Una società residente nel Regno Unito, in seguito all’ottenimento di rimborso (parziale) del credito d’imposta relativo ai dividendi percepiti da una società residente in Italia da essa controllata (previsto dall’art 10, paragrafo 4, lett. b), della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Regno Unito), viene raggiunta da un provvedimento di diniego del rimborso stesso e recupero di quanto già rimborsato, provvedimento impugnato presso la competente Commissione Tributaria Provinciale.
Il ricorrente risultava soccombente in entrambi i gradi di merito, avendo la CTR ritenuto inapplicabile la disposizione convenzionale, in considerazione del fatto che la società avesse già fruito dell’esonero dalla ritenuta sui dividendi di cui all’art. 4 della Direttiva del 23 luglio 1990 n. 90/435/CEE, nonché all’art. 27 bis d.P.R. 600 del 1973, tutte applicabili ratione temporis, circostanza che, secondo il giudice di merito, sarebbe stata sufficiente all’eliminazione della doppia imposizione subita.
Il contribuente adiva quindi la Corte di Legittimità lamentando la violazione e falsa applicazione della menzionata Direttiva, congiuntamente all’articolo 10 della Convenzione Italia-Regno Unito.
Sul punto la Suprema Corte ha anzitutto richiamato la distinzione tra doppia imposizione giuridica e doppia imposizione economica, precisando che il fine della Direttiva madre-figlia, come desumibile dal terzo considerando, è l’eliminazione della seconda. Ne consegue che i benefici fiscali funzionali all’eliminazione della doppia imposizione, siano essi di matrice nazionale o convenzionale, sono cumulabili all’esenzione da ritenuta prevista dalla Direttiva, fino al completo raggiungimento del menzionato fine di quest’ultima.
Gli Ermellini hanno altresì richiamato molteplici argomentazioni mutuati dalla Corte di Giustizia ( e sviluppate nell’ambito della pronuncia di cui alla causa C-389/18, Brussels Securities), dalle quali può evincersi come la valutazione circa la cumulabilità dei benefici fiscali di matrice convenzionale con l’esonero da ritenuta previsto dalla Direttiva madre-figlia debba essere informata al principio di neutralità, sotto il profilo fiscale, della distribuzione di utili tra una società figlia ed una società madre residenti in Stati Membri diversi.
Nel caso di specie, la circostanza per cui gli utili distribuiti dalla figlia siano stati inizialmente computati nella base imponibile della madre e, in un secondo momento, detassati a beneficio di questa per effetto di un “credito di imposta indiretto”, non dimostra che la doppia imposizione (economica) sia stata eliminata. Non è sufficiente, infatti, evitare la tassazione diretta degli utili in capo alla madre, ma è necessario rimuovere del tutto quei meccanismi che, sebbene accompagnati da sistemi di deduzioni ed esenzione volte a tenere in considerazione le imposte pagate dalla figlia nello Stato della fonte, potrebbero causare un trattamento di sfavore se paragonato a quello che le società avrebbero ricevuto se fossero residenti nello stesso stato.
Per tali motivi, le circostanze sopra descritte sono state ritenute dalla Suprema Corte non sufficienti a confermare il diniego al rimborso del credito d’imposta, la quale ha pertanto cassato la sentenza con rinvio alla CTR per la riesamina nel merito della fattispecie.