti a causa della transizione energetica • Cambiamento delle preferenze dei consumatori • Responsabilità legali (per mancata mitigazione o adattamento) (…) • Perdita di reddito (cambiamenti climatici e impatti sulla salute, frizioni sul mercato del lavoro) • Danni alla proprietà (condizioni meteorologiche avverse) o restrizioni (politiche a basso contenuto di carbonio) che aumentano i costi e influenzano le valutazioni», mentre relativamente ai secondi si parla di «Deprezzamento del capitale e aumento degli investimenti • Cambiamenti nei prezzi (da cambiamenti strutturali, shock dell’offerta) • Cambiamenti nella strategia produttività (dirottamento degli investimenti verso la mitigazione e l’adattamento, maggiore avversione al rischio) • Frizioni nel mercato del lavoro (da rischi fisici e di transizione) • Cambiamenti socioeconomici (da modelli di consumo che cambiano, migrazione, conflitti) • Altri impatti sul commercio internazionale, entrate governative, spazio fiscale, produzione, tassi di interesse e tassi di cambio» (cfr. G ZACCHI, Rischio climatico e regolamentazione bancaria, cit.).

[30] Secondo quanto riportato sul sito dell’EFRAG medesimo, esso «è un’associazione privata fondata nel 2001 con l’incoraggiamento della Commissione europea a servire l’interesse pubblico. L’EFRAG ha esteso la sua missione nel 2022 a seguito del nuovo ruolo assegnato all’EFRAG nella CSRD, fornendo consulenza tecnica alla Commissione europea sotto forma di progetti di standard UE per la rendicontazione della sostenibilità e/o progetti di modifica di tali standard. Le sue organizzazioni membri sono le parti interessate europee e le organizzazioni nazionali e le organizzazioni della società civile. Le attività dell’EFRAG sono organizzate in due pilastri: Un pilastro dell’informativa finanziaria: influenzare lo sviluppo dei principi IFRS da una prospettiva europea e il modo in cui contribuiscono all’efficienza dei mercati dei capitali e fornire consulenza di approvazione su (modifiche a) principi IFRS alla Commissione europea. In secondo luogo, un pilastro per la rendicontazione della sostenibilità: elaborazione di progetti di norme UE in materia di rendicontazione della sostenibilità e relative modifiche per la Commissione europea».

[31] Per comprendere al meglio di cosa si tratti, è possibile prendere in considerazione quanto affermato dall’EFRAG sul proprio sito web, vale a dire che «Nell’aprile 2021 la Commissione europea ha adottato una proposta legislativa per una direttiva sulla rendicontazione della sostenibilità aziendale (CSRD) che impone alle aziende che rientrano nel suo ambito di rendicontazione utilizzando una doppia prospettiva di rilevanza in conformità con gli standard europei di rendicontazione della sostenibilità (ESRS) adottati dalla Commissione europea come atti delegati. Nell’ambito della CSRD proposta, l’EFRAG è stato nominato consulente tecnico della Commissione europea per l’elaborazione di progetti di ESRS. Ciò è stato confermato dal testo del 21 giugno risultante dal trilogo tra i colegislatori e dal testo del 10 novembre 2022 approvato dal Parlamento europeo. Le bozze di esposizione ESRS (ED) preparate dalla task force del progetto EFRAG sugli standard europei di rendicontazione della sostenibilità (EFRAG PTF-ESRS) nel periodo da giugno 2021 ad aprile 2022 sono state esposte per commenti dal 30 aprile all’8 agosto 2022. L’EFRAG SUSTAINABILITY REPORTING BOARD (EFRAG SRB), assistito dal gruppo di esperti tecnici per la rendicontazione della sostenibilità dell’EFRAG (EFRAG SR TEG), ha risposto al feedback della consultazione e ha modificato di conseguenza i dodici progetti di ESRS pubblicati oggi alla Commissione europea.La Commissione europea consulterà ora gli organi dell’UE e gli Stati membri sui progetti di norme, prima di adottare le norme definitive come atti delegati nel giugno 2023, seguito da un periodo di controllo da parte del Parlamento europeo e del Consiglio».

[32] In base a quanto riportato dall’”ESRS 1: General principles”, «Presentation of disclosures required by sector-agnostic ESRS 148. When reporting the disclosures required by sector-agnostic ESRS, the undertaking shall choose one of the following three options: a) reporting the disclosures within a single separately identifiable section of the management report; (b) aggregating the disclosures into four separately identifiable parts of the management report: iii. general information; iv. environmental information; v. social information; and vi. governance information; or (c) aggregating the disclosures required by each ESRS and reporting them as non separable blocks in identifiable parts of the management report ‘on a standard-by standard basis’. 149. Option 148 (a) is the preferred option. Any undertaking that elects to apply the options laid down in paragraphs 148 (b) or (c) shall report a location table within the management report using a tabular format allowing to identify where the sector-agnostic disclosures are presented in the management report».

[33] In base a quanto riportato dall’ “ESRS 1: General principles”, «150. When reporting the disclosures required by sector-specific ESRS, the undertaking shall group those disclosures by cross-cutting reporting areas and, where applicable, by sustainability sub-topics and report them alongside the relevant sector-agnostic disclosures».

[34] In base a quanto riportato dall’ “ESRS 1: General principles”, «19. For material impacts, risks and opportunities not covered by topical Standards and therefore not mandated, the undertaking shall develop disclosures (entity-specific disclosures). They shall meet the characteristics of information quality: relevance, faithful representation, comparability, verifiability and understandability (see chapter 2.1 Characteristics of information quality). 20. The undertaking shall comply with the principles set under paragraphs 6, 7, 16 and 18 for material entity-specific disclosures. 21. When developing its entity-specific disclosures the undertaking shall pay attention to the following: (a) at entity-specific level comparability between undertakings may be limited. However available and relevant references, frameworks, initiatives, reporting standards and benchmarks shall be considered to provide elements of comparability to the maximum extent possible; (b) comparability over time is a key aspect of comparability. Consequently, consistency of methodologies and disclosures is a key comparability factor and changes in methodologies or disclosures shall be duly explained and justified; and (c) no meaningful aspect/angle of an identified entity-specific material impact, risk or opportunity shall be omitted. This may include disclosing, as applicable, relevant information in relation to strategy, governance, policies, targets, actions and action plans, resources and/or metrics. In this regard guidance can be found by comparing the information required under ESRS addressing similar sustainability matters. Disclosures shall follow, when applicable, the definitions mandated by chapter 3 Disclosure Principles on implementation. 22. The undertaking shall scrutinise the capacity of any metric or indicator to provide valuable insight to the users of reporting: (a) performance metrics shall provide relevant indications as to the likelihood that the undertaking’s practices are reducing negative outcomes and increasing positive outcomes for people and the environment; (b) in the case of quantitative metrics, due consideration shall be given to whether the issue at hand can reasonably be measured by the undertaking without an excessive amount of conjecture and unknowns that would render it too arbitrary to be of value; and (c) due consideration shall also be given to (i) the extent to which an indicator can be relied upon for insight absent contextual information to enable its interpretation and (ii) the extent to which variations in such contextual information mean that a quantitative indicator does not provide for comparability over time. 23. When developing entity-specific disclosures the undertaking shall: (a) determine them based on its materiality assessment of its impacts, risks and opportunities and the matters covered by ESRS requirements; (b) provide information on how its strategy and business model, as well as its governance, relate to those material entity-specific impacts, risks and opportunities and present this information in accordance with ESRS 2, together with those that are sector-agnostic and sector-specific; (c) provide information on its policies, targets, action plans, and resources that relate to those material entity-specific impacts, risks and opportunities in accordance with the disclosure principles of chapter 3.2 Reference principles for implementation of policies, targets, actions, action plans and resources of this [draft] Standard; and (d) design appropriate disclosures for them to measure performance considering the concepts of paragraph 18. (…) 151. Where the undertaking shall develop material entity-specific disclosures in accordance with chapter 1.5 Developing entity-specific disclosures, it shall exercise judgment and report those disclosures alongside the most relevant sector-agnostic and sector-specific disclosures».

[35] Enviromental: 1) Impatto sulla biodiversità 2) Acqua e stress idrico 3) Emissioni atmosferiche 4) Materiali 5) Standard ambientali 6) Uso di energia rinnovabile 7) Rifiuti e materiali pericolosi ; Social : 1) Salute e sicurezza 2) Condizioni lavorative 3) Anticorruzione  4) Diritti umani 5) Sviluppo del capitale umano 6) Carriera e gestione delle risorse lavorative 7) Privacy e sicurezza dei dati 8) Coinvolgimento delle comunità 9) Diversità e inclusione ; Governance 1) Struttura del CdA 2) Politiche retributive 3) Sicurezza legata al prodotto  4) Audit e controlli interni 5) Diritti degli azionisti 6. Proprietà e controlli

[36]  “Guida sui rischi climatici e ambientali – Aspettative di vigilanza in materia di gestione dei rischi e informativa”, novembre 2020.

[37] Ibidem. Nel citato documento la BCE evidenzia che «Le aspettative definite nella presente guida sono intese come base per il dialogo di vigilanza della BCE con gli enti significativi sottoposti alla sua vigilanza diretta. Il documento, elaborato congiuntamente dalla BCE e dalle autorità nazionali competenti (ANC), si prefigge di illustrare con maggiore trasparenza la visione della BCE in merito a una gestione solida, efficace e completa dei rischi climatici e ambientali nonché la relativa informativa nell’ambito del quadro prudenziale vigente. Si propone inoltre di sensibilizzare il settore e di promuoverne la preparazione a gestire i rischi climatici e ambientali»; aspettative, queste, che sono poi enunciate dalla stessa come segue: «1) Ci si attende che gli enti comprendano l’impatto dei rischi climatici e ambientali per il contesto in cui operano nel breve, medio e lungo periodo, in modo da poter assumere decisioni informate sul piano strategico e imprenditoriale.  2) Nella definizione e attuazione della strategia aziendale, ci si attende che gli enti integrino i rischi climatici e ambientali aventi un impatto per il contesto in cui operano a breve, medio o lungo termine.  3) L’organo di amministrazione dovrebbe tenere conto dei rischi climatici e ambientali nell’elaborazione della strategia aziendale complessiva dell’ente, dei suoi obiettivi di business e del sistema di gestione dei rischi e condurre una supervisione efficace sui rischi climatici e ambientali.  4) Ci si attende che gli enti includano esplicitamente i rischi climatici e ambientali nel quadro di riferimento per la determinazione della propensione al rischio.  5) Gli enti dovrebbero affidare le competenze per la gestione dei rischi climatici e ambientali all’interno della struttura organizzativa applicando il modello basato sulle tre linee di difesa. 6) Ai fini della reportistica interna, i dati sui rischi aggregati segnalati dagli enti dovrebbero rifletterne le esposizioni ai rischi climatici e ambientali, in modo da consentire all’organo di amministrazione e ai comitati endoconsiliari pertinenti di assumere decisioni informate. 7) Ci si attende che gli enti integrino i rischi climatici e ambientali quali fattori determinanti per le categorie di rischio preesistenti all’interno dei sistemi di gestione dei rischi esistenti, ai fini della loro gestione e del loro monitoraggio su un orizzonte temporale sufficientemente lungo nonché in vista del regolare riesame dei relativi presidi. Gli enti dovrebbero individuare e quantificare tali rischi nel quadro del proprio processo complessivo finalizzato ad assicurare l’adeguatezza patrimoniale.  8) Nella gestione del rischio di credito, ci si attende che gli enti tengano conto dei rischi climatici e ambientali in tutte le fasi pertinenti del processo di concessione e che ne effettuino il monitoraggio all’interno dei propri portafogli. 9) Gli enti dovrebbero considerare il possibile impatto avverso di eventi climatici sulla continuità operativa, nonché la misura in cui la natura delle attività svolte possa accrescere i rischi reputazionali e/o di responsabilità legale. 10) Ci si attende che gli enti monitorino, nel continuo, gli effetti dei fattori climatici e ambientali sulle proprie posizioni correnti esposte al rischio di mercato nonché sugli investimenti futuri ed elaborino prove di stress che tengano conto dei rischi climatici e ambientali. 11) Gli enti che presentano rischi climatici e ambientali rilevanti dovrebbero valutare l’adeguatezza delle proprie prove di stress nella prospettiva di integrare tali rischi negli scenari di base e avversi. 12) Ci si attende che gli enti valutino se rischi climatici e ambientali rilevanti possano determinare deflussi di cassa netti o intaccare le riserve di liquidità e che, in tale evenienza, tengano conto di questi fattori nel quadro della gestione del rischio di liquidità e della calibrazione delle riserve di liquidità. 13) Ai fini delle informative regolamentari, gli enti dovrebbero pubblicare informazioni significative e metriche fondamentali sui rischi climatici e ambientali che ritengono rilevanti».

[38] Sul tema si segnala, per i profili di vigilanza in esso contenuti, C. DI MAIO (Team Lead Directorate General Specialized Institutions and LSIs), “Rischio climatico e regolamentazione bancaria”, in Sadibaquarantasei Seminario su: La quiete dopo le tempeste? Quali scenari per il sistema bancario e finanziario, 23-24-25 marzo 2023, in www.assbb.it.

[39] EBA REPORT ON MANAGEMENT AND SUPERVISION OF ESG RISKS FOR CREDIT INSTITUTIONS AND INVESTMENT FIRMS” (EBA/REP/2021/18, pubblicato il 23 giugno 2021).

[40] Ibidem

[41] Gli obiettivi chiave individuati dalla Road map sono: a) Trasparenza e divulgazione da raggiungere attraverso la facilitazione degli accessi alle informazioni ed alla promozione di una specifica disciplina regolatoria di mercato; b) Integrazione dei fattori ESG all’interno delle attività di gestione e supervisione del rischio; c) Perseguimento di un trattamento prudenziale delle esposizioni individuando i possibili miglioramenti; d) Miglioramento e rafforzamento delle infrastrutture attraverso Stress-testing; e) Introduzione di certificazioni e standard quanto più univoci possibile; f) Lotta senza quartiere al fenomeno del Green-washing; g) Integrazione delle relazioni di segnalazione di supervisione con fattori ESG; h) Monitoraggio rischi ESG e finanza sostenibile.

[42] 2023: a) Supporto all’implementazione RTS su ESG; b) Informazioni per la cartolarizzazione STS; c) Revisione dell’RTS sull’informativa di sostenibilità-principi indicatori di impatto negativo; d) CP sulle linee guida per la Gestione rischi ESG; e) Relazione finale sul trattamento prudenziale delle esposizioni elettroniche; f) PC su GL su prove di stress degli istituti; g) Consulenza su mutui e prestiti verdi; h) Consulenza sul Greenwashing – relazione sui progressi compiuti; i) Sviluppo del quadro di monitoraggio dei rischi ESG e della finanza sostenibile. 2024: a) Revisione degli ITS sul terzo pilastro ESG informazioni prudenziali; b) Supporto per l’implementazione dei requisiti di divulgazione; c) GL finale sull’ESG risk management; d) Terza Revisione SREPGL; e) Esercitazione congiunta ed Orientamenti finali sugli Stress test degli istituti; f) Consulenza sul Greenwashing- Relazione finale. 2025: a) Preparazione ed avvio di Stress test climatici regolari; b) GL sugli Stress test ESG di vigilanza; b) Raccolta ad hoc di dati quantitativi P3; c) Preparazione e lancio di una regolare supervisione delle segnalazioni ESG.

[43] In data 10.1.2023 la Banca d’Italia ha pubblicato una nota informativa recante “Rischi climatici e ambientali. Principali evidenze di un’indagine tematica condotta dalla Banca d’Italia su un campione di intermediari finanziari non bancari”, documento che, come si evince già dall’intitolazione, riporta i risultati delle analisi condotte circa il grado di effettivo adeguamento degli intermediari bancari e finanziari alle aspettative di cui supra, conseguente alla compilazione, da parte degli stessi, di alcuni questionari. Segnatamente la Banca d’Italia rileva che dall’indagine sono emersi plurimi profili di criticità, dichiarando che «In tema di modello di business e strategia, sono emerse aree di debolezza nella valutazione di come i rischi ambientali e climatici possano influenzare il contesto competitivo e normativo nel quale ciascuna azienda opera. La maggioranza degli intermediari si è limitata a ricondurre il tema della sostenibilità del business model alla presenza, nella propria offerta commerciale, di prodotti proposti come “green” o “socialmente responsabili”. Scarsa è risultata l’attenzione al conseguimento di misurabili obiettivi di sostenibilità della strategia aziendale e al monitoraggio di specifici indicatori di performance, individuati solo da un numero ridotto di operatori. Al riguardo, considerato che l’analisi del contesto di mercato e delle variabili che lo compongono è cruciale ai fini di una corretta definizione della strategia, si richiama l’attenzione degli intermediari sulla necessità di effettuare un’approfondita e oggettiva valutazione della materialità dell’esposizione ai rischi climatici e ambientali e di comprendere come questa possa influire sul modello imprenditoriale adottato. (…) Con riguardo alla governance e al sistema organizzativo, è emerso un grado di rispondenza alle aspettative differenziato. Se per una larga parte di soggetti il tema della sostenibilità è all’attenzione dei vertici aziendali, si evidenzia comunque una quota non trascurabile di società in cui il grado di coinvolgimento degli organi di governance è solo parziale o, in taluni casi, addirittura nullo. In particolare, sono emerse aree di debolezza legate alla scarsa presenza negli organi amministrativi di competenze sui temi climatici e ambientali e a un insufficiente sistema di reporting. Le aspettative di vigilanza richiedono all’organo di amministrazione un ruolo attivo e consapevole in tema di rischi climatici e ambientali e presuppongono, in generale, l’arricchimento dei consessi con professionalità dotate di specifiche competenze sulle tematiche ESG. (…) Sotto il profilo organizzativo – in modo coerente e proporzionato alle valutazioni formulate sulla materialità dei rischi climatici e ambientali – si rappresenta l’esigenza di rafforzare l’impegno degli organi di vertice nell’individuare le modifiche da apportare agli assetti organizzativi e ai processi operativi. Andranno valutati, in particolare, i seguenti aspetti: i) la creazione e/o l’adeguamento di strutture aziendali dedicate al tema della sostenibilità ambientale; ii) il rafforzamento del coinvolgimento delle funzioni di controllo nel presidio dei rischi ESG; iii) l’integrazione dei sistemi informativi e la creazione di una base dati che fornisca gli elementi necessari a valutare l’esposizione ai rischi climatici e ambientali. In merito al sistema di gestione dei rischi, si evidenzia la necessità che gli intermediari accelerino gli sforzi per allinearsi alle aspettative, sviluppando un’adeguata azione delle funzioni di controllo. Un problema molto diffuso è riconducibile alla difficile reperibilità di dati affidabili e utili alla misurazione dei rischi; la qualità delle informazioni raccolte principalmente da providers esterni risulta inoltre non adeguatamente valutata, alla luce delle carenti strategie di governo dei dati e di una insufficiente integrazione degli stessi nei sistemi informativi aziendali». Per quanto concerne le auspicabili prospettive future, la Banca d’Italia, nella medesima nota informativa, espone le proprie indicazioni sugli attesi comportamenti da parte degli intermediari finanziari, volto a concretamente realizzare un sistema di servizi di investimenti realmente sostenibile, incentrato sulla prevenzione dei rischi climatici. Relativamente al modello di business ed alla strategia aziendale,il Documento  afferma che «Al riguardo, considerato che l’analisi del contesto di mercato e delle variabili che lo compongono è cruciale ai fini di una corretta definizione della strategia, si richiama l’attenzione degli intermediari sulla necessità di effettuare un’approfondita e oggettiva valutazione della materialità dell’esposizione ai rischi climatici e ambientali e di comprendere come questa possa influire sul modello imprenditoriale adottato. Nel processo di valutazione gli intermediari dovrebbero il più possibile affiancare metriche quantitative alle valutazioni di tipo qualitativo. Gli esiti di tali valutazioni, adeguatamente formalizzati, sono funzionali alla definizione di organiche strategie aziendali (o alla revisione di quelle esistenti) che non si limitino alla mera integrazione, in chiave green, dell’offerta commerciale. È opportuno che gli intermediari che intendano integrare obiettivi di lotta al cambiamento climatico/ambientale nel loro modello di business traducano tale impegno in target di sostenibilità misurabili. La corretta definizione delle strategie è condizione essenziale per consentire il puntuale monitoraggio circa l’effettivo grado di conseguimento degli obiettivi, da effettuare attraverso specifici indicatori di performance ambientale e climatica definiti in funzione dei diversi business model adottati». Per ciò che concerne, poi, la governance ed il sistema organizzativo il Documento dichiara che «Anche in quest’ottica è auspicabile un maggiore impegno da parte degli intermediari nell’utilizzo della leva formativa: attesa la complessità delle materie e la loro continua evoluzione – in termini sia di conoscenze scientifiche sia di quadro normativo – l’attività di formazione dovrà essere strutturata e ricorrente e non limitata a iniziative sporadiche. Un corretto presidio delle tematiche ESG richiede inoltre che siano definiti e formalizzati ruoli e responsabilità all’interno dell’organo amministrativo e/o dei comitati endoconsiliari e che sia 2 assicurato un sistema di reporting efficace dotato di una adeguata periodicità. Andrà infine rafforzata – anche attraverso l’individuazione di specifici parametri – la capacità delle politiche di remunerazione di promuovere comportamenti volti al raggiungimento degli obiettivi ESG. Sotto il profilo organizzativo – in modo coerente e proporzionato alle valutazioni formulate sulla materialità dei rischi climatici e ambientali – si rappresenta l’esigenza di rafforzare l’impegno degli organi di vertice nell’individuare le modifiche da apportare agli assetti organizzativi e ai processi operativi. Andranno valutati, in particolare, i seguenti aspetti: i) la creazione e/o l’adeguamento di strutture aziendali dedicate al tema della sostenibilità ambientale; ii) il rafforzamento del coinvolgimento delle funzioni di controllo nel presidio dei rischi ESG; iii) l’integrazione dei sistemi informativi e la creazione di una base dati che fornisca gli elementi necessari a valutare l’esposizione ai rischi climatici e ambientali», mentre per quanto relativo al sistema di gestione dei rischi «Le aspettative di vigilanza chiedono la realizzazione di una sistematica integrazione dei rischi di sostenibilità nel sistema di risk management aziendale. A tale scopo è necessario che gli intermediari completino la mappatura degli eventi di rischio che potrebbero manifestarsi in relazione a fattori climatici e ambientali e ne valutino la materialità e le implicazioni di natura prudenziale. Una volta individuata la mappa completa di tali rischi, andrà determinata l’esposizione considerata accettabile, definendo un adeguato sistema di limiti e di indicatori di rischio integrando, ove presente, il Risk Appetite Framework. Gli intermediari sono invitati a concentrare l’attenzione sull’elaborazione di coerenti sistemi di monitoraggio e di reporting, quest’ultimo destinato anche ai vertici aziendali. A tale scopo, occorre intensificare la ricerca di dati di buona qualità e l’attivazione di robusti sistemi di governo dei dati; si sottolinea, ad esempio, che l’eventuale ricorso a data provider esterni e a sistemi di rating non proprietari deve essere accompagnato dagli opportuni presìdi – in termini di trasparenza delle fonti, aggiornamento dei dati, robustezza dei metodi di stima e adeguata validazione da parte delle funzioni aziendali competenti – volti a tutelare l’accuratezza delle informazioni utilizzate. Gli intermediari sono chiamati a procedere con maggiore decisione nell’integrazione dei rischi in discorso nei processi del credito – da rendere sempre più coerenti con i principi fissati in materia dall’EBA (cfr. EBA/GL/2020/06) – e nelle strategie di investimento. Le società che gestiscono portafogli titoli (propri o di terzi) dovranno rafforzare la capacità di misurare non solo il grado di “sostenibilità” degli investimenti, ma anche il possibile impatto sul pricing di eventi avversi legati al materializzarsi di rischi climatici/ambientali. In tale contesto, maggiore attenzione andrà anche rivolta alla realizzazione di interventi che migliorino il presidio dei rischi di liquidità e di quelli operativi (legali, di reputazione e connessi con l’adeguatezza dei sistemi informativi)». Il Documento conclude precisando quanto segue. «Dall’analisi è emerso che, nella maggior parte dei casi, sono stati previsti interventi di rafforzamento dei presidi organizzativi, per lo più concentrati nelle strutture di vertice delle aziende. Tali iniziative tuttavia non sono risultate del tutto coerenti con i risultati dell’autovalutazione; la generale consapevolezza sulla necessità di interventi di adeguamento non si è infatti ancora tradotta in programmi sufficientemente definiti e articolati. Alla luce di ciò, si chiede pertanto a tutti gli intermediari di predisporre un “Piano di azione” che: (i) individui gli specifici interventi che si intende porre in essere per colmare le lacune identificate; (ii) specifichi le priorità e i tempi necessari al completamento delle diverse iniziative, in considerazione dell’intensità di esposizione ai rischi e in funzione della dimensione e complessità dell’operatività aziendale; (iii) tenga conto degli elementi di debolezza e delle esigenze di miglioramento emerse dai questionari di autovalutazione sopra rappresentate. Il Piano, approvato dal Consiglio di Amministrazione, andrà trasmesso a questo Istituto, insieme alla valutazione del Collegio sindacale, entro il 31.3.2023 e sarà considerato nel processo di revisione e valutazione prudenziale (SREP) che la Banca d’Italia svolge annualmente con riguardo a tutti gli intermediari vigilati».

[44] È necessario ricordare che l’Unione Europea non è dotata di una costituzione stricto sensu, atteso il fallimento, in termini politici, del progetto di creazione della stessa, riconducibile alla posizione contraria assunta, in tale progetto, da Francia e Paesi Bassi nel 2005, con successivo abbandono da parte del Consiglio Europeo nel 2007. L’assenza di una costituzione in senso proprio non impedisce tuttavia di evidenziare come i valori riconosciuti all’interno dei Trattati e della Carta di Nizza siano investiti di un ruolo di primaria rilevanza, ravvisandosi in essi un rango sostanzialmente costituzionale.

[45] Sul tema risulta di grande interesse riportare quanto dichiarato dalla Consulta con la sent. 21.4.1989, n. 232, all’interno della quale si legge «Vero è che l’ordinamento comunitario – come questa Corte ha riconosciuto nelle sentenze sopra ricordate ed in altre numerose – prevede un ampio ed efficace sistema di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi dei singoli, di cui il ricorso incidentale alla Corte di Giustizia ex art. 177 del Trattato C.E.E. costituisce lo strumento più importante; ed è non meno vero che i diritti fondamentali desumibili dai principi comuni agli ordinamenti degli Stati membri costituiscono, secondo la giurisprudenza della Corte delle Comunità europee, parte integrante ed essenziale dell’ordinamento comunitario. Ma ciò non significa che possa venir meno la competenza di questa Corte a verificare, attraverso il controllo di costituzionalità della legge di esecuzione, se una qualsiasi norma del Trattato, così come essa è interpretata ed applicata dalle istituzioni e dagli organi comunitari, non venga in contrasto con i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale o non attenti ai diritti inalienabili della persona umana. In buona sostanza, quel che è sommamente improbabile è pur sempre possibile; inoltre, va tenuto conto che almeno in linea teorica generale non potrebbe affermarsi con certezza che tutti i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale si ritrovino fra i principi comuni agli ordinamenti degli Stati membri e quindi siano compresi nell’ordinamento comunitario».

[46] Cfr. M.R. Donnarumma, Intégration européenne et sauvegarde de l’identité nationale dans la jurisprudence de la Cour de justice et des Cour constitutionnelles, in Revue française de droit constitutionnel, 2010, n. 84, pp. 719 ss..

[47] Cfr. DIANA-URANIA-GALETTA, Karlsruhe über alles? Il ragionamento sul principio di proporzionalità nella pronunzia del 5 maggio 2020 del BVerfG tedesco e le sue conseguenze, in Federalismi, n. 14 del 13.5.2020

[48] La controversia ha origine nell’ambito di un processo penale in cui venivano contestati plurimi reati in materia di IVA commessi da una società italiana, attraverso le cc.dd. “frodi carosello” [id est: meccanismi di frode fiscale relativi all’Iva, realizzati mediante l’utilizzo di società cc.dd. cartiere (vale a dire di società che vengono interposte all’interno di una regolare transazione commerciale tra un cedente ed un cessionario, solitamente appartenenti a diversi Stati UE, di cui uno dei due è un’impresa italiana)], finalizzati a realizzare un guadagno tramite un fittizio diritto a detrarre l’Iva sugli acquisti intra-europei. Nel corso dello svolgimento del citato processo penale, il Tribunale di Cuneo, nel constatare che il reato si sarebbe sicuramente prescritto prima dell’emanazione della sentenza facendo sì che gli accusati godessero dell’impunità per la prevista prescrizione, con ordinanza del 17.1.2014, solleva questione pregiudiziale alla CGUE chiedendo se le diposizioni interne in materia di prescrizione fossero lesive delle norme dei trattati in materia di tutela della concorrenza nel mercato europeo (artt. 101 e 107 TFUE) nonché delle disposizioni di cui all’art. 119 TFUE  (posto a tutela del mantenimento di

prezzi stabili, finanze pubbliche e condizioni monetarie sane nonché bilancia dei pagamenti sostenibile”). In tale contesto si poneva, altresì, la questione della conformità delle disposizioni interne all’art. 325, paragrafo 2, del TFUE, secondo il quale «(g)li Stati membri adottano, per combattere contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione, le stesse misure che adottano per combattere contro la frode che lede i loro interessi finanziari». La CGUE, con la sentenza della Grande sezione dell’8.9.2015, n.105 (C-105/14), afferma che «(u)na normativa nazionale in materia di prescrizione del reato come quella stabilita dal combinato disposto dell’articolo 160, ultimo comma, del codice penale, come modificato dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251, e dell’articolo 161 di tale codice […] idonea a pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dall’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE nell’ipotesi in cui detta normativa nazionale impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea, o in cui preveda, per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea, circostanze che spetta al giudice nazionale verificare. Il giudice nazionale è tenuto a dare piena efficacia all’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE disapplicando, all’occorrenza, le disposizioni nazionali che abbiano per effetto di impedire allo Stato membro interessato di rispettare gli obblighi impostigli dall’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE». Con ord. del 26.1.2017, la Consulta, rilevando nella pronuncia della CGUE una possibile fonte di lesione dei diritti fondamentali della persona costituzionalmente garantiti, formula, in via pregiudiziale, un’istanza di interpretazione dell’art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE, chiedendo se il giudice debba dare piena applicazione all’art. 325 TFUE, disapplicando le norme interne, anche quando ciò «sia privo di una base legale sufficientemente determinata», «quando nell’ordinamento dello Stato membro la prescrizione è parte del diritto penale sostanziale e soggetta al principio di legalità», e quando «tale omessa applicazione sia in contrasto con i principi supremi dell’ordine costituzionale dello Stato membro o con i diritti inalienabili della persona riconosciuti dalla Costituzione dello Stato membro». La Corte sottolinea che, ove l’art. 325 TFUE dovesse essere così applicato, si assisterebbe ad un vulnus del principio dell’irretroattività della legge penale, previsto ai sensi dell’art. 25, comma 2, Cost., rendendo così necessaria l’applicazione dei controlimiti. La Consulta afferma, nella circostanza, che «(i)l riconoscimento del primato del diritto dell’Unione è un dato acquisito nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi dell’art. 11 Cost.; questa stessa giurisprudenza ha altresì costantemente affermato che l’osservanza dei principi supremi dell’ordine costituzionale italiano e dei diritti inalienabili della persona è condizione perché il diritto dell’Unione possa essere applicato in Italia. Qualora si verificasse il caso, sommamente improbabile, che in specifiche ipotesi normative tale osservanza venga meno, sarebbe necessario dichiarare l’illegittimità costituzionale della legge nazionale che ha autorizzato la ratifica e resi esecutivi i Trattati, per la sola parte in cui essa consente che quell’ipotesi normativa si realizzi». Posta dinanzi a tali considerazioni di ordine costituzionale nazionale, la CGUE, con Sentenza della Grande Sezione del 5.12.2017, n.42 (C-42/17), ha ritenuto di offrire una lettura dell’art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE, prevedendo che tale disapplicazione debba trovare spazio «a meno che una disapplicazione siffatta comporti una violazione del principio di legalità dei reati e delle pene a causa dell’insufficiente determinatezza della legge applicabile, o dell’applicazione retroattiva di una normativa che impone un regime di punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato».

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