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Editoriali

Debolezza delle Sezioni Unite sull’ammortamento alla francese

6 Giugno 2024

Aldo Angelo Dolmetta

già Professore Ordinario di Istituzioni di Diritto Privato all’Università Cattolica di Milano; Membro del Collegio ABF di Napoli

Di cosa si parla in questo articolo

[*] 1.- Prima di ogni altra cosa, va segnalato che la sentenza delle Sezioni Unite (29 maggio 2024, n. 15130) si occupa unicamente dell’ipotesi in cui concorrano in fattispecie tre distinti fattori: che il tasso d’interessi del mutuo sia fisso (e non variabile); che sia presente un vero e proprio piano di ammortamento (e non un semplice piano di rimborso o proprio nulla); che la rata di cui al rimborso sia comunque costante. Se non convergono queste tre circostanze – avverte la pronuncia -, ogni problema è da ritenere rimanga del tutto aperto.

La sentenza pure precisa, in via di addizione, di restare estranea anche nei confronti del caso in cui l’ammortamento nel concreto applicato dalla Banca non corrisponda con quanto stabilito nella sede del contratto, per subite «maggiorazioni» (c.d. divergenza tra «applicato» e «pattuito»).

2.- Venendo al merito dell’analisi sviluppata dalle Sezioni Unite, la sentenza si mostra – per più dei punti nodali della materia dell’ammortamento alla francese (in genere, come anche sul tipo di ammortamento adottato e sul sistema finanziario, composto o semplice, adottato, che sono gli aspetti a cui sono propriamente riferite le questioni di cui al rinvio pregiudiziale) – particolarmente debole.

Così, ad esempio, la sentenza non va oltre la constatazione che l’ammortamento alla francese non integra, strutturalmente, un fenomeno di anatocismo. Così facendo, però, essa rimane proprio ai bordi del problema: il fatto che l’ammortamento alla francese non dia vita a un fenomeno di anatocismo – il relativo meccanismo facendo capo a una peculiare clausola di imputazione dei pagamenti -, invero, non esclude affatto la possibilità (forte, in realtà) che l’ammortamento produca effetti di gravosità, per il cliente mutuatario, del tutto analoghi a quelli propriamente prodotti dal fenomeno dell’anatocismo. Sarebbe stato necessario e doveroso, dunque, chiedersi se (e quando) il principio del divieto di anatocismo non sia da ritenere esteso pure al vicino fenomeno dell’ammortamento alla francese.

D’altra parte, pure viene da osservare (sempre a titolo di esempio) che – nella sede d’impianto generale della motivazione – la sentenza senza alcuna spiegazione considera di mero dettaglio la norma dell’art. 1185 c.c. Che non si confronta (proprio) con il diffuso orientamento della Corte che ritiene applicabile la norma dell’art. 1194 unicamente nel caso in cui siano già scaduti sia il debito per capitale, che quello per interessi. Che va a contrapporre le norme dell’art. 1282 e dell’art. 1224 c.c., quando da tempo la dottrina ritiene «fuor di dubbio che, sul piano storico e sul piano funzionale, le due regole riguardino fenomeni analoghi» e che «deve ritenersi giustificata, malgrado la differente collocazione legislativa, un’integrazione delle due discipline»[1]. Che (soprattutto) trascura del tutto, nel contesto, la norma dell’art. 1195 c.c., che pure è disposizione di forte significatività sistematica: là dove indica che la materia dell’imputazione dei pagamenti possiede in via fisiologica un’elevata possibilità di confondere e «sorprendere» il debitore; e che, quindi, a quest’ultimo soggetto le cose debbono essere spiegate proprio per bene.

3.- La peculiare debolezza argomentativa della sentenza si nota in modo particolare, peraltro, là dove essa tratta della seconda questione rimessale in via di rinvio pregiudiziale: per escludere, così, che la mancata indicazione in contratto del tipo di ammortamento prescelto, come pure del sistema finanziario adottato, comporti nullità della clausola per violazione dell’art. 117, comma 4, TUB.

Per la verità, il problema è proprio impostato male. In effetti, la sentenza si chiede se l’ammortamento e il sistema finanziario incidano, oppure no, sul tasso nominale annuo e/o sul TAEG [così: «se la maggior quota di interessi complessivamente dovuti in presenza di “ammortamento alla francese” costituisca un prezzo ulteriore e occulto che rende il tasso d’interesse effettivo maggiore di quello nominale (TAN) e del TAEG dichiarati»]. Tuttavia, la domanda, che pone la norma dell’art. 117 comma, attiene alle diverse «voci» che vengono a comporre il «costo» complessivo del rapporto di credito. Ed è chiaro, allora, che rispetto a questa domanda la risposta è di ordine positivo: si tratta, appunto, di autonome componenti (solo in senso figurato si potrebbe dire «addizionali»), del costo del credito. Inserito nella gabbia della voce degli «interessi», il tema viene invece a immiserirsi e a rimanere influenzato dalle indicazioni della Banca d’Italia in punto di definizione degli elementi che sono rilevanti per la costruzione del TAEG.

Del resto, la sentenza sembra volere andare alla ricerca di una indicazione normativa specifica, quanto espressa [: «l’art. 117 TUB non richiedeva e non richiede tuttora (a fortiori a pena di nullità) l’esplicitazione del regime di ammortamento nel contratto»]. Per contro, il tema da indagare è diverso: è propriamente quello di interpretazione della norma, lì dove essa pretende che i testi dei contratti dell’operatività bancaria indichino (non solo il «tasso d’interesse», ma anche) «ogni altro prezzo e condizione [e] oneri» (non diversamente avviene, per il caso di clienti consumatori, in relazione all’art. 125 bis, comma 6, TUB, nel riflesso dell’art. 121, comma 1, lett. e. TUB). In quanto tale, la norma risulta senz’altro intesa a recepire ogni struttura, forma e nomen del peso economico dell’operazione per il cliente.

Del tutto inconcludente si manifesta poi il rilievo – su cui, peraltro, la sentenza insiste molto – per cui il maggior costo dell’ammortamento alla francese è «effetto naturale» della scelta pattizia di prevedere un piano di rimborso modulato a «rata costante» (tutte le rate hanno, per il cliente, identica misura di esborso) «e non decrescente». In effetti, sul filo della norma dell’art. 117 si tratta appunto di rendere il cliente consapevole di quanto gli viene effettivamente a costare la scelta della rata costante (a parte il rilievo che la rata costante non è frutto necessario di un ammortamento alla francese). Casomai, il punto della «rata costante» è un altro: ed è che, nell’operatività, la rata costante si trova imposta[2] anche quando al cliente non interessa per nulla (un conto sono le famiglie mutuatarie, ad esempio; un conto, sono le imprese).

4.- Non v’è dubbio, in definitiva, che la sentenza delle Sezioni Unite rappresenti – più che un’occasione perduta – una decisione di retroguardia; e, volendo, pure assai miope. Come non ricordare, a confronto, la diversità di apertura dello sguardo che le Sezioni Unite hanno mostrato nella sentenza 12 maggio 2020, n. 8770, a proposito di contratti derivati e di «scenari probabilistici» da far apprezzare al cliente?

Nelle ultime battute della motivazione resa, la sentenza n. 15130/2024 dichiara che il diritto vigente non si spinge sino a esigere che gli istituti di credito «si sostituiscano» al cliente «nella valutazione della adeguatezza e convenienza dell’operazione». L’affermazione tradisce, per vero, un forte grado di fraintendimento.

In realtà, il punto è proprio quello di evitare che altri – cioè, gli istituti di credito – scelgano in luogo del cliente (e non certo, poi, secondo l’interesse di quest’ultimo). Il punto è, di conseguenza, che il cliente deve essere messo in grado di capire davvero cosa sta andando a fare: per essere del tutto chiari, se può davvero «permettersi» di fare quel tipo di operazione oppure no; se gli convenga comunque «imbarcarsi» in quel genere di «debito bancario» (o anche di debito tout court).

Il progresso – anche quello relativo ai mutui bancari – non passa per la quantità dei contratti che vengono nel concreto stipulati. Passa, invece, attraverso la qualità delle operazioni che vengono poste in essere: a cominciare, per vero, della sostenibilità, da parte dei singoli mutuatari, del costo effettivo dei prestiti che sono chiamati a rimborsare.

 

[*] Le opinioni espresse nel lavoro non impegnano l’ABF.

[1] Libertini, voce «Interessi», in Enc. dir., XXII, Milano, 1972, p. 99 e 103

[2] Che, poi, se il corrente mercato dei mutui non offre alternative rispetto al genere dell’ammortamento alla francese (nella specie, della restituzione del capitale secondo progressione geometrica), la materia sembra naturaliter andare verso la competenza dell’AGCM.

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