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Debiti degli enti locali: la Corte EDU sulla responsabilità dello Stato

24 Marzo 2025

Domenico Gaudiello, Partner, Head of Public Finance e Global Head of Alternative Lending Sector, CMS

Giuseppe Boccalone, Senior Associate, Public Finance, CMS

Di cosa si parla in questo articolo

Le recenti pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nei confronti dell’Italia in merito mancato pagamento dei debiti da parte degli enti locali italiani hanno sollevato importanti riflessioni.

In particolare, facciamo riferimento alle pronunce di cui ai ricorsi n. 31795/2023 del 16 gennaio 2025 per crediti nei confronti del Comune di Catania, nn. 41796/2023 del 6 marzo 2025 e n. 25191/2022 del 20 marzo 2025 (queste ultime nei confronti di altri enti locali), tutte aventi ad oggetto la condanna nei confronti dello Stato italiano per il ritardo nel pagamento dei crediti vantati dai ricorrenti nei confronti degli enti locali.

Tali pronunce, pur non imponendo allo Stato italiano di saldare il debito dell’ente locale insolvente, lo condannano a tenere indenne il creditore dalle conseguenze dell’irragionevole durata del recupero del credito.

Vediamo però più in dettaglio la questione, partendo da un paio di premesse fondamentali.

In generale, le sentenze della Corte di Strasburgo hanno la funzione di garantire il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo nei confronti degli Stati membri e, sebbene non abbiano un’efficacia immediatamente vincolante per i giudici nazionali, gli Stati membri condannati sono tenuti a conformarsi al dictum della Corte, adottando le misure necessarie per rimediare alla violazione accertata.

L’attuazione delle sentenze della CEDU spetta allo Stato membro interessato e avviene sotto la vigilanza del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, che, pur non disponendo di poter coercitivi diretti, monitora l’esecuzione delle decisioni medesime.

Tuttavia, il mancato rispetto di tali provvedimenti comporta esclusivamente sanzioni nei confronti dello Stato condannato, senza determinare automaticamente effetti nei confronti di altri soggetti coinvolti nella controversia.

Nei casi di cui si tratta, la Corte ha riconosciuto che la durata del recupero del credito nei confronti dell’ente locale avesse determinato una violazione del diritto a un processo equo di cui all’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, accertandone la violazione dal momento che lo Stato non ha “profuso tutti gli sforzi necessari per garantire la piena e tempestiva esecuzione delle decisioni giudiziarie in favore del ricorrente”.

Per tale motivazione ha riconosciuto ai sensi dell’art. 41 della Convenzione in favore del ricorrente una somma a titolo di risarcimento per danno morale.

Tuttavia, è fondamentale chiarire che la decisione non ha imposto allo Stato italiano di subentrare nel pagamento del debito degli enti locali.

Infatti, la Corte ha semplicemente statuito che “lo Stato convenuto dovrà, entro tre mesi, garantire con mezzi adeguati l’esecuzione delle sentenze interne ancora pendenti di cui alla tabella allegata”, in cui è data espressa indicazione dei titoli giudiziali ottenuti e azionati dalla ricorrente.

Al contrario, lo Stato italiano è stato condannato esclusivamente a corrispondere un importo per un titolo diverso (per “equa soddisfazione”) e fondato sul ritardo ingiustificato nella soddisfazione del credito, ma non a subentrare nei debiti contratti dagli enti locali, facendosene carico.

In effetti, è pacifico che la Corte non potesse pronunciarsi, in difetto di giurisdizione, sul recupero del credito sottostante vantato dalla ricorrente, ma ha inteso esprimere l’obbligo dello Stato italiano di garantire che il ricorrente possa adire un giudice nazionale competente che dia esecuzione al recupero coattivo di detti crediti.

Ma vi è di più. L’articolo 119 della Costituzione sancisce il principio di autonomia finanziaria degli enti locali, escludendo qualsiasi forma di garanzia statale sui debiti contratti dagli stessi.

Questo principio, che presidia il concreto funzionamento della finanza pubblica dello Stato italiano, investe un aspetto fondamentale dell’unita economica della Repubblica. Anche da questa prospettiva, insomma, la sentenza della CEDU non può che riguardare profili diversi da quelli afferenti la responsabilità diretta dello Stato per debiti contratti dagli enti locali e rimasti insoluti.

Compito dello Stato è piuttosto quello di prevenire il ripetersi di situazioni come quelle scrutinate dalla CEDU in relazione ai crediti verso gli enti locali, indennizzando i soggetti che hanno patito sin qui la disfunzione opportunamente sanzionata dal giudice di Strasburgo.

Pertanto, chi opera con un ente locale mette nel conto (i) il rischio di dissesto così come (ii) il rischio di trovarsi nella condizione di dover accettare un pagamento in forza della procedura semplificata ex art. 258 TUEL (ossia per importi inferiori a quelli dovuti) e (iii) non può mai contare sull’intervento salvifico dello Stato centrale.

D’altronde, se così non fosse, nessun creditore avrebbe interesse a coltivare la propria posizione, potendo contare sul ricorso diretto contro lo Stato. Il che è palesemente paradossale.

Altra cosa è che il recupero del credito implichi tempi irragionevoli.

Di questa durata irragionevole risponderà la macchina amministrativa in sede erariale, tenuto conto degli interessi che maturano sui pagamenti tardivi.

Ed infatti, il provvedimento reso dalla Corte nei casi esaminati ribadisce il principio secondo cui l’irragionevole durata del recupero di un credito rappresenta una violazione della convenzione.

Di nuovo: la CEDU non può modificare l’assetto normativo nazionale in materia di responsabilità e autonomia degli enti locali.

Chi acquista crediti vantati nei confronti di enti in dissesto lo fa con la consapevolezza dei rischi e delle tempistiche della procedura di pagamento.

In definitiva, per il mercato dei crediti commerciali e finanziari nei confronti degli enti locali, la decisione della CEDU non introduce elementi di discontinuità significativi: i creditori continueranno a dover valutare con attenzione le prospettive di recupero e i costi associati, senza poter contare su un intervento diretto dello Stato per la soddisfazione integrale dei loro diritti.

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