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Crowdfunding e credito al consumo. Spunti per una riflessione in attesa dell’adeguamento alla Direttiva 2023/2225.

27 Giugno 2024

Edoardo Grossule, Ricercatore in diritto commerciale, Università di Pavia

Di cosa si parla in questo articolo

SOMMARIO: Dal 21 novembre del 2021, il Regolamento (UE) 1503/2020 disciplina i fornitori e la prestazione dei servizi di crowdfunding per le imprese. Tale Regolamento esclude però dal proprio ambito di applicazione i servizi di crowdfunding forniti a titolari di progetti che sono consumatori, come definiti nella Direttiva 2008/48/CE. La Direttiva però nasceva in un contesto in cui non vi era l’esigenza di regolare il fenomeno del crowdfunding. Questa esclusione ha posto in passato dei problemi di qualificazione delle piattaforme di crowdfunding quando facilitano la conclusione di contratti di credito al consumo. La lacuna che si è creata come conseguenza dello sviluppo tecnologico pone dei problemi di tutela per i consumatori quando concedono o ricercano un prestito nell’ambito di una operazione di peer to peer lending. Con l’approvazione della seconda direttiva sul credito al consumo – Direttiva (UE) 2023/2225 – non si è trovata una soluzione a queste problematiche, anzi vi sono indicazioni nella disciplina che lasciano intendere come il legislatore europeo non abbia volutamente regolato questi aspetti. Con il presente contributo si vuole brevemente affrontare gli aspetti che coinvolgono i consumatori nelle operazioni di crowdfunding, sia nelle operazioni business to consumer che peer to peer lending, e mettere in luce, in particolare, i vuoti normativi non ancora affrontati dalla CCD II.

ABSTRACT: Since 21 November 2021, Regulation (EU) 1503/2020 regulates providers of crowdfunding services for business. However, this Regulation excludes from its scope crowdfunding services provided to project owners who are consumers, as defined in Directive 2008/48/EC (CCD I). However, this Directive was adopted in a context where there was no need to regulate the crowdfunding phenomenon. This exclusion raised in the past, and continue to raise, several questions regarding the qualification of crowdfunding platforms when they facilitate the conclusion of consumer credit agreements. This loophole poses problems for the protection of consumers when granting or seeking credit in the context of a peer-to-peer lending transaction. The adoption of the second Consumer Credit Directive – Directive (EU) 2023/2225 (CCD II) – did not solve these problems; on the contrary, there are indications in the rules that the European legislator deliberately did not address these issues. This paper briefly reviews the areas where consumers are involved in crowdfunding, both in business-to-consumer and peer-to-peer lending transactions, and it highlights the regulatory gaps not yet tackled by CCD II.


1. Introduzione al problema

Come è noto il Regolamento (UE) 1503/2020 (in seguito, “ECSPR” o “Regolamento”), regola dal 21 novembre del 2021, i fornitori e la prestazione dei servizi di crowdfunding (in seguito anche, “CF”) per le imprese[1].  Punto di partenza della riflessione che qui si vuole svolgere è l’ambito di applicazione del ECSPR. L’art. 1(2)(a), ECSPR, che richiama la Direttiva 2008/48/EC sul credito al consumo (in seguito, “CCD I”) stabilisce che «Il Regolamento non si applica a: (a) servizi di crowdfunding forniti a titolari di progetti che sono consumatori, quali definiti all’articolo 3, lettera a), della direttiva 2008/48/CE[2]». In virtù di questa esclusione, introdotta ratione materiae[3], l’ECSPR riguarda solo il crowdfunding quando il prestatario non è un consumatore. I problemi posti dal crowdfunding con riguardo anche il credito al consumo sono sempre più rilevanti e il rinvio alla CCD I – concepita in un contesto completamente diverso – ha prodotto alcune lacune nella regolamentazione che dovevano dunque essere colmate. L’accesso al credito tramite il crowdfunding, infatti, si sta sempre più affermando come una forma di finanza disponibile per i consumatori, solitamente per spese o investimenti modesti[4]. D’altronde i numeri di questo settore sono abbastanza espliciti[5]. Il richiamo alla CCD I, però, nasceva nella consapevolezza che i lavori per l’approvazione della nuova direttiva sul credito al consumo stavano procedendo; tant’è vero che poco dopo l’approvazione del Regolamento la Commissione ha adottato una sua proposta di direttiva (in seguito “Proposta”)[6] e il 30 ottobre 2023 è stata approvata definitivamente la Direttiva (UE) 2023/2225 (in seguito, “CCD II”).

Concentrandoci ora sui «consumatori»[7], questi possono essere coinvolti su entrambi i lati di un’operazione di crowdfunding: come titolari di progetti – l’unità in deficit che persegue l’obiettivo di reperire fondi tramite la piattaforma di CF – e in qualità di investitore – l’unità in surplus disponibile a concedere un prestito, tramite una piattaforma di CF, nell’ambito di una attività non professionale – che cerca un ritorno dall’impiego dei propri risparmi. Si precisa sin da ora che quando l’unità in deficit è un’impresa, o in generale un non consumatore, il consumatore-mutuante sarà tutelato dalle norme previste dal Regolamento e dagli obblighi previsti in capo al «fornitore di servizi di crowdfunding»[8].

I problemi, in virtù del rinvio alla Direttiva sui contratti di credito al consumo, si sollevano invece quando il prestatario è un consumatore. È infatti a tal proposito che ci si deve chiedere se la nuova Direttiva (UE) 2023/2225 offra a differenza di quanto avviene con la CCD I, una protezione certa e adeguata ai consumatori che intendono finanziarsi attraverso il CF. Nell’ipotesi appena prospettata, a sua volta, si devono considerare due concrete fattispecie: (1) quando è consumatore solamente chi chiede il prestito, mentre chi lo concede agisce nell’ambito della propria attività commerciale e professionale (operazione c.d. business to consumer, o “B2C”); e (2) quando è consumatore sia chi chiede il prestito che colui che lo concede nell’ambito di un’attività non professionale (c.d. peer-to-peer lending, o anche operazioni “P2P lending”).

Nel presente contributo si vuole brevemente affrontare entrambi questi aspetti che coinvolgono i consumatori nelle operazioni di crowdfunding, mettendo in luce, in particolare, il vuoto normativo lasciato dalla CCD II nel caso del P2P lending.

2. Le tutele per il consumatore-prestatario nel business to consumer

Fatta questa premessa, è tempo di affrontare il primo dei due problemi prospettati, guardando alle innovazioni, se ve ne sono, introdotte dalla CCD II per il credito al consumo concesso tramite fornitori di servizi di crowdfunding.  Il primo e più chiaro caso che merita attenzione vede il fornitore di servizi di CF erogare direttamente il credito ai consumatori tramite una piattaforma. Si è davanti a un tipo di intermediazione che potremmo definire “forte”: in questo caso la persona fisica o giuridica che gestisce la piattaforma ha raccolto delle risorse da investitori e successivamente sottoscrive un contratto di credito al consumo con il soggetto che ha richiesto il prestito. Al di là delle sue modalità innovative, qui lo schema di raccolta ed erogazione è piuttosto classico e pertanto il fornitore di servizi di CF deve essere qualificato come «creditore» ex art. 3(1) n. 2., CCD II[9], trovando dunque applicazione le disposizioni relative ai creditori. A onore del vero, già la CCD del 2008 consentiva di giungere alla stessa conclusione. La definizione di «creditore» non è infatti mutata nelle due Direttive qui poste a confronto e in questa si poteva agevolmente sussumere qualunque soggetto che conceda o si impegna a concedere un credito nell’esercizio della propria attività commerciale o professionale e dunque anche il gestore della piattaforma. È diverso, invece, il caso in cui la piattaforma facilita la conclusione di contratti di credito al consumo tra «creditori» e consumatori che richiedono il prestito, pur non agendo come creditore. In questo seconda ipotesi, se i creditori agiscono nell’ambito della loro attività commerciale o professionale, rimaniamo nell’ambito di una un’attività B2C e, pertanto, alla luce della definizione di «intermediario del credito», la piattaforma (rectius, il suo gestore) è così qualificata se la sua attività viene svolta dietro compenso. Ciò comporta che nei confronti di quest’ultima trovano applicazione le norme che riguardano gli intermediari del credito divenendo soggetta, nei fatti, a molti degli obblighi previsti dalla CCD II per i creditori[10]. Anche in questo caso, sostanzialmente non ci sono grandi novità rispetto alla CCD del 2008. Le definizioni di intermediario del credito sostanzialmente coincidono, se non per le parole «e non presenta semplicemente, direttamente o indirettamente, un consumatore a un creditore», previste dalla CCD II e non dalla CCD I.  Questo inciso, in concreto, evita espressamente il rischio di qualificare la piattaforma come intermediario del credito quando nei fatti si limita a mettere in contatto le controparti di un potenziale contratto di credito senza promuoverne i contenuti e senza assistere il consumatore nelle attività precontrattuali preparatorie o amministrative o concluderli in nome e per conto del soggetto-creditore. Nell’ambito della CCD, non essendo specificata questa esclusione, “presentare un creditore al consumatore” è una attività che poteva essere ricondotta all’ipotesi sub i) dell’art. 3(1) lett. f, CCD, con la conseguenza per la piattaforma di essere qualificata come «intermediario del credito».

3. Il caso del peer to peer lending

Si è visto che nell’ambito di un rapporto tra un creditore o un intermediario del credito e un consumatore, se i primi agiscono nell’ambito della propria attività commerciale o professionale, il secondo è tutelato già con la CCD e così avverrà, anche con maggiore forza, con l’adeguamento alla CCD II. In un contesto business to consumer (in seguito, “B2C”), la piattaforma che opera come prestatore o come intermediario è inclusa nell’ambito di operatività della disciplina della CCD II, come lo era nella CCD I.

I maggiori problemi, come anticipato, si pongono invece nel caso P2P lending e cioè quando il soggetto che offre il credito non lo fa nell’esercizio di una sua attività commerciale o professionale. In questa ipotesi, per il consumatore-prestatario si aprono due possibili scenari. Nel primo, la piattaforma svolge un ruolo attivo e la sua attività è riconducibile a quanto previsto dalla definizione di intermediario del credito – dietro compenso e nell’esercizio della sua attività commerciale o professionale. Il fornitore di servizi di crowdfunding è così soggetto alle norme che riguardano gli intermediari del credito e, conseguentemente, il consumatore che negozia e conclude il contratto di credito è tutelato dalla disciplina della CCD II.  Nel secondo scenario, la piattaforma presenta semplicemente prestatore e richiedente, senza esercitare nessun’altra attività. In questo caso, stando ai termini della CCD II, non abbiamo un «creditore» e nemmeno un «intermediario del credito». L’operazione così costruita non ricade dell’ambito della nuova Direttiva di tal che prestatore e richiedente rimangono privi di protezione legale, dovendosi dunque tutelare solamente sul piano negoziale.

Il problema del vuoto normativo che riguarda il peer-to-peer lending non è del tutto ignorato dal legislatore europeo. Anzi, potremmo dire che la soluzione a cui si è giunti oggi con la CCD II è il frutto di una scelta voluta. E questo è particolarmente rilevante per gli interpreti nonché per il legislatore domestico chiamato ad adeguare il nostro ordinamento a quanto disposto dalla CCD II. Come accennato, Il Regolamento (UE) 2020/1503 esclude dal suo ambito di applicazione i servizi di crowdfunding, anche quelli che facilitano la concessione di crediti, forniti ai consumatori quali definiti nella Direttiva CCD. Per porre rimedio a questa esclusione, la Commissione, con la propria Proposta intendeva intervenire con la nuova Direttiva relativa ai crediti al consumo, apportando chiarezza sul regime giuridico applicabile ai servizi di CF nel caso in cui un consumatore chieda di contrarre un prestito attraverso un fornitore di servizi di credito tramite crowdfunding[11]. In questo senso, con la CCD II si voleva integrare il regolamento (UE) 2020/1503.

Il testo finale della Direttiva (UE) n. 2023/2225, così come oggi in vigore e in attesa che gli ordinamenti nazionali si adeguino, cambia però approccio. La CCD II certamente regola il credito richiesto e ottenuto attraverso una piattaforma di crowdfunding, ma non in modo così esplicito e diretto come si era previsto nella Proposta Commissione. Sostanzialmente, dopo gli emendamenti apportarti, il vuoto normativo presente nella direttiva del 2008 si ripropone nella CCD II; anzi, la lacuna si presenta ancora più difficilmente colmabile. Il dibattito che si era sviluppato in vigenza della prima direttiva riguardava proprio la classificazione delle piattaforme. Ci si chiedeva se queste dovessero essere regolate in quanto soggetto creditore o intermediario del credito specie quando il ruolo della piattaforma non era pienamente riconducile alle definizioni date con la CCD, come potrebbe avvenire, ad esempio, nel secondo degli scenari descritti in precedenza[12]. La Proposta di direttiva CCD II affrontava proprio per queste ragioni il tema qui discusso nella consapevolezza che il P2P lending rappresenta un fenomeno in espansione e probabilmente con una rilevanza crescente per il mercato[13]. A tal proposito, la Proposta prevedeva espressamente la definizione di «servizi di credito tramite crowdfunding» includendo così i servizi forniti da una piattaforma di crowdfunding per facilitare la concessione di un credito al consumo. La formulazione così ampia includeva senza dubbio sia i servizi B2C che peer-to-peer: bastava appunto che la «piattaforma di crowdfunding» – come definita art. 3(1) n. 23, della stessa Proposta[14] – in qualche misura intervenisse per agevolare lo scambio tra chi offre credito e chi lo richiede. Per questa via, dunque, veniva così assicurata tutela ai consumatori sia nel ruolo di prestatori che di richiedenti il credito.

Contrariamente alla proposta della Commissione, nella versione definitiva della CCD II la definizione di «servizi di credito tramite crowdfunding» non è più presente, togliendo così spazio agli interpreti di ricondurvi certe attività del fornitore di servizi di CF anche quando non pienamente definibile come «creditore» o «intermediario del credito»[15]. Anche il riferimento alla «piattaforma di crowdfunding» è stato rimosso. Nei fatti dunque, esclusi i molti altri aspetti sui quali è intervenuta la Direttiva, specificatamente sulle qualificazioni rilevanti ai fini di attività legate al crowdfunding non ci sono particolari novità rispetto alla direttiva del 2008.

Le scelte fatte con la CCD II, approvata lo scorso 30 ottobre, ripropongono agli interpreti i problemi della Direttiva del 2008. Il risultato, riassunto nel Considerando 22, CCD II, per il momento è dunque definitivo, anche se il legislatore europeo si è riservato di compiere in futuro una nuova valutazione a riguardo.

4. Spazi limitati per soluzioni interpretative. Spunti conclusivi

Come detto, la Direttiva non si occupa di quando i soggetti coinvolti nell’operazione, creditore-debitore, sono entrambi consumatori. Nella CCD I tale lacuna nel quadro regolatorio trovava giustificazione nel fatto che i problemi collegati al crowdfunding e al ruolo delle piattaforme sono sorti in un momento successivo all’approvazione della stessa e sono l’esito dell’evoluzione tecnologica avvenuta nell’ultimo decennio.  Il vuoto normativo spiegato in questi termini ha pertanto permesso agli interpreti di tentare di trovare delle soluzioni, quantomeno per via analogica, per assicurare così la tutela ai consumatori coinvolti[16]. La CCD II, al contrario, non concede molti spazi all’attività degli interpreti. La lacuna lasciata dal legislatore è il frutto di una scelta precisa e non di un vuoto che si è creato a causa dello sviluppo tecnologico.  In favore di questa lettura, depongono due chiare indicazioni riscontrabili in altrettante disposizioni. Innanzitutto, nella versione definitiva della CCD II non si trova più un’espressa previsione, com’era il considerando 18 della Proposta, che riguarda l’operazione tra un creditore-consumatore e un debitore-consumatore. In quella sede infatti si specificava la necessità di regolare i fornitori di servizi di credito tramite crowdfunding, che operano come tali e non soltanto come creditori o intermediari del credito, «qualora facilitino la concessione di un credito fra persone che accordano crediti al consumo non nell’ambito della loro attività commerciale o professionale, da un lato, e consumatori dall’altro»[17]. Con questa misura si caricava la piattaforma dell’onere di tutelare il consumatore richiedente il prestito senza dover inquadrare il consumatore-concedente nel ruolo di «creditore» (in quanto non lo poteva essere non svolgendo l’attività professionalmente). La seconda indicazione è la previsione di cui all’art. 46(2) CCD II ove precisa «entro il 20 novembre 2025, la Commissione valuta la necessità di tutelare i consumatori che sottoscrivono prestiti e investono attraverso piattaforme di crowdfunding, quali definite all’articolo 2, paragrafo 1, lettera d), del regolamento (UE) 2020/1503, qualora tali piattaforme non agiscano in qualità di creditori o intermediari del credito, ma facilitino la concessione di un credito fra consumatori». La problematica è dunque volutamente non regolata e, guardando il Considerando 23, CCD II, sembra che un eventuale intervento normativo sia per il momento lasciato ai legislatori nazionali[18].

A questo punto, per concludere, non resta che attendere le scelte del legislatore domestico in sede di adeguamento del nostro ordinamento alla nuova direttiva sul credito al consumo che dovrà avvenire entro il 20 novembre 2025. Il processo legislativo rimane dunque aperto sia a livello europeo che domestico; l’auspicio rimane quello di migliorare la protezione dei consumatori in questo settore recuperando almeno quanto previsto dalla Proposta della Commissione. La possibilità lasciata dall’art. 46(2), CCD II, alla Commissione di intervenire su questo aspetto specifico entro il 20 novembre 2025, stessa scadenza per il recepimento della Direttiva da parte degli Stati membri, dimostra la consapevolezza del legislatore sul rischio che si vada via via creando un quadro regolatorio poco armonizzato all’interno del mercato unico con riguardo un aspetto non del tutto secondario della tutela dei consumatori nelle operazioni di credito peer-to peer.

 

[1] Il legislatore nazionale ha adottato la legge di delegazione europea n. 127 del 4 agosto 2022 con delega al Governo di attuare in Italia il Regolamento UE; l’attuazione è quindi stata realizzata con il d.lgs. 10 marzo 2023 n. 30 che, tra le altre cose, ha abrogato l’art. 50- quinquies, TUF, e modificato altri articoli del testo unico finanziario. Per un approfondimento v. E. Macchiavello, La regolazione del crowdfunding in Italia dopo l’adattamento del nostro ordinamento al Regolamento UE n. 2020/1503: i principali cambiamenti per i fornitori di servizi di crowdfunding operanti in Italia e questioni ancora aperte, in Riv. dir. banc., I, 2024, 135- 235. Per un commento esaustivo, articolo per articolo: E. Macchiavello (a cura di), Regulation on European Crowdfunding Service Providers for Business: A Commentary, London, 2022.

[2] Richiamo che oggi deve far riferimento alla Direttiva (UE) n. 2023/2225 del 18 ottobre 2023 (in seguito, “CCD II”), relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la Direttiva 2008/48/CE.

[3] Il Regolamento 1503/2020 viene ricompreso tra le iniziative legislative del Capital Markets Union e deve essere inquadrato tra i provvedimenti che mirano ad ampliare le opportunità di raccolta di risorse finanziare da parte delle imprese specie di piccola-media dimensione. V. European Commission, Action Plan on Building a Capital Markets Union, Comunicazione (COM/2015/0468 final) del 30 settembre 2015; e ancora, European Commission, Mid-Term Review of the Capital Markets Union Action Plan, Comunicazione (COM(2017) 292 final) dell’8 giugno 2017.

[4]  In tal senso, Cfr. Considerando 22, CCD II.

[5] Per un’analisi approfondita a riguardo mi sia permesso di rinviare a A. S. Alibrandi – E. Grossule, Crowdfunding and consumer credit protection in the EU, in E. Macchiavello (a cura di), in Regulation on European Crowdfunding Service Providers for Business, 2022, 591 ss.

[6] Si fa riferimento alla Proposta di Direttiva (2021/0171 (COD)) presentata dalla Commissione Europea il 30 giugno 2021 (COM(2021) 347 final).

[7] Da intendersi proprio secondo la definizione data dall’art. 3(1) n. 1, CCD II, «persona fisica o giuridica che concede o si impegna a concedere un credito nell’esercizio di una sua attività commerciale o professionale»

[8] Per le definizioni relative ai «servizi di crowdfunding» e «fornitori di servizi di crowdfunding» si deve far riferimento a quanto previsto dal Regolamento ECSP. In particolare, per quanto interessa ai fini del presente lavoro, per «servizi di crowdfunding» ex art. 2(1)(a)(i) si intende: «l’abbinamento tra gli interessi a finanziare attività economiche di investitori e titolari di progetti tramite l’utilizzo di una piattaforma di crowdfunding, che consiste in una delle seguenti attività: i) intermediazione nella concessione di prestiti; […]; e per «fornitori di servizi di crowdfunding» ex art. 2(1)(e) si intende : «una persona giuridica che presta servizi di crowdfunding».

[9] Per «creditore» si veda la definizione riportata supra in nota 3.

[10] Il Considerando 22, CCD II, spiega bene il ruolo delle piattaforme che offrono servizi di CF, facilitando la concessione di finanziamenti ai consumatori. Tali prestiti potrebbero assumere la forma di credito ai consumatori e pertanto «i prestatori di servizi di credito tramite crowdfunding che eroghino direttamente crediti ai consumatori dovrebbero essere soggetti alle disposizioni della presente direttiva relative ai creditori». Nel caso in cui i fornitori di servizi di credito tramite CF «facilitino la concessione di un credito fra creditori che operano nell’ambito della loro attività commerciale o professionale e consumatori, gli obblighi previsti dalla presente direttiva per i creditori si dovrebbero applicare a tali creditori». In una tale situazione i prestatori di servizi di credito tramite crowdfunding agiscono come intermediari del credito, quindi dovrebbero applicarsi loro gli obblighi previsti dalla presente direttiva per gli intermediari del credito.

[11] Per quanto riguarda specificatamente il problema qui analizzato, si veda, in questi termini il Considerando 16 della Proposta.

[12] Per una sintesi efficace del dibattito, v. A. S. Alibrandi – E. Grossule, Crowdfunding and consumer credit protection in the EU, cit., 591 ss. Sullo stesso argomento, M. Ebers – B. M. Quarch, EU Consumer Law and the Boundaries of the Crowdfunding Regulation, in P. Ortolani – M. Louisse (a cura di), The EU Crowdfunding Regulation, Oxford, 2022, 83-112.

[13] Cfr. Considerando 22 CCD II, ove espressamente si dice «dal 2008 il crowdfunding (finanziamento collettivo) si è affermato come forma di finanziamento disponibile per i consumatori, solitamente per spese o investimenti modesti».

[14] La definizione ivi prevista rimandava per ragioni di coerenza alla definizione data all’articolo 2, paragrafo 1, lettera d), del Regolamento (UE) 2020/1503 (ECSPR).

[15] Il crowdfunding segue un modello di business basato fondamentalmente sul web e dove una delle problematiche principali è individuare quale sia il ruolo della piattaforma e di chi la gestisce. Sul punto, M. Lissowska, Consumer Credit in Europe, 2021, Londra, 39-40.

[16] Per un approfondimento, v. M. Ebers – B. M. Quarch, EU Consumer Law and the Boundaries of the Crowdfunding Regulation, cit., 83-112.

[17] Cfr. Considerando 18 della Proposta. Tra queste misure si richiamava, ad esempio, l’obbligo di verifica del merito creditizio del consumatore e le norme relative alle informazioni precontrattuali. La protezione dei consumatori è l’obiettivo principale della CCD e rimane tale per la CCD II. In questa prospettiva, l’asimmetria informativa tra il creditore e il consumatore è uno dei problemi da superare.  Tra le vie classiche da seguire per assicurare una tutela alla parte debole del contratto vi è l’imposizione di adeguati obblighi di informazione pre-contrattuale, così da rendere comparabili le offerte di credito disponibili sul mercato. Vedi sul tema, J. Armour – L. Enriques, The Promise and Perils of Crowdfunding: Between Corporate Finance and Consumer Contracts, in The Modern Law Review, 2018, 72-75.

[18] Cfr. Considerando 23, CCD II, il quale recita: «Per quanto riguarda tipi particolari di contratto di credito cui sono applicabili solo alcune delle disposizioni della presente direttiva, gli Stati membri dovrebbero mantenere la facoltà di regolamentarne, nel loro diritto nazionale, gli altri aspetti non armonizzati dalla presente direttiva».

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